Quante vittime ha fatto la Spagnola?

Negli ultimi mesi, si è sviluppato un curioso dibattito attorno alla questione.
Ovviamente, le motivazioni sono chiare: si cerca di confrontare i danni fatti dalla Spagnola con quelli che sta facendo il Covid-19.
Va da sé che non ha alcun senso paragonare le due malattie (se non altro perché nel 1919 non c’erano le terapie intensive che hanno dato una chance ai malati d’oggi) – ma la domanda è interessante, quindi cerchiamo di rispondere: quante vittime ha fatto (globalmente e in Italia) la Spagnola?

La risposta è: non lo sa nessuno.
Le cifre variamente agghiaccianti che leggete online sono semplicemente una stima, una ricostruzione. Una ricostruzione fatta con criteri scientifici, ovviamente (non è che qualcuno s’è alzato una mattina e ha cominciato a sparare numeri a caso) – ma pur sempre una ipotesi.

Perché non si riesce (e mai si riuscirà) ad andare oltre le ipotesi e le ricostruzioni?
Per una serie di fatti ben precisi.

Uno: all’epoca, non esistevano i tamponi per diagnosticare la Spagnola. Gli strumenti scientifici di inizio ‘900 non erano materialmente in grado di isolare il virus influenzale, sicché la Spagnola veniva diagnosticata esclusivamente sulla base dei sintomi. Non una diagnosi molto attendibile, evidentemente.
Per non parlare del fatto che la maggior parte dei malati moriva nel letto di casa sua, frequentemente senza aver mai ricevuto una diagnosi ufficiale.

Mi direte “beh, ma si può valutare la mortalità in eccesso!”. Ovverosia: si può confrontare la mortalità media in un anno “normale” e poi valutare quante morti in eccesso ci sono state durante la pandemia.
Sicuramente si può fare, e infatti il calcolo è stato fatto… là dove è stato possibile reperire i dati.
Perché il problema è proprio questo: la Spagnola si è diffusa in tutto il mondo, ma non tutto il mondo, all’epoca, aveva un sistema di anagrafi aggiornato con regolarità (e/o comunque attendibile). Si può dire che una anagrafe veramente funzionale esisteva solamente nei Paesi occidentali, e nemmeno in tutti.
Quindi, anche quello della mortalità in eccessi è un dato da prendere con le pinze.

Ma tenendo conto che – ci piaccia o no – questo è l’unico dato che abbiamo… cosa sembrano suggerirci, i numeri?

Negli anni ’20 – poco dopo la fine dell’epidemia – il batteriologo Edwin Jordan calcolò il numero percentuale di morti in eccesso registrate nei Paesi di cui era possibile consultare l’anagrafe e lo rapportò all’intera popolazione mondiale, ipotizzando che la Spagnola avesse colpito ovunque con la medesima intensità. Con questi criteri, stimò un numero di vittime pari a circa ventun milioni e seicentomila – una cifra che impressionò non poco l’opinione pubblica: era superiore al numero dei caduti in guerra.

Nel 1991, questa stima fu messa in discussione da Patterson e Pyle, due epidemiologi. Gli studiosi contestarono la stima di Jordan sostenendo che non era ragionevole presumere che l’epidemia avesse colpito con uguale violenza in ogni area del globo. La ricostruzione di Jonson estendeva a tutto la mortalità registrata nei Paesi occidentali – ma molti Paesi occidentali avevano adottato una serie di misure piuttosto rigide per il contenimento della pandemia (come ad esempio il divieto di assembramenti e l’uso obbligatorio della mascherina). Ciò non accadde nei Paesi del Terzo mondo, che anzi furono sostanzialmente abbandonati a se stessi in una specie di autogestione. Partendo da questo presupposto, gli epidemiologi fecero una seconda stima che teneva conto della mancanza di misure di contenimento, alzando così il totale di morti a circa trenta milioni.

Nel 1998, furono due storici ad alzare la posta. Johnson e Müller sostennero che i biologi e gli epidemiologi che si erano cimentati prima di loro avevano basato le loro stime su considerazioni di natura esclusivamente medica, senza però tenere in conto le concrete condizioni di vita delle popolazioni non-occidentali all’epoca della pandemia. Valutando elementi come le diverse abitudini igieniche, la presenza di case sovraffollate, la difficile reperibilità di farmaci e persino la diffidenza da parte dei locali nei confronti della medicina tradizionale, i due storici ritennero che la stima di Patterson e Pyle fosse comunque troppo ottimistica. Secondo loro, la Spagnola potrebbe aver provocato cinquanta milioni di morti o anche più.

Sono ipotesi, come vedete. L’OMS si tiene sul vago parlando genericamente di un numero di morti compreso tra 20 e 50 milioni e ricostruendo così gli altri numeri della malattia: un indice R₀ non superiore a 1,8; un tasso di letalità compreso tra il 2 e il 3%.

Ma almeno per quanto riguarda l’Italia, è possibile avere dati ufficiali?
Ufficialmente, no, anche perché l’influenza non rientrava tra le malattie per le quali era prevista la denuncia obbligatoria all’autorità sanitaria (…ehm, già). Ufficialmente, le anagrafi registrano 274.041 decessi per “influenza” nel 1918 (una cifra che andrebbe scorporata eliminando – solo Dio sa come – i morti per influenza stagionale, dopodiché andrebbe aggiornata con il numero dei morti deceduti per “pneumonia”, “grippe”, “polmonite” e altri termini ricorrenti nei certificati di morte).

Meglio lasciar perdere i dati ufficiali e basarci – anche in questo caso – sul numero delle morti in eccesso verificatesi nei mesi della pandemia. Esse ammontano a 526.918 nel lasso di tempo compreso tra luglio 1918 e maggio 1919. Se a questo dato aggiungiamo le morti di soldati italiani deceduti all’estero per malattia (escludendo ovviamente quelli che morivano a causa di ferite), si può dire che la Spagnola abbia ucciso circa 600.000 Italiani. Un numero di poco inferiore a quello dei caduti in guerra: 650.000, nel nostro caso.

La Spagnola colpì tutta Italia in ugual misura?
No: come spesso capita, infierì con particolare furia in alcune regioni.

La prima ondata di influenza passò sostanzialmente inosservata, in Italia come all’estero: la Spagnola s’era affacciata al mondo nel marzo 1918, ma fu solamente verso la fine dell’estate che il virus cominciò a mostrare tutta la sua potenza (dopo una mutazione, probabilmente occorsa attorno al mese di luglio).

E infatti è proprio a luglio che iniziano a verificarsi, in uno sperduto comune calabrese, inquietanti morti causate da una strana influenza fuori stagione che frequentemente degenerava in complicazioni polmonari. La Codogno del 1918 fu la piccola Limbadi in provincia di Vibo Valenzia, nella quale la situazione doveva esser così allarmante che già nello stesso mese di luglio furono disposte autopsie sulle vittime. Da lì, il contagio si allargò a Rosarno e si diffuse rapidamente nelle province di Reggio e Catanzaro: per qualche tempo sembrò essersi fermato al Sud, senza spingersi oltre le cime dell’Abruzzo, ma d’un tratto – attorno a metà agosto – ecco morire in massa, per influenza degenerata in complicazioni polmonari, gli aitanti militari che si preparavano alla guerra in un centro di addestramento a Parma.

Gradualmente, inesorabilmente, il contagio si allargò verso il Piemonte, colpendo con particolare forza il Torinese e l’Alessandrino; penetrò in Liguria con l’aprirsi di settembre. Entro la fine del mese, l’epidemia era diffusa ormai in tutta Italia, anche se le zone più colpite continuavano ad essere concentrate al Sud: Catania, Palermo, Caltanissetta, Foggia e Bari piangevano, alla fine del 1918, un numero spaventosamente alto di vittime.
La situazione si riequilibrò all’aprirsi del 1919: il virus aveva smesso di infierire sul Meridione mentre continuava a mietere vittime nelle regioni del Centro-Nord, seppure con una violenza molto mitigata.
Non fu comunque il Nord a pagare il prezzo più alto. A giudicare dalle statistiche sulla mortalità in eccesso, furono Lazio, Sardegna e Basilicata le regioni ad aver registrato i più alti tassi di decessi. I numeri più bassi andarono invece al Veneto, al Piemonte e alla Liguria, che pure ebbero un buon numero di lutti.

Identikit della vittima-tipo?
Innanzi tutto, individui già debilitati da una precedente malattia: i tubercolotici e i malati di malaria, in particolare, morirono in massa (il che aiuta a spiegare, peraltro, l’altissima mortalità registrata in Sardegna: era a quell’epoca la regione con la più alta diffusione della malaria).
Tra gli individui sani, la Spagnola colpì con particolare violenza quelli che, per ragioni di lavoro, incontravano quotidianamente alti numeri di persone e/o adottavano comportamenti particolarmente a rischio: infermieri, negozianti, autisti, ma anche funzionari a contatto col pubblico e (sorpresa!) telefoniste.

Principali luoghi di contagio? Quelli ricalcano alla perfezione i focolai di oggi: officine, industrie, uffici di grandi dimensioni; ospedali, collegi e scuole; caserme militari e conventi religiosi.

7 risposte a "Quante vittime ha fatto la Spagnola?"

  1. Elisabetta

    Questo è il famoso post del venerdì 17 ahi ahi… vediamo…”E infatti è proprio a luglio che iniziano a verificarsi, in uno sperduto comune calabrese”…

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    1. Lucia

      🤣🤣🤣
      Fatto apposta.
      Se funziono come jettatrice anche stavolta, dopo una terza prova giusto per esser sicuri comincerò a prendere in considerazione l’idea d’esserlo davvero 🤣

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  2. Gianluca di Castri

    Articolo interessante. Un’ulteriore considerazione, per quanto concerne l’Europa, è che la spagnola infierì su un popolo già debilitato da anni di guerra che avevano causato notevoli problemi di carenza alimentari e di denutrizione. Essa fece più danni negli Imperi Centrali, perché vi erano stati maggiori problemi di denutrizione e non perché la spagnola fosse alleata dell’Intesa

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    1. Lucia

      Sì, sicuramente.
      Ricordo di aver letto un commento dell’ambasciatore francese in Italia (se non ricordo male) fatto dopo aver visto, una mattina, le massaie in coda all’alba per prendere la loro razione di latte con la tessera annonaria (senza calze – ormai introvabili – nel gelo umido delle mattine lombarde d’inverno).
      E l’ambasciatore, giustamente, commentava: se devi vivere in condizioni simili, come fai a non ammalarti e a non ammalarti in forma grave?

      Il problema non era solo quello (a differenza di quanto accade ad esempio col covid, la spagnola uccideva anche e soprattutto chi aveva un sistema immunitario molto forte – scatenava una risposta immunitaria esagerata che faceva più male che bene). Ma ovviamente la denutrizione, l’avitaminosi e le condizioni di vita non esattamente floride dopo anni di guerra hanno fatto il loro.

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