Ci sono dei momenti in cui leggi testi medievali e pensi “vabbeh, ma ‘sta brava gente aveva il gusto dell’orrido”. Non riesco a immaginare un miglior cappello introduttivo per la strana storia che sto per raccontare; storia che narra di come il prode Carlo Magno fu avvinto di ardente passione per un cadavere.
L’aneddoto viene messo per iscritto in epoche piuttosto “recenti”, se lo paragoniamo al resto del corpus di leggende sorte attorno al re dei Franchi. Vale a dire: non compare nelle chansons de geste e non sembra esser noto alla letteratura francese in generale; in compenso, ricorre frequentemente nella narrativa germanica del XIII secolo.
Ebbene: secondo la leggenda, il giovane Carlo Magno era venuto in possesso di un anello magico capace di legarlo con amore eterno alla donna a cui lui ne avrebbe fatto dono. Una mossa un po’ estrema per garantirsi un matrimonio felice, ma ehi: non è mica facile gestire il ménage coniugale, quando sei costretto a sposarti per ragioni politiche!
Ciò che Carlo evidentemente non sapeva, nel procurarsi quell’anello incantato, è che la magia è una cosa potente da trattare con cautela – e nella quale, soprattutto, le parole sono importanti. Perché se il tuo mirabolante anello magico ti promette “amore eterno”, “eterno” vuol dire “eterno”, non “finché morte non vi separi”.
Sicché, quando la moglie di Carlo Magno morì giovanissima, nell’atto di dare alla luce un figlio, il re sperimentò l’inquietante effetto collaterale di scoprirsi avvinto di un amore folle verso il cadavere della cara estinta. Del tutto incapace di processare il lutto (la magia lo rendeva evidentemente cieco di fronte all’evidenza), il re diede ordine di far imbalsamare la sua sposa e poi cominciò a portarsela appresso come se nulla fosse accaduto. Metteva a sedere il suo cadavere nella sala del trono, ci faceva lunghi viaggi a cavallo stringendola tra le braccia; chiacchierava con lei fino a tarda sera, dando ordine ai musici di corte di suonare le canzoni preferite della sposa.
Dire che la cosa stava diventando imbarazzante vorrebbe dire esser gentili.
Era imbarazzante e anche un tantinello assurda, perché un conto è impazzire per il lutto e un conto è iniziare a rapportarsi con un cadavere con le stesse modalità che si userebbero per una donna viva. Non ci volle molto, all’entourage di corte, per capire che c’era qualcosa di profondamente sbagliato in questa storia (…eh beh); pensa che ti ripensa, a un certo punto uno dei servitori ricordò di aver sentito mormorare qualcosa riguardo a un anello magico che il re s’era procurato per la sposa poco prima del matrimonio. Sospettando che potesse esser quella la causa di un comportamento così poco lucido, il servitore s’avvicinò alla regina cadavere e le sfilò ad uno ad uno tutti gli anelli che indossava…
…ed ecco: come per magia, il re fu liberato all’improvviso da quell’amore necrofilo.
Finisce così la tragedia romantica di Carlo Magno… e la narrazione cede il passo alla commedia grossolana.
Perché nel momento in cui fu sfilato alla regina quell’anello incantato maledetto, re Carlo smise sì di ardere d’amore per la sua sposa… ma iniziò a provare una violentissima passione per la persona che deteneva l’anello in quel momento: cioè, il povero servitore. Il quale, terribilmente imbarazzato dopo un paio di avances sgradite, pensò bene di sbarazzarsi di quell’oggetto maledetto facendo in modo che nessun altro potesse ritrovarlo, anche per sbaglio.
E dunque lo gettò al fondo di un pozzo profondo, ai margini di una cittadina nella quale si trovò a passare. Ahilui, povero illuso: neanche questo bastò a spezzare l’intensità di quell’incanto!
No: Carlo Magno non si innamorò del pozzo.
Però si innamorò del luogo, per così dire: trovandosi a passare vicino alla polla d’acqua nel quale giaceva il suo magico anello, si sentì scaldare il cuore da una quieta fascinazione che lo spinse a far edificare in quelle terre un castello in cui trasferire tutta la sua corte. Nacque così il palazzo di Aquisgrana, che fu da quel momento in poi la dimora prediletta dell’imperatore: fu, per così dire, il suo luogo del cuore, che Carlo amò dolcemente fino alla fine dei suoi giorni.
O così, almeno, assicura la leggenda scritta nel XIII secolo da Henricus Branwaldius; una leggenda che dovette piacere molto agli abitanti di Aquisgrana, i quali evidentemente s’affezionarono a questo mito fondativo. E infatti, la storia doveva essere ben nota ancora all’inizio del Settecento, quando l’alpinista Johann Jakob Scheuzer se la sentì raccontare e la mise per iscritto in uno dei suoi diari di viaggio.
Non stupisce che gli abitanti di Aquisgrana si siano affezionati a questa versione della storia.
Perché se questa fa un po’ senso, la sua variante è ancor peggio: secondo una leggenda agiografica che ebbe larga diffusione nel XIII secolo, a liberare Carlo Magno da quel maleficio fu niente meno che sant’Egidio abate.
Che c’entra sant’Egidio, mi chiederete giustamente?
C’entra, perché il pio uomo era stato avvisato da un angelo circa l’esistenza di un peccato gravissimo nella vita di Carlo Magno; un peccato così imbarazzante e orribile che l’imperatore rifiutava addirittura di confessarlo. Egidio mise dunque alle strette il re dei Franchi (“Carlo, guarda che una confessione incompleta non serve a niente; ti assicuro che non mi traumatizzo e non ti giudico”)… e a onor del vero si traumatizzò parecchio quando l’imperatore in lacrime gli disse tutto: incapace di accettare la morte di sua moglie, egli aveva regolarmente rapporti sessuali col suo cadavere.
Da questo momento in poi, la storia prosegue seguendo la trama già nota: sant’Egidio si rende conto che un comportamento simile non può essere normale e deve necessariamente esser causato da qualcosa di molto oscuro. Indaga e viene a sapere dell’esistenza dell’anello magico (che nessuno, fino a quel momento, aveva notato sul corpo della defunta, perché le sue dame di compagnia l’avevano utilizzato a mo’ di fermaglio per agghindare le trecce della donna). Con coraggio, il santo lo rimuove e lo getta nel pozzo profondo… eccetera eccetera eccetera, secondo la storia già nota, fino all’edificazione del castello di Aquisgrana.
La cosa curiosa è che l’aneddoto che ho appena raccontato è, per così dire, la rielaborazione in chiave fantasy di un tema che in altra forma era già presente nelle agiografie di sant’Egidio. Citato per la prima volta nella Vita sancti Aegidii del X secolo, l’aneddoto raccontava di come il santo stesse celebrando messa quando un angelo apparve davanti a lui avvisandolo dell’esistenza di un grave peccato che Carlo Magno rifiutava di confessare. L’agiografia non specifica la natura di questo peccato, limitandosi pudicamente a dire che l’imperatore accettò infine di confessarlo; in ogni caso, il topos del Grande Peccato di Carlo Magno accese la fantasia dei fedeli e continuò a far parlare di sé (per dire, è citato anche nella Legenda Aurea).
E qui ci sarebbe anche da far notare l’evidenza storica per cui sant’Egidio morì circa vent’anni prima che Carlo Magno venisse al mondo, ma gli agiografi medievali erano gente coi nervi saldi che non si turbava per queste quisquilie.
Si erano insomma poste le basi per una rielaborazione in chiave letteraria di questo episodio così intrigante. L’artefatto magico dal potere insopprimibile fu una aggiunta inedita… ma in fin dei conti educativa, se così vogliamo dire. A suo modo, un monito contro i poteri della magia, che inganna chi crede di poterla considerare innocua.
Austin Dove
wow non sapevo! una bella storia eziologica
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Lucia
Certo che davvero vien da stupirsi per tutta ‘sta fantasia sfrenata degli antichi 😅
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klaudjia
La cosa grave è che le leggende hanno sempre un fondo di verità….poveri noi!
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Umberta Mesina
Ah, be’, e io che mi sorprendevo perché in non so che città ci tengono tanto a dire che il tiramisù è stato inventato in un bordello
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