È uno scatto così assurdo che, quando l’ho visto per la prima volta, ho istintivamente pensato a una fake news. Di certo era un fotomontaggio! Peraltro fatto bene, visto che la donna ritratta in foto è identica alla giovane Elisabetta… ma ti pare possibile che la regina del Regno Unito abbia avuto dei trascorsi come druida?!
Oltretutto, ho passato gli ultimi dodici mesi della mia vita a studiare Storia della Magia in diretta da Londra: possibile che sia stato un mio lettore a segnalarmi per primo questo scoop eclatante?
Naaa: era chiaramente impossibile. Non v’è alcun dubbio: queste fotografie sono chiaramente una montatura.
E invece.
E invece, la realtà sa essere più sorprendente di ogni fantasia: incredibile ma vero, lo scatto è autentico. Così autentico che questo reportage è presente sul sito della Royal Collection Trust e che su YouTube è possibile trovare i servizi con cui la BBC commentava la notizia: correva l’anno 1946 e la futura regina d’Inghilterra veniva accolta in seno alla comunità druidica dei Gorsedd dei Bardi delle Isole di Britannia.
Mentre lascio che la scoperta sedimenti in voi, darò conto della conversazione che ho avuto di lì a poco con un mio compagno di studi. Inevitabilmente avviata da uno sconvolto: “ma tu lo sapevi?”.
“No, ma non mi stupisce. In compenso, sapevo che era un druido Winston Churchill”.
“Ma infatti anche Filippo d’Edimburgo, a quanto leggo. Ma quindi secondo te, anche Carlo e William…?”.
“Naaaa. La moda dei governanti druidi è tramontata, ormai sarebbe del tutto improponibile. Il grande pubblico non ci capirebbe niente e la interpreterebbe come una cosa neopagana”.
In effetti, possiamo anche togliere il condizionale: facendo qualche ricerca su Google, mi sono imbattuta in siti neopagani che commentano la foto al grido di “Elisabetta una di noi” e in siti cristiani che fanno da contraltare titolando “ecco la regina satanista luciferiana”.
Sbagliano i primi, tanto quanto i secondi: perché davvero la regina Elisabetta fu una druida, ma non nell’accezione che state probabilmente immaginando. E, se sono riuscita a incuriosirvi, adesso vi spiego anche il perché.
La nostra storia affonda le sue radici in quel terreno, fertilissimo per i miti, che fu l’Europa del Romanticismo. Contagiato da quella forte fascinazione per tutto ciò che aveva il sapore del Medioevo leggendario, il letterato gallese Edward Williams decise di dedicarsi allo studio di quelle tradizioni druidiche che, ai tempi di re Artù, avevano reso grande la sua patria. Tra il 1792 e il 1794, Williams diede alle stampe una miriade di documenti inediti, che nessuno prima di lui aveva avuto modo di studiare, e che descrivevano con un sorprendente grado di dettaglio la complessa e affascinante società druidica dell’epoca. Le sue pubblicazioni ebbero un’eco sconvolgente e infiammarono di amor patrio la popolazione del Galles; peccato che ci fosse un piccolo problema, nei documenti inediti di cui Williams aveva appena dato conto.
Per essere inediti, lo erano senza alcun dubbio; il problema è che lo erano perché il buon Williams se li era inventati di sana pianta, descrivendo una società druidica in salsa arturiana che, in realtà, esisteva solo nella sua testa. Lo “storico” dichiarò d’aver decifrato un’antica lingua perduta, basata su un sistema di rune che s’era inventato a tavolino; descrisse i paramenti sacri indossati dai druidi e i loro rituali all’interno di cerchi di pietre; si spinse addirittura a tratteggiare la gerarchia che divideva in tre ordini l’antica società gallese: Ovati (cioè saggi) Bardi (cioè letterati) e Druidi in senso stretto (cioè ministri di culto. Eventualmente anche cristiano, se nel caso, perché tra druidi non ci si formalizza troppo).
Ebbene sì. Secondo Williams, che nel frattempo s’era ribattezzato col nome bardico di Iolo Morganwg, druidismo e cristianesimo non erano in conflitto. Anzi: dopo l’evangelizzazione del Galles, molti religiosi e santi erano stati sacerdoti e druidi al tempo stesso; non chiedetemi che senso avesse, perché evidentemente ne aveva poco, ma Iolo s’ammantava di un’insolita aura di autorevolezza che (ahinoi) convinse molte persone.
La triste realtà è che, a oggi, sappiamo veramente poco sul druidismo, perché i druidi non vollero usarci la cortesia di lasciare fonti scritte. Tutto ciò che sappiamo sui sacerdoti celti ci arriva da fonti di seconda mano (e cioè scritti di autori romani col pallino dell’antropologia, nonché agiografie altomedievali composte da monaci evangelizzatori; peraltro, non esattamente quel tipo di opere da cui t’aspetteresti molta attendibilità storica). Il druido del nostro immaginario collettivo (quello dei romanzi fantasy, per capirci) è in buona parte un’invenzione settecentesca, frutto dell’inventiva di Edward Williams; e non ci sarebbe nulla di male, naturalmente, se non fosse che ancor oggi la confusione regna sovrana e gli storici devono faticare un sacco per far passare questo semplice concetto.
Ma torniamo ad Edward Williams, AKA il bardo Iolo.
Le sue “scoperte” mirabolanti infiammarono di orgoglio patrio il cuore di molti nazionalisti gallesi, che iniziarono a fondare in giro per la Cambria società di stampo druidico, volte a tener vive quelle tradizioni antiche, appena ritrovate e assolutamente da non perdere.
Nelle prime decadi dell’Ottocento, confraternite di questo tipo spuntarono come funghi. Alcune erano associazioni di stampo lobbistico, in cui la gente ambiva a entrare allo scopo dichiarato di far nuove conoscenze e stringere amicizie da lucrare al bisogno; altre erano confraternite che ci è difficile paragonare a qualsiasi cosa esistente al giorno d’oggi, ma che potremmo forse definire come dei gruppi di living history in cui individui appassionati di storia patria si riunivano per ricreare periodicamente quelle cerimonie che (non) avevano caratterizzato (affatto) il Galles del passato.
Nell’uno e nell’altro caso, queste associazioni avevano in comune una caratteristica importante: non avevano nulla a che vedere col druidismo come lo intendiamo oggi, cioè con la religione neopagana che si rifà alla spiritualità celtica pre-cristiana. Quelle che nascevano nel Galles del XIX secolo erano confraternite di druidi cristiani nazionalisti (qualsiasi cosa volesse significare questa bizzarra definizione agli occhi di chi entrava in questi gruppi): e questo è un dettaglio importante da capire, per contestualizzare la lunga lista di nomi illustri che, da quel momento in poi, decisero di unirsi a queste compagnie. Non vi si aderiva in virtù di una scelta religiosa, ma in virtù di un forte amore per la storia patria.

La più rinomata tra queste associazioni era il Gorsedd dei Bardi delle Isole di Britannia, fondato a Londra nel 1792 dallo “storico” Edward Williams e di lì a poco trasferita nei pressi di Carmarthen (la città gallese che, secondo la leggenda, diede i natali a mago Merlino. Un potente druido, naturalmente!).
Fin dalla sua nascita, l’associazione spese molto impegno nel sottolineare la sua natura assolutamente non politica, non settaria e non denominazionale; rivendicazioni effettivamente vere, se consideriamo che, per buona parte del Novecento, si avvicendarono a capo del Gorsedd arcidruidi di fede battista, metodista e wesleyana.
In un primo momento, nessuno prestò troppa attenzione a questo gruppo di estrosi che andavano in giro vestiti da druidi parlando una lingua strana e facendo cose senza senso. Col passar degli anni, alcune municipalità si lasciarono conquistare dalle elaborate cerimonie druidiche, ma con una fascinazione che era in larga parte motivata dalle ricadute turistiche che questi rituali avevano mostrato di saper generare. Entro gli anni ’90 dell’Ottocento, il Gorsedd dei Bardi teneva frequentemente cerimonie druidiche in giro per il Galles, spesso su invito dei vari sindaci, operando all’interno di cerchi di pietra creati con megaliti di un metro e mezzo che i volenterosi druidi si trascinavano dietro ogni mattina e poi smontavano a rituale ultimato, per ripulire la zona ricevuta in concessione.
La gente sgomitava per guadagnarsi un posto in prima fila da cui godere di questi rituali strani, che erano una di mezzo tra la rappresentazione teatrale e la rievocazione (falsamente) storica. Nel 1894, una cerimonia particolarmente elaborata ebbe luogo davanti al castello di Caernarvon, per volontà di tre aristocratici gallesi che avevano molta simpatia per il movimento e che erano riusciti nella mission impossible di contagiare con la loro passione anche la famiglia reale inglese.
Incredibile ma vero: al futuro Edoardo VII e a sua moglie Alessandra non dispiacque affatto l’idea di incoraggiare le attività di questo gruppo di Gallesi strambi. In fin dei conti, l’erede al trono ricopre la carica di Principe di Galles: in un momento in cui tutta la popolazione sembrava esser stata contagiata dalla passione per il druidismo gallese, il Prince of Wales voleva davvero sottrarsi a quella moda?
Ovviamente no: e fu così che, nel 1894, il principe Edoardo, la principessa Alessandra e due delle loro figlie, Vittoria e Maud, furono ufficialmente accolti in seno al Gorsedd dei Bardi delle Isole di Britannia con la carica di ovati (cioè, di saggi). Il futuro Edoardo VII ricevette addirittura un nome in lingua druidica: Iorwerth Dywysog, “principe Edward”.
Fu a quel punto che il Gorsedd cominciò a conquistarsi le prime pagine dei giornali e ad attirare l’attenzione degli studiosi – quelli seri. Gli accademici si coalizzarono per denunciare la totale a-storicità di questa istituzione, smontando ad una ad una le tesi di Edward Williams su cui il Gorsedd si fondava. Le richieste del mondo accademico erano piuttosto chiare: va bene vestirsi strani, parlare lingue inesistenti, iniziare al druidismo la famiglia reale inglese e vagare senza meta trascinandosi dietro una specie di Stonehenge portatile, ma per piacere si abbia l’onestà intellettuale di chiarire al grande pubblico che non v’è nulla di filologicamente corretto in questo catalogo di assurde bizzarrie.
Il Gorsedd ebbe bisogno di un po’ di tempo per ammettere (a se stesso?) la dura verità dei fatti. Ma nel 1923 fu costretto a capitolare: rilasciando un doloroso comunicato, dichiarò di essere al corrente di come non esistessero fonti documentarie e archeologiche in grado di confermare la storicità dei rituali e delle tradizioni druidiche tradizionalmente portate avanti dall’associazione, e che erano dunque da considerare alla stregua di un prodotto della fantasia. Ciò non di meno, il Gorsedd riteneva che le sue attività potessero comunque avere un valore, nella misura in cui tentavano di ricreare (pur con inevitabile approssimazione fantasiosa) le atmosfere medievali del Galles del tardoantico. Con le sue attività, la confraternita non voleva in alcun modo sostituirsi agli storici che lavoravano in ambito accademico: anzi, li invitava a far fronte comune, lanciando un appello a tutto il personale docente e tutti i giovani universitari che studiavano materie umanistiche negli atenei gallesi. La richiesta era qualcosa sulle linee di: amici storici, unitevi a noi per combattere questa bella battaglia, finalizzata a tener viva la memoria degli antichi, una missione evidentemente cara a entrambi; il vostro contributo sarà tanto più prezioso nella misura in cui riuscirà a migliorare la storicità delle nostre manifestazioni.
Il mondo accademico apprezzò l’onestà intellettuale ma non si sentì particolarmente incline ad accogliere quell’appello; sicché, furono ben pochi i professori universitari che, da quel momento in poi, accettarono di vestire i panni da druido. A mostrare maggior simpatia per il movimento fu, ancora una volta, la famiglia reale inglese, che nell’immediato dopoguerra si divertì ad accarezzare l’idea di avere (nuovamente) tra le sue fila una principessa druida.
Alla base di questa decisione, vi fu quasi certamente anche una questione di diplomazia legata all’attribuzione dei titoli nobiliari. Come ben sappiamo, l’erede al trono del Regno Unito si fregia del titolo di Principe di Galles: una carica che però, storicamente, non era mai stata declinata al femminile. O meglio: nell’immaginario collettivo, la Principessa del Galles era la moglie dell’erede al trono; e a re Giorgio non piaceva l’idea che sua figlia fosse conosciuta con un titolo che, storicamente, era sempre andato alle nuore.
Sicché, la futura regina Elisabetta fu, genericamente, “principessa” punto e basta; un’omissione che finì con l’indisporre i Gallesi, i quali si sentirono ingiustamente trascurati. A fronte delle proteste, la famiglia reale inglese decise di correre ai ripari con un piano B, rispolverando quella graziosa idea d’età vittoriana a base di cerimonie druidiche gestite da patrioti, certo un po’ strani ma in fondo anche simpatici. E fu così che il 6 agosto 1946 la futura Elisabetta II ricevette la sua iniziazione druidica per mano dell’arcidruido Crwys Williams, accolta in seno al Gorsedd dei Bardi delle Isole di Britannia con la prestigiosa carica di Ovate. Qualche anno dopo, nel 1960, anche il principe Filippo andò incontro alla stessa sorte.
Mi sento d’affermare che ben difficilmente ci capiterà di vedere ancora fotografie di questo genere: oggi, il druidismo (inteso in senso neopagano) è una religione a tutti gli effetti, diffusa in più di trenta nazioni e trattata con il rispetto conseguente. Il Gorsedd dei Bardi delle Isole di Britannia esiste ancora, continua a non essere un movimento religioso e gestisce un grande festival dedicato al folklore gallese che attira ogni anno centinaia di turisti. Ma mi ci sono volute quattro pagine Word per spiegare la differenza tra le due cose: decisamente troppo, temo, per quest’epoca moderna in cui i lanci d’agenzia viaggiano veloci sui social network. Sicché, ho i miei seri dubbi (ehm) che i nuovi Principi del Galles avvertiranno il desiderio di farsi investire a druidi in una cerimonia strana di cui nessuno capirebbe niente.
Sotto questo punto di vista, questa sì che è la fine di un’era. Tra le ragioni per cui la regina Elisabetta passerà alla Storia, probabilmente si potrebbe aggiungere anche questa: a tutti gli effetti, la ricorderemo come l’ultima druida ad aver regnato sulla Britannia.
Più leggendario di così, c’è solo re Artù!
Per approfondire, Blood and Mistletoe: The History of the Druids in Britain di Ronald Hutton è sicuramente il “testo sacro” per chi vuole studiare storicamente il fenomeno del druidismo nelle isole britanniche, dall’era pre-cristiana fino a quella del neopaganesimo, passando per le fantasticherie ottocentesche di cui sopra. Per chi non ha né il tempo né l’intenzione di ammattire sulle corpose pagine del professor Hutton, un’altra lettura molto consigliata è Druids. A Very Short Introduction di Barry Cunliffe.
Umberta Mesina
Che storia curiosa! Voglio vedere se, nelle raccolte di Chesterton, ne trovo qualcosa. Grazie.
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Lucia Graziano
Se trovi qualcosa, dimmelo ché son curiosa! Era un fenomeno di costume davvero molto diffuso all’epoca, una moda vera e propria (in Galles, ma anche in Inghilterra).
Che storia assurda, sì! 😀
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Elena
Ma quindi le confraternite di druidi erano una specie di massoneria? Perché oltre alle “rievocazioni storiche” le persone erano interessate anche a stringere conoscenze di convenienza…
Comunque molto interessante, avevamo a portata di mano una regina druida e nemmeno lo sapevamo…
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Lucia Graziano
Eh, dipendeva da confraternita a confraternita, diciamo così. Ad esempio, quella di cui faceva parte Winston Churchill aveva la fama di essere effettivamente un ambiente lobbistico pieno di gente influente che si sosteneva l’un l’altra nel momento del bisogno (oltre a portare effettivamente avanti quelle attività di valorizzazione di storia patria di cui s’è già detto, etc).
Il Gorsedd di cui faceva parte la regina aveva sempre calcato molto la mano sulla sua natura apolitica, apartitica, non settaria, etc etc, e in effetti posso immaginare che dicesse anche il vero, perché fatico a immaginare che la famiglia reale inglese sarebbe mai stata disposta ad associarsi (e ripetutamente!) con un’associazione che potesse indurre anche solo il lontano sospetto di attività para-massoniche (anche in senso lato).
Dipendeva dalla confraternita che ti andavi a scegliere: alcune sì, erano davvero una specie di massoneria in salsa arturiana 😉
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