A memoria d’uomo, mai s’era vista una torta così soffice, così leggera e così assurdamente vaporosa.
E quando dico “mai s’era vista”, non sto usando un’iperbole: fino alla metà dell’Ottocento, era tecnicamente impossibile (o quantomeno molto difficile) che una massaia fosse in grado di creare nella sua piccola casetta una torta soffice come l’Angel Food Cake. La ragione era semplice: fu solamente a metà Ottocento che qualche benemerito della pasticceria inventò la frusta da cucina, che permette di montare le uova con poca fatica. Quello che prima era un virtuosismo per chef rinomati era ormai diventato un’abilità alla portata di qualunque massaia volenterosa: e infatti, la seconda metà dell’Ottocento fu tutta un fiorire di torte spumose, impalpabili e leggerissime che ormai non si limitavano a essere servite nei pranzi di gala; anzi, graziavano spesso e volentieri le tavole delle famiglie normali, quando c’era da festeggiare un anniversario o un compleanno.
Negli Stati Uniti, in particolare, andavano di gran moda le cosiddette white cakes, così chiamate per il loro colore chiaro: la base su cui si cominciava a lavorare erano tanti albumi montati a neve, cui s’aggiungevano di volta in volta, secondo la ricetta, altri ingredienti come zucchero, lievito, farina, grassi, e aromi. Mentre in cucina si spandeva un profumino delizioso, le torte cominciavano a lievitare in forno fino a trasformarsi in dolci morbidissimi, quasi impalpabili, irresistibili al palato. Gli Americani ne andavano matti, avendo (non a torto) l’impressione di star gustando una prelibatezza inedita; e così, i ricettari di nuova pubblicazione cominciarono a riempirsi di istruzioni per ricreare quelle che ormai erano note come cloud cakes, snow cakes, silver cakes e mille altre varianti onomastiche, tutte accomunate da un unico filo conduttore: l’inedita leggerezza e il bellissimo colore chiaro che dava l’impressione di star mangiando qualcosa di molto simile a una nuvola o un fiocco di neve.
Nel 1878, preparandosi a dare alle stampe la seconda edizione del suo The Home Messenger Book of Tested Recipes, la signora Isabella Steward tentò il tutto per tutto proponendo la ricetta di una snow cake in cui i grassi sparivano tutto d’un colpo: gli unici ingredienti erano gli albumi di dodici uova, estratto di vaniglia, agenti lievitanti e un po’ di zucchero e farina (pochi, fra l’altro). Avrebbe potuto essere un disastro annunciato (se non altro, perché non è facilissimo creare una torta a partire da quei pochi ingredienti; figuriamoci, preparare una torta che sia anche buona da mangiare)… ma, contro ogni aspettativa, Isabella fece il boom. Era nata la torta più leggera, più soffice e più vaporosa di sempre: era nata una torta così buona e delicata che i commensali della signora Steward commentarono scherzosamente “dev’essere questo, il cibo che mangiano gli angeli in Paradiso!”.
La definizione era poetica, e Isabella non se la fece scappare: nacque così la Angel Food Cake.
Il nome era suggestivo per più d’una ragione.
Innanzi tutto, la torta era morbida, bianca, soffice come una nuvola, e va da sé che sono proprio le nubi del Paradiso ad accompagnare immancabilmente i cherubini del nostro immaginario.
Ma non solo: la torta era così leggera che – avrebbero scritto ironicamente alcuni – persino gli angeli avrebbero potuto mangiarne a iosa, senza per questo sentirsi appesantiti e perdere la loro capacità di volare.
Ma, a un livello simbolicamente più profondo, l’Angel Food Cake aveva davvero l’aria di essere il classico cibo che potrebbe esser mangiato in Paradiso: la sua deliziosa bontà andava a braccetto con una certa ascesi, se così vogliamo dire; ché una torta senza grassi, con poco zucchero e poca farina è oggettivamente qualcosa di molto simile a quello che ti prescriverebbe un dietista se hai bisogno di perder peso ma vuoi comunque concederti uno sfizio.
Il fatto che un dolce così semplice e leggero fosse in grado di battere in popolarità quelle torte burrose piene di zucchero e di farciture che, fino a quel momento erano andate per la maggiore, era una sorpresa dal sapore… quasi evangelico. Alcuni vollero intenderlo come un insegnamento morale: la vita temperante e morigerata del buon cristiano, che vive senza eccessi rifuggendo le passioni, finisce col trasformare la sua anima in qualcosa di così leggero e dolce da stupire tutti con la sua delizia. Come a dire: nella vita, puntate a diventare come un’Angel Food Cake, che piace a tutti e si gloria del suo poco; non lasciatevi ingannare da quegli orpelli zuccherini e quelle farciture che si limitano ad appesantire inutilmente.
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In Italia, l’Angel Food Cake, di cui Michela di Mani di Pasta Frolla vi propone oggi la ricetta, è divenuta celebre in questi ultimi vent’anni, grazie all’esplosione dei reality alla Masterchef che hanno diffuso il gusto per la pasticceria tipica statunitense. Ma, Oltreoceano, questo dolce vaporoso godette fin sa subito di un successo davvero enorme: basti pensare che, negli anni ’80 dell’Ottocento, il presidente degli Stati Uniti Rutherford Hayes coglieva ogni possibile occasione per vantarsi coi suoi interlocutori della inusitata bontà della Angel Food Cake che sua moglie (proprio lei, la First Lady!) preparava (con le sue sante manine!) nelle cucine della Casa Bianca (e senza alcun aiuto!).
In effetti, alcuni storici hanno fatto notare che gustare ogni giorno un’Angel Food Cake preparata dalle amorevoli manine della propria moglie era probabilmente qualcosa di molto vicino a uno status symbol, per la mentalità dell’epoca.
Innanzi tutto, il dolce non era una torta per gente povera: le dodici chiare d’uovo necessarie per l’impasto imponevano necessariamente di sacrificare i tuorli. O di riutilizzarli nella creazione di salsine e creme dolci, naturalmente: preparazioni deliziose che però – nell’insieme – fanno pensare a un pranzo di famiglia veramente fuori dall’ordinario, con intingoli vari ad accompagnare piatti pregiati e una torta squisita a concludere il tutto.
Insomma: bisognava già avere una certa disponibilità economica per potersi permettere con regolarità dei pranzi di questo tipo. E bisognava già avere una certa abilità ai fornelli per riuscire a star dietro a preparazioni così complesse: le uova devono essere sbattute con vigore, la cottura in forno va controllata costantemente, la resa estetica della torta è così importante che basterebbe una distrazione di qualche minuto per rendere troppo dorata la superficie di quel dolce, che invece deve essere candido come il Paradiso. Bisogna essere veri angeli del focolare, per saper cucinare bene il cibo degli angeli: e probabilmente l’Angel Food Cake divenne così popolare anche perché permetteva alle famiglie di mettere sottilmente in mostra la prestanza economica del marito e le doti casalinghe della sposa. Un win-win irresistibile, negli anni in cui la borghesia si preparava a conquistare il mondo!
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Negli Stati Uniti, l’Angel Food Cake conobbe diverse ondate di popolarità. Entro la fine dell’Ottocento, si era già infiltrata nelle cucine (pur non ricchissime) delle minoranze etniche. Gli immigrati tedeschi erano soliti servirla a mo’ di torta nuziale, amando scherzare sul fatto che, mangiandola, gli sposi sarebbero stati benedetti dagli angeli. Più dolorosamente, la comunità afro-americana aveva preso l’abitudine di servirla in quei rinfreschi che, da tradizione, seguivano i funerali: era un ultimo omaggio al defunto cui si diceva addio, con la speranza che la sua anima fosse già in compagnia degli angeli.
Negli anni ’30 del Novecento, divenne di gran moda la popolarissima Daffodil Cake, un’Angel Food Cake marmorizzata con inserti di un giallo acceso che, convenientemente, venivano creati a partire dai tuorli rimasti utilizzati. Il diffuso benessere del dopoguerra portò con sé la voglia di strafare a tavola, sicché le angeliche torte cominciarono ad arricchirsi di farciture alla crema, glassature vistose, gocce di cioccolato e frutta secca nell’impasto. Il risultato era indubbiamente gustoso, ma indubbiamente molto lontano da quella delicatezza eterea e paradisiaca che aveva reso celebre la torta nel momento in cui era nata; e forse è un bene che oggigiorno il pendolo del tempo sia tornato nella sua posizione iniziale. Il trend di questi ultimi anni è nuovamente quello di gustare l’Angel Food Cake in tutta la sua leggerissima purezza: sarà indubbiamente per effetto del salutismo… ma, secondo me, gli angeli approvano!
Per approfondire: Alysa Levene, Cake: A Slice of History (Headline, 2016), ma anche e soprattutto The Oxford Companion of Sugar and Sweets, a cura di Darra Goldstein (Oxford University, 2015)
vogliadichiacchiere
Proveremo a farla . . .
Anni fa, ne facevamo una simile, ma con fecola di patate e usando il lievito. Veniva molto alta e soffice, anche dopo qualche giorno era molto friabile!
Ciao, Fior
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Lucia Graziano
Fammi sapere come viene, quando la prepari, eh! 😀
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Elisabetta
Anche io sono stata sempre molto interessata ma non go mai usato il cremor tartaro!
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Lucia Graziano
Io invece sono una grande fan del cremor tartaro fin da ragazzina! Non per altro, ma perché piaceva quel nome dall’aria così antica e mi sembrava molto cool cucinare con ‘sto coso 😂 ricordo che anni fa c’erano anche delle bustine di cremor tartaro con un aspetto deliziosamente vintage!
Alla fine, secondo me, è tale e quale al normale lievito per dolci. Cioè: so che ha alcune proprietà in più, ad esempio mi pare che aiuti a stabilizzare le meringhe e cose simili, ma per il resto mi pare sostanzialmente identico al lievito normale. Però con un nome più cool 😂
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Elisabetta
Ricordo di aver visto quelle bustine! Da provare allora
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Lucia Graziano
Leggevo che alcuni lo usano anche, quando hanno fretta, come lievito istantaneo per la pizza. Perché in effetti il cremor tartaro di norma non è zuccherato o vanigliato, quindi in caso di emergenza può essere usato anche per far lievitare gli impasti salati (io non ho mai provato). Pare che l’effetto non sia identico a quello che si ottiene col lievito di birra, perché la pasta lievita diversamente ed esce fuori meno alveolata, però appunto: in emergenza, se uno vuole schiaffarsi una pizza in forno all’ultimo minuto… 😉
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