Bessie, la fattucchiera che apprese la magia alla scuola d’uno strano elfo papista

Le contrazioni stavano aumentando di intensità (a dirla tutta, iniziavano proprio a fare male), e l’unica ragione per cui Bessie si trascinò fino alla porta era perché era convinta che, a bussare, fosse la levatrice.
Ecco, no.
Aprendo la porta, si trovò a davanti una perfetta sconosciuta che le si presentò come una viandante assetata e le chiese cortesemente un bicchiere d’acqua, se possibile.
La povera Bessie stava piegata in due, una mano premuta sul basso ventre e l’altra aggrappata allo stipite della porta. Lanciò una occhiata sbigottita a quella pazza, che se ne stava lì e sorrideva serafica senza nemmeno accennare a un “forse disturbo?”, ed esaminò rapidamente le sue opzioni. Valutò che il modo migliore per togliersela dai piedi fosse darle quel dannato bicchiere d’acqua; sicché ansimò un “arrivo, eh. Arrivo”, prima di arrancare verso il tavolo sul quale aveva già preparato panni puliti, brocca d’acqua e tutto l’occorrente.
“Molto gentile, grazie”, disse la sconosciuta seguendola fin dentro casa come se fosse la cosa più normale del mondo. Senza troppa discrezione, si guardò attorno osservando la stanza in cui si trovava: una graziosa cucina arredata con mobili di buona fattura, ma di una semplicità senza pretese. E poi, più a lungo, soffermò lo sguardo in direzione della camera che si intravvedeva oltre la porta aperta: quel letto in cui ragionevolmente avrebbe dovuto riposare la partoriente era occupato dalla sagoma di un uomo che si rigirava nel sonno, con il viso contorto dal dolore.
“Cara Bessie”, disse garbatamente la donna, posando sul tavolo il bicchiere dopo aver bevuto. “Il bambino che porti nel grembo non godrà mai di questo mondo. E anche una delle tue mucche morirà presto. Ma rallegrati: perché tuo marito, che già dai per morto, guarirà dalla malattia che lo affligge.”.
E detto questo se ne andò così com’era venuta, lasciandosi alle spalle una Bessie comprensibilmente stupefatta e, diciamo pure, anche un tantinello inquieta a fronte di quella fosca profezia. Per qualche istante, la donna si domandò chi fosse davvero la viandante che le aveva fatto visita; ma di lì a poco arrivò un’altra contrazione e lei accantonò molto rapidamente quelle domande, dedicandosi a questioni un tantino più impellenti.

***

In ogni caso, col passar del tempo, quella profezia aveva provato di esser vera – quantomeno, nelle sue parti più tragiche. Il figlio di Bessie era effettivamente morto e lei aveva seriamente rischiato di seguirlo, a causa di un parto così sfiancante e complicato da aver seriamente minato la sua salute. Quanto alla mucca: stava morendo pure quella, con i conseguenti danni economici che è ben facile immaginare. Il marito, in compenso, peggiorava di giorno in giorno, riducendo ormai a un flebile lumicino tutte le speranze che Bessie aveva nutrito circa la possibilità di vederlo risanato.

Se, un anno prima, qualcuno le avesse profetizzato quella incredibile caterva di disgrazie: in tutta onestà, lei non ci avrebbe creduto. A dirla tutta, fino a qualche mese prima, la gente del paese guardava con garbata invidia a Elizabeth Dunlop (Bessie per gli amici), una donna che Iddio aveva voluto premiare con una generosa quantità di doni. Andata in sposa pochi anni prima al mugnaio di Lynn Glenn, un ameno villaggio della Scozia meridionale, Bessie poteva contare su un reddito sicuro, un marito che la trattava bene e un figlioletto che era la sua gioia. Di certo sarebbe stato esagerato definirla una donna “ricca”, ma era sicuramente una donna che viveva le sue giornate cullandosi in un confortevole livello di benessere.

O, quantomeno: così era sempre stato. Ma poi, in quel terribile 1572, le cose avevano cominciato ad andare drammaticamente male: il marito aveva accusato i primi sintomi di quella malattia che in breve tempo l’aveva costretto a letto; Bessie era stata obbligata a sostituirlo nella gestione del mulino, nonostante il peso della faticosa gravidanza. E poi naturalmente c’erano stati quei lutti, che le erano piovuti addosso mentre il marito peggiorava. Sfiancata da un parto che l’aveva quasi vista morire e da cui faticava ancora a riprendersi, Bessie si trascinava come una disperata per inseguire tutti i suoi doveri, dividendosi tra la cura della casa, il lavoro al mulino e le attenzioni da dare all’altro figlio.
Sarebbe un garbato eufemismo dire che la poveretta era “esausta”; definirla “esaurita e totalmente disperata” sarebbe già più vicino alla realtà.

In quel giorno dell’ottobre 1572, Bessie era uscita di casa dopo il lavoro al mulino al solo scopo di portare la mucca superstite a pascolare in un prato li vicino. Ma era così debole che, a un certo, punto s’era lasciata cadere su un masso lungo la strada e lì s’era abbandonata a un lungo pianto liberatorio. Che fu spezzato solamente da quell’evento che sarebbe stato destinato a cambiarle la vita: e cioè, l’entrata in scena di Thomas Reid.

***

Era un uomo anziano, con una lunga barba color cenere, una palandrana grigia di buona fattura ma decisamente fuori moda e, sui capelli, un copricapo nero. Le si avvicinò con discrezione dopo averla studiata da lontano, annunciandosi con un colpetto di tosse e un garbato “Sancta Maria, Bessie”.
La ragazza sussultò, e con occhi pieni di lacrime lanciò un’occhiata stranita al tizio che le stava di fronte. Lui, in tutta riposta, le chiese dolcemente “figliola, perché sprecare tanta angoscia e tante lacrime in ciò che è solamente un problema terreno?”.

Cominciando a nutrire la vaga impressione di essere perseguitata da una qualche maledizione che faceva apparire nella sua vita, nel momento meno opportuno, dei perfetti sconosciuti con uno scarso senso pratico, Bessie cercò di trattenere le parolacce. Ma decise che non era il caso di risparmiare a quel tizio l’umiliazione di sentirsi descrivere (e fin nel minimo dettaglio) tutti i motivi che la rendevano perfettamente legittimata a piangere, grazie tante. Si sarebbe immaginata di vederlo arrossire e profondersi in un mare di scuse; in compenso, l’uomo ascoltò attentamente, a occhi socchiusi, quella infinita caterva di disgrazie e non ebbe niente di meglio da dire che “mh. Hai preso in considerazione che tutto questo possa essere una punizione divina, perché qualcosa che hai fatto ha suscitato la giusta collera dell’Onnipotente? Egli sta cercando di comunicarti qualcosa, ma tu non lo ascolti”.
La povera Bessie aprì la bocca per insultarlo, ma era così spiazzata che la richiuse senza dire niente. E lo sconosciuto approfittò di quel momento di silenzio per precisare: “ma non sono qui per rimproverarti. Anzi, il mio scopo è quello di offrirti il mio aiuto. Sono qui su ordine della regina delle fate, che vuole ricambiare il dono che tu le facesti tempo addietro”.
“Il dono? Che dono?”, mormorò stranita Bessie.
“Il dono di quel bicchier d’acqua che accettasti di offrirle mentre già ti avevano colta i dolori del parto; era lei la donna che bussò alla tua porta. Lo fece per metterti alla prova”. E mentre Bessie cominciava a interrogarsi seriamente sulla sanità mentale del tizio che le stava davanti, lui sorrise guardandola con infinito affetto e le promise: “la tua generosità, com’è giusto, verrà premiata”.

***

Le si presentò col nome di Thomas Reid (ma gli amici – le disse – potevano chiamarlo Tom), e spiegò di essere quello stesso Thomas Reid che tutti ritenevano erroneamente essere morto nella battaglia di Pinkie. Bessie ne aveva sentito parlare, anche se si trattava di un evento accaduto quand’era bambina: era stato uno scontro sanguinoso che, nel 1547, aveva visto contrapporsi gli eserciti scozzese e inglese, concludendosi con una totale disfatta della Scozia.

La perplessità con cui Bessie ascoltò questa storia di morti simulate è probabilmente pari alla perplessità con cui lo storico si approccia alla vicenda. Perché un uomo che portava il nome di Thomas Reid visse veramente in quella zona: era un funzionario pubblico, che viene nominato in numerosi documenti siglati fino al 1547. Effettivamente, Thomas Reid partecipò davvero alla battaglia di Pinkie, ed effettivamente non tornò mai a casa, anche se (effettivamente) il suo cadavere non fu mai identificato.

Ma allora, che fine aveva fatto questo Tom?
Lo storico non può non iniziare a interrogarsi, soprattutto alla luce della testimonianza giurata di Bessie secondo cui Thomas Reid era riapparso dopo cinque lustri, sostenendo di non essere morto affatto. Dopo la disfatta di Pinkie – spiegò alla sua attonita ascoltatrice – mentre vagava ferito e senza meta, era stato soccorso da una creatura non umana che gli aveva proposto di andare a vivere con lei a Elfland, ovverosia nel regno delle fate. E l’uomo aveva accettato di buon grado, trovando riparo presso la corte della regina, che col passar del tempo gli aveva insegnato l’arte della magia. Quella stessa arte che, adesso, Tom si offriva di insegnare a Bessie, per aiutarla a sbrogliare i suoi guai: era la regina stessa a mandarlo.
E Bessie, sventurata, rispose. Dicendo “oh beh. Perché no?”.

***

In primo luogo, Tom le passò le ricette di alcune pozioni magiche e di alcuni incantesimi, utili a curare le malattie degli uomini e degli animali. E i filtri di Tom funzionavano davvero; e fu così che Bessie cominciò a proporle a chiunque ne avesse bisogno. Nell’arco di pochi mesi, divenne una guaritrice così famosa che la gente si metteva in viaggio appositamente farle visita; in un paio di occasioni, fu Bessie ad essere convocata nei palazzi signorili della nobiltà locale per offrire i suoi consulti e praticare le sue cure.

Tom, ormai diventato un buon amico, la visitava frequentemente, insegnandole ogni volta qualche trucchetto nuovo con cui ampliare la sua offerta. Un giorno, dopo aver deciso che la sua alunna era già sufficientemente abile nell’arte della guarigione, l’uomo le diede la sua disponibilità a scrutare per lei nel passato e nel futuro. Bessie ringraziò con garbo, ma riuscire a immaginare in che modo poter monetizzare questa offerta… quantomeno fino al giorno in cui non si rese conto che questa abilità la metteva in grado di indagare sulla dinamica di un furto, o più banalmente le permetteva di capire che fine avesse fatto un oggetto andato smarrito. E, paradossalmente, fu proprio questo dono a permetterle di spiccare, emergendo da quel sottobosco di mammane e guaritrici che offrivano i loro servizi di villaggio in villaggio. Certo: anche Bessie sapeva curare i malanni, ma era una spanna al di sopra delle sue concorrenti – la sua magia fatata le permetteva di compiere prodigi normalmente inaccessibili agli umani.

Fu Bessie Dunlop una vera strega?
Se, convenzionalmente, definiamo “strega” colei che riceve i suoi poteri da Satana dopo un accordo stretto col demonio, e che tendenzialmente usa la magia allo scopo di arricchire se stessa e danneggiare gli altri: no, tecnicamente Bessie non fu una strega.
Potremmo definirla tutt’al più una “strega buona”, o meglio ancora “una fattucchiera”: nel piccolo villaggio di Glenn Lynn, nessuno la riteneva responsabile della malasorte; anzi, la gente era ben contenta di poter ricorrere ai suoi servigi previo pagamento di una piccola tariffa (peraltro, ragionevolmente bassa).

E infatti, Bessie restò sul mercato per parecchio tempo, mettendo da parte grazie alla magia un gruzzoletto che permise alla sua famiglia di vivere agiatamente e, soprattutto, godendo di quel rispetto sociale che s’era creato attorno a lei in quanto “fattucchiera della porta accanto”. Fu solo nel 1576, dopo quattro anni di onorata carriera, che la vita di Bessie tornò a prendere una brutta piega.

***

Tutto cominciò in un giorno di lavoro come gli altri: un ricco uomo di nome Hugh aveva subito il furto di un mantello e, dopo aver sentito parlare di Bessie, aveva inviato da lei il suo servitore, per chiederle di ritrovare il maltolto.

Bessie portò avanti il suo rito di divinazione e spiegò che il mantello era stato rubato a Hugh da una certa donna, di cui fece nome e cognome, avvisando però che il manto era già stato fatto pezzi per essere riutilizzato per altri capi d’abbigliamento. I pezzi di stoffa, in ogni caso, erano ancora nella dimora della ladra, casomai qualcuno avesse voluto recuperarli: e dichiarando così conclusa la sua divinazione, Bessie fece presente all’uomo il suo tariffario. Dopo aver intascato i denari per il servizio, lo congedò garbatamente e passò alle richieste del cliente successivo.

Cosa abbia pensato la presunta ladra nello scoprire che la fattucchiera della porta accanto l’aveva pubblicamente accusata di furto: questo, purtroppo, non è noto.
In effetti, non sono note neppure le motivazioni che spinsero Hugh a denunciare Bessie: quell’uomo era forse un infiltrato, che aveva richiesto alla donna una divinazione al solo scopo di avere le prove circa la sua attività stregonesca?
O era solamente un cliente soddisfatto, che aveva speso parecchi soldi per una consulenza magica insoddisfacente e adesso voleva vendicarsi, in preda alla rabbia?

Non possiamo saperlo. Certo è che, poco dopo quella divinazione, Bessie fu catturata mentre andava al mercato e fu rinchiusa nel carcere cittadino. Non sorprendentemente, la donna fu giudicata colpevole (le sue abilità di fattucchiera erano note in tutto il paese!); condannata a essere strangolata e poi bruciata sul rogo, Elizabeth Dunlop morì a Edimburgo l’8 novembre 1576.

***

Tante considerazioni si potrebbero fare, a margine di questa storia. Che è interessante anche e soprattutto perché dimostra che avere la nomea di essere una praticante di magia non era automaticamente sinonimo di una condanna a morte: sì, Bessie fu arsa sul rogo, ma dopo aver lavorato come fattucchiera per quattro anni, pubblicamente, senza che nessuno trovasse da ridire, e anzi radunando attorno a sé un crescente numero di clienti soddisfatti. Fu una singola delazione a metterla nei guai, e ancor oggi non è perfettamente chiaro quali siano state le ragioni a spingere il suo accusatore a sporgere denuncia: se non fosse stato per quell’unico cliente piantagrane, Bessie avrebbe probabilmente potuto continuare per anni, e indisturbata, il suo onesto (?) lavoro di fattucchiera della porta accanto.

Ma naturalmente, ci sarebbero molte altre cose che si potrebbero raccontare circa questa donna.

Ad esempio: chi era davvero Thomas Reid? E come reagirono i parenti di lui, quando vennero a sapere che la moglie di un mugnaio millantava di avere una frequentazione abituale con il loro (forse non poi così) defunto padre?
Perché Tom si presentò a Bessie utilizzando a mo’ di saluto quel “Santa Maria” così compromettente, pericolosamente fuori luogo nella Scozia calvinista dove infuriavano le guerre di religione?
E soprattutto: Bessie era completamente pazza, o c’era una base di razionalità (‘nsomma) nelle sue assurde affermazioni circa l’esistenza di un regno delle fate nel quale dimoravano uomini non troppo morti?

Tutte queste domande (e molte altre ancora!) trovano risposta in Ingannatori, malefici e sapienti, il libro in cui mi sono divertita a raccontare la storia di Bessie, del suo maestro di magia e di altri venti individui – uomini e donne – andati a processo con l’accusa di magia o stregoneria, dal 1308 al 1757. In vendita per chiunque volesse: basta fare click sulla copertina!

E Bessie è anche stata una delle donne a cui Babacio ed io abbiamo scelto di dedicare una tappa nel nostro viaggio alla scoperta delle donne processate per stregoneria. E, se a Bessie io ho dato voce, a Babacio va il merito di averle dato un corpo: sul suo blog, tutte le informazioni circa il processo creativo che l’ha portata a creare questa nuova bamboletta.


Per approfondire:

  • Emma Wilby, Cunning Folks and Familiar Spirits. Shamanistic Visionary Traditions in Early Modern British Witchcraft and Magic

10 risposte a "Bessie, la fattucchiera che apprese la magia alla scuola d’uno strano elfo papista"

  1. Pingback: Le Masche #5 – Bessie Dunlop – Babacio, pupazzi artigianali

  2. Ago86

    Credo tu lo sappia già, ma Thomas Reid è anche un filosofo (scozzese) del XVIII secolo. Non c’entra niente con la storia, ma quando ho letto quel nome mi è subito balzato in mente.

    Tornando al post, un dettaglio che mi interessa riguarda la sua esecuzione: fu “strangolata e poi bruciata sul rogo”. Mi chiedo quanto frequente fosse questo tipo di esecuzione nei casi conclusi con una “condanna al rogo”, nei quali si bruciava una persona già morta (come avvenuto, mi pare, con Savonarola ma non con santa Giovanna d’Arco).

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    1. Gianluca di Castri

      La prassi inquisitoria, almeno in ambito cattolico, era quella di condannare l’eretico al rogo (l’inquisizione non si occupava di stregoneria generica che era soggetta alla giurisdizione civile) ove sarebbe stato bruciato vivo tuttavia, qualora si fosse pentito, avrebbe ottenuto di essere strangolato prima dell’accensione del rogo.

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    2. Lucia Graziano

      Eh, sarebbe molto interessante in effetti avere una statistica: non credo sia mai stata fatta (o se è stata fatta, non ne sono a conoscenza), però sarebbe sicuramente un dato interessante. Ti posso dire che, per quanto so io, la pratica di strangolare i condannati a morte prima di accendere il rogo era assai diffusa in Francia e in Germania. La morte per rogo, di per sé, normalmente non aveva lo scopo di far morire male il condannato, ma quello di simboleggiare anche visivamente la sua totale distruzione; tant’è vero che a volte venivano bruciate sul rogo anche streghe che erano già morte settimane prima in carcere, come nel caso delle streghe di Zugarramurdi che ho raccontato qualche settimana fa. In quel caso, poiché le condannate erano già morte di stenti (e ovviamente erano state sepolte), sul rogo fu bruciato un fantoccio che le rappresentava.

      La decisione di bruciare sul rogo un individuo ancora vivo e cosciente era abbastanza rara (o almeno è questa la mia percezione) e veniva motivata da crimini particolarmente odiosi che erano stati commessi dal morituro. All’atto pratico era comunque abbastanza rara la scena della strega che urla disperata mentre le fiamme le bruciano i vestiti, nel senso che quasi sempre il condannato a morte perdeva la coscienza a causa del fumo, che lo soffocava prima ancora che le fiamme arrivassero a toccare il corpo. Chi aveva amici capaci di fare quest’ultimo favore aveva anche la possibilità di legarsi al collo un sacchettino di polvere da sparo, che in teoria che avrebbe dovuto rendere il tutto più rapido.

      Nel caso di Giovanna d’Arco, ad esempio, so che gli esecutori avevano avuto particolare cura nel preparare un rogo particolarmente “alto”, in modo tale che le fiamme raggiungessero effettivamente la ragazza prima ancora che il fumo avesse potuto stordirla. Però questa era davvero una cattiveria rara, ecco.

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      1. Ago86

        Grazie per la risposta, Lucia.

        La domanda mi era sorta qualche anno fa leggendo un libro del quale non ricordo il titolo, dove si notava (il riferimento era ad un fatto avvenuto nel 1400 nell’attuale Svizzera italiana) che mandare una persona viva sul rogo era qualcosa di inaudito e sconvolgente per l’epoca, ma purtroppo non ho trovato nessun’altra fonte che specifichi qualcosa riguardo tale prassi nel corso dei secoli, per cui ho tenuto la domanda in sospeso.

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    1. Lucia Graziano

      Sì, è “Young Girl”, del 1886. I quadri di Bougererau sono inconfondibili 😂

      Diciamo che se questa aveva preso l’abitudine di andare in giro accusando di furto i compaesani che non c’entravano niente, era solo questione di tempo prima che qualcuno la corcasse di botte. Al di là della strana storia del processo per truffa che, nel suo caso specifico, ha scatenato poi il processo per stregoneria, vien da dire che Bessie stava giocando a un gioco davvero pericoloso. Se si fosse limitata a fare la guaritrice di campagna, secondo me avrebbe avuto buone chance di cavarsela senza irritare nessuno (con un po’ di fortuna, ché in questi casi ci andava sempre)…

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