È nato prima l’uovo o la gallina?
O, in questo caso, sono nati prima i piselli o l’inquietudine esistenziale?
Difficile a dirsi, come spesso capita quando si tratta di analizzare fatti di folklore. E quindi occorrerà necessariamente ammettere di non avere le idee molto chiare sull’incipit di questa storia, nel momento in cui si comincia a parlare delle tradizioni inglesi legate alla Carlin Sunday – che è la domenica prossima ventura, per chi se lo stesse domandando. O, per meglio dire, è la quinta domenica di Quaresima, la cui data varia ovviamente di anno in anno: quella che precede la domenica delle palme e segna l’avvicinarsi dei giorni della Passione.
E in effetti, secondo molti studiosi bisognerebbe focalizzarsi proprio sul tempo liturgico per comprendere meglio le tradizioni popolari che si legano alla Carlin Sunday; il cui nome, in alcune aree delle Midlands inglesi, assume la variante di Care Sunday. Dizionario alla mano, in lingua Inglese, il sostantivo care ha il significato di “affidamento, cura”, ma anche di “sollecitudine, preoccupazione”: è eloquente che i popolani definiscano “Care Sunday” la domenica in cui i toni cominciano a farsi più cupi, le statue nelle chiese vengono velate a lutto e Gesù ci viene presentato nell’atto di marciare a testa alta verso la morte. Diciamo pure che l’atmosfera è tale da indurre una certa ansia; e anche un certo dolore, da parte di quei fedeli che davvero riescono a compartecipare al dolore di Gesù.
E allora, per riprendere dalla domanda da cui siamo partiti: è nato prima l’uovo o la gallina? Sono arrivati prima i piselli, o l’inquietudine esistenziale?
Secondo molti folkloristi, il senso di inquietudine potrebbe essere arrivato prima dei legumi: ovverosia, a un certo punto della prima età moderna, gli Inglesi avrebbero cominciato a definire “Care Sunday” (oppure anche “Caring Sunday”) quella penutilma domenica quaresimale, proprio in riferimento al pathos che accompagnava quel giorno ansiogeno. E, secondo questa ricostruzione, sarebbe stato proprio quel nomignolo a ispirare, col passar dei secoli, una tradizione ancor oggi nota in molte regioni dell’Inghilterra settentrionale: quella cioè di commemorare questa domenica mangiando abbondanti piatti di piselli. E non di piselli qualsiasi, bensì di carlin peas: una variante dal colore nero-marrognolo che oggi è molto apprezzata dai gourmand ma che, nella prima età moderna, era tendenzialmente considerata cibo di scarto, adatta a prestarsi come mangime per gli animali ma decisamente sgradita alla maggior degli esseri umani.
Sicché, era marcatamente penitenziale il piatto che, da tradizione, le massaie inglesi portavano in tavola in quella mesta Caring Sunday: un grosso piatto di pieno di carling peas, cucinati alla bell’e meglio e senza neanche troppi sforzi per rendere il tutto più gradevole al palato (la versione primigenia della ricetta prevedeva di far bollire i legumi e poi di condirli con un po’ di sale e generose quantità di aceto. Non esattamente una prelibatezza, mettiamola così). È pur vero che ormai la tradizione s’è ammorbidita, perdendo buona parte del suo iniziale rigore (oggigiorno, i legumi vengono fritti nel burro e poi salati; o, meglio ancora, le massaie portano in tavola generici piatti a base di piselli, come quello che Mani di pasta frolla vi propone oggi sul suo blog): resta il fatto che il sapore penitenziale di questo piatto ben si sposa con i toni mesti e lugubri della domenica in cui viene consumato.
Oltretutto, è palese la somiglianza fonetica tra i carlings, i piselli neri tradizionalmente consumati per l’occasione, e il nomignolo di Caring Sunday con cui i popolani definivano quel giorno dell’anno. Insomma: difficile dire con certezza assoluta quale dei due elementi abbia preceduto l’altro, ma certo è che, entro la fine dell’età moderna, le due componenti si trovavano ormai in strettissima simbiosi.
Indubbiamente, occorrerebbe qui fare una precisazione: sebbene questi piselli scuri, dal sapore insipido e dal colore non proprio incoraggiante, tendessero a fare schifo un po’ a tutti, la volontà di sottoporsi a una mortificazione quaresimale non era necessariamente l’unica ragione che poteva spingere qualche malcapitato a portare in tavola ‘sto cibaccio. Capitava con frequenza che i contadini decidessero di ripiegare su quel cibo quando si rendevano conto di essere alla fame, dopo aver dato fondo a tutte le provviste che avevano messo da parte per l’inverno finendole anzitempo. Una circostanza disgraziata che, guarda caso, tendeva quasi sempre a presentarsi nel bel mezzo della Quaresima: ovverosia, negli ultimi scorci dell’inverno, quando i campi non avevano ancora cominciato a produrre i primi frutti della stagione ma poteva effettivamente capitare che, nelle case, le dispense cominciassero a essere desolatamente vuote.
Non a caso, una tradizione locale sviluppatasi dalle parti di Newcastle colloca la consuetudine di mangiare piselli in questa domenica nel quado più ampio di un lungo periodo di crisi vissuto dalla città nel 1644, nel corso della guerra civile inglese.
All’inizio del febbraio di quell’anno, truppe scozzesi posero sotto assedio Newcastle (e molte altre città dell’Inghilterra settentrionale), riuscendo a isolarla completamente e a bloccare le sue vie di rifornimento.
Ebbene: secondo la leggenda (in realtà priva di fondamento storico), i cittadini di Newcastle erano ormai alla fame, e dunque tentati dall’agghiacciante idea d’arrendersi e di barattare la loro libertà con qualche chance di sopravvivenza. Quand’ecco: miracolo! Nella quinta domenica di Quaresima, usciti di buon’ora dalla prima Messa del mattino, gli abitanti di Newcastle sgranarono gli occhi nello scorgere le vele di un veliero che, con le prime luci dell’alba, aveva attraccato nel porto fluviale. La prima reazione fu di panico e orrore (i cittadini temettero che quella fosse una nave nemica, forse infiltratasi fin nel centro della città per distruggerla a colpi di cannone), ma ci volle ben poco per rendersi conto che grazie a Dio (era proprio il caso di dirlo!) la situazione era ben diversa: a bordo della nave, un gruppo di marinai leali al governatore di Newcastle si indaffarava per scaricare sacchi e sacchi di provviste, preziose più di mille pietre preziose. Nessuno di loro sarebbe stato in grado di dire come, ma quando il mercantile s’era avvicinato non aveva incontrato alcuno degli sbarramenti che pure sarebbe stato lecito aspettarsi attorno a una città in assedio. E, come se un miracolo dell’Onnipotente avesse voluto rispondere alle preghiere degli abitanti Newcastle, un bastimento carico di cibo per uomini e per animali aveva avuto modo di scivolare dolcemente sulle acque del fiume, quasi fosse stato invisibile agli occhi dei nemici.
Col senno di poi, sarebbe forse stato utile stipare le merci con maggior accortezza: i mangimi per animali, considerati non prioritari, erano stati gli ultimi a essere caricati e dunque furono i primi a lasciare la stiva. E, a questo punto, già immaginerete come si conclude questa storia: avvinti dalla fame più nera, i cittadini di Newcastle decisero di non andare troppo per il sottile e di non perdere neppure un istante di tempo. Si gettarono addosso ai sacchi di mangime e se li portarono a casa così com’erano, con la stessa aspettativa di chi sta per assaggiare un piatto di caviale: li cucinarono al volo, li condirono con quei pochi ingredienti che erano rimasti loro e ci si avventarono sopra con voracità. Parve loro di non aver mai mangiato un piatto più raffinato e dal sapore più pieno e corposo: e da quel momento in poi, i cittadini di Newcastle scelsero di onorare il miracolo divino che li aveva graziati portando in tavola, ogni anno, quella stessa identica ricetta.
Naturalmente non è vero. Però, non farà male crederci!
Per approfondire: Roy Vickery, Vickery’s Folk Flora. An A-Z of the Folklore and Uses of British and Irish Plants (Edizioni Orion, 2019)
Immagine di copertina: scatto rubato alla pagina Facebook del Beamish Museum (Beamish, Contea di Durham)