Perché preghiamo sant’Antonio per ritrovare gli oggetti smarriti?

È uno dei pochi elementi di folklore cattolico che ancor oggi vivono in maniera vibrante nell’immaginario collettivo dell’Italiano-medio, indipendentemente dall’intensità della sua pratica religiosa. Ci sono elementi di cultura cattolica che s’assorbono col semplice stare al mondo, e quello di cui stiamo parlando oggi è sicuramente uno di questi: quando siamo alla ricerca di un oggetto perduto che, mannaggia a lui, chissà dov’è andato ad infilarsi, ancor oggi noi Italiani siamo compatti nell’invocare, tra il serio e il faceto, il santo incaricato. E cioè sant’Antonio da Padova, come testimoniano decine di proverbi attestati da nord a sud della penisola: “sant’Antonio, pieno di virtù, fammi trovare ciò che non c’è più”; “dolce Antonio dalla barba nera, fammi trovare ciò che ho perso ma prima c’era”.

Ma perché la tradizione ha affidato proprio al santo padovano il peculiare ruolo di gestore dell’ufficio oggetti smarriti? È inconsueto che un folklorista sia in grado di dare una risposta netta a domande di questo tipo, ma questo è uno dei rari casi in cui si può affermare con certezza che ci sono delle ragioni ben precise e chiaramente identificabili dietro a questo patronato caratteristico.

***

Tutto parte da un aneddoto narrato nelle più antiche agiografie dedicate al santo.
Antonio da Padova, a quanto si legge, era l’orgoglioso proprietario di uno splendido salterio che lui stesso aveva avuto cura di copiare e arricchire con deliziose miniature. Dopo mesi, o forse anni, di lavoro e dedizione, sant’Antonio aveva prodotto quello che era senza dubbio un codice miniato dall’altissimo valore economico (in quell’epoca, i manoscritti illustrati erano opere di grande pregio, che venivano vendute a caro prezzo sul mercato). Ma, ovviamente, non era stato il vil denaro a determinare l’attaccamento che Antonio provava nei confronti di quel volume: in fin dei conti, confezionare quel libro lo aveva impegnato per mesi; il frate era giustamente orgoglioso del risultato finale, ottenuto con tanta fatica. C’erano, insomma, delle ragioni affettive dietro la cura con cui Antonio custodiva il suo piccolo capolavoro: immaginerete dunque lo sconforto del santo nel quel brutto giorno in cui si rese conto che il suo prezioso manoscritto era, inspiegabilmente, sparito nel nulla!

Intendiamoci: un salterio non scompare nel nulla così per caso. E, a causa delle sue dimensioni, non è nemmeno quel tipo di libro che può accidentalmente andare perduto scivolando sotto un banco o venendo dimenticato in un angolino poco illuminato: dopo aver cercato in lungo e in largo, interpellato tutti i confratelli e ribaltato il convento assieme a loro, Antonio dovette arrendersi all’amara evidenza. Il libro gli era stato rubato!

Era stato un furto in piena regola, che aveva apportato un considerevole danno economico a sant’Antonio e al convento che condivideva con lui il possesso del libro. Ma, naturalmente, le agiografie sono molto attente nel sottolineare che l’irritazione per la rapina (una irritazione che pure sarebbe stata più che giustificata, beninteso) si mescolava nel cuore del santo a un senso di lesa maestà che prescindeva dalle terrene considerazioni sul vil denaro. Il salterio non poteva che essergli stato rubato da qualcuno che aveva facile accesso alla sua celletta e che avrebbe potuto entrare e uscire indisturbato, portando con sé involucri di grandi dimensioni: e, detto onestamente, non c’era molta gente che rispondesse a questa descrizione. Delle due, l’una: o il ladro era un confratello (scenario orribile solo a pensarsi!), oppure era uno dei manovali che prestavano servizio presso la comunità di frati ed erano considerati uomini di estrema fiducia. Fiducia evidentemente mal riposta: e con che smacco!

Fu proprio in virtù di queste considerazioni (e non già perché spinto dal mero desiderio di recuperare un oggetto di valore) che sant’Antonio, col cuore gonfio di dolore, si raccolse in preghiera e chiese a Dio la grazia di far uscire il ladro allo scoperto.
Ed ecco: prevedibilmente, si compì il miracolo; e il senso di colpa cominciò lentamente a farsi strada nel cuore del malfattore, un giovanotto che di tanto in tanto svolgeva lavori da tuttofare all’interno del convento padovano. Il ragazzo, che aveva rubato il libro nella speranza di potersi arricchire col rivenderlo, non era ancora riuscito a piazzare la refurtiva: e sarà per la paura di essere preso con le mani nel sacco; sarà per genuino senso di colpa per malefatta… ma, a un certo punto, maturò la decisione di confessare il crimine e rendere il maltolto. Si presentò a capo chino al cospetto di sant’Antonio: ammise la sua colpa, gli chiese perdono, gli riconsegnò il libro e lo supplicò di non essere denunciato; e, se avete un po’ di dimestichezza con le agiografie, a questo punto potrete facilmente immaginare come si concluse la storiella edificante. Gioendo per quella pecorella smarrita tornata al gregge, sant’Antonio spalancò le braccia per stringere in un abbraccio quel buon ladrone: e quel gesto fece breccia nel cuore del ragazzo, che di lì a poco cominciò a carezzar l’idea di farsi frate a sua volta. In fin dei conti, c’era gente davvero eccezionale tra le mura di quel convento; con ogni evidenza, quei religiosi avevano realmente qualcosa che lui non aveva. Ma che forse avrebbe potuto conquistare legittimamente.

E così, sant’Antonio tornò in possesso del libro “perduto” e, non pago, aiutò un’anima smarrita a trovare la sua vera vocazione. E qui si conclude la prima parte della nostra storia e inizia la seconda: che prende il via nel 1233, a due anni dalla morte di sant’Antonio e a dodici mesi dalla sua canonizzazione lampo (la più veloce di tutta la storia della Chiesa!). Ebbene: fu proprio in quell’anno che fra’ Giuliano da Spira scrisse una preghiera da recitare al termine della liturgia delle ore, nel giorno della festa del santo padovano. La preghiera, popolarmente conosciuta come Sequeri (in realtà, una storpiatura del vero titolo latino: Si quaeris miracula), recita così:

Se domandi miracoli,
la morte, l’errore, la calamità
e il demonio vengono messi in fuga
e gli ammalati tornano sani.

Il mare si calma,
le catene si spezzano;
i giovani e i vecchi
ritrovano le cose perdute.

S’allontanano i pericoli,
scompaiono le necessità:
lo attesti chi ha sperimentato
la protezione del santo di Padova!

Il mare si calma,
le catene si spezzano;
i giovani e i vecchi
ritrovano le cose perdute.

Gloria al Padre e al Figlio e allo Spirito Santo.
Come era nel principio,
ora e sempre,
nei secoli dei secoli.

Il mare si calma,
le catene si spezzano;
i giovani e i vecchi
ritrovano le cose perdute.

Il riferimento, naturalmente, era ai numerosi miracoli praticati dal santo padovano, che era rapidamente divenuto celebre tra i fedeli per la solerzia con cui, a quanto si diceva, rispondeva alle richieste di grazia. A scorrere l’elenco dei miracolati che lasciarono una testimonianza nel corso del processo di canonizzazione, emerge con evidenza la tendenza a concedere miracoli ad ampio spettro, facendo seguito a richieste di vario tipo; ma la preghiera di fra’ Giuliano da Spira aveva un refrain accattivante che (va a sapere perché: forse per banali ragioni metriche) calcava la mano su tre prodigi in particolare (di per sé, neppure i più celebri tra quelli attribuiti al santo). E tenuto conto del fatto che mettersi alla ricerca di cose perdute è qualcosa che accade molto più di frequente rispetto al ritrovarsi in galera (!) o in mezzo al mare in tempesta, non c’è di che stupirsi che, nell’immaginario collettivo, sia rimasta particolarmente impressa l’idea di sant’Antonio come santo da invocare quando si cerca un oggetto smarrito.

Come dite? Voi l’avete invocato un milione di volte per trovare il calzino spaiato risucchiato dalla lavatrice, ma lui sembra fare orecchie da mercante?

Beh, potrebbe dipendere dal fatto che non lo state invocando nel modo giusto: secondo le più antiche attestazioni di questa devozione popolare, c’è una tecnica ben precisa che occorrerebbe seguire per chiedere al santo la grazia d’un miracolo. Non basta una preghiera a caso: per ottenere la sua attenzione è assolutamente indispensabile – secondo il folklore – recitare proprio il testo del Sequeri. E non una sola volta, ma per tredici volte di fila (sicuramente un omaggio alla data in cui è festeggiato il santo: 13 giugno); solo alla fine di questa tredicina sarebbe stato il caso di iniziare a guardarsi attorno nella speranza di ritrovarsi sotto il naso l’oggetto del desiderio. E la speranza sarebbe stata quasi sempre esaudita: ché sant’Antonio non resta sordo alle richieste dei suoi amici!

Specie se gliele esponi nel modo giusto e facendo tutta la trafila, sembrerebbe suggerire il folklore. Evidentemente, persino in Paradiso l’ufficio oggetti smarriti ha bisogno d’un po’ di burocrazia per andare avanti.

8 risposte a "Perché preghiamo sant’Antonio per ritrovare gli oggetti smarriti?"

  1. Avatar di Whitewolf

    Whitewolf

    Mi viene da fare un pensiero un po’ blasfemo: non è che recitare un certo numero di preghiere aiuta proprio perchè con la mente ti distrai dal problema e poi quando ci torni, lo fai pensando che, avendo chiesto a Dio, hai una marcia in più?

    Circa la tua teoria (sul perchè abbiano scelto quei tre miracoli) si potrebbe verificare su ltesto originale:
    “Cedunt mare, vincula,
    membra, resque perditas
    petunt, et accipiunt
    juvenes, et cani.”
    Direi che metricamente ci sta…mi colpisce come strutturalmente sia molto raffinata, piena di zeugmi e duplicazioni. Di solito quando si trovano queste situazioni o è una preghiera di tradizione popolare e quindi c’è stato un calco su una qualche giaculatoria pagana…oppure c’è una strutturazione raffinata.
    Essendo in mood pre esame non posso dedicarmici più di tanto, ma è una teoria discretamente interessante!

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    1. Avatar di Whitewolf

      Whitewolf

      Oh e tra l’altro: era tanto diffusa la rivendita di manufatti religiosi? Mi pare un po’ strano. L’unico acquirente che mi verrebbe a mente sarebbero dei satanisti o degli atei che vogliono dissacrarli, ma ugualmente….
      Forse un collezionista, ma a sto punto se vuoi tenerti dei libri e non hai soldi per farteli scrivere….

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    2. Avatar di Lucia Graziano

      Lucia Graziano

      Giuliano da Spira era un autore molto raffinato: era anche stato maestro di canto nella cappella di palazzo del re di Francia. Le sue composizioni sono una più bella dell’altra, sicuramente sapeva il fatto suo 😉

      Per la rivendita di manufatti religiosi… beh, questo era un salterio, cioè un libro d’assoluto uso comune. Visto il tempo (e il costo!) che si impiegava per farsene fare uno su commissione allo scriptorium di turno (e non tutte le comunità dell’epoca avevano uno scriptorium interno), penso che un buon salterio già confezionato e pronto all’uso avesse sicuramente un suo mercato. Non ho mai approfondito più di tanto la questione, ma non mi stupirebbe se dovessi scoprire che, nelle città universitarie, le grandi copisterie che vendevano libri agli studenti occupassero i tempi morti copiando testi religiosi da rivendere alla bisogna. Penso che in realtà fosse cosa abbastanza comune, sì (fermo restando che, in questo caso, il ladro aveva comunque avuto una certa difficoltà nel piazzare la refurtiva, stando a quanto dice l’agiografia: erano passati già alcuni giorni, e il libro era ancora con lui… :-P)

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  2. Avatar di Francesca

    Francesca

    “Evidentemente, persino in Paradiso l’ufficio oggetti smarriti ha bisogno d’un po’ di burocrazia per andare avanti”

    O forse… Visto che il santo stesso, “naturalizzandosi” italiano, aveva dovuto imparare il sistema-Italia… Poi ha trasferito il know-how pure al Paradiso,
    sia perché una volta imparato non te lo levi più di dosso, sia perché è comunque un sistema di scontamento quote di Purgatorio 😄
    Oppure, in termini popolari: “volevi la bicicletta? (cioè i sequeri) . E adesso pedala!” 😁😇

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    1. Avatar di Lucia Graziano

      Lucia Graziano

      Secondo me è tipo una pre-selezione. ‘sto poveretto non può mica farsi carico di tutti i calzini spaiati, i mazzi di chiavi perduti e i trolley smarriti all’aeroporto. Rischia di andare in burnout poveretto, chissà quante richieste gli arrivano ogni giorno.
      Secondo me un po’ di burocrazia è inevitabile per far sì che arrivino al suo ufficio solo utenti seri e motivati 😂

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      1. Avatar di Francesca

        Francesca

        In effetti… Lol 😄

        A proposito di burnout… Mi hai ricordato che non avevo specificato alcuni dettagli della mia teoria sull’altro burnoutizzato….

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    1. Avatar di Lucia Graziano

      Lucia Graziano

      Uh, quindi la barba è bianca anche nella versione in dialetto! Grazie mille Betty, non ci crederai ma me lo sono sempre chiesta. Perché “barba bianca” farebbe pensare istintivamente a sant’Antonio abate, non a sant’Antonio di Padova (ma il “vero” santo da pregare per gli oggetti smarriti è sempre stato quello padovano), quindi mi sono chiesta spesso se la variante bergamasca potesse magari derivare da una infelice traduzione italiana di un detto che, magari, in dialetto suonava diverso.

      E invece no, tu mi confermi che Antonio ha la barba bianca anche nella versione più antica del proverbio!

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