Tra le false convinzioni legate alla Storia medievale, una delle più dure a morire è probabilmente quella secondo cui, nel dicembre 999, il popolino gretto e ignorante sarebbe stato colto dalla paranoia temendo che – mille e non più mille – l’apocalisse sarebbe scattata allo scoccare della mezzanotte.
Niente di più falso (direi anzi che la paura vera l’abbiamo vissuta noi alle prese col millenium bug, ve lo ricordate?); il millenarismo è certamente esistito, ma (checché il nome possa suggerire) il fulcro di quella credenza religiosa non è mai stato sulle linee di “il mondo è destinato a finire alle 23:59 del 31 dicembre 999”. Quindi: no, nessun panico di massa nella notte di san Silvestro (e in alcun altro periodo dell’anno, sol per quello).
Vi fu, in compenso, una fine d’anno durante la quale la gente manifestò davvero la tendenza a dar di matto, nella ferrea convinzione che il mondo sarebbe finito di lì a poco. Tutto accadde esattamente cinquecento anni fa; e tutto a causa d’una previsione astrologica secondo la quale l’apocalisse sarebbe iniziata il 19 febbraio 1524.
E, sì: in quel caso, la gente ci credette tantissimo. A voler usare un eufemismo.
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Tutto iniziò in sordina nel 1499 grazie agli studi di due astronomi e astrologi piuttosto rinomati nel settore (sarà forse il caso di ricordare che stiamo parlando di un’epoca in cui le due professioni andavano spesso a braccetto). Ebbene: negli ultimi mesi di quell’anno, gli astrologi tedeschi Johann Stöffler e Jakob Pflaum diedero alle stampe un Almanach nova plurimis annis venturis inserviens che, secondo un format editoriale molto diffuso all’epoca, forniva pronostici per l’anno entrante ma dava conto anche delle efemeridi per il successivo quarto di secolo. Calcolando quelle relative all’anno 1524, ai due autori balzò immediatamente all’occhio un evento astronomico così anomalo da essere effettivamente straordinario: il 19 febbraio, Sole, Mercurio, Venere, Marte, Giove e Saturno si sarebbero trovati in congiunzione a una distanza ravvicinatissima (10,5 gradi angolari da parte a parte), con l’ulteriore particolarità di avere una luna piena in opposizione. Effettivamente, una circostanza eccezionale (erano passati più di cinquecento anni dall’ultima volta che s’era verificata una congiunzione planetaria con simili caratteristiche); e se Stöffler e Pflaum fossero vissuti ai nostri giorni, la loro scoperta avrebbe probabilmente fruttato loro qualche titolo di giornale sulle linee di “toh guarda che cosa particolare sta per succedere nei cieli, speriamo che la NASA ci regali delle belle foto”.
Ma poiché Stöffler e Pflaum erano uomini della prima età moderna, fu loro immediatamente chiaro che un evento così eccezionale non poteva essere privo di significato. In un’epoca in cui erano ben pochi a dubitare della veridicità dell’astrologia, parve ovvio interrogarsi su quale fosse il messaggio che, con ogni evidenza, Iddio stava imperscrutabilmente inviando al mondo, muovendo gli ingranaggi della macchina celeste in modo tale da ottenere quella congiunzione astrale così anomala. E poiché ci si rese conto che i pianeti sarebbero entrati in congiunzione in corrispondenza dei segni zodiacali di Pesce e Acquario, Stöffler e Pflaum ebbero pochi dubbi: Dio stava preavvisando l’uomo del fatto che, nel 1524, sarebbe successo qualcosa di molto rilevante che aveva a che fare con le acque. I due non si sbilanciarono nel dire esattamente cosa, e anzi la presero alla larga: per quanto ne sapevano loro, sarebbe stato lecito aspettarsi qualche sciagura tipo piogge torrenziali o alluvioni di grandi fiumi, ma anche eventi potenzialmente meno catastrofici, tipo l’avvistamento di mostri marini o qualcosa del genere. Sicuramente Dio non si scomoda per cose di poco conto, sicché quella anomala congiunzione astrale doveva avere un significato importante: le effemeridi per l’anno 1524 si concludevano col generico ammonimento “tenete alzati gli occhi verso il cielo, voi uomini cristiani”.
Tra alluvioni e mostri marini non c’era di che stare allegri, ma Stöffler e Pflaum non erano stati eccessivamente catastrofisti né tantomeno avevano annunciato un’apocalisse prossima ventura. Eppure, entro una quindicina d’anni, le loro profezie avevano assunto tinte molto più sinistre e cupe: non sappiamo esattamente attraverso quali vie (ché le fonti scritte non ci testimoniano i passaggi intermedi), ma abbiamo evidenza di come, nel 1517, stesse guadagnando credito la convinzione secondo cui la congiunzione astrale del 19 febbraio 1524 avrebbe dato il via a un secondo diluvio universale. (Ellamiseria).
Non si trattava solamente di paranoia (per quanto il XVI secolo si fosse aperto con una serie d’eventi così turbolenti da poter senza dubbio dare l’impressione che il mondo fosse pronto a profondissimi sconquassi). Quasi sicuramente, molti studiosi si fecero contagiare dal terror panico perché influenzati da un testo di astrologia molto popolare in quel periodo, composto nel IX secolo da Abu Ma’shar al-Balki e recentemente riscoperto. Nel suo trattato sulle Grandi congiunzioni, l’astrologo aveva dato conto di come i principali eventi religiosi avessero avuto luogo in occasione di congiunzioni astrali del tutto eccezionali: in particolar modo, sulla base di queste sue considerazioni, sentito di poter datare l’inizio del diluvio universale al 17 febbraio 3102 b.C., giorno in cui s’era verificata una congiunzione d’un gran numero di pianeti in corrispondenza col segno d’acqua dei Pesci.
Le somiglianze tra i due eventi, effettivamente, erano inquietanti, e di certo non aiutò a stemperare la tensione l’evidenza per cui la cristianità si trovava ormai in aperto scisma. Da parte cattolica, molti credettero di poter vedere in Lutero l’Anticristo giunto sulla terra per portare divisione prima di dare il via all’apocalisse; da parte protestante, molti gongolarono nel sostenere che il diluvio prossimo venturo dimostrava la rabbia dell’Onnipotente, adirato col papato e a favore della riforma: come già era accaduto per Noè e per i suoi figli, l’umanità aveva ancora qualche anno a disposizione per salvarsi, facendo la cosa giusta e abbandonando il credo di Roma. Dio si sarebbe certamente preso cura dei suoi fedeli, mentre i peccatori perivano miseramente.
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Per un paio d’anni, queste considerazioni animarono vivaci dibattiti tra gli studiosi di astrologia e tra i polemisti religiosi, senza però uscire da quei circoli ristretti. Nel 1519, però, vennero dati alle stampe e distribuiti su larga scala degli opuscoli che si rivolgevano al grande pubblico con lo scopo di allertarlo circa il pericolo incombente: e fu esattamente in quel momento che scoppiò il panico. Ma il panico davvero, attestato da un così ampio numero di fonti da farci pensare a una diffusione davvero capillare.
Nel 1523, Georg Tannstetter, astrologo di palazzo alla corte di Vienna, appuntò come «le dicerie circa il diluvio imminente hanno ormai esteso le loro radici fino a penetrare nella mente di chiunque. Tra gli accademici e gli studiosi, hanno provocato accesi dibattiti; in alcuni semplici, hanno causato una tale costernazione che costoro non riescono più a portare avanti i loro affari: vendono le loro terre, le loro piantagioni e le loro altre proprietà, oppure rifiutano di acquistare quelle in vendita, preferendo nascondere il loro denaro in alta quota, sulle vette montane. Altri rescindono contratti, rifiutano gli ordini sacri, rimandano il matrimonio a data da destinarsi», rifiutando d’affondare progetti e speranze in una vita destinata a concludersi a breve.
Non facevano eccezione quelle categorie sociali che, in teoria, reputeremmo essere le più equipaggiate a sopravvivere a ondate di panico apocalittico: il priore del monastero di St. Bartholomew, a Smithfield, trasferì la sua comunità monastica in una zona montana e stipò la dispensa con un provviste sufficienti per un anno. Dalla sua cattedra all’università di Alcalà, Pedro Ciruelo dispensò preziosi consigli di survivalismo raccomandando ai singoli cittadini di spostarsi verso l’alto, se ne avevano modo, mettendo da parte grandi quantità di farina, olio, vino, carne affumicata e pesce sotto sale. I governi avrebbero dovuto preparare analoghe scorte di cibo per soccorrere i cittadini che si fossero trovati in difficoltà; ed era assolutamente indispensabile che il bestiame portato al pascolo restasse in alta quota per tutto il corso dell’inverno 1523/24, senza ridiscendere a valle ai primi freddi autunnali.
L’ansia era tale che cominciò a svilupparsi un intero filone di letteratura consolatoria per apocalittici nel panico. Il primo e più famoso esempio fu il De falsa diluvii prognosticatione, un imponente tomo in tre volumi dato alle stampe nel 1519 da Agostino Nifo. In esso, il filosofo cercava di confortare i suoi lettori ricordando loro che era stato Dio stesso a dichiarare, dopo il diluvio universale, che mai più avrebbe inviato sulla terra altri flagelli di simili proporzioni: di certo qualche sciagura sarebbe accaduta, nel 1524, perché la congiunzione di pianeti non lasciava molto spazio a dubbi, ma si sarebe trattato di una sciagura con un’estensione locale. Insomma: qualcosa di più simile alle piaghe d’Egitto che alla totale distruzione dell’orbe terracqueo; una prospettiva non particolarmente consolante, a mio modo di vedere… ma nessuno osò sbilanciarsi in pronostici più ottimistici. Negli anni immediatamente successivi, anche Johann Virdung dell’università di Heidelberg e Georg Tannstetter dal palazzo di Vienna si sentirono di sottoscrivere le stesse affermazioni: un qualche cataclisma ci sarebbe stato di certo, e probabilmente all’alluvione disastrosa avrebbero fatto seguito malattie epidemiche e rivolte sociali… però ehi, non necessariamente il mondo stava per finire! Era solo in procinto di diventare molto più brutto!
Fra i molti, solo Santa Romana Chiesa osò sbilanciarsi per un netto “keep calm and carry on”. Negli ultimi mesi del 1523, il panico era così diffuso che persino il più insospettabile dei prelati mise mano all’astrolabio per verificare in prima persona quanto ci fosse di vero nelle dicerie di un diluvio imminente. Sto parlando di Paolo di Middleburg, vescovo di Fossombrone, personaggio ormai caduto nell’oblio ma al quale tutti noi dobbiamo molto: nel 1513, esperto conoscitore degli astri, aveva presentato ai padri conciliari riunitisi in Laterano un trattato de recta Paschae celebratione che, evidenziando i gravi errori di calcolo presenti nel calendario giuliano, aveva – di fatto – dato il via a quel movimento di riforma che, a fine secolo, avrebbe portato infine all’introduzione del calendario gregoriano. Insomma, diciamo pure che in quegli anni Paolo era diventato una piccola celebrità nella comunità astronomica italiana; e certo non è un caso che, sempre in quegli anni, il vescovo-scienziato si fosse dato un gran daffare per ritirare dal commercio e distruggere personalmente tutte le sue opere giovanili, che testimoniavano un suo imbarazzante flirt con l’astrologia. Ma, nel 1523, il vescovo giudicò che il panico globale costituisse un problema sufficientemente serio da concedergli un ritorno ai vecchi studi: e così, dall’alto dell’autorità che aveva acquisito nel frattempo, ricominciò a tracciare carte astrali per verificare se davvero le stelle stessero promettendo il cataclisma preannunciato. E concluse che no, nulla di così catastrofico sarebbe accaduto: a fine 1523 diede alle stampe un Prognosticum che dedicò niente meno che a Clemente VII (forse, l’unica opera d’astrologia che sia mai stata dedicata a un papa nella rigida cristianità d’età moderna), nel quale affermava con fermezza che, no, i suoi colleghi avevano preso un abbaglio: in base ai suoi calcoli, non gli risultavano all’orizzonte né alluvioni disastrose né tantomeno diluvi universali.
Ma, nonostante le rassicurazioni, il 1524 si aprì ansie notevoli. Il Carnevale di quell’anno, che si festeggiava pochi giorni prima di quel fatidico 19 febbraio che avrebbe dovuto dare il via al diluvio, fu vissuto in un clima surreale di memento mori. A Roma, le autorità cercarono di esorcizzare la paura offrendo al popolo mascherate a tema diluviano (la più gradita fu quella organizzata dall’arcivescovo Marco Corner, che fece costruire davanti al suo palazzo una piccola arca di Noè piena di sorprese, musiche e giochi: la mise gratuitamente a disposizione dei cittadini nei giorni di festa… ed eventualmente anche dopo, casomai fosse servita). E un’eco dei timori di quei tempi si trova anche nei Canti Carnascialeschi di Machiavelli, laddove l’autore sbeffeggia la paranoia popolare
Imperò che ogni astrologo e indovino
v’han tutti sbigottiti
(secondo che da molti inteso abbiamo)
che un tempo orrendo e strano minaccia a ogni terra
peste, diluvio e guerra
fulgor, tempeste, tremuoti e rovine,
come se già del mondo fussi fine.
E voglion sopratutto le stelle
influssin con tant’acque
che ‘l mondo tutto quanto si ricopra.
Seguivano scettici strali contro gli astrologi:
questi vostri astrolabi son patelle,
le sfere balle da far magatelle
il quadrante una pentola, un boccale
le tavole son mense apparecchiate
ove voi vi calcate i buoni bocconi,
cuius, cuia, coioni.
***
Ma, alla fin fine, cosa accadde davvero in quel terribile 1524?
Non ci fu alcun diluvio universale, ovviamente (in compenso, molte zone d’Europa furono scosse da rivolte contadine così violente da esser comunque discretamente apocalittiche); ma non è neanche vero che il 1524 fu l’anno più siccitoso che si fosse mai registrato a memoria d’uomo, come successivamente scrissero, mentendo, alcuni autori che volevano deridere il clima di paranoia collettiva. Per quegli strani scherzi che di tanto in tanto fa la Storia, il 1524 fu per davvero un anno singolarmente piovoso: e, per quanto riguarda la zona del nord Italia, possiamo sostenere quest’affermazione grazie a una curiosissima testimonianza vergata appositamente allo scopo da Andrea Pietramellara, figlio di uno scienziato che sedeva sulla cattedra di astronomia all’università di Bologna. Al fine di consegnare alla Storia una cronaca dettagliata dei mesi del diluvio, Andrea si mise a tavolino redigendo un diario in cui diede conto, giorno per giorno, delle condizioni meteo della sua zona (aggiungendo anche delle rapide noti su eventuali eventi notevoli avvenuti altrove di cui avesse dovuto aver notizia). Ed effettivamente a Bologna piovve molto, tanto che in più d’una occasione furono organizzate nel contado delle veglie di preghiera per chiedere a Dio la grazia di proteggere i campi e di preservare i villaggi dal rischio di alluvione: un rischio che ha l’aria d’esser stato assai concreto in quei frangenti, poiché il livello dei fiumi si era effettivamente alzato a causa dei forti temporali.
Verrebbe da dire che le preghiere funzionarono. A Bologna come altrove, ce la si cavò con un po’ di pioggia e nulla più: la paura del diluvio universale, grazie al cielo, si concretizzò in un colossale falso allarme.

Per approfondire:
- Christine Jack, Visual Culture: Prints, Pamphlets and the Conjunction of 1524. A thesis submitted to the Faculty of Graduate Studies and Research in partial fulfillment of the requirements for the Degree of Master of Arts (Department of Art and Design, Edmonton, Alberta, Fall 1997)
- Robert Collis, Maxim the Greek, Astrology and the Great Conjunction of 1524, in: The Slavonic and East European Review, vol. 88, no. 4, 2010
- David W. Pankenier, The Planetary Portent of 1524 in China and Europe, in: Journal of World History, vol. 20, no. 3, 2009,
- Robin Bruce Barnes, Astrology and Reformation (Oxford University Press, 2015)
- Benson Bobrick, The Fated Sky. Astrology in History (Simon & Schuster, 2005)

ac-comandante
Le rivolte contadine erano p.es. quelle derivate dalla Bundschuh tedesca?
Beh, di preoccupazioni c’erano, ma certo non meteorologiche: erano sette anni dall’inizio della Riforma. A differenza di quel che era accaduto trecento anni prima, la ribellione religiosa ebbe successo (io ne sono una prova: cinque anni fa ho appunto abbracciato i cinque sola della Riforma).
PS: la Bundschuh viene fatta finire proprio nel 1517, perchè poi la rivolta assunse altre motivazioni e altre basi.
Ah, sì: Felice 2024!
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Lucia Graziano
Buon 2024 a te! 😀
Sì, diciamo che la rivolta dei contadini del 1524 è un fenomeno che tendenzialmente viene tenuto separato dalla Bundschuh e dalle rivolte hussite (che la hanno anticipata nei decenni precedenti), ma il sentimento di fondo era sempre quello e anche la zona in cui scoppiano queste rivolte è sempre la stessa: la Germania. Quindi sì, diciamo che grossomodo sono tutti fenomeni da inserirsi nello stesso filone.
E, sì: ciò che nessuno avrebbe potuto immaginare nel 1499, quando per la prima volta si parlò di questa congiunzione astrale, è che di lì a qualche anno sarebbero davvero successi nella Cristianità eventi imprevedibili e dalla portata epocale… 😉
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Gianluca di Castri
Articolo interessante, l’ho condiviso
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