Quando nasce la sedia a rotelle?

Nel 1783, destò un certo scalpore venire a sapere che Mary Robinson era stata colpita da una malattia che nell’arco di pochi mesi l’aveva condotta alla paralisi. Tutto ci si sarebbe aspettati tranne che questo, da parte di quella ventiseienne in ottima salute che fino a quel momento aveva fatto parlare di sé come sposa infedele, attrice di successo, amante favorita del principe di Galles. I medici dell’epoca brancolavano nel buio, incapaci di dare anche solo un nome alla malattia che l’aveva colpita: un’incertezza che di certo non aiuta noi moderni a tentare diagnosi a posteriori. Ça va la vie: probabilmente non sapremo mai cosa diamine fosse preso alla povera Mary (anche se i suoi contemporanei ebbero ovviamente modo di avanzare pittoresche ipotesi che spaziavano dalla punizione divina alla malattia venerea, passando per gli effetti collaterali di un aborto volontario).

Una cosa è certa: incapace ormai di reggersi sulle sue gambe, e giocoforza costretta ad abbandonare le attività professionali che fino a quel momento l’avevano resa famosa, Mary Robinson si reinventò come poetessa e narratrice, dando alle stampe una serie di opere non indegne d’attenzione.
Il che fu per noi una grande fortuna, visto e considerato che la donna mise su carta alcune interessantissime riflessioni sulla sua vita di disabile dell’Età dei Lumi. Che – diciamolo fin da subito – fu una vita da disabile privilegiata, come lei stessa ebbe modo d’ammettere candidamente: i conti in banca con molti zeri hanno il potere di rendere meno tragiche anche le tragedie, e Mary era certamente nelle condizioni di poter disporre di personale qualificato in grado di poter affrontare le sue nuove esigenze. Per una dama d’alto rango, di per sé stessa già abituata a farsi assistere da valletti e cameriere pagati per vestirla e accompagnarla in giro, la paralisi fu sì uno spiacevolissimo fuori programma… ma, probabilmente, una tragedia meno dirompente di quanto sarebbe per una donna ricca dei nostri giorni.

Prendiamo, per esempio, la questione degli spostamenti. Quando Mary perse l’uso delle gambe, non dovette neppure prendersi il disturbo di procurarsi un ausilio apposito: si limitò a far rispolverare l’elegante portatina che già da tempo teneva in garage (per così dire).

Strutturate come una via di mezzo tra la carrozza e la sedia gestatoria che usavano i papi, le portantine erano ‘sta roba qua:

Inventate a metà Seicento nella città francese di Sedan (tanto che gli Inglesi le chiamavano proprio Sedan chairs), erano state create per permettere alle donne ricche di uscire di casa senza esporsi alle intemperie o senza correre il rischio di sporcarsi la gonna su strade piene di fango. Idealmente, avrebbero dovuto essere utilizzate per quegli spostamenti per i quali non avrebbe avuto senso utilizzare la carrozza (talvolta, perché si trattava di percorrere un paio d’isolati appena; talvolta, perché la destinazione finale si trovava in un vicolo così stretto che le ingombranti carrozze non sarebbero riuscite a passarci). Insomma: si trattava d’un dispositivo che era stato inventato per essere utilizzato in condizioni “d’emergenza” (in senso molto lato); nell’arco di poco tempo, però, la portantina s’era inevitabilmente trasformata in uno status symbol. Diciamolo: non è da tutti farsi portare a spalla da due servitori relegati de facto alla funzione di cavallo – le donne dell’epoca si sentivano molto ganze nel poter fare sfoggio di simile potere, sicché, la portantina divenne l’accessorio cool con cui gridare al mondo, una volta di più, che “io posso”.

Nel corso del Settecento, s’era addirittura instaurata la moda di costruire portantine così strette da poter passare attraverso le porte interne degli alloggi: sicché, non era infrequente che le donne ricche rispondessero agli inviti con spettacolari entrate a effetto, facendosi traghettare in portantina fin dentro il salotto dei loro amici. Un malcostume criticatissimo dai moralisti e dagli uomini di Chiesa, che ritenevano indegno servirsi di muli umani al solo scopo di ostentare la propria ricchezza; e tuttavia, un malcostume che ebbe paradossalmente l’effetto collaterale di rendere molto cool lo stile di vita di chi, nella tragedia, aveva la fortuna di poter vivere la propria disabilità in modalità così modaiole. Ché, quando Mary Robinson perse l’uso delle gambe, si limitò a gestire i suoi spostamenti nelle stesse modalità di sfarzo ostentato che tanto piacevano alle sue contemporanee: iniziò a vivere sulla sua bella portantina, e senza neppure doversi sottoporre a quello stigma sociale che (ahinoi) spesso si accompagna alle disabilità evidenti. A vederla per strada, mentre sfrecciava tra le vie come se niente fosse, nessuno l’avrebbe detta malata. Un bonus non da poco, per certi versi.

E, come lei, fecero molti disabili in quegli anni, profittando d’una moda che non era mai stata così favorevole agli individui costretti in sedia a rotelle.
Una definizione che è di per sé stessa un grosso anacronismo: nel senso che, all’epoca, le sedie a rotelle non esistevano.
Abbiamo evidenze storiche di come, in passato, gli individui impossibilitati a camminare si aiutassero con quel poco (o tanto) che avevano: i poveri si facevano adagiare su una carriola che poi veniva spinta da qualche parente di buon cuore; i ricchi disponevano di sedie gestatorie simili a quelle che i papi hanno usato fino a pochi anni fa. Ma la sedia a rotelle propriamente detta: beh, no, non esisteva (o quantomeno, non esisteva in Occidente. Fonti iconografiche ci lasciano pensare che gli Antichi Greci le avessero conosciute, ma non pare che abbiano trasmesso ad altre culture questa tecnologia; allo stesso modo, i cinesi potevano beneficiare di sedie a rotelle già a partire dal VI secolo, ma in Europa non c’era la medesima fortuna).

Qualcosa, in sordina, cominciò a cambiare nel tardo Rinascimento. Attorno al 1595, duramente provato dalla malattia che l’avrebbe condotto alla morte di lì a pochi anni, Filippo II di Spagna si era fatto costruire un dispositivo che andava proprio in quella direzione. Potremmo effettivamente definirla “la prima sedia a rotelle della Storia occidentale”, se non fosse che stiamo parlando di una sedia a rotelle molto simile a quella che sto usando io mentre scrivo queste parole. Più che una carrozzella per disabili, quella di Filippo II somigliava alle sedie da ufficio provviste di ruote: del tutto impossibile utilizzarla per spostarsi in autonomia (e, probabilmente, piuttosto scomoda anche per il servitore che avrebbe dovuto spingerla. Insomma, con quelle ruotine…).

Nel 1655, un orologiaio di Norimberga (probabilmente paraplegico, o comunque impossibilitato a camminare) era riuscito a sfruttare a suo vantaggio le sue non comuni conoscente tecniche, creando per sé un dispositivo in legno che era una via di mezzo tra il sidecar e la carrozza semovente. La si manovrava dando di gomito su una manovella faceva muovere le ruote: un dispositivo che senza dubbio garantiva indipendenza, ma che certamente non poteva essere utilizzato per lunghi spostamenti (a meno di non avere i bicipiti di Popeye).

Nel 1664, una seggiola con caratteristiche simili aveva alleggerito le fatiche di sir Thomas Fairfax, un parlamentare inglese che aveva sviluppato grossi problemi di deambulazione a causa delle numerose ferite di guerra riportate nel corso della sua carriera militare: anche in questo caso, le ruote erano azionate da un sistema di leve e manovelle. Indubitabilmente, un dispositivo a effetto (che infatti impressionò moltissimo i suoi contemporanei); ahinoi, comunque non troppo comodo per spostamenti a lungo raggio.

Arrivò poi la grande moda della portantina, come già descritto col caso di Mary Robinson: lungo tutto il corso del Settecento, fu di gran lunga il mezzo di spostamento preferito da chi non poteva camminare; dopodiché, sul finire di quel secolo, un altro dispositivo si impose sul mercato. La Bath chair.

Che non era una sedia da bagno, bensì una sedia a rotelle specificatamente pensata per quei malati che si recavano nello stabilimento termale di Bath, in Inghilterra, per avvalersi delle terapie che si praticavano in quel luogo di cura. Evidentemente, non tutti gli ospiti degli stabilimenti erano paralizzati; molti di loro però erano malati o convalescenti, dunque in condizioni fisiche non proprio esaltanti. Ai gestori delle terme, piacque l’idea di coccolare i loro clienti con un optional che permettesse loro di non fare troppi passi… e così, inventarono delle comode chaise longue a rotelle che potevano essere spinte dal personale di servizio (ma, eventualmente, anche trainate da un asinello, casomai qualcuno avesse avuto il desiderio di scampagnate ad ampio raggio). Una specie di volante consentiva al passeggero di manovrare la ruota frontale, e una cappotta regolabile garantiva protezione dal sole e dalle intemperie; per garantire il massimo del comfort, anche le gambe del malato erano coperte da una apposita protezione. Viste oggi, fanno un po’ sorridere: sembrano quasi delle carrozzine per neonati di dimensioni abnormi.

A quel punto, i tempi erano maturi per l’invenzione delle sedie a rotelle propriamente dette: quelle che hanno l’aspetto di una sedia, con ruote sufficientemente alte da essere manovrate direttamente da chi ne usufruisce. Le sedute cominciarono a essere confezionate in materiali come i vimini e il bambù, sufficientemente leggeri da non aggiungere ulteriore peso a dispositivi che dovevano essere il più manovrabile possibili; ai lati della sedia, i fabbricanti cominciarono ad attaccare le ruote da velocipede, un mezzo di trasporto ormai comune a metà Ottocento (e le due tecnologie erano collegate al punto che alcune fabbriche avevano due linee di produzione: una per le carrozzelle, e una per le biciclette).

A proposito: risale proprio al 1856 una delle prime inserzioni pubblicitarie a darci conto dell’esistenza di quella che probabilmente definiremmo la sedia a rotelle nel pieno senso del termine. Apparsa sulle prestigiose pagine del The Lancet su richiesta della ditta Comfort for Invalids, l’inserzione dava conto di una vasta gamma di sedute mediche che spaziavano dalla poltrona reclinabile al letto con alzata pieghevole. Nel mezzo, troviamo al punto 9 una «sedia a propulsione autonoma, che garantisce al paziente una certa indipendenza permettendogli di andare di stanza in stanza senza bisogno di assistenza».

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Per le passeggiate outdoor, venivano ancora consigliati dei dispositivi più ingombranti (e probabilmente anche più comodi, avendo a disposizione un cavallo a cui legarli), simili alle chaise longue su ruote che erano state brevettate a Bath… ma ormai, il più era stato fatto. Da quel momento in poi ci sarebbero certo state molte innovazioni e migliorie – ma la moderna sedia a rotelle era nata ufficialmente.


Per approfondire: Huff – Holmes (a cura di), A Cultural History of Disability in the Long Nineteenth Century (Bloomsbury Publishing, 2023)

14 risposte a "Quando nasce la sedia a rotelle?"

  1. Daniela

    Una evoluzione lenta di cui non conoscevo le varie tappe e che tutto sommato perfezionata com’è ai giorni nostri consente a molti di essere autonomi negli spostamenti tanto da permettere loro di guidare anche l’auto con i necessari adattamenti.

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    1. Lucia Graziano

      Davvero! Tanto che mi vien da chiedermi quali saranno i progressi della tecnologia nei prossimi cinquanta, cento anni, toh. C’è stata una evoluzione così eclatante (non solo in questo settore specifico eh) che davvero vien da sentirsi autorizzati a immaginare in grande… 🙂

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      1. Daniela

        benvengano i salti da gigante della tecnologia, quando vanno a beneficiare salute e sviluppo scientifico. Per questioni belliche invece la cosa è preoccupante. Ma speriamo che alcuni non perdano l’ultimo barlume buono della ragione.
        Buona serata 🙂

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      2. Anonimo

        Spero che nel futuro i cosiddetti esoscheletri permetteranno a para- e tetraplegici di camminare, sfruttando direttamente gli impulsi nervosi del loro cervello, trasdotti in segnali elettrici.

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        1. Lucia Graziano

          Eh!
          Io non sono assolutamente nelle condizioni di poter fare ipotesi anche solo vagamente realistiche (non me ne intendo minimamente di queste cose), ma a vedere gli incredibili progressi che sta facendo la medicina in questi ultimi anni, davvero vien da nutrire speranze!

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          1. Ajeje Brazorf

            In quel caso sarebbe piú un successo della bioingegneria, ma sono fiducioso che ci so arriverà in tempi non troppo lontani. Non per tutti sarà possibile farlo con impulsi nervosi, ma anche con comandi vocali sarebbe un ottimo traguardo.

            P.S. Le immagini con quale IA le crei? Grazie!

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          2. Lucia Graziano

            Beh sì, parlavo di “scienza medica” in generale includendo anche tutti gli altri settori che danno il loro contributo dal punto di vista più strettamente tecnologico insomma 😉

            Le immagini che creo con Bing Image Creator! 😀

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          3. Ajeje Brazorf

            Ho provato a usare Copilot, e non mi sono ancora avvicinato ai tuoi esiti realistici pur avendo provato descrizioni accurate e riferimenti a movimenti artistici simili ad alcune tue immagini. Sarei curioso di sapere cosa gli dai in pasto 😅

            Ah, nnon riesco a fargli scrivere in italiano, nonostante il virgolettato. O scrive con errori ortografici o addirittura scrive correttamente inserendo parole di sana pianta o scrivendo in inglese! Non capisco perché…

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          4. Ajeje Brazorf

            *farlo scrivere in italiano, pardon. Altra cosa che non ho ancora colto è perché il blog mi dia uno spazio di scrittura così a gusto per i commenti su uso il cellulare. Non consente la rotazione di 90 gradi che già agevolerebbe. È questione di impostazioni del browser?

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          5. Ajeje Brazorf

            Oh, aalmeno sulla rotazione automatica ho finalmente capito che il problema non era di Chrome bensí di un blocco verticale sul cellulare che io non ricordo di aver impostato. Senilità 😅 e scusa i tanti messaggi!

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  2. ac-comandante

    La sedia con le manovelle mi ricorda una piccola draisina di costruzione austriaca per ispezionare le ferrovie a scartamento ridotto: su quella il movimento era dato da due leve azionate in modo simile a dei remi. Antenate della handbike paralimpica.

    Anni fa, quando ero stato al museo delle carrozze di Vienna, ho trovato che spesso le portantine erano usate in montagna da aristocratici e persone facoltose (e pigre!) per le loro escursioni, ma in tal caso erano sostenute da muli.

    Negli USA, per indicare l’auto tipo berlina si usa il termine sedan. Deriva dalla Sedan chair?

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