Il digiuno (molto poco) prodigioso di Martha Taylor

Nell’anno del Signore 1667, nel piccolo villaggio inglese di Over Haddon, una giovane donna di nome Martha Taylor smise improvvisamente di mangiare.

Decisamente non ricca ma neanche povera in canna (il padre lavorava nella miniera locale con funzioni di caposquadra), Martha aveva sempre condotto una vita tutto sommato ordinaria, nella quieta quotidianità d’una famiglia come tante. Al confronto con le altre ragazze del paese, non spiccava per intelligenza né per devozione (ma nemmeno per anticonformismo o spirito ribelle, sol per quello): insomma era una fanciulla come mille, forse un po’ più cagionevole della media ma per il resto tutta presa dalle normali occupazioni della sua quieta vita da diciannovenne.

Fino al momento in cui, giustappunto, tutto d’un colpo smise di mangiare.

Non sappiamo esattamente quale sia stato il corso degli eventi che la portarono a tale determinazione. Le fonti d’epoca si limitano a parlare di una breve malattia, al termine della quale la ragazza perse l’appetito manifestando una netta repulsione al pensiero stesso di mangiare – una repulsione di cui, a onor del vero, non si capiscono a fondo le ragioni. Vale a dire, non sappiamo se questo rifiuto per il cibo avesse cause puramente psicologiche o se includesse anche una componente fisica (che ne so: problemi all’apparato digerente insorti dopo la malattia; dolori molto forti; qualcosa di questo genere. Nessuno si premurò di chiedere).
Tutto ciò che sappiamo è che era già da qualche anno che Martha godeva d’una salute altalenante, con frequenti episodi di malattia che avevano cominciato a manifestarsi fin dal momento in cui, undicenne, aveva ricevuto una forte botta sulla schiena. Ma nulla di troppo eclatante, fino a quella drammatica malattia che colpì la ragazza nel 1667: Martha si mise a letto con una specie di febbre emorragica che le fece perdere sangue dal naso e dagli occhi; dopo qualche giorno, si riprese dalla crisi ma smise di mangiare.

Notizia di fronte alla quale le persone che le stavano vicino piansero lacrime di grata commozione e gridarono al miracolo, innalzando lodi al cielo per la grazia non comune di cui aveva voluto inondare la fanciulla.
Perché, sì: l’Europa della prima età moderna non era esattamente il periodo storico migliore in cui sviluppare l’anoressia. Una brutta pagina di Storia, ma a suo modo interessante; e allora, approfondiamola assieme.

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Molti tra i miei lettori conosceranno, almeno di nome, il celebre studio che Rudolph Bell ha dedicato a La santa anoressia, sottolineando come un buon numero di mistiche medievali abbia vissuto la sua spiritualità attraverso un rifiuto del cibo così marcato da essere assimilabile (almeno agli occhi di noi moderni) a vere e proprie forme di anoressia. Quasi tutti i casi erano accomunati da un elemento ben preciso: a detta dell’agiografia, queste donne digiunavano per anni, mantenendosi in perfetta salute senza consumare altro cibo al di fuori delle minuscole ostie per la comunione: il che trasformava in miracolo eucaristico la loro stessa permanenza in vita (“è chiaro che quel pezzetto di pane non è solamente un pezzetto di pane come tutti gli altri!”).

E, fin qui, la storia è relativamente nota. Meno noto è ciò che accadde quando tutto andò a schifio e questo peculiare stile di vita cominciò a essere adottato da ragazzine chiaramente disturbate che, probabilmente, si sentivano molto cool nel giocare a fare la santa in terra.
È sempre difficile fare diagnosi a posteriori, e l’impresa si fa ancor più sfidante quando si tratta di ipotizzare malattie mentali su individui vissuti in una cultura completamente diversa dalla nostra; ma con le dovute cautele, sembrerebbe proprio di poter dire che, nel corso della prima età moderna, molte ragazze affette da anoressia nervosa ebbero modo di trovare nella religione lo scudo dietro a cui nascondere il loro disagio. E, purtroppo, il mondo attorno a loro fece l’errore di dar loro credito, guardando a loro come a delle predilette del Signore, invece che come a donne malate da curare.

Di questo fenomeno dà conto Joan Jacobs Brumberg nel suo interessantissimo saggio Fasting Girls, sottolineando come il fenomeno della cosiddetta anoressia virtuosa abbia vissuto un vero e proprio boom nei secoli della prima età moderna, complice un clima religioso che s’era d’un tratto irrigidito agevolando la nascita di forme di spiritualità estreme. L’invenzione della stampa, poi, contribuì ad acuire il problema, grazie ai tanti pamphlet stampati ad alta tiratura per dare conto delle vicende di quella o quell’altra fanciulla prodigiosa.
Se, nel corso del Medioevo, questo tipo di miracoli era sempre stato strettamente collegato alla dottrina eucaristica, in età moderna la situazione si ribaltò in maniera (neanche troppo) paradossale. Vale a dire: furono soprattutto certe fasce di protestantesimo a incoraggiare il digiuno mistico di quelle giovani che “si sentivano vocate a questa vita”. Del resto, le implicazioni teologiche erano non da poco: s’era sempre dato per scontato che le sante sopravvivessero al digiuno in virtù dell’alterità dell’ostia consacrata che costituiva il loro unico alimento; ma se anche le fanciulle riformate venivano investite d’una tale grazia, diventava chiaro che l’eucarestia cattolica non aveva alcun ruolo in questo tipo di prodigi, che dipendevano dalla volontà di Dio unicamente.

E così, quando un crescente numero di fanciulle cominciò ad addurre motivazioni religiose dietro al rifiuto del cibo, furono ben pochi gli individui che cercarono di correre ai ripari tentando di aiutarle a superare il loro disagio. Molti di più furono quelli che (spesso in totale buona fede!) incoraggiarono il loro digiuno. E così accadde appunto anche a Martha Taylor, nel momento in cui la ragazza smise improvvisamente di mangiare.

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Martha, però, non era una santa, e ben difficilmente il suo digiuno avrebbe potuto dirsi miracoloso.
Perché “miracolo”, per definizione, è ciò che contravviene alle normali leggi di natura: prodigioso sarebbe stato se, mangiando poco o niente, Martha si fosse conservata in buona salute. Il problema è che decisamente non era questo il caso: la ragazza (che non assumeva alcun tipo di alimento solido, ma una volta ogni qualche mese accettava di bere piccoli sorsi di succo di frutta o di acqua e zucchero) deperiva a vista d’occhio, mostrandosi al mondo «con il terrificante aspetto di uno scheletro», a citare i suoi contemporanei. Non aveva l’aria di trovarsi in uno stato di particolare grazia divina, mettiamola così; e – cosa ancor più interessante – non sosteneva nemmeno di trovarcisi: a differenza di molte sue coetanee, che mostravano forti slanci religiosi, Martha non disse mai “sì, digiuno per ragioni di fede”; “sì, è Iddio a tenermi in vita nella sua infinita benevolenza”.
Furono i suoi correligionari (di fede riformata), a metterle in bocca questo tipo d’affermazioni; e siccome la povera Martha deperiva a vista d’occhio ma non voleva proprio saperne di morire, bastò qualche mese per convincere la gente di Over Haddon di essere testimone d’un miracolo in piena regola. Sicché, il suo prodigioso digiuno cominciò a far parlare di sé.

Naturalmente, si sentì il bisogno di verificare che quella di Martha non fosse un’impostura. La ragazza fu sottoposta a sorveglianza da parte di un gruppo di periti che s’avvicendarono al suo capezzale per verificare che la giovane non si alimentasse di nascosto, al fine di creare attorno a sé una fama di santità. Dopo alcune settimane, i testimoni dovettero confermare che c’era senza dubbio qualcosa di profondamente anomalo nel regime alimentare della ragazza: è pur vero che quello di Martha non era un digiuno totale (di tanto in tanto, assumeva liquidi), e che di certo il suo corpo sempre più emaciato era testimonianza eloquente dei suoi sacrifici; vero però era anche il fatto che la giovane donna mangiava veramente meno che uno scricciolo. Dal punto di vista medico, pareva del tutto anomalo che Martha Taylor fosse ancora in vita: quindi, , il fenomeno era clinicamente inspiegabile. La giovane ragazza del Derbyshire non avrebbe potuto ricevere consacrazione più eclatante.

Tra il 1668 e il 1669, Martha fu oggetto d’una vasta produzione letteraria che incluse alcune ballate popolari e almeno due pamphlet religiosi, tutti concordi nel descriverla come una miracolata che rimaneva in vita per volontà dell’Onnipotente. Ovviamente, la cosa attirò sulla ragazza la curiosità di molti; e, ovviamente, non tutti gli osservatori furono concordi nel gridare al miracolo.
Alcuni (tra cui i rigorosissimi puritani) ritennero piuttosto che queste inspiegabili vicende fossero semmai da attribuire a una possessione demoniaca: fecero notare che Satana non è nuovo a questo tipo di trucchetti, che utilizza per confondere gli ingenui e per sviare la loro attenzione su fenomeni che non hanno nulla a che vedere con la vera fede.
Altri tentarono di razionalizzare il fenomeno attribuendolo a cause non divine, anche se fa un po’ ridere dover ammettere che i loro tentativi di spiegazione passarono attraverso il mondo delle fate (no, non sto scherzando). In un contesto culturale come l’Inghilterra d’età moderna, in cui la gran parte della popolazione credeva convintamente all’esistenza del Piccolo Popolo, furono in molti a ipotizzare che Martha Taylor si mantenesse in vita perché nutrita con cibo fatato dai folletti, invisibili per il resto del mondo umano. Sì, davvero.

E mentre il minuscolo villaggio di Over Haddon (135 anime in totale) scopriva entusiasticamente molte tecniche attraverso cui lucrare sulla curiosità dei pellegrini che accorrevano sul posto per poter osservare dal vivo quel prodigio celeste, Martha continuava a vivere, in un ingravescente stato di debilitazione fisica che comunque non sembrava neanche lontanamente prossimo al volerla portare alla tomba. Per più di diciotto mesi la ragazza visse senza cibo, gracilissima nel corpo ma non per questo piegata dalla malattia: era cosciente, si alzava dal letto, camminava, conversava piacevolmente con i suoi ospiti. Sembrava anche di ottimo umore; così lontana dall’apatia che il suo unico cruccio era una fastidiosa insonnia.

***

Fu proprio in queste condizioni di salute che, nel 1669, Martha accolse nella sua dimora il signor John Reynolds. Che probabilmente non aveva mai conseguito la laurea in Medicina (non si firma mai come medico) ma che senza dubbio poteva vantare buone conoscenze sulla materia (unite a degli utili agganci presso la London’s Royal Society of Physicians, che infatti diede poi alle stampe l’opuscolo contenente le sue osservazioni sul caso).
Protestante per fede e scettico per natura, Reynolds aveva accolto con molta perplessità la notizia di quella strana fanciulla miracolosa. Talmente alta era la sua curiosità che lo studioso si mise in viaggio verso Over Haddon per poter osservare personalmente il fenomeno: quello che ne nacque fu un Discourse on Prodigious Abstinence che costituisce, di fatto, il primo tentativo di svincolare dal discorso religioso (o superstizioso) queste forme d’anoressia virtuosa. Che – Reynolds lo dice fin da subito, con chiarezza – tutto andrebbero fuorché incoraggiate.

Lo scienziato non faceva mistero della sua fede religiosa, e non aveva problemi nell’ammettere in via teorica che l’Onnipotente potesse decidere di tenere miracolosamente in vita individui che vivevano in condizioni proibitive. Ma, a suo giudizio, la triste storia di Martha Taylor rendeva evidente che troppo spesso si tendeva a voler vedere miracoli là dove non esistevano neppure le basi per ipotizzarli. Perché, davvero: su quali basi sarebbe stato logico ipotizzare un miracolo, in quel caso specifico?

Martha – argomentò lo scienziato – era una ragazza del tutto ordinaria, che oltretutto aveva l’onestà intellettuale di non volersi spacciare per ciò che non era. Perché mai il Signore avrebbe dovuto avere una predilezione nei confronti di una fanciulla che, lungo tutto il corso della sua vita, non aveva mai manifestato un particolare afflato religioso? È pur vero che (come facevano notare entusiasticamente i sostenitori della teoria del miracolo) Martha passava buona parte delle sue giornate a leggere la Bibbia o altri testi a tema sacro: ma ciò dipendeva dal fatto che glieli regalavano, e che la fanciulla non aveva altri passatempi a cui dedicarsi a causa delle sue precarie condizioni di salute. Fino a prima d’ammalarsi, Martha non aveva mai manifestato uno spirito religioso particolarmente sviluppato, né si può dire che la malattia avesse determinato in lei un’improvvisa conversione – su questo, la fanciulla era sempre stata molto esplicita, con un’onestà non comune che bisognava riconoscerle.
Ma allora, perché Dio avrebbe dovuto prendersi la briga di tenere in vita questa neghittosa testimone, che non sembrava aver fatto alcunché per meritarsi quella grazia e anzi rifiutava di dirsi miracolata? Certo, Iddio è imperscrutabile, ma non è uno sprovveduto: difficile pensare che potesse esserci il suo zampino dietro a questi eventi.

Né a Reynolds pareva plausibile pensare che fosse Satana a tenere in vita la ragazza. «Sarebbe ben strano se il diavolo fosse così modesto da accontentarsi di un simile trofeo»: una ragazzotta di campagna sperduta in un remoto paesello del Derbyshire, che non fa male a una mosca, non cerca il protagonismo, non millanta meriti non suoi, non tiene concioni ai pellegrini che la visitano, e nulla fa per indirizzare le masse verso una falsa religione. Satana cerca «mercati ben più grandi» di quello che Martha Taylor sembrava potergli offrire, a citare le parole dello scienziato: e se è notoria la sua attitudine ad attribuire poteri soprannaturali alle perfide donne che gli si asserviscono in un patto di stregoneria, quello di Martha Taylor non sembrava proprio il caso.

Restava poi l’ipotesi residuale di una Martha tenuta in vita dalle fate.
Ma di nuovo: per quale ragione al mondo le fate avrebbero dovuto prendersi il disturbo? Per quale motivo avrebbe dovuto avere un qualche valore ai loro occhi una ragazza che, oltretutto, neppure nell’infanzia aveva manifestato un particolare interesse nei confronti del Piccolo Popolo, a differenza di tante altre bambine del paese?
V’era poi un problema pratico: ammesso e non concesso che le fate sfamassero Martha con cibo incantato, e pur volendo ipotizzare per amor di discussione che questo cibo fosse invisibile ai comuni mortali, resta il fatto che questo alimento avrebbe pur dovuto innescare nel corpo della giovane un qualche tipo di processo digestivo, per essere assimilato. Invece, auscultare lo stomaco della fanciulla non restituiva i normali rumori di digestione, né la ragazza produceva feci. Per non considerare poi il fatto che la poverina era ridotta a pelle e ossa: questo fantomatico cibo fatato non sembrava essere poi così nutriente.
Ma poi, di nuovo: che gliene importava, alle fate, di quell’inutile poveraccia?

No: Martha Taylor non era oggetto di un miracolo; era semplicemente una ragazza malata. Affetta da anoressia uno spiacevole caso di fermentazione dei seminali – fu questa la diagnosi di John Reynolds. Mannaggia a lui, stava andando così bene!

Che roba è una fermentazione dei seminali, vi starete giustamente domandando?
Rifacendosi a una teoria medica (che ovviamente non sta né in cielo né in terra) che era stata avanzata qualche anno prima da un certo Thomas Willis, Reynolds riteneva che le ovaie delle donne in età fertile fossero piene di particelle fermentative che avevano la potenzialità di trasformarsi in nuovi esseri umani – sì come il grano, fermentando, riesce a cambiare natura e a trasformarsi in birra. E infatti, di mese in mese, queste particelle fermentavano cominciando a mutarsi in un grumo di sangue pronto a solidificarsi in carne, se fecondato. Se la fecondazione non avveniva, il sangue veniva espulso nel corso delle mestruazioni per dar modo alle ovaie di produrne di più fresco e nuovo.

Ma, con ogni evidenza, le ovaie di Martha Taylor non funzionavano a dovere, giacché, da quando aveva iniziato a digiunare, la ragazza aveva accusato una persistente amenorrea (e vorrei ben vedere, visto lo stato in cui si trovava). Ergo, c’era qualcosa di profondamente anomalo nel modo in cui il suo corpo gestiva le normali funzioni riproduttive.
Questa, almeno, fu la riflessione di Reynolds, che partì per la tangente ipotizzando la teoria seguente: invece d’espellere quel sangue fermentato, l’organismo di Martha Taylor riusciva in qualche modo ad assimilarlo, traendone nutrimento. Non abbastanza da mantenersi florido (e infatti, la poverina faceva impressione solo a guardarla, da tanto era scheletrica), ma evidentemente quel tanto che bastava per evitare la morte per consunzione.
Una teoria strampalata a voler usare un eufemismo, che però non inficiava le conclusioni finali del ricercatore: l’anoressia di Martha non era santa né virtuosa, ma anzi causata da un malfunzionamento del suo corpo. Dunque, non avrebbe dovuto essere incoraggiata.

Purtroppo, non sappiamo come finì questa storia.
Triste dire che è lecito pensare che sia finita male. Quella di John Reynolds, redatta nel giugno 1669, è anche l’ultima testimonianza in nostro possesso circa il digiuno di Martha Taylor: e visto che, nel biennio precedente, la fanciulla aveva goduto d’una certa fama, vien difficile pensare che la sua storia possa improvvisamente esser passata di moda da un momento all’altro. Probabilmente, la ragazza finì semplicemente col morire; e, per colmo di disgrazia, nemmeno ci si può consolare pensando che il suo caso abbia fatto scuola indicando ai posteri gli errori da non commettere. Ancora in età vittoriana l’Europa conosceva un buon numero di ragazze che digiunavano tra le ovazioni popolari di parenti e amici (il bel film Il prodigio, con Florence Plough, racconta una vicenda di fantasia che è però stata scritta facendo un collage di diverse storie vere, risalenti proprio a quel periodo storico).

Sotto questo punto di vista, Reynolds aveva ragione: davvero Martha Taylor non era niente di speciale. Una ragazza come tante altre, più sfortunata della media, ma non destinata a fare grandi cose, né in vita né in morte. E proprio per questo m’è piaciuta l’idea di farne rivivere la storia.


Per approfondire:

  • Derbyshire Miscellany, The Local History Bulletin of the Derbyshire Archaeological Society (Volume 8, Spring 1978, Part 3)
  • Joan Jacobs Brumberg, Fasting Girls. The History of Anorexia Nervosa (Vintage Books, 2000)

12 risposte a "Il digiuno (molto poco) prodigioso di Martha Taylor"

  1. Anonimo

    Riconosco la mano creata da Bing (ebbene sì, tu mi attaccasti la malattia, ma ora sono guarita… Per qualche giorno mi ero incaponita, ci persi un po’ di tempo quando non mi capiva, eppure gli parlavo cioè gli promptavo in inglese basico) … Dico, la mano. Non so se hai notato che Bing tende a fare le mani delle donne piuttosto magre ed emaciate, anche se non gli dai istruzioni in merito. Oltre che qualche dito che va per i fatti suoi, ogni tanto. Mi è venuto in mente di recente con lo “scandalo mondiale” della foto di Kate… Ho detto subito: altro che ritocco, a me pare Bing!

    Sull’articolo. Molto ma molto interessante. Avrei anche qualche domanda / osservazione… Intanto vedo se riesco a recuperare i dati per rientrare in wordpress… che adesso ha pure fatto il logout da solo. …ho lasciato pure in sospeso un altro commento su altro articolo 🥴 . Vabbé, non è che sia poi ‘sto gran contributo culturale da parte mia. Però almeno farti sapere ogni tanto, tra tanti che già te lo confermano, che il tuo lavoro e la conseguente divulgazione sono sempre di grande interesse per me. Inclusi i commenti e le risposte ai commenti.

    Grazie!

    Francesca (quella da Treviso. Inserirò la stessa mail con la quale sono iscritta al blog… e vediamo cosa mi mi dice wordpress… finché non recupero la pass)

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    1. Lucia Graziano

      In questo caso però la manina emaciata era voluta (per ovvie ragioni), anzi ho anche faticato un po’ per convincere Bing a metterle un po’ di carne addosso perché inizialmente avevo scritto una cosa tipo “la mano scheletrica di una giovane donna in punto di morte” e mi aveva tirato fuori letteralmente una mano scheletrica, solo con le ossa, modello decorazione di Halloween 😂

      Però sì, è vero, Bing ha un po’ questa tendenza, e tempo fa avevo anche notato che ha la tendenza a creare visi maschili praticamente tutti uguali, con zigomi pronunciati e fossetta sul mento. O almeno: se sia possibile creare visi di uomo diversi da quelli, io non lo so, non ci sono mai riuscita nonostante i mille tentativi!

      Per i tuoi problemi a loggare e a lasciare commenti, mi spiace tantissimo e non so purtroppo come aiutarti, non dipende da me. Ma i tuoi commenti sono sempre interessantissimi, altro che, e mi fa infinitamente piacere riceverli (anche se in questo periodo rispondo in ritardo causa poco tempo, scusa!)… insomma tifo per te! 🥺

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      1. Francesca

        Grazie della gentilissima risposta che mi ha fatto ricordare di ri-provare a risistemare. Adesso dovrebbe comparire il mio solito account… Ma non lo so perché ad esempio ora non mi funziona più il like… Ho provato perfino a “likare” anche i miei stessi post… (e speriamo che poi wordpress non faccia saltare fuori di colpo…tutto ‘sto autocompiacimento 😅 )

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      2. Francesca

        Ok confermo che funziona con la stessa mail (tramite un cambio di pw che ora sono riuscita a fare).

        Sottolineo e rispedisco il mio GRAZIE per la tua troppo gentile risposta, cogliendo l’occasione per specificare che non intendevo lanciare una richiesta d’assistenza verso di te. (Cioè davvero: non preoccuparti!!). Il mio era piuttosto un commentare “solidale” verso eventuali altri partecipanti che negli ultimi tempi trovano intoppi in wordpress… Anche giusto come info. Poi, con pazienza, si risolve in qualche modo.

        Bing. È vero! Risulta molto ripetitivo nei tratti dei visi maschili.

        In più, …non so se è solo un problema mio di Bing che si è arrabbiato con me 😁 però non riceve (e quindi non rispetta) le istruzioni con i termini “without” oppure “with no” , etc. Di conseguenza, interpretando tutto in positivo, esegue il contrario di ciò che inserisco… Dopodiché, presumo che tenga anche una certa memoria dei prompt dell’utente… E quindi se tu NON volevi una certa caratteristica … Te la ritrovi un sacco di volte in altre immagini per un certo periodo di tempo. Esempio classico: volevo un bel ramo di olivo senza olive e… Siccome continuava a presentarmelo con le olive, ho specificato “senza olive” (scordandomi che non ascolta il “without”).Non l’avessi mai fatto. …Mi è pure passato per la testa di scrivere “oliveless” 🤔 che non so neanche se esiste in inglese, ma poi ho pensato che facevo prima ad andare su Pixabay)

        Buon proseguimento di Settimana Santa 💜

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        1. Lucia Graziano

          Sì, confermo che è assolutamente inutile dire a DALL-E (cioè il software che usa Bing, tra gli altri) che vuoi una immagine “senza” qualcos’altro, perché non lo capisce. E non capisce bene neanche gli aggettivi in “-less” in base alla mia esperienza. Questo è proprio un grave difetto di programmazione secondo me, spero che riescano a risolverlo in futuro perché pone dei grossi limiti d’uso.

          Sempre tornando ai visi maschili che si rifiuta di fare in maniera non standardizzata, io ho avuto grossi problemi nel fargli capire che volevo un viso di uomo adulto, ma senza barba. Alla fine, in quel caso, ho scoperto che ricorrere a perifrasi (da romanzi Harmony di bassa lega 😂) è la scelta più funzionale: gli devi dire che vuoi un uomo adulto con le guance rosa, il viso pulito, la pelle soffice e liscia. E così la capisce.

          Per il ramo di olivo senza olive in effetti non ho proprio idea di come potrei formulare il comando. Sì, da quel punto di vista è una intelligenza abbastanza ottusa 😂

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          1. Francesca

            Avevo pensato di ordinare un ramo d’olivo con una sola oliva e poi cancellarla da me 😂

            Un’altra soluzione (mi viene in mente solo adesso) forse è chiedere rami con molte foglie simili alle foglie d’olivo … 🤔

            Diciamo che ..costituisce un buon esercizio di comunicazione 😁 perché anche nella vita reale succede che alcune cose le puoi dire esplicite .. e altre no 🙂

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  2. Francesca

    No. Ho sbagliato. E mi è partito Anonimo.

    Ora inserisco la mail – se non altro per fornire una possibilità di verifica

    Francesca (sempre quella da Treviso, eccetera)

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    1. Anonimo

      E come mai qui mi ha accettato Francesca, ma poi mi ha detto di cambiare l’account relativo alla mail inserita? … Vabbè, son fusa 🥴

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  3. Anonimo

    Niente. Se inserisco la solita mail wordpress mi chiede la vecchia pass, e se io richiedo il recupero pass mi reindirizza su cancellazione totale e rifacimento account. Quindi… Ora vedo se posso recuperare la pass tra le mie mille scartoffie. Altrimenti rifarò tutto come mi dice wordpress. Scrivo anche questo ulteriore post come info per te – e per altri che stanno incappando nello stesso problema.

    Francesca

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  4. ac-comandante

    Mi fa strano che ci fossero percorsi di auto-mortificazione in ambiente protestante: io mi sono fatto protestante (valdese) da cinque anni e mi hanno sempre detto che atteggiamenti simili non li hanno mai affrontati. Forse non li hanno mai affrontati adesso? Ad ogni modo, la poveretta era anglicana o “riformata” nel senso di “calvinista”?

    Fermentazione dei seminali? Quel quasi-medico, fosse vissuto oggi, avrebbe potuto scrivere pubblicità per quei rimedi per diarrea, flatulenza, meteorismo & C. che riempiono gli spazi di diversi canali TV!

    Il problema dell’anoressia è che difficilmente chi ne è affetto chiede aiuto, anche oggi. La moglie di uno dei miei due soci mi aveva raccontato di una sua ex compagna di scuola morta di anoressia (direi “l’altro ieri”: è morta il 14 marzo di trent’anni fa, a 24 anni). Non sa se non si rendeva conto di avere qualcosa che non andava o lo sapeva e non chiedeva aiuto per chissà quali motivi, quantomeno non religiosi. Deve averla vista fino a poco prima della fine, perchè me l’ha descritta in un modo inquietante: “i sopravvissuti ai campi di sterminio al confronto erano grassi”.

    Sono contento che “la mia ragazza” abbia i suoi chiletti e sia a sua volta contenta di averli! Uno e sessantotto per sessantasei chili senza vestiti. Sì, lei ha 61 anni, io 58.

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    1. Lucia Graziano

      Beh, i Valdesi sono anche stati (storicamente) dei protestanti un po’ sui generis, nel senso che avevano una storia secolare già alle spalle nel momento in cui hanno deciso di aderire alla riforma 😛 è effettivamente possibile che loro non abbiano mai avuto pratiche di auto-mortificazione. Cioè: onestamente non ho idea, non mai approfondito, ma se mi dici così mi fido, sarebbe ragionevole.

      Però, da lì a dire che nessuna chiesa protestante, in alcun momento della storia, abbia mai incoraggiato tra i suoi membri delle pratiche di mortificazione corporale… ‘nsomma, quello mi sembrerebbe un po’ tranchant, onestamente 😅 In base alla mia limitata conoscenza, è certamente vero che molte chiese si sono allontanate con decisione da quelle penitenze che erano fortemente connotate come cattoliche (es. l’astinenza dalle carni il venerdì), e credo che fin da subito abbiano insistito per rendere facoltative (e non obbligatorie come per il cattolicesimo) le varie pratiche di mortificazione corporale, ma so che alcune chiese protestanti praticano ancor oggi il digiuno quaresimale e altre si sono anche inventate la pratica del “Digiuno di Davide”, che è un’invenzione tutta loro mutuata dall’Antico Testamento (insomma, non deriva dal digiuno quaresimale).

      Penso che molto dipenda dalle varie denominazioni (e dalla inclinazione del singolo, ché nessuna di queste pratiche è obbligatoria); è possibilissimo che i Valdesi non abbiano nulla di tutto ciò, ma insomma non ne farei un monolite. I Calvinisti del ‘600 avevano una rara abilità nel togliersi con pervicace ostinazione ogni gioia di vivere, per dire 😂😛

      Comunque, Martha Taylor era anglicana; e anzi, in quel contesto i suoi più accesi detrattori erano i puritani che stavano in Scozia. Non ritenevano assolutamente possibile che quella ragazza fosse oggetto di un miracolo e tutt’al più sospettavano che fosse tenuta in vita dal diavolo.

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