La strana storia delle sorgenti miracolose che (non) sgorgano attorno attorno ai gulag della Siberia

Nei boschi attorno a Lozhok, in Siberia, c’è una piccola sorgente d’acqua.  

È una sorgente come ce ne sono mille altre al mondo; vale a dire, non ha qualche caratteristica particolare che possa renderla curiosa agli occhi di chi la vede per la prima volta. Né si può dire che la sua atipicità risieda (poniamo per ipotesi) nell’essere apparsa in anni recenti, in un punto dove fino a poco prima c’erano solamente rocce e vegetazioni. No: la sorgente è lì fin dalla notte dei tempi, a fare il suo onesto lavoro di sorgente, senza mai essersi concessa bizzarrie, stravaganze o anomalie di vario genere. Ciò non di meno, da qualche decina d’anni, i cristiani di fede ortodossa che vivono in Siberia si sono messi in testa che questa sorgente sia miracolosa: vi si recano in pellegrinaggio, vi si bagnano con la stessa devozione con cui i fedeli cattolici si immergono nelle acque di Lourdes e riempiono di quel liquido intere taniche da 20 litri che poi si portano a casa, per garantirsi un miracolo on demand al momento del bisogno. E per aiutarvi a inquadrare subito le reali proporzioni del fenomeno, vi basti sapere che nel 2002, per far fronte alla devozione crescente, le autorità religiose hanno dato il via alla costruzione di una chiesa enorme che se ne sta lì, spersa in mezzo al nulla dei boschi siberiani, con l’eloquente dedicazione di Cattedrale della Sorgente Che Dona Vita. ‘sta roba qua:

In seno al cristianesimo – ormai non è un mistero – di bizzarrie ne capitano tante; ma questa è particolarmente curiosa, tantopiù che questo mito ha tutte le caratteristiche di una leggenda agiografica medievale, ma – alla prova dei fatti – è più giovane di me. E allora, quale caspita può esser stata la strampalata serie di eventi che ha condotto i fedeli ortodossi a ritenere miracolosa una sorgente d’acqua (tra l’altro piccola) (e nascosta in capo al mondo) come ce ne sono mille altre in giro per il globo?

ID 64622107 © Evgeniy Muhortov | Dreamstime.com

Vi dirò di più. Il mistero si infittisce: quella di Lozhok non è l’unica polla d’acqua a essere andata incontro a questa rilettura miracolistica. In Siberia ce ne sono un buon numero (alcune più, altre meno famose), tutte accomunate dalla caratteristica d’essere infognate in posti irraggiungibili in mezzo al nulla, e tagliati fuori dalle principali vie di comunicazione. Esattamente quel tipo di posti in cui i dittatori amano far costruire le strutture più impopolari del loro regime: e infatti, una indagine più accurata porterà alla luce il fatto che tutte le sorgenti “miracolose” di questo tipo si trovano vicino a uno di quei luoghi che, durante lo stalinismo, avevano ospitato un gulag.
E qui la cosa comincia a farsi più interessante.

Comincia a farsi più interessante anche perché ognuna di queste sorgenti s’accompagna a un mito fondativo che non trova alcuna corrispondenza con la verità storica (cosa che la Chiesa Ortodossa ha voluto mettere in chiaro in più d’una occasione) ma che si presenta sempre uguale, con minime varianti da luogo a luogo. La sorgente sarebbe sgorgata all’improvviso, in un territorio che prima era aspro e brullo, nel momento in cui la gelida tundra fu bagnata dal sangue santo di un gruppo di martiri che, col loro sacrificio eroico, vivificarono la terra di Siberia. Costoro erano invariabilmente in numero di quaranta, e invisi alla dittatura per motivi religiosi: in alcuni casi, la leggenda parla di quaranta sacerdoti che erano stati deportati in Siberia proprio a causa della loro fede. In altri casi, i protagonisti del mito sono quaranta prigionieri laici che erano finiti nei gulag per ragioni politiche non meglio precisate, e che però custodivano nel loro cuore una devozione sincera: determinati a santificare le feste, si rifiutano di lavorare di domenica e per questo motivo entrano in odio ai loro carcerieri, che decidono di ucciderli.
Come che sia, in ognuno dei due casi, gli aguzzini sentono la necessità di eseguire la condanna a morte in relativa segretezza e al di fuori dei confini del gulag, per non alimentare una rivolta tra gli altri prigionieri (i quaranta martiri, infatti, erano straordinariamente carismatici e godevano di grande popolarità nel campo di lavoro): ecco dunque che le vittime sono condotte nel fitto di un bosco, e proprio lì rendono la loro anima a Cristo. Il miracolo che ne segue, l’abbiamo già accennato: nel momento in cui il caldo sangue dei martiri imporpora la terra siberiana, ecco che lì zampilla miracolosa una sorgente d’acqua. Le autorità sgomente cercano di tener segreto quanto è accaduto, ma come in tutte le leggende metropolitane c’è sempre l’amico di un cugino che si trova a scambiar due chiacchiere con un aguzzino reso loquace dalla vodka. E, provvidenzialmente, la storia esce allo scoperto: i fedeli increduli si recano sul luogo del martirio e, immergendosi in quell’acqua benedetta, ricevono infinite grazie. E da lì, inevitabile, nasce la devozione.

Giusto per ripetere ancora una volta il concetto: non c’è nulla di reale in questa bizzarra ricostruzione. È senza dubbio vero che molti religiosi persero la vita nei gulag, ma di costoro si conoscono quantomeno i nomi, se non proprio i dettagli della morte; ed è del tutto implausibile che dei sacerdoti deportati nei gulag vengano assassinati a gruppi di quaranta, senza che nessuno ne noti l’assenza e ne tenga viva la memoria. Insomma, ‘sta storiella va considerata per quello che è: una vera e propria leggenda metropolitana a sfondo religioso.
Il primo ad ammetterlo (per nostra fortuna) è padre Igor Zatolokin, il sacerdote ortodosso che nel 2002 ha promosso la costruzione del santuario a Lozhok: a parte il fatto che se un gruppo di quaranta sacerdoti non avesse più fatto ritorno dai gulag, le autorità religiose si sarebbero accorte del fatto che quaranta preti erano scomparsi nel nulla, ci sono anche altre incongruenze di natura storica in questa storiella. Vivere sotto la dittatura comunista non fu mai un’esperienza particolarmente desiderabile (aehm); ma – stando a quanto dice il sacerdote, che ha studiato approfonditamente il tema – fu relativamente breve il periodo in cui i militari si produssero in esecuzioni sommarie con le caratteristiche descritte dal mito. Che gli oppositori politici venissero fucilati a decine, per cause tutto sommato irrisorie o per il capriccio di un ufficiale con il grilletto facile, era cosa che tendenzialmente accadde solo nelle prime fasi della dittatura (grossomodo dal 1917 al 1923, stima padre Igor); il gulag di Lozhok fu costruito molto più tardi, e cioè in un’epoca in cui si cercava di tenere in vita i prigionieri finché non erano loro a morir di stenti: a quel punto, la priorità era diventata quella di utilizzarli come forza lavoro. Fucilare quaranta carcerati ancora nel pieno delle forze solo perché professavano fede cristiana sarebbe stato, banalmente, antieconomico: tutt’al più li si sfiancava finché non diventavano improduttivi. Ma le esecuzioni sommarie nei campi di lavoro erano davvero un’anomalia, che è ben difficile immaginare possa essersi ripetuta più volte in giro per la Siberia.

Insomma, una ragione in più per derubricare a ‘mito’ questa improbabile storia di stragi di massa con effetti miracolosi, che parrebbe uscita da un’agiografia medievale (il topos della sorgente d’acqua che sgorga dal sangue dei martiri è diffusissimo in questo genere letterario), se non fosse invece emersa nell’arco degli ultimi trent’anni. Ma allora – mi ripeto – quali possono essere le cause che hanno generato questa curiosa leggenda metropolitana a sfondo sacro?

Jeanmarie Rouhier-Willoughby, titolare d’una cattedra di studi russi all’Università del Kentucky, ritiene che alla base del mito vi sia un’amalgama di elementi diversi che, fondendosi l’un con l’altro, hanno dato origine alla leggenda come la conosciamo oggi.

Innanzi tutto, c’è da considerare un aspetto propriamente religioso legato al culto dei santi in seno alla Chiesa Ortodossa. Dopo il crollo dell’Unione Sovietica, le autorità religiose in Russia cominciarono a interrogarsi sul trattamento da riservare a quegli individui che erano stati assassinati nel corso della dittatura. Se la Chiesa Cattolica tende – almeno in linea di massima – a considerare martiri solo quei cittadini che furono uccisi in diretta conseguenza della loro fede religiosa, le autorità ortodosse sono di manica più larga (eclatante è stata la loro decisione di canonizzare la famiglia Romanov, che sospetto esser stata uccisa per ragioni politiche più che per una questione di odio anticristiano). La posizione ufficiale della Chiesa Ortodossa – sintetizza Rouhier-Willoughby – «è quella secondo cui chiunque sia morto per mano delle autorità sovietiche abbia sofferto, almeno in certa misura, per la fede ortodossa, al di là delle convinzioni religiose del singolo. Certamente, non tutti questi individui sono stati canonizzati ufficialmente; tuttavia, questa posizione sostiene l’idea che le vittime morte nei gulag – sia che fossero preti, sia che fossero laici – rientrino in questa categoria di nuovi martiri» (e infatti, molti dei fedeli che si recano alle sorgenti ‘miracolose’ si raccolgono in preghiera recitando le preci che la Chiesa Ortodossa ha composto proprio per questa specifica categoria di testimoni).

A queste considerazioni – ortodosse nel più pieno senso del termine – si uniscono istanze che provengono dall’immaginario cristiano: la sorgente che sgorga sul luogo del martirio è un topos presente in un’infinità di agiografie medievali, come si diceva; il fatto che i martiri vengano uccisi a gruppi di quaranta richiama ovviamente a un numero che ricorre di frequente nella Bibbia. E non solo: per quanto siano relativamente poco noti all’Occidente, i quaranta martiri di Sebaste sono tra i santi più popolari e amati nell’Europa orientale (la loro festa, che cade il 10 marzo, è così sentita che la si considera l’inizio della stagione primaverile). Martirizzati nel 320 nel corso della persecuzione anticristiana di Licino, i quaranta santi avrebbero perso la vita nei pressi di uno stagno ghiacciato, in una cupa notte d’inverno: ed è difficile non cogliere un’eco della loro storia, nella leggenda dei quaranta sacerdoti che nella gelida Siberia fanno sgorgare una sorgente d’acqua grazie al calore del loro sangue che viene versato sulla terra brulla.

Ma, naturalmente, c’è molto più di questo. Da che mondo è mondo, le leggende metropolitane non nascono se non sono funzionali a rispondere a un bisogno della popolazione che le genera. E, secondo Rouhier-Willoughby, «le credenze espresse nel corpus di leggende sulle sorgenti miracolose siberiane sono la chiave per comprendere il modo in cui la memoria dei gulag (e di fatto, dell’URSS) è stata riformulata nella Siberia occidentale. Le autorità hanno cercato in ogni modo di eliminare i campi di lavoro dalla memoria dei cittadini (e gli edifici sono stati rasi al suolo nel momento in cui i gulag sono stati chiusi)», con conseguenze che peraltro hanno creato nella popolazione un’inquietudine esistenziale probabilmente ancor maggiore rispetto a quella che ci sarebbe stata se le strutture fossero rimaste in piedi. Negli anni Sessanta, per esempio, aveva creato un certo scalpore a Lozhok venire a sapere che, nel corso dei lavori di costruzione per la nuova scuola elementare, gli operai che scavavano le fondamenta dell’edificio avevano riportato alla luce una enorme fossa contenente centinaia di cadaveri, che con ogni evidenza non erano lì da troppi anni: «il pensiero che i propri figli sarebbero andati a scuola e avrebbero festeggiato le loro feste di compleanno al di sopra di una fossa comune fu qualcosa che generò profonda inquietudine nella popolazione». Che, oltretutto, fu costretta a vivere il suo disagio nella più totale segretezza: all’epoca, le autorità non gradivano che il popolo rivangasse questa imbarazzante pagina del passato. Dei gulag, non si poteva parlare punto e basta, in una damnatio memoriae che probabilmente ha avuto gli effetti esattamente opposti rispetto a quelli che la dittatura si auspicava.

Anche perché, nella difficoltà psicologica di rielaborare (e senza il minimo aiuto dall’alto) quest’orrore, i cittadini sovietici che avevano vissuto in prossimità di quei campi di lavoro si trovavano inevitabilmente a fare i conti con il senso di colpa e con la vergogna che sono stati ben descritti anche dai Polacchi che abitavano in prossimità dei lager: sotto una dittatura armata, l’omertà è moralmente giustificabile? E per tutti quei cittadini che sapevano (o intuivano, o sospettavano), e ciò nonostante non hanno fatto nulla per agire, c’era la possibilità d’esser perdonati e di perdonarsi?

Beh: leggende di questo tipo sembrerebbero suggerire che in effetti ci sia una qualche possibilità di perdono – quantomeno, da parte divina. Se Dio avesse voluto esprimere una condanna inappellabile a tutto ciò che ruotava attorno ai gulag, avrebbe ben potuto compiere un miracolo per far piovere un asteroide sull’edificio e radere al suolo tutto il circondario. Invece, la sua insondabile volontà era stata quella di trarre qualcosa di buono dal mistero del dolore innocente dei prigionieri ingiustamente perseguitati: e con quella miracolosa sorgente d’acqua, aveva voluto vivificare una terra di morte, inondandola della sua promessa d’un futuro più limpido e più puro. «In qualche modo, questi martiri – su modello di Cristo in croce – avevano redento il passato violento dei campi di prigionia sovietici»; e se persino gli aguzzini che avevano inchiodato Gesù alla croce avevano avuto la chance di essere perdonati e diventare santi, di certo la stessa grazia sarebbe stata concessa anche a quei Russi che avrebbero voluto, non avevano potuto, fare alcunché per aiutare i loro concittadini.

«Nelle leggende sulle sorgenti miracolose, focalizzarsi sul martirio dei religiosi offre alla popolazione locale (così come ai credenti in generale) una cornice entro la quale condannare il governo sovietico per il suo regime sanguinario» – che è già pur sempre un modo per prenderne le distanze e dire “io non c’entro; io stesso ho subito la situazione, come tutti”. A un livello più profondo, inquadrare come martiri le vittime del gulag permette ai superstiti di dare una lettura beatifica alla loro morte, seppur immorale e ingiusta. «L’esistenza della sorgente miracolosa è segno tangibile di come questi individui siano in grazia di Dio e abbiano guadagnato la salvezza eterna grazie alla loro fede e allo spirito di sopportazione con cui hanno affrontato i patimenti terreni»: che non equivale a dire che tutto sommato è stato un bene farli patire, ma che quantomeno riesce a dare una chiave di lettura positiva a quello che, a prima vista, sembrerebbe essere solo un orrore fine a se stesso.  

“Tutto concorre al bene per coloro che amano Dio”, scrive san Paolo nella lettera ai Romani, in quello che è probabilmente il motto più citato dai cristiani tutte le volte che devono consolarsi per qualche batosta che gli è piovuta addosso. Ma se tutto concorre al bene – e se Dio sa far nascere la vita persino dalla più ignobile delle morti – allora davvero c’è per tutti una speranza di redenzione: persino per chi è stato costretto dagli eventi ad assistere inerme a questo eccidio.

O almeno: è molto probabile che sia questa la chiave di lettura più corretta per comprendere questo strano corpus di leggende a sfondo sacro. Un modo come un altro per rielaborare il trauma collettivo del passato; e – dal punto di vista del folklorista – anche l’ennesima riconferma di come i bisogni umani siano, in fin dei conti, universali. Sotto sotto, non c’è poi tanta differenza tra noi uomini del terzo millennio e i predicatori medievali la cui vivida fantasia partoriva strane storie e cupi mostri; è un po’ snobista, da parte nostra, volerci ostinare a credere il contrario.


Per approfondire:

  • Jeanmarie Rouhier-Willoughby, The Gulag Reclaimed as Sacred Space: The Negotiation of Memory at the Holy Spring of Iskitim, in Laboratorium: Russian Review of Social Research, 7(1/2015)
  • Celeste Ray (a cura di), Sacred Waters. A Cross-Cultural Compendium of Hallowed Springs and Holy Wells (Routledge, 2020)

3 risposte a "La strana storia delle sorgenti miracolose che (non) sgorgano attorno attorno ai gulag della Siberia"

  1. Avatar di ac-comandante

    ac-comandante

    Solženicyn diceva che se i deportati avevano sete potevano masticare la neve. Qualcosa mi fa pensare che se fossero riusciti a usare quell’acqua, sarebbero stati davvero stesi dalle guardie, per cui che qualcuno sia stato davvero ucciso lì nei pressi in epoca staliniana non è del tutto assurdo. Ma almeno quell’acqua è bevibile? Non so, ho notizie che diverse parti della Siberia sono inquinatissime, avevo letto di un lago bellissimo ma letale per gli scarti delle vicine miniere che la pioggia ha dilavato e fatto finire lì dentro.

    Quelle chiese di nuova costruzione hanno anche dei monasteri o sono lì da sole?

    Un po’ di sana pedanteria: è improprio dire “un gulag”, GULàg era l’amministrazione centrale che li governava, Glavnoe Upravlenie [c’era qualcosa sul lavoro correzionale, per me illeggibile in russo] Lagerej, non il singolo campo.

    La prima immagine è fatta con AI? Ricorda più un campo di sterminio che uno del GULag (eccetto forse i campi della Šaraška, annessi spesso a delle industrie, non avevano ciminiere). L’ho detto che sono testone, perfezionista, spacco il capello in quattro… 😛

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    1. Avatar di Lucia Graziano

      Lucia Graziano

      Sì sì, pare che l’acqua di queste sorgenti “miracolose” sia bevibile e anche buona, nel senso che è acqua minerale di buona qualità (chissà, forse anche questo ha contribuito almeno in parte a renderle miracolose agli occhi della gente? In un caso – uno solo però – la sorgente getta anche acqua calda, che di sicuro nel mezzo della Siberia è qualcosa che dà nell’occhio, come dire). E le chiese, che io sappia, sono lì da sole: ci vive il sacerdote ovviamente, magari in compagnia di qualcuno, ma non mi sembra di aver letto che si parli anche di monasteri annessi.

      Confesso la mia totale ignoranza di fatto di gulag (e per inciso anche il mio stupore nello scoprire quanto siano poche le immagini di gulag in rete: sì, l’header l’ho dovuto fare con la AI perché non trovavo nessuna immagine di libero dominio, e poche anche a pagamento devo dire). Quindi quale sarebbe il termine corretto da usare? :O

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      1. Avatar di ac-comandante

        ac-comandante

        Quindi quale sarebbe il termine corretto da usare?

        Campo, o “campo di lavoro”, al più il termine originale Lager, uguale in russo come in tedesco (in tedesco però significa anche magazzino: Ersatzteilenlager, magazzino ricambi; le birre Lager si potrebbero tradurre con “riserva”, forzando il termine enologico).

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