La strana storia di Anne Cherington e del suo fantasma servizievole

L’esorcista non l’ha messo agli atti, ma credo di poter ragionevolmente immaginare che, arrivata a un certo punto di questa storia, la povera Anne Cherington si sia trovata a pensare “ma chi me l’ha fatto fare?”. Quando aveva accettato un posto come domestica nella casa padronale della famiglia Coleman, la ragazzina di sedici anni (un’età francamente giovanile persino per i canoni del tempo) stava semplicemente cercando un impiego onesto con cui raggranellare un po’ di soldi; e non avendo grandi ambizioni, ben lieta sarebbe stata d’accontentarsi di uno di quei lavori monotoni e ripetitivi che si ripetono sempre uguali di giorno in giorno.

Certo non s’aspettava che la casa in cui aveva preso servizio cominciasse tutto d’un tratto a manifestare i sintomi di una presenza fantasmatica. Né men che meno si sarebbe mai potuta immaginare che lo spettro sconosciuto che infestava la casa d’altri avrebbe finito col manifestare una speciale predilezione per lei (!). Quindi, sì: concedendo alla fantasia uno strappo alla giusta regola per cui gli storici non dovrebbero mai aggiungere “del loro” a quanto narrano le fonti, credo che non andrò molto lontano dal vero nell’iniziare questa narrazione immaginando Anne Cherington che alza gli occhi al cielo e biascica tra sé e sé “ma chi me l’ha fatto fare, di venire a lavorare in ‘sta casa maledetta”.

Correva l’anno 1658 nella città di Cannock, nello Staffordshire; e già da alcune settimane la casa della famiglia Coleman manifestava i segni inequivocabili di una possessione in piena regola: fracasso notturno, mobili rovesciati, rumore di passi invisibili lungo le scale; a un certo punto, il padrone di casa aveva cominciato a ritrovarsi ogni giorno sullo scrittoio il testamento del defunto padre, pesante indizio sull’identità dello spettro che aveva deciso di perseguitare i vivi.

Ma era davvero una persecuzione?
La scelta di questo termine sarebbe fortemente opinabile, visto che il fantasma misterioso aveva misteriosamente sviluppato una predilezione per la cameriera, iniziando a seguirla in ogni dove e a svolgere i lavori domestici al posto suo. Sì, davvero. Gli sconcertati Coleman e la terrorizzata Anne assistevano ogni giorno al curioso spettacolo delle lenzuola che si distendevano a mezz’aria mentre due mani invisibili rifacevano i letti e sprimacciavano i cuscini; oppure ai fuochi che divampavano da soli nel caminetto non appena l’inserviente si apprestava a ravvivarli; oppure ancora, a pesanti sacchi di carbone che magicamente levitavano lungo le scale compiendo da soli il non agevole tragitto dalla cantina al piano padronale.

Verrebbe la tentazione di commentare che un fantasma di tal fatta lo vorrei pure io, in casa mia; ma, non sorprendentemente, la famiglia Coleman non condivideva il mio stesso entusiasmo nei confronti di questo strano spettro servizievole, tanto più destabilizzante nella misura in cui non riusciva a capire cosa caspita volesse.

Non conosciamo i dettagli del processo mentale che spinse i Coleman a chiedere aiuto ai gesuiti del Collegio di San Luigi, la roccaforte della resistenza cattolica nelle Midlands. Dovevano essere francamente disperati: ché, nel 1658, fraternizzare col clero romano facendolo entrare in casa propria non era esattamente un buon biglietto da visita. Certo è che un contatto tra le due parti fu senza dubbio stabilito, visto che questa storia giunge a noi per tramite della penna di William Atkins, il sacerdote che con scarso successo cercò di riciclarsi come esorcista per liberare la casa dal fantasma che la infestava.

E quando parlo di “scarso successo”, non sono io a essere ingenerosa: è proprio Atkins a dare conto dei suoi frustranti insuccessi in A Relation of the Apparition of a Soul in Purgatory. Nonostante tutti gli sforzi del sacerdote, quest’anima purgante con velleità da maggiordomo sembrava rifiutarsi ostinatamente di stabilire un contatto con il religioso, che pure cercava in ogni modo di contattarla per farsi spiegare quale fosse il suo problema. Ma niente: a poco servì l’aver portato in casa Coleman un ostensorio con l’ostia consacrata, né l’aver fatto sostare il Santissimo Sacramento in ogni stanza della casa. Il fantasma manifestava la sua presenza con il consueto apparato di colpi, rumori e passi che i Coleman avevano già imparato a conoscere; ma in alcun modo sembrava disposto a rispondere alle richieste dell’esorcista che pure gli comandava, e insistentemente, di parlargli.

E così, padre Atkins giunse alla risoluzione per cui, se il fantasma aveva più volte denunciato una particolare simpatia per la domestica di casa, c’erano buone probabilità che, trovandosi da solo al suo cospetto, accettasse d’esser più loquace.
“Ma chi me l’ha fatto fare”, pensò a quel punto – plausibilmente – Anne.

In una decisione che ha dell’eccezionale e che di certo non rientra nella normale pratica esorcistica, il sacerdote ritenne che la miglior linea d’azione sarebbe stata quella di preparare Anne a un tête-à-tête con il suo servizievole aiutante fantasma. Ordinò ai Coleman di concedere alla loro domestica un breve periodo di congedo, per permetterle di dedicare tutte le sue giornate alla preghiera, e in quel lasso di tempo si prese l’impegno di farla accostare quotidianamente ai sacramenti. Dopo tre giorni di quel regime, al termine di una messa che padre Atkins aveva celebrato all’interno di casa Coleman, «si udì un colpo particolarmente spaventoso», a citare quanto si legge nel resoconto del sacerdote. «Pertanto, il prete, lasciato l’altare, si recò col Santissimo Sacramento e con i fedeli nel luogo da cui proveniva il rumore, ma non riuscì a far manifestare o parlare lo spirito, né con i suoi comandi né con le sue preghiere». Poco male: ormai, il gesuita se lo aspettava; pertanto, lasciò l’ostensorio nella stanza, a protezione della ragazzina, e ordinò ad Anne «di aspettare coraggiosamente e con cuore saldo l’arrivo dello spirito».

Che in effetti arrivò di lì a poco, prendendo la forma di «un uomo dallo sguardo austero, di bell’aspetto» in cui Anne non fece fatica a riconoscere il padre del suo datore di lavoro, di cui le era stato fornito un ritratto accurato.

La ragazzina era inesperta, ma aveva studiato bene a quel corso accelerato di esorcismo for dummies che i gesuiti avevano ritenuto di doverle offrire. Per prima cosa, s’assicurò di non essere al cospetto di un dèmone sotto mentite spoglie, spruzzando sul fantasma un po’ di acqua benedetta proprio come Atkins l’aveva istruita a fare. Lo spettro non se ne adontò, anzi sembrò sorridere per quel gesto, e ne approfittò per rassicurare Anne sulla sua reale identità: sì, lui era davvero l’anima purgante del defunto signor Coleman, che da Dio aveva ottenuto il permesso di prendere contatto con i mortali per lamentare un’incresciosa situazione che gli era fonte di grande sofferenza. I suoi eredi – spiegò all’attonita domestica – avevano lasciato inadempiuti alcuni punti del testamento paterno, con comprensibile irritazione del diretto interessato; inoltre, il cattivo comportamento di suo figlio, che non si confessava da più di quattro anni e aveva l’aria di star prendendo una gran brutta china, impensieriva il defunto padre e gli causava grandi sofferenze: quasi che, per una sorta di effetto simpatico ultramondano, la sua permanenza in Purgatorio si fosse fatta ancor più dolorosa in virtù dei peccati inanellati dai parenti in vita.

«Anne gli chiese da quanto tempo vagasse in terra», leggiamo nel resoconto di padre Atkins: «egli le disse che era da un anno intero che vagava in ruderi e altri edifici antichi, e che aveva fatto ritorno nella casa di famiglia da un mese e cinque giorni. Lei gli chiese allora cosa significassero i rumori confusi che causava, come se una moltitudine di persone corresse su e giù per le stanze. Egli rispose che era un diavolo a correre davanti a lui ovunque andasse, e che il suo buon angelo lo seguiva sempre. Anne gli chiese allora perché non avesse parlato con il prete, né con suo figlio, né con Fleetwood (il padrone di casa), quando lo avevano esortato a esprimersi: egli disse che non gli era stato concesso di aprire bocca direttamente con loro. E dunque, lei gli chiese infine perché le rifacesse i letti, portasse su il carbone e accendesse i fuochi nelle camere: rispose che queste gentilezze erano volte a convincerla, con buone azioni, che non doveva aver paura a parlare con lui».

Come mai tanta ostinazione da parte dello spettro? Beh: la giovane Anne professava religione cattolica, e con un grado di intensità decisamente superiore a quello di Coleman figlio, che saremmo a questo punto autorizzati a immaginare come uno di quei tanti Inglesi che non avevano completamente rinnegato la fede dei loro padri ma che non erano intenzionati a sprecare troppe energie per praticarla correttamente. Oppure, chi lo sa: forse Coleman figlio aveva davvero abbandonato la religione di Roma nel momento in cui suo padre era venuto a mancare, optando per una più conveniente adesione al credo riformato adesso che non aveva più alcun genitore a cui dare il contentino. I retroscena di questa crisi di fede non sono indagati nel resoconto di padre Atkins, che tuttavia è ben chiaro su un punto: Anne, da brava ragazza cattolica, si fece portavoce del malcontento dello spettro; e Coleman figlio, turbato per quanto aveva udito, tornò lestamente sulla retta via.

Tornò anche Coleman padre, qualche tempo dopo: quella volta aveva la forma eterea di «un essere circonfuso di grande luce», accompagnato da tanti piccoli angioletti che tenevano tutt’intorno a lui delle piccole candele accese. Il sottinteso implicito (su cui pure lo scrittore non si sbilancia ulteriormente) è che l’anima defunta avesse ormai raggiunto la gloria celeste e la beatitudine del Paradiso.

Anne ebbe modo di interpellarla un’ultima volta e di porle domande a più ampio raggio, essendo ormai venuta meno l’urgenza del momento: chiese al fantasma se i cristiani di fede protestante avessero qualche speranza di guadagnarsi il Paradiso, e lui «le disse di restare costante nella Chiesa cattolica, perché fuori di essa non c’è speranza di salvezza». La domestica gli chiese allora cosa succedesse ai protestanti dopo la morte: il fantasma rispose che, «sebbene la misericordia di Dio fosse grande, la loro consapevole ignoranza non li avrebbe giustificati»; e anzi, «rispetto ai fedeli comuni, i ministri protestanti giacciono in un luogo ben più profondo dell’Inferno, perché in genere conoscono bene la realtà annunciata dal Vangelo, e ciò nonostante la distorcono diffondendo insegnamenti errati».

Detto questo, svanì, per mai più riaffacciarsi in terra: la povera Anne tornò alla sua vita di sempre, ben felice d’essersi sbarazzata di quel molesto aiutante etereo, e Coleman figlio continuò a rigare dritto, dopo il coccolone ultraterreno che suo padre gli aveva fatto pretendere. Quanto ad Atkins, mise la storia per iscritto un documento che ha attraversato i secoli. Per nostra gran fortuna e per gran diletto dei folkloristi, verrebbe da aggiungere: ché il personaggio di un fantasma maggiordomo sarebbe inconsueto persino in un romanzo di pura fantasia, figuriamoci poi nei resoconti a firma di un esorcista della Compagnia di Gesù.

***

Quale considerazione dovremmo dare a questa storia?

Questa è una domanda a cui ognuno risponderà per sé: certo è che la “trama” inconsueta e l’insistenza con cui si sottolinea, a più livelli, l’importanza di accostarsi con regolarità ai sacramenti la potrebbero rendere un’ottima ghost story da usare nella predicazione, a scopo di catechesi, enfatizzando magari una storia ben più semplice (se non proprio inventandone una di sana pianta). Non sarebbe neppure così inconsueto (le ghost stories furono, per secoli, un elemento molto usato nella predicazione cattolica, prestandosi bene a sottolineare la necessità di pregare per le anime del Purgatorio); certo è che William Atkins è molto chiaro nel parlarcene come di un episodio realmente accaduto, di cui egli stesso fu sgomento testimone.

Certo è che, al di là del caso di specie, lo spettro papista che getta scompiglio nell’ordinaria quotidianità dell’Inghilterra riformata è un topos letterario che si ripropone con una certa frequenza nella narrativa e nel folklore d’area anglosassone, sopravvivendo fino all’età vittoriana: e ai curiosi legami tra cattolicesimo e fantasmi nell’immaginario popolare delle isole britanniche (motivati, evidentemente, da una certa confusione mostrata dai protestanti di fronte alla dottrina del Purgatorio) ho dedicato un intero capitolo di Halloween, alba dell’eternità, di cui ormai avete già sentito parlare in tutte le salse.

Contrariamente a quanto si potrebbe forse immaginare, è una digressione non inutile. Anche quella, a mio giudizio, serve per spiegare alcuni dei passaggi attraverso cui “la notte delle anime purganti unite ai vivi dalla comunione dei santi” (così come era stata All Hallows’ Eve per tutto il Medioevo) finì col trasformarsi, in età moderna, ne “la notte dei fantasmi molesti e spaventosi”. È che (tra i mille altri fattori che contribuirono a questo mutamento) era proprio cambiata, nell’immaginario collettivo dell’Inghilterra riformata, la concezione stessa di fantasma: sicché, uno spettro buono e servizievole come quello del signor Coleman sarebbe sembrato uno spettacolo così assurdo da sembrare improponibile, fuori dal mondo.

Ma sfido, io: il signor Coleman non era un fantasma! Era un buona anima purgante della più perfetta tradizione cattolica! E i cattolici ben sanno (o almeno ben sapevano, in quel tempo) che delle anime purganti non c’è motivo alcuno di aver paura!


Per approfondire:

Francis Young, English Catholics and the Supernatural, 1553–1829 (Routledge, 2016)

Una risposta a "La strana storia di Anne Cherington e del suo fantasma servizievole"

  1. Avatar di Sconosciuto

    Anonimo

    Buona sera mia Signora.

    Come Vi avevo anticipato, ho letto, e riletto, il Vostro bellissimo libro, dedicato alla storia di Samain/All Hallows Eve/Ognissanti.

    Come pensavo, ho verificato la mia ignoranza, imparando, grazie a Voi, cose che non immaginavo nemmeno.

    Come sempre il Vostro stile di scrittura, scorrevole, moderno, ma puntuale, aiuta il lettore, di qualsiasi dotazione culturale sia fornito, ad addentrarsi nel racconto, sorridendo, spesso, per i Vostri simpatici commenti di “alleggerimento”.

    Questo racconto sul buon fantasma Coleman senior, è assolutamente attinente a quanto da Voi descritto in merito ai fantasmi buoni/anime purganti, per i cattolici, e fantasmi terribili/espressioni demoniache, per la campagna di persuasione di massa intrapresa dalle gerarchie protestanti.

    Bello, bello! Tutta la mia gratitudine a Voi, mia Signora, con i miei saluti più cordiali.

    Gian Carlo Stellini

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