Esiste davvero una pubblicazione scientifica secondo la quale le preghiere danno forza al malato?

Non credevo che avrei mai potuto scrivere qualcosa di simile, ma invece sì: «esiste una pubblicazione scientifica secondo la quale le preghiere danno forza al malato», ha dichiarato stamane Sergio Alfieri del Policlinico Gemelli concedendo un’intervista al Corriere della Sera a conclusione della degenza di papa Francesco, a proposito della quale il medico ha commentato: «io posso dire che per due volte la situazione era persa e poi è avvenuto come un miracolo». E, certo, «in questo caso tutto il mondo si è messo a pregare».

È senz’altro inconsueto, nell’Italia del 2025, vedere un medico di specchiata fama che in un’intervista di risonanza internazionale cita espressamente pubblicazioni scientifiche circa l’efficacia clinica delle preghiere. E vedo che la gente infatti sta comprensibilmente cominciando a chiedersi “oh, ma quali sono ‘ste pubblicazioni scientifiche? Voglio leggerle anch’io! Che dicono?”.

Beh: forse forse, posso aiutare nella ricerca!

Non prima però d’aver fatto un paio di premesse.

Tipo: sono un’archivista ecclesiastica, non un medico. Se scrivo boiate, è perché sono un’archivista ecclesiastica e non un medico.
Inoltre: non sono nemmeno dotata di facoltà medianiche. Ovviamente, non ho la più pallida idea di quale pubblicazione avesse in mente Sergio Alfieri mentre parlava con la stampa.

Certo è che esistono centinaia di studi che analizzano i modi in cui il fattore psicologico può avere ripercussioni sul modo in cui un paziente affronta la malattia (non è un mistero che un ottimismo di fondo, una immensa fiducia nei propri medici e una ferrea convinzione di star andando incontro a una guarigione piena possano effettivamente, in talune circostanze, aiutare l’organismo a reagire alle cure in maniera particolarmente lusinghiera. Gira e rigira, l’effetto placebo funziona proprio in virtù di questi meccanismi mentali). Sotto questo punto di vista, è senz’altro vero che, per un credente, sapere che il mondo intero sta pregando per la tua guarigione può senz’altro trasformarsi in un’infusione quotidiana di ottimismo che sicuramente male non fa, nel bel mezzo di un ricovero lungo e delicato.

Ma, lasciando da parte queste considerazioni di buon senso, esistono davvero delle pubblicazioni scientifiche che indagano l’efficacia clinica delle preghiere al netto dei fattori psicologici ben noti?

Sorprendentemente sì, ne esistono alcune, di cui una frequentissimamente citata in ambienti confessionali a motivo dei suoi risultati particolarmente lusinghieri: e se ovviamente non posso sapere quali pubblicazioni avesse in mente Alfieri, il medico del Gemelli mi ha sicuramente dato l’assist perfetto per raccontare qualcosa di curioso a proposito di questa strana pagina di storia della medicina.

Positive therapeutic effects of intercessory prayer in a coronary care unit population: l’esperimento di Randolph Byrd (1988)

Il primo a indagare questi aspetti (con un approccio scientifico degno di tal nome, escludendo dunque un paio di studi clinici così limitati che, a quanto vedo, non se li fila più nessuno) è il cardiologo statunitense Randolph C. Byrd. All’epoca impiegato presso l’unità coronarica del San Francisco General Hospital, il medico sottopose i suoi pazienti a un singolare esperimento di cui fu dato conto sul Southern Medical Journal del luglio 1988 in un articolo dall’eloquente titolo di Positive therapeutic effects of intercessory prayer in a coronary care unit population.

393 pazienti ricoverati presso l’unità coronarica dell’ospedale erano stati smistati randomicamente in due gruppi: un gruppo di preghiera intercessoria (192 pazienti) e un gruppo di controllo (201 pazienti). Non sono note informazioni circa le convinzioni religiose dei malati assegnati all’uno o all’altro gruppo; sappiamo però che, oltre a queste 393 cavie consenzienti, ci furono altri 57 degenti che rifiutarono di sottoporsi all’esperimento in virtù di loro convinzioni personali che li indussero a declinare la gentile offerta (sicché i pazienti che accettarono dovevano essere quantomeno non ostili all’idea).

Fuori dall’ospedale, vi era un numero imprecisato di volontari reclutati da Byrd con uno scopo ben chiaro: pregare quotidianamente per i ricoverati, chiedendo a Dio la grazia di «una guarigione rapida in assenza di complicazioni cliniche o di morte» (questa, la specifica intenzione di preghiera fornita dal medico). Del gruppo di volontari, tutti quanti di fede cristiana, facevano parte cattolici romani ed esponenti di chiese protestanti di varia denominazione; ad accomunarli tutti, c’era una vita di fede attiva, con attitudine alla preghiera quotidiana e con una frequenza regolare presso la comunità ecclesiale di appartenenza.

Ogni paziente del gruppo “preghiera intercessoria” fu randomicamente assegnato a un minimo di tre e a un massimo di sette oranti. «Agli intercessori furono forniti il nome del paziente, la sua diagnosi all’ingresso, un sunto delle sue condizioni generali e, successivamente, aggiornamenti pertinenti sull’andamento del suo stato di salute», spiega Byrd. «La preghiera intercessoria veniva effettuata al di fuori dell’ospedale, su base quotidiana, fino alle dimissioni del paziente». Ovviamente i pazienti non avevano idea di quale fosse il gruppo a cui erano assegnati e, in teoria, anche il personale medico-infermieristico ignorava questa informazione (all’atto pratico vedremo che non era proprio così, ma ci torniamo più avanti).

Dati alla mano, i risultati dell’esperimento parvero notevoli. Per citare le parole dell’autore, «all’ingresso nello studio, l’analisi del quadro clinico e la regressione logistica stepwise non mostravano differenze statisticamente significative tra i due gruppi».

«L’analisi degli eventi successivi all’ingresso nello studio ha evidenziato che il gruppo di preghiera ha avuto meno casi di insufficienza cardiaca congestizia, ha richiesto meno terapie con diuretici e antibiotici, ha avuto un minor numero di episodi di polmonite e di arresti cardiaci e ha necessitato con minor frequenza di intubazione e/o ventilazione».

In virtù di questi elementi, Byrd ha analizzato l’andamento dei ricoveri come segue: «l’andamento è stato considerato buono se, nel corso della degenza, non sono state registrate diagnosi, problematiche o necessità terapeutiche di nuova insorgenza, oppure se si sono verificati eventi che hanno aumentato solo in minima parte la morbilità o il rischio di morte. È stato considerato intermedio in presenza di livelli più elevati di morbilità e di un rischio moderato di morte. È stato considerato grave per i pazienti che hanno registrato la maggiore morbilità, il massimo rischio di morte, o per i pazienti che sono deceduti durante lo studio».

I risultati? Beh, notevoli: «entrambi questi metodi hanno prodotto risultati statisticamente significativi a favore del gruppo di preghiera. Il punteggio di gravità ha mostrato che il gruppo di preghiera intercessoria ha avuto un esito complessivamente migliore (P <0,01) e l’analisi multivariata ha prodotto un valore P <0,0001 sulla base della minore necessità di antibiotici, diuretici e intubazione/ventilazione nel gruppo di preghiera». «Sulla base di questi dati, sembra esserci una ripercussione clinica delle preghiere, e tale effetto sembra essere benefico», scriveva il dottor Byrd nel 1988 al termine di uno studio che, all’epoca, entusiasmò le comunità cristiane statunitensi, alcune delle quali lo citano ancor oggi con entusiasmo.

La comunità scientifica statunitense, per contro, accolse i risultati di Byrd con una grossa alzata di sopracciglia. Sicché l’autore si ritrovò sommerso di critiche, alcune delle quali anche ben fondate: per esempio, a seguito di indagini successive, Byrd si vide costretto a chiarire che, nel reparto di unità coronarica, tutto il personale medico-infermieristico era al corrente dell’esperimento in corso e della sua natura metafisica; peggio ancora, almeno uno dei medici curanti sapeva quali pazienti fossero stati assegnati a quale gruppo (circostanze che avrebbero ben potuto determinare degli enormi bias capaci di inficiare lo studio).

Sicché, l’esperimento di Byrd fu ripetuto da altri ricercatori che cercarono di sanare le criticità emerse per valutare se, epurato da questi elementi inquinanti, lo studio potesse portare agli stessi risultati.

A Randomized, Controlled Trial of the Effects of Remote, Intercessory Prayer on Outcomes in Patients Admitted to the Coronary Care Unit: l’esperimento di William Harris (1999)

Un secondo tentativo fu portato avanti dal dottor William S. Harris, che con la sua équipe firmò un articolo titolato A Randomized, Controlled Trial of the Effects of Remote, Intercessory Prayer on Outcomes in Patients Admitted to the Coronary Care Unit apparso sull’Archives of Internal Medicine dell’ottobre 1999.

Sulla falsariga di quanto fatto da Byrd, 990 pazienti cardiaci ricoverati presso il Mid America Heart Institute di Kansas City furono smistati in un gruppo “preghiera intercessoria” e in un gruppo di controllo. Le loro condizioni cliniche nel corso del ricovero furono analizzate secondo due scale di misura: una, era identica a quella adottata da Byrd nel 1988; l’altra spostava il focus dalla presenza di complicazioni cliniche alle condizioni di salute complessive, secondo gli standard di valutazione del Mid America Heart Institute Coronary Care Unit Scoring System (scala MAHI-CCU). In tal senso, anche i volontari che pregavano per i malati (anche in questo caso, tutti cristiani appartenenti a varie denominazioni) furono istruiti a lasciar perdere la questione “complicazioni cliniche” e a focalizzarsi, nel corso delle loro orazioni, sulla specifica richiesta di un ricovero di breve durata e di una guarigione piena al momento delle dimissioni.

Risultato? Innanzi tutto, «un numero complessivamente inferiore di complicazioni cliniche nei pazienti randomicamente assegnati al gruppo di preghiera», con buona pace di chi aveva deciso di non focalizzarsi eccessivamente su questo fattore: in tal senso, i risultati erano effettivamente «coerenti con quelli riportati da Byrd».

Per quanto riguarda invece le valutazioni basate sui parametri della scala MAHI-CCU, «è stata riscontrata una riduzione dell’11% nei punteggi del gruppo di preghiera (6,35±0,26) rispetto al gruppo di controllo (7,13±0,27)». Insomma, «utilizzando il sistema di valutazione MAHI-CCU, è stato riscontrato che la preghiera intercessoria supplementare, effettuata a distanza e in condizioni di doppio cieco, ha prodotto un miglioramento misurabile negli esiti medici dei pazienti in condizioni critiche. I nostri risultati supportano le conclusioni di Byrd», scriveva il dottor Harris, rincarando di lì a poco: «con due studi randomizzati e controllati che ora suggeriscono possibili benefici della preghiera intercessoria, sembrano giustificate ulteriori ricerche che utilizzino misure di esito validate e standardizzate, nonché variazioni nella strategia di preghiera, al fine di esplorare il potenziale ruolo della preghiera come supporto alle cure mediche standard».

Study of the Therapeutic Effects of Intercessory Prayer (STEP) in cardiac bypass patients: l’esperimento di Herbert Benson (2006)

E un’ulteriore ricerca infatti ci fu. Apparve, nell’aprile del 2006, sulle pagine dell’American Heart Journal col titolo di Study of the Therapeutic Effects of Intercessory Prayer (STEP) in cardiac bypass patients: A multicenter randomized trial of uncertainty and certainty of receiving intercessory prayer. A firmarlo, assieme a un vasto numero di collaboratori, il cardiologo Herbert Benson, celebre per i suoi studi sulle interazioni tra corpo e mente che già da anni portava avanti all’università di Harvard.

L’indagine, ad amplissimo raggio, analizzava il decorso clinico di 1802 pazienti sottoposti a bypass coronarico in sei diversi ospedali statunitensi. Il costo della ricerca (notevole: quasi due milioni e mezzo di dollari) fu interamente sostenuto dalla John Templeton Foundation e dalla Baptist Memorial Health Care Corporation of Memphis, due enti confessionali che senz’altro partivano con le più rosee aspettative e che probabilmente ricevettero una doccia fredda quando lessero i risultati dello studio.

In questo caso, i 1802 pazienti erano stati randomicamente suddivisi in tre gruppi: due seguivano il format ormai noto (il gruppo di controllo e il gruppo dei degenti che non sa di avere un botto di gente che prega per loro); il terzo era stato introdotto su richiesta di Herbert Benson al fine di monitorare se e in che misura la certezza di avere qualcuno che prega per te possa influenzare l’andamento del tuo ricovero. Vale a dire: a 601 partecipanti dello studio fu espressamente comunicato che, , c’erano dei volontari che stavano pregando quotidianamente per la loro guarigione chiedendo a Dio la grazia di «un intervento chirurgico ben riuscito, senza complicazioni, con un recupero rapido e una piena ripresa».

I risultati furono paradossali se non addirittura comici (per noi che abbiamo il lusso di poterli leggere dal divano): i pazienti che avevano la certezza di poter contare sulle preghiere di mezzo mondo furono quelli che se la videro peggio di gran lunga. Quasi il 33% di loro (197 pazienti su 601) andò incontro ad aritmie cardiache, infarti, ictus e/o altre complicazioni gravi nei trenta giorni immediatamente successivi all’intervento: un’ecatombe che, a posteriori, i ricercatori ritengono di poter spiegare con una sorta di… effetto placebo al contrario. «Nel sangue dei pazienti che sapevano di essere oggetto di preghiere da parte di estranei abbiamo riscontrato livelli elevati di adrenalina, un indicatore di stress», nota Jeffrey Dusek dell’Harvard Medical School. È possibile che, venendo a sapere di essere stati effettivamente assegnati al gruppo per il quale venivano richieste preghiere quotidiane, i pazienti abbiano (anche inconsciamente) fatto un ragionamento tipo “oddio, sto messo così male che i medici hanno bisogno di invocare un miracolo per la mia guarigione?”.

Farebbe ridere se non fosse tragico, ma non fu questo l’unico risultato comico di questo studio. Tutto sommato, non andò molto meglio a quei pazienti che erano oggetto di preghiere quotidiane pur senza esserne consapevoli: il 18% di costoro ebbe complicazioni gravi entro trenta giorni dall’operazione; ironicamente, la ripresa più veloce si registrò per quei pazienti per quali non pregava nessuno (solo il 13% ebbe problemi post-operatori). Paradossalmente, i risultati dello studio sembravano suggerire che, se si ha a cuore la guarigione di qualcuno, è bene non pregare affatto per chiedere quella grazia (e comunque, senz’altro non dirgli che lo si ricorda spesso nelle preghiere): conclusioni che strappano un sorriso a dire poco, e che inevitabilmente costringono a riflettere sull’aleatorietà di studi come questi.

Che infatti non furono più ripetuti, o quantomeno non nel rigoroso format suggerito dal dottor Byrd: pareva ormai evidente che i suoi risultati promettenti non erano stati all’altezza delle aspettative sollevate.

Cosa ben diversa, naturalmente, è misurare l’impatto psicofisico di pratiche come la preghiera o la meditazione, oppure indagare se e in che misura le persone fortemente religiose tendano ad adottare stili di vita particolarmente virtuosi che portano con sé un abbassamento dei fattori di rischio per determinate patologie.

E, in questo senso, gli studi scientifici proseguono eccome.

Ma questa è un’altra storia.

33 risposte a "Esiste davvero una pubblicazione scientifica secondo la quale le preghiere danno forza al malato?"

  1. Pingback: Quando sei malato e ti dicono “pregherò per te”… clinicamente, questa preghiera serve a qualcosa? – Una penna spuntata

  2. Avatar di Ago86

    Ago86

    La cosa più importante di studi tipo questi è che misurano la preghiera dal punto di vista psicofisico e dal punto di vista dello stile di vita, e non potrebbe essere altrimenti per uno studio medico o comunque uno studio scientifico; ma tutto ciò non c’entra praticamente nulla con la preghiera, poiché essa consiste nell’elevare l’anima a Dio, non in una pratica di autoaiuto o di benessere psicofisico – è come mettersi a cercare la prova empirica di qualcosa che non è empirico: un controsenso, ma non se ne accorgono nemmeno medici e studiosi.

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    1. Avatar di Sconosciuto

      Anonimo

      Volevo scrivere qualcosa di simile. Aggiungo che gli studi (purtroppo) non tengono conto di “variabili” essenziali. Ad esempio non tengono conto che > 1. la preghiera è soprattutto per la salute spirituale, alla quale può anche seguire la salute fisica certamente, ma questa NON è la conseguenza logica nel cristianesimo. Dipende. > 2. la preghiera cristiana (comunque la si formuli) in realtà chiede a Dio “ciò che è meglio” per una persona (o se vogliamo dirla tutta: una persona e allo stesso tempo la stessa persona in relazione con il consorzio umano, con i disegni personali e “globali” divini). E non è assolutamente detto che Dio ritenga opportuno che il bene di una certa persona sia restare viva e in buona salute su questa terra. Anzi, ci sono diversi motivi (sia nel caso di persona “buona” che nel caso di persona “cattiva”) motivi per i quali il Signore decide per la salute o la malattia, la vita o la morte.

      Paradossalmente (ma anche no dal punto di vista cristiano), potrebbe anche essere che il Signora guarisca qualcuno al 100% per dargli la possibilità di continuare (o cominciare) un percorso di conversione, cioè per “dare tempo” al peccatore. Ma questo noi (dall’esterno) non possiamo saperlo: uno potrebbe essere stato guarito per continuare a fare del bene, alla propria vita spirituale e a quella del prossimo; oppure potrebbe essere stato guarito perché ha passato la vita a fare del male a tutti e adesso gli viene offerta un’altra possibilità che si spera accolga.

      La mia opinione è che non è possibile includere tutto ciò in un esperimento scientifico. Però, variabili come quelle che ho descritto (e qualche altra decina abbondante) potrebbero essere incluse in uno studio interdisciplinare tipo Scienza + Teologia … In pratica un lavoro talmente vasto (che includerebbe, per quanto possibile, la vita dettagliata di ogni paziente e di ogni persona che prega, la loro crescita spirituale, le relazioni con altri, eccetera)

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      1. Avatar di Lucia Graziano

        Lucia Graziano

        Concordo molto con voi, ovviamente, e in effetti per lo stesso motivo rimango anche abbastanza perplessa dal fascino che ricerche come questa possono esercitare su una certa fetta di fedeli. Mi sembra che, in seno alla chiesa cattolica, ormai sia molto ben esperito il concetto per cui la malattia e la sofferenza non sono da evitarsi a tutti i costi, a nessuno viene data una croce più pesante di quella che possa portare, la disabilità e/o comunque le patologie gravi possono in ogni caso essere fonte di gran ricchezza spirituale, etc. etc. E vi dirò: lo studio di Byrd mi ha lasciata così fredda che mi sono anche chiesta se e in che misura abbia influito in questo approccio l’ambiente socio-culturale che l’ha prodotto, sicuramente diverso dal mio (Byrd è protestante, gli USA degli anni ’80 non sono l’Italia del 2025, non ho in effetti idea di quale fosse la posizione delle varie chiese protestanti statunitensi riguardo la malattia, agli inizi degli anni ’80. Dico “agli inizi” perché l’articolo è stato pubblicato nell’88 ma l’esperimento è stato fatto nel 1982, e quindi presumibilmente concepito già qualche anno prima, diciamo verso fine anni ’70?).

        Quindi concordo.

        Però.

        Classico esempio di aneddotica personale che sicuramente non fa statistica ma pare comunque interessante nel contesto di questa discussione: come sa chi mi segue sui social, in questo autunno-inverno sono sparita dai radar perché c’è stata una persona nella mia famiglia che ha avuto grossi problemi di salute corredati da condizioni di considerevole sofferenza psico-fisica (e quindi io dovevo fare la badante, in buona sostanza) (adesso va un po’ meglio, grazie!). Per questa persona, si è molto pregato, tramite i miei contatti (se non altro perché mi ero messa “in aspettativa” e dato la notizia a molti dei miei clienti/contatti di lavoro, che sono composti perlopiù da gente con una vita di fede attiva. Poi alcuni singoli l’hanno saputo e chiesto preghiere nei loro gruppi di preghiera etc, insomma s’è creata una situazione anomala in cui c’era davvero parecchia gente che pregava).

        Osservazione numero uno: salvo rarissimi casi (e comunque casi provenienti da sacerdoti/consacrati e quasi mai dal laicato), tutte queste offerte di preghiera erano espressamente volte alla guarigione (veniva proprio specificato). Complice una storia clinica oggettivamente ricca di colpi di scena, ho ricevuto frequentissime richieste di aggiornamento che chiedevano espressamente conto della situazione clinica (e quasi mai di altro, tipo “com’è l’umore? E voialtri come state?”), talvolta anche un po’ overwhelming (non mi viene in Italiano un aggettivo che renda altrettanto bene la sensazione) per chi si trovava a gestire le comunicazioni. E, per inciso, in alcuni casi ai limiti della violazione della privacy, come se fosse socialmente atteso ricevere aggiornamenti medici quotidiani da condividere con centinaia di sconosciuti sul gruppo di preghiera whatsapp. (E posso assolutamente immaginare che riceverli sia davvero socialmente atteso, visto che oggigiorno il trend è quello di raccontare molto della malattia, propria e dei propri cari, via social).

        Mo’ non vorrei sembrare ingrata e ringrazio moltissimo chi ha pregato per noi in qualsiasi modo, ma registro in maniera fedele il quadro della situazione che ho riscontrato 😅

        Insomma: per la mia esperienza personale, ho avuto la forte impressione che, al di là della teoria che probabilmente condividiamo tutti, all’atto pratico la grossa parte di chi prega per un malato lo faccia davvero con il focus di chiedere la guarigione (e mi pare anche comprensibile, eh), e davvero si focalizzi principalmente sui dettagli clinici prima ancora che su quelli di benessere psicologico/spirituale. Riscontro anche un forte attivismo per quanto riguarda le preghiere per i malati (io personalmente non ne avevo mai chiesta nessuna, mi ero limitata a spiegare che mi assentavo dal lavoro/dai social/dalla vita sociale per la ragione X; le preghiere sono state la fortissima risposta spontanea da parte della gente che via via veniva a saperlo).

        Di questa grande (davvero grande) massa di persone che hanno pregato per la mia famiglia in questi mesi, solo un gruppo ha espressamente detto una cosa tipo “stiamo senz’altro pregando per la guarigione, ma anche e soprattutto per una buona morte se questa fosse la volontà del Signore, e/o comunque per l’accettazione serena della malattia quale che ne siano gli esiti”. Nel mio caso personale (che non fa statistica ma che mi sembra sociologicamente interessante), questo gruppo di persone era attivo in seno al mondo del tradizionalismo cattolico (tipo i Lefebvriani per capirci, anche se nel mio caso non erano Lefebvriani). Ovviamente non posso escludere che anche altre persone pregassero con queste intenzioni ma non ce lo venissero a dire apertamente perché, messa così, poteva suonare come un’affermazione un po’ troppo “forte”.

        (Curiosamente, mi è sembrato di rivivere sui social lo stesso identico pattern comportamentale durante il ricovero di papa Francesco. Anche in quel caso, nelle preghiere dei fedeli, ho notato un grandissimo focus sulla guarigione fisica e ho visto numerosi creator cattolici-tradizionalisti bacchettare i follower dicendo “oh regà: comunque, augurandogli lunga vita, sarebbe comunque bene pregare innanzi tutto per una buona morte”).

        Osservazione numero due, che trovo psicologicamente molto interessante: la persona ospedalizzata che riceveva tutta questa ondata di preghiere (cattolica praticante, inizialmente molto grata e commossa da questo surplus di affetto da parte di perfetti sconosciuti), a un certo punto ha cominciato a manifestare una certa irritazione quando la sottoscritta arrivava dicendo “oh, ieri sera han detto una messa per te” etc. etc. Non era ingratitudine, ma un palese senso di scoramento a fronte del fatto che (cito una frase testualmente pronunciata) “sai che roba: c’è mezzo mondo che prega, da mesi, però intanto tutto quello che poteva andare male ci sta andando”.

        La reazione va contestualizzata nell’ambito di un ricovero ospedaliero che si protraeva da mesi e in condizioni psicologicamente assai sfidanti, ma mi è parsa interessante perché mi ha dato la forte impressione che, in quel contesto totalmente sui generis, quella moltitudine di preghiere fosse, paradossalmente, fonte di stress psicologico e di pessimismo (come a dire “c’è un botto di gente che prega ma qui ogni giorno è un peggioramento continuo, si vede che è proprio destino che io muoia male”). Ho trovato molto interessante rileggere considerazioni simili nello studio di Benson, perché mi sembrano confermare la mia idea (totalmente controintuitiva eh, non l’avrei mai pensato!) per cui, paradossalmente, troppe preghiere possono in alcuni casi fare più male che bene, a livello puramente psicologico (intendo con questo i meccanismi mentali nudi e crudi e scientificamente osservabili, al netto di eventuali effetti soprannaturali della preghiera in sé ovviamente :P)

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        1. Avatar di Francesca

          Francesca

          Grazie mille mille mille per quello che hai scritto. In realtà era ciò che avevo in testa “allo stesso tempo” , e che avrei voluto scrivere come “d’altra parte penso anche che…” però non sono brava a sintetizzare e perciò tralasciai una seconda parte (e una montagna di altra roba proveniente anche per me da esperienze e “intuizioni” personali). In parole povere: la penso sia come ho scritto io prima che come hai scritto tu adesso – e altro ancora. E voglio specificare che questo NON è qualunquismo né voler dare ragione a tutti. È semplicemente la capacità e l’invito a vedere la complessità. Ad un livello (e guardando da una certa prospettiva) può essere valido il discorso A e ad un altro livello e prospettiva può essere valido B e poi C, eccetera. E di nuovo: non siamo nel relativismo. Siamo nella complessità.
          A “dimostrazione” del mio “appoggio” a ciò che hai scritto tu qua sopra… e che mi sono fermata ora a leggere + rispondere… Vedrai comparire a pochi minuti di distanza un’altra risposta per Ago86 … Cioè: avevo giusto appena finito di scrivere proprio QUELLA sul mio notes quando ho visto questa tua graditissima risposta. Grazie! Per “dimostrazione” intendo anche che NON mi ritrovo né in certo tradizionalismo né in certo progressismo. In pratica: io non so dove stare LOL. Scherzo. Facciamo come quando siamo nelle comunità internazionali ecumeniche online che qualcuno alla fine si prende tutti i like scrivendo che l’importante è seguire Gesù ? 😉😇

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  3. Avatar di Francesca

    Francesca

    ecchime 😇 . Dovrei essere riuscita a fare login… ora vedo dopo il click…

    Grazie Mille per l’articolo. Mi ricordo (all’incirca) di tali studi. Credo di averli uditi e seguiti per un po’ al loro secondo round cioè quello “andato storto”… perché ricordo quel discorso e/o dibattiti vari sul significato della variante che una persona sapesse o no di essere “oggetto” di preghiera. Un altro ricordo è che… in tutti i casi, all’epoca, non avendo ancora approfondito abbastanza la mia fede, ero del tutto convinta da quelli che sostenevano il successo di tali studi come “prove” (compreso lo studio andato male al quale avevano dato varie spiegazioni che lo facevano andare bene 😅 …spiegazioni che oggi giudicherei superficiali… Visto che non tenevano conto di un sacco di altre variabili appunto)

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    1. Avatar di Ago86

      Ago86

      Altra cosa che nessuno considera è che molta della gente che prega…non prega, ma o “parla con Dio” o Gli sta chiedendo qualcosa, ma la vita spirituale (se ce l’ha) è spesso solo un modo per stare bene con sé stessi e/o con gli altri – Moralistic Therapeutic Deism, da altre parti chiamato “il Vangelo di Whitney Houston”.

      P.s. Lucia, ti ho mandato un paio di mail, so che ne ricevi tante al giorno ma ce n’è una che ti ho scritto per il compleanno di Claudio.

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    2. Avatar di Lucia Graziano

      Lucia Graziano

      Le spiegazioni che facevano andar bene lo studio andato male me le ero perse completamente. Ma credo fortemente di voler colmare questa lacuna, adesso: che dicevano, in soldoni? 😅😅

      (Anche perché… guardando cinicamente ai risultati nudi e crudi, era uno studio DAVVERO andato molto male 😅)

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      1. Avatar di Francesca

        Francesca

        Lol. I firmly believe… Cioè credo fermamente e fortemente pure io di voler colmare quella lacuna… E se solo la memoria mi assistesse lo farei più che volentieri. Cioè mi ricordo quello che ho scritto. Di sicuro. Alla fine, dopo aver assistito alle presentazioni del divulgatore di turno, dicevi: wow!
        Però apposta non ti ho specificato le spiegazioni perché non me le ricordo con precisione. Ti direi cose troppo vaghe e probabilmente altamente inesatte. Mi dispiace.
        🤔 dunque. Se per caso vuoi provare a rintracciare qualcosa. Mi ricordo di aver appreso queste info sia da diversi “special” in televisione (a testimonianza di certa risonanza mediatica nonché ancora poca diffusione di internet)… e poi mi ricordo di articoli online in un periodo successivo, cioè con più utilizzo di internet…
        In generale, molto in generale, potrei dire (senza alcuna precisione né altre teorie da comunicarti) che li facevano andare bene perché:

        1. mettevano gli studi TUTTI insieme (quindi scusa chi ti dice che l’ultimo è quello fatto effettivamente meglio?) e in più magari aggiungevano qualche altra statistica o dato da altri studi non così ufficiali o così riconosciuti. In più c’erano testimonianze di persone, storie particolari, interviste a medici eccetera “a supporto” ;

        2. davano effettivamente diverse giustificazioni (che NON mi ricordo, appunto) laddove i risultati oggettivamente NON quadravano. L’unica teoria che mi ricordo è quella che hai citato tu… Ma so anche che allora non mi aveva molto convinta, o meglio: non mi pareva che potesse spiegare l’ecatombe di quei risultati… Perciò ascoltai altre cose che mi convinsero.
        A latere, potrei rivelare un pensiero personale mio mentre a quei tempi ascoltavo la parte “evidentemente fallimentare ma è solo in apparenza, aspetta un attimo che ora te la sistemiamo”:  mi venne in mente qualcosa di non molto collegabile in termini scientifici, cioè c’entrava come i cavoli a merenda, però io, ingenua, pensai al passo evangelico che dice che quelli che si mettono in mostra (anche in mostra per pregare) “hanno già ricevuto la loro ricompensa” – e quindi, molto scientificamente 😂 , pensai che la ricompensa non poteva andare ai poveri malati. E insomma, ve l’aveva detto, no?
        Ecco, adesso, sono indecisa se inviare tale confessione personale di quel ragionamento 🙄😅😂 . Ok , dai… ‘na mazzata alla mia self-esteem.

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        1. Avatar di Francesca

          Francesca

          Provo a risollevarmi la self-esteem. Comunque, se mai si valutasse di effettuare uno studio interdisciplinare, il discorso psicologico è sicuramente da considerare (sia in termini di come dirlo e se dirlo al paziente, in base alla sua psicologia che NON è uguale per tutti), e poi sarebbe da considerare pure il fatto biblico-evangelico-teologico. Cioè: se la psicologia ci detta di fare xyz, la teologia biblica ci detta di non mettere troppo in mostra il proprio pregare. Voglio dire: se applichiamo la preghiera cristiana, applichiamola con i suoi criteri. Se applichiamo la preghiera di altra religione, pure.
          …giusto?

          Ciao. Grazie ancora

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  4. Avatar di Francesca

    Francesca

    @Ago86 tuo post del 30 marzo ore 18.39

    Eh, qua apri un altro capitolo, potenzialmente infinito… Anche molto difficile da trattare – nel senso che ne ho sentite “di ogni” riguardo al “cosa è pregare”. Diciamo che, al momento, oltre al classico insegnamento del Catechismo sulle varie forme di preghiera… Per il resto accetto le versioni di alcuni teologi che sembrano (a me) più sensate.

    Sul fatto della vita spirituale come self-help psicologico (ma anche come la scuola detta di psicologia “transpersonale” , se non vado troppo errata) … Che dire? Ciò che mi viene in mente è che alcuni apparentemente “non preganti” magari stanno in realtà pregando più e “meglio” di altri apparentemente “preganti in modo corretto”. Difficile, difficile come argomento. Da un certo punto di vista concordo abbastanza con alcune risposte che ho letto qualche anno fa dal domenicano Angelo Bellon… sia quando ha scritto che un cristiano, in quanto battezzato, prega anche quando dorme (nel senso che l’esistenza del “buon cristiano” è in sé e per sé già una preghiera che sale a Dio, perfino nell’incoscienza del sonno) …sia quando aveva risposto ad un cattolico praticante osservante che si sentiva costantemente “in contatto con” o “alla presenza di” Dio in ogni singola azione quotidiana, cioè la sua mente, il suo spirito era, senza eccezioni o senza pause, rivolto a Dio, epperò praticava poco la preghiera nel senso di recitare le formule classiche. Anche in quest’ultimo caso don Bellon aveva dato l’ok, riconoscendo che esistono casi del genere (da discernere eventualmente se non si è sicuri).

    Insomma… la storia infinita, direi 😅

    Tu come distingueresti, in generale, uno che prega davvero da uno che fa attività psicoterapeutica “in proprio” travestita da preghiera ? … Che poi, per come la vedo io, dopo certe esperienze (ammetto: un po’ fuori della norma – nel senso, purtroppo, di persone intorno a me un po’ troppo fuori della norma con le quali dovevo interagire)… Sembra quasi che attualmente quelli più interessati ad invitare la gente ad una vita spirituale siano proprio gli psicologi. Lo dico perché ci sono alcuni terapeuti che effettivamente hanno “coniato” delle buone formule (anche da leggere ogni giorno se si vuole, le cosiddette frasi motivazionali, per intenderci) con lo spazio da riempire con la propria fede… e se non si ha una fede specifica invitano le persone a dire qualcosa tipo “universo” , “coscienza trascendente” , eccetera… Presumo che sia questo che tu chiami Moralistic Therapeutic etc. E da una parte concordo parecchio con te, dall’altra devo dire che ho incontrato persone davvero “di buona volontà” che invitano tanta gente in mezzo al deserto di oggi ad approfondire , a cercare una spiritualità (whatever it is) come supporto alla psicoterapia … Voglio dire: molto difficile oggi avere un aggancio da qualche parte che proponga la vita spirituale alla gente… E da un certo punto di vista alcuni psicologi e/o ricercatori in quel settore sembrano gettare un ponte non proprio “superficiale” . Eccettuata la mega onda della New Age, non ancora andata in pensione del tutto… Secondo me c’è molto buon lavoro in certa buona (e approfondita) psicologia che sta solo aspettando che qualche buona teologia sviluppi il discorso per entrare in fruttuosa interdisciplinarietà, con i confini chiari e adeguati, ovvio… Però sono sincera: oggi, di fronte a certi studi di neurobiologia, psichiatria e psicologia, ci sono dei “buchi” notevoli in teologia che andrebbero colmati, indagati … O forse, non è che ci sono “buchi” …magari è solo il caso che la teologia ci aiuti a fare discernimento riguardo a conclusioni già esistenti in teologia (e quindi in pastorale ecc.) che però non sappiamo come collegare a certe evidenze (ad esempio evidenze psichiatriche, ad esempio molta gente oggi non-diagnosticata eppure malata di mente che non si sa bene se si può ritenere consapevole o no di ciò che fa… Ti faccio solo un esempio tra mille: esistono i bugiardi patologici – che sono davvero bugiardi patologici nel senso che hanno una patologia che si presenta in vario modo e che sta tra lo psicologico e lo psichiatrico, e che tuttavia consente loro di condurre una vita apparentemente normale. Ecco, oltre a tutti i danni che essi fanno a chi li incontra, la domanda da fare al teologo sarebbe… Come la mettiamo quando essi pronunciano le promesse matrimoniali? Quello è matrimonio valido o nullo? La Chiesa potrebbe o dovrebbe richiedere una diagnosi in caso di dubbi sulla sanità mentale di qualcuno? Sarebbe valida quella diagnosi presso la Sacra Rota? Eccetera. Per dire: oggi ci sono psicologi cristiani che aiutano gente che ha sposato tali individui… e comunque allo psicologo di solito manca un buon link con il vescovo o con il prete… e se anche ce l’avesse… Che fanno?

    Sono andata un tantino di palo in frasca 😄 arrivando di brutto off topic. Ehm. Comunque invio lo stesso sperando di poter dare qualche spunto a te e a qualche altro lettore di passaggio. Per quanto riguarda Lucia: non so se può fermarsi a leggere questo mio papiro 😂 …Se per caso lo fa: sappi che quando un tuo articolo si può collegare anche al settore della ricerca psicologica, apprezzo parecchio. Grazie

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    1. Avatar di Ago86

      Ago86

      Più che “storia infinita” direi che sinceramente né p. Angelo né altri hanno idee a riguardo, e mischiano senza accorgersene aspetti psicologici, spirituali, sacramentali e di ogni. Quanto riportato mostra chiaramente il guazzabuglio di robe fumose che rendono impossibile anche il più elementare degli atti di religione (non di culto, di religione): a che serve tirare in ballo le cose dette da p. Bellon quando la domanda era su tutt’altra cosa? “Un cristiano, in quanto battezzato, prega anche quando dorme” una frase che mostra che con “preghiera” si può intendere qualsiasi cosa – anche la bestemmia, e qualcuno lo ha affermato – per cui ci credo che nasce “una storia infinita” su una cosa semplicissima e basilare.

      Rendere difficile il facile attraverso l’inutile è il motto della Pubblica Amministrazione, ed evidentemente esistono anche burocrati del sacro.

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      1. Avatar di Francesca

        Francesca

        No, ‘speta ‘n atimo. Se allunghi solo di poco poco la mia citazione fino a dove ho scritto “buon cristiano”, magari il discorso si capisce un po’ di più. Sono sicura che padre Angelo abbia specificato tutto il resto, come il fatto di essere “in grazia”, rimanerci, eccetera…e che per pregare non sia sufficiente andare a farsi una dormita. Detto questo, il fatto che abbia “allargato” il concetto all’esistenza “per sé” della persona battezzata… (e di mio lo faccio ancora più largo aggiungendo che si può essere considerati “battezzati” in vario modo – come insegnato da Catechismo) Non mi sembrava una brutta cosa. Ok, se a una persona dici solo quello non va bene, sono d’accordo

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      1. Avatar di Francesca

        Francesca

        ‘speta n’atimo anche qua. Capisco quello che vuole comunicare l’autore dell’articolo. E ha la sua importanza da vari punti di vista. Cioè quell’analisi ha un senso. Ha un suo perché, una sua ragione. Però personalmente AD ESEMPIO sul tema dell’ “essere egoisti” seguo (e sono grata a) ricercatori, psicologi e psicoterapeuti che distinguono tra l’essere self-centered (male) e l’essere self-focused (bene). In pratica, se volessi fare il collegamento interdisciplinare e se la volessi fare davvero breve, il self-focused corrisponde all’evangelico guardare la trave nel proprio occhio e sistemare prima di tutto quella. Ma anche corrisponde all’evangelica consapevolezza che i capelli del nostro capo sono contati e contano!! … e lo sappiamo anche guardando gli uccelli del cielo e i gigli del campo, cioè non lo sappiamo tramite contemplazione del nostro ombelico (self-centered).

        Due punti da chiarire. Perché lo dico in inglese? (e d’altra parte pure tu mi linki dibattito in inglese).
        Perché se voglio approfondire… Là devo andare. Là sono dovuta andare. Nessuna traccia comparabile a quei livelli nella psicologia italiana. Sob 😥
        Secondo punto: ho un’opinione un po’ diversa sull’apporto che può dare anche la psicologia alla vita del cristiano, al cattolico, alla Chiesa. Ovviamente, come scegliamo i teologi “preferiti”, lo stesso facciamo con gli psicologi e le scuole di psicologia.
        Pensa che… da un po’ di tempo meditavo perfino di scrivere sul mio blogghino (semi-abbandonato e pochissimo aggiornato) la “speranza” e le strade che possono aprire (e anzi credo fermamente che abbiano già aperto) certe scuole di psicologia attuali, molto fruttuose per i cristiani stessi e la crescita nella propria fede. Può sembrare un giro lungo… Ma davvero credo che a volte, anche storicamente, non solo per il singolo credente, il Signore prenda il giro largo.

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  5. Avatar di Francesca

    Francesca

    Aggiungo e chiarisco. Per Lucia. Dopo aver riletto la tua risposta e la tua esperienza.

    “tutte queste offerte di preghiera erano espressamente volte alla guarigione (veniva proprio specificato)”
    D’accordo 100% che chiedere una specifica grazia (e/o anche un miracolo) fa parte della preghiera cattolica . Cioè non va in contrasto con altri scenari e altri livelli di “teoria teologica”. In altre parole: sì, credo parecchio anch’io alla “collaborazione” tra Dio e Uomo.

    “all’atto pratico la grossa parte di chi prega per un malato lo faccia davvero con il focus di chiedere la guarigione (e mi pare anche comprensibile, eh), e davvero si focalizzi principalmente sui dettagli clinici prima ancora che (…) “
    D’accordo 100% anche qua. Esperienze personali anche qua. Cioè: posso capire per esserci stata. Della serie: la fede c’è sempre, ma le grandi teorie in certi momenti non sono esattamente la nostra primaria occupazione.

    “una certa irritazione quando la sottoscritta arrivava dicendo “oh, ieri sera han detto una messa per te” 

    Povera !!! (la persona ospedalizzata). Presumo che a quel punto tu abbia capito “the hard way” ciò che dovevi dire o non dire.
    Questo è un altro esempio (e lo scrivo anche per Ago86) – non solo nella tua storia – dove sarebbe molto utile la “buona psicologia” anche per le persone di fede, tra persone di fede. Attualmente in giro per il globo si parla (ad esempio) abbastanza di psicologi “trauma-informed”, come pure di semplice psicoeducazione da diffondere tra la popolazione perché anche amici e parenti di chi ha un problema grave siano persone “trauma-informed”.
    Ad esempio, non lo erano (trauma-informed) le persone che non consideravano il tuo stato mentre ti caricavano eccessivamente di richieste di aggiornamenti. Magari a loro pareva di supportarti (?). .. Per la cronaca: proprio l’uso del termine overwhelmed mi ha richiamato questo pensiero. È tipico nelle definizioni di cosa sia il trauma psicologico [ e se non si è ancora capito, sto facendo la “psicologa de noantri” perché personalmente ho dovuto farlo per questioni personali, e grazie al cielo non ero del tutto digiuna dall’argomento. Ho solo dovuto lavorare a lot sul mio inglese… Proprio perché in italiano… le informazioni disponibili sono quasi zero. Ok ci saranno eccezioni da qualche parte ].
    Ritornando al discorso. Essere tanti giorni consecutivi overwhelmed su vari fronti può anche provocare un certo trauma (non quello delle guerre, dei terremoti e delle alluvioni. È altro tipo di trauma ma è trauma).
    Per la cronaca, dato che ci sono, dico pure questo: negli anni degli studi oggetto del tuo articolo tali discorsi sul trauma (e su come trattare al meglio le persone traumatizzate) erano appena agli albori. Ci sono stati un paio di nessi, finalmente considerati, che hanno fatto cambiare marcia in psicologia e psichiatria (non italiana, ahimé) : i troppi casi dei reduci del Vietnam con il famoso “stress post traumatico” che non rispondevano a nessuna terapia e la situazione delle persone vittime di violenza domestica per decenni prima di avere accesso ad un aiuto, il quale poi non sapeva quali pesci pigliare.

    Ok. Finito .
    Sono contenta che state tutti meglio 💚

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  6. Avatar di Ago86

    Ago86

    Mi dispiace Lucia, non ero al corrente di quello che stavi passando – sono stato lontano da qui da tempo, e non sono sui social…non immaginavo, ti chiedo scusa.

    Forse è tardi, immagino il giorno per abbracciare un medievista fosse ieri, ma dato che tecnicamente non lo sei ti spiace ti abbraccio oggi?

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  7. Avatar di Ago86

    Ago86

    Tornando sull’argomento principale, uno dei grossi problemi della psicologia è che nelle ricerche spesso vengono isolate delle cose (delle “variabili”) che nella realtà non sono mai isolate; e dal punto di vista sperimentale è spontaneo e obbligatorio isolare una variabile per poterne valutare le variazioni in base alle condizioni, ma nessun essere umano “funziona” così: nella persona c’è un’unità di fondo, e cercare di misurare una qualunque cosa ha pochissimo senso anche perché ogni persona ha un background di riferimento entro il quale una “variabile” ha una certa importanza o risponde a “condizioni” che per altri sono indifferenti.

    Il problema più grave della psicologia resta comunque la visione antropologia di riferimento, della quale gli stessi psicologi e psichiatri sono spesso del tutto inconsapevoli. In un libro anni ’60 lessi “la psicologia attuale è come la chimica prima di Lavoisier” (forse anche prima di Cavendish), e le cose non sono molto cambiate da allora. Se ci mettiamo il fatto che la “teologia” oggi è una roba completamente fumosa, che ha perso i termini tecnici e si limita a discorsi che mettono insieme tutto e il contrario di tutto, è completamente esiziale parlare di una collaborazione interdisciplinare.

    Con tutto ciò, nel caso non lo conoscesse segnalo a Francesca: https://disf.org/

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  8. Avatar di Francesca

    Francesca

    @Ago86 al post 2 aprile 07.32

    Il sito lo conosco da tempo immemorabile (e infatti non mi ricordo proprio quando ho cominciato a consultarlo). Ottime risorse e ottimi approfondimenti, senza dubbio.
    Quello che scrivi sulla psicologia vale per certa psicologia probabilmente, anzi sicuramente.
    Non sono esterofila (cioè non mi piace esterofilia né xenofobia), però, man! , quello che ho trovato nella psicologia (leggi ricerca psicologica e applicazioni pratiche) della psicologia d’oltreoceano [meaning US, ma anche di conseguenza in altri luoghi anglofoni] …davvero mi ha fatta sentire come se fossi sbarcata su un altro pianeta.
    Sul tema dell’antropologia di riferimento: appunto. Poi dipende anche a quale scuola psicologica ti riferisci. Comunque, se, in generale, per l’accademia e la pratica italiana attuale ti do ragione almeno per il 90% degli “operatori del settore” (quelli che poi appaiono in tivù e internet come “famosi” raggiungono il 120%)… Se passiamo dall’altra parte del mare comincio a darti ragione solo per un 30-40% . Cioè, dal mio punto di vista: per il 60-70% ➡️ un’evoluzione, una svolta, qualcosa di molto ma molto rilevante è accaduto in quel settore. Dicono: negli ultimi 20-30 anni circa. Tutti i perché, non li so. Ne ho uditi alcuni, ma non sono una specialista. …Come non-specialista, posso testimoniare: ho beneficiato MOLTO dei risultati. Ho utilizzato i risultati. [ Sorry, ma non posso e non voglio dare altre info. Comunque ce n’è abbastanza sulle mie precedenti lenzuolate ] .

    Sempre sull’antropologia di fondo, ad esempio, giusto per menzionare un paio di aspetti: 1. ho trovato un grande rispetto e una considerazione autentica dell’antropologia di fondo dei loro interlocutori. Della serie: è difficile che qualcuno si permetta di predicare dall’alto ad un credente che la sua fede ha rovinato il mondo e bla bla bla.
    2. un sacco di psicologi, terapeuti, coach e altri operatori di “salute psicologica” che dichiarano apertamente il loro credo religioso, la loro fede. A volte la citano anche come supporto al proprio lavoro. Così il paziente / cliente può essere avvisato e/o fare affidamento anche su quell’aspetto.
    Aggiungo un terzo punto: di base, si parla e si attua davvero una collaborazione tra psicologo e cliente per trovare una soluzione o più soluzioni in situazioni complicate (to say the least). Non esiste che lo psicologo si metta in cattedra a giudicare la persona che sta cercando aiuto per sé o per altri. Anzi: è implicito ed è scontato che il suo lavoro può costituire un aiuto in una parte nella vita di una persona. Non può e non è in grado di entrare in tutta la complessità e l’esperienza di una persona.

    Nota sul topic religione: non so se in Italia è cambiato qualcosa negli ultimi 5 o 10 anni, ma… solitamente il credo del professionista era roba riservatissima e da non far trapelare da qualche sfumatura di linguaggio (probabilmente fa parte del protocollo etico italiano degli psicologi. Non ho idea, non lo so proprio). In più, mia osservazione cattivella: presumo che manchino pure di training necessario per non farlo trapelare. Della serie: lo psicologo ateo che guarda storto un ragazzino se per caso gli fa un accenno alla propria fede e lo devia subito su altro argomento… Sintomo che gli interessa proprio un sacco capire il suo paziente 😂 . Oh certo, esistono anche tali figuri, mica dico di no 😁 . Ma non è il caso di fermarsi su quelli. Né di qua né di là. Però “di là” è chiaro che trattasi di grave incapacità umana o di cattiva professionalità.

    Grazie per la conversazione

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    1. Avatar di Francesca

      Francesca

      Aggiungo per chiunque fosse interessato al topic collaterale dell’interdisciplinarietà intesa nel modo più corretto che si può.E inoltre: come agganciarsi al discorso delle “antropologie” diverse in partenza? La strada da fare è lunga… Però è già in qualche modo aperta. Al momento soprattutto al di là del mare 💦

      Cioè… Ago, quando un’associazione come l’APA (sempre al centro di mille polemiche, lo sappiamo) …riconosce e promuove lo sviluppo di studi come questi sul PTG ( A.D. 1996 : post traumatic growth = crescita positiva di un essere umano dopo un trauma. Chi? Come? Perché? Oh, guarda un po’ ! ) …  nei quali comprendiamo anche noi pinchi pallini – leggendo e approfondendo sia in ambito ufficiale che grazie ai pionieri con “lavori in corso” fuori dall’ufficiale – che uno dei maggiori fattori di PTG è costituito dallo sviluppo della spiritualità / religione di una persona … Si può allora intuire il perché, “altrove nel mondo”, molti psicologi suggeriscono ai loro pazienti-clienti di considerare _anche_ la strada spirituale…Ecco, secondo me, qui possiamo ipotizzare un buon aggancio per interdisciplinarietà. Laico, ovvio.

      Nota. I link seguenti riguardano solo studi ufficialmente riconosciuti. Molta più strada e più “avanzamento” di tutto ciò ho trovato personalmente nella _pratica_ dei professionisti con decenni di esperienza diretta “sul campo” (in generale USA e anglofoni).Comunque… Mica da poco la lista riconosciuta ufficialmente dei 5 fattori della PTG :

      https://www.apa.org/monitor/2016/11/growth-trauma

      https://pmc.ncbi.nlm.nih.gov/articles/PMC9449875/

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      1. Avatar di Ago86

        Ago86

        E’ quel “Laico, ovvio” che rende tutti questi approcci interdisciplinari falliti in partenza. Come fare dei convegni su quanto i cambiamenti culturali influenzino le religioni e viceversa (un convegno disf, peraltro recente) porta solo a sussumere l’ottica naturalista nella religione (peggio ancora: con la “spiritualità”), occuparsi di queste cose dal punto di vista psicologico è il Moralistic Therapeutic Deism (che negli anni ’70 era chiamato “spiritualità senza religione”) – con gli stessi identici risultati. Lo dico chiaro e tondo: è l’ottica laica che è sbagliata, e va tolta di mezzo.

        Kafka affermò malinconicamente “Non ci sono più miracoli, solo istruzioni per l’uso”, ora aggiungiamo un bugiardino con la posologia.

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  9. Avatar di ac-comandante

    ac-comandante

    Bisogna sapere se i pazienti migliorati sapessero o no che qualcuno pregava per loro.
    Se qualcuno lo stava facendo e il “diretto interessato” lo sapeva, si può parlare di suggestione.

    Neppure io sono un medico, sono solo un elettricista (e pure sono protestante)…

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    1. Avatar di Francesca

      Francesca

      Capisco che potrebbe sembrare un po’ dogmatico, ma… Potrei suggerire di leggere l’articolo come (possibile) chiarimento della questione?

      Essendo cattolica… Sono costretta a procedere per dogmi, lei capisce.

      [ il mio commento è da leggersi con tono leggero e scherzoso, pur nella serietà del suggerimento avanzato ] 😇

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      1. Avatar di ac-comandante

        ac-comandante

        Beh, quando ho letto di placebo al contrario ho pensato prima di essere più noto di quanto sia, poi di non essere solo, perché mi hanno accusato tre volte di portare spheega:
        1- un mio conoscente si era fatto mettere in auto un’autoradio super-mega accessoriata e gli ho detto che con tutti quegli ammenicoli era più facile che si rompesse rispetto a una meno super-mega: si è rotta.
        2- un altro aveva organizzato il trasloco nella Settimana Santa: gli ho detto che il Venerdì Santo i camion non possono circolare, non mi credeva e non so in che modo è riuscito a far trasferire la camera da letto.
        3- a un tizio che si vantava delle sue flatulenze (sì, esistono! 😛 ) e le esternava pure, avevo detto che un giorno avrebbe potuto avere spiacevoli conseguenze. Che ci sono state. Ci ridono tuttora ma di quanto da me detto e “previsto” non credo si ricordino.

        Ad ogni modo anche noi protestanti preghiamo per qualcuno in difficoltà, meno che per i morti (non sto a spiegare il motivo, ma è, o almeno era, spiegato da un pastore nel canale YT della Chiesa Valdese).

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        1. Avatar di Lucia Graziano

          Lucia Graziano

          Domanda molto a margine, ma: i camion non possono circolare il Venerdì Santo? 😶

          Domanda ritornando più in topic: il mondo valdese non mi è del tutto sconosciuto, ma in effetti il tuo commento mi fa venire in mente che non ho mai assistito a un funerale valdese (non ho mai assistito a un funerale protestante in generale, a onor del vero) e adesso mi fai venire la curiosità di come sia strutturato. Giustamente non c’è la preghiera intercessoria per l’anima del defunto, immagino: quindi la cerimonia funebre viene intesa più che altro come un modo per dire addio al defunto (e magari dare conforto ai parenti in lutto) in un contesto religioso?

          Grazie, è un tema interessante!

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          1. Avatar di ac-comandante

            ac-comandante

            I funerali del protestantesimo classico ormai sono unificati, talora quelli luterani sono in tedesco (almeno a Trieste talora lo facevano) ma sono tutti con lo stesso rituale.

            Sì, sono esattamente così, sobri ed essenziali.

            Per i miei impegni e il mio abitare in altra città non ho avuto occasione di vederne uno anche se i confratelli scomparsi sono ormai sei da quando ho aderito io.

            Ecco il video di cui parlavo:

            Sulla questione dei camion, nel 1997 era così (pare che il personaggio abbia aspettato le 22, anche se gli avevo detto che almeno il letto poteva farlo stare in un Daily (che poteva circolare) di un mio conoscente.

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  10. Avatar di Francesca

    Francesca

    @Ago86 . Post 8 aprile ore 11.19

    [ a parte che, secondo me, dagli anni 70 in qua, molte cose sono cambiate come approccio in diverse discipline. Non molto in Italia, per la psicologia. Molto di più in altri luoghi del pianeta, ed è stata una bella sorpresa anche per me ].
    Comunque… Se Lucia ci ospita ancora un po’, vorrei capire meglio cosa tu intendi.

    Per me, il punto è: se non si tratta di un prete cattolico (o anche di laico osservante) con laurea in psicologia che svolge anche il lavoro di psicologo e che dichiara apertamente di includere princìpi cattolici nella sua opera di aiuto… Non è che gli altri psicologi in generale, come categoria professionale [ e tutte le ricerche accademiche che stanno a monte ], possano “predicare” la propria spiritualità / fede / religione ai loro clienti / pazienti. Possono solo dire, come info bio, la loro fede personale (e oltreoceano molti lo fanno), ma non predicarla di default al paziente ignaro che arriva lì per tutt’altro problema. Non sarebbe appropriato. [ Tipo: te lo vedi uno psicologo che durante una seduta di terapia ti propone di lasciare il cristianesimo e di diventare buddista “che è meglio per la tua salute mentale”?? ] .

    L’approccio laico è l’unica via in questo settore… E di solito, da ciò che ho potuto osservare, gli psicologi (intendo “i migliori”, intendo quelli che applicano anche le ricerche sopra linkate sul PTG, intendo quelli con un livello di umanità che è…tangibile) incoraggiano ad approfondire la spiritualità o religione del paziente, quella già presente [ nota: ho notato che tanti dicono proprio anche il termine religione nelle conferenze, workshops, etc] – nel caso questa sia una parte importante o fondamentale della tua vita. Ad esempio, molti psicologi US ( o figure simili, coach, etc) ti consigliano facilmente di partecipare a qualche gruppo di “supporto” all’interno della tua chiesa (che loro neanche conoscono). Altrimenti, se la persona non ha una fede specifica, possono accennare all’eventualità di allargare la propria visuale verso una ricerca spirituale personale, ma NON ti dicono certo da quale parte andare, e men che meno ti indirizzano a quella roba là “moralistic etc”… Cioè se me ne trovi uno che predichi quella roba, tipo dire ad un paziente con difficoltà psicologiche che può dedicarsi a sperare in “vie misteriose, guardiamo in alto, chi lo sa cosa c’è lassù ma non si sa però magari qualche simil-divinità, speriamo bene che ti faccia passare le malore”... fammelo sapere… Ché sarebbe interessante.
    Insomma , dai, chi lo prenderebbe sul serio OGGI uno così ?
    [ noticina. ammetto che ho trovato qualcuno che predica un po’ di karma, generico tanto quanto il “moralistic ecc”… Mi sembra che oggi vada più di moda il “karma” – in versione che non esiste nell’originale religione ].

    Infine. Quello che, secondo me, può essere utile nell’approccio laico interdisciplinare…, ad esempio: potrebbero essere interessanti delle ricerche su quali fedeli di quale religione affrontano più efficacemente una serie di problematiche che mettono a dura prova la psiche… Ma anche in tal caso, non è che i risultati darebbero [ alla Scienza ] conferma di maggiore validità di una certa religione o di una certa teologia. Come scienziati, potrebbero solo osservare la “filosofia” che “funziona meglio” per gli esseri umani. Non ti darebbero la patente di Verità. E d’altra parte la Verità sulla Fede non la chiediamo a discipline come Psicologia, Psichiatria, Sociologia… ecc.
    Cioè, l’interdisciplinarietà, a mio avviso, può essere utile per molti aspetti, sia alla Scienza che alla Chiesa, a qualche branca della teologia, alla pastorale. Tuttavia, è scontato: ognuno poi sviluppa il livello più specifico di sua competenza in spazi nei quali non c’è overlapping.

    (In ogni caso… Credo di averlo già scritto in uno dei miei primi commenti che certi studi non sono possibili a livello scientifico, a meno che non si entri in una vastità di variabili che… probabilmente, ad oggi, pochi sono disposti ad affrontare. Se non altro per questioni finanziarie. Cioè: non ti finanzia nessuno per tali ricerche)

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    1. Avatar di Ago86

      Ago86

      Moralistic Therapeutic Deism (MTD) has five basic tenets:

      • A God exists who created and orders the world and watches
        over human life on earth.
      • God wants people to be good, nice, and fair to each other,
        as taught in the Bible and by most world religions.
      • The central goal of life is to be happy and to feel good about
        oneself.
      • God does not need to be particularly involved in one’s life
        except when he is needed to resolve a problem.
      • Good people go to heaven when they die.

      Sul resto del tuo commento sono d’accordo. Il problema fondamentale non può nemmeno essere toccato dalla psicologia, e in effetti se molti confondono il benessere psicologico (le cui diverse definizioni possono essere discusse all’interno della psicologia) trasportandolo al piano “spirituale” non è nemmeno colpa di studiosi e terapeuti – e lacrimevolmente questi ultimi non possono risolvere il VERO problema né individuarlo entro i limiti della loro professione.

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