I rituali attorno alla morte del papa – nel Medioevo

Sarà un funerale diverso da tutti i precedenti, quello a cui assisteremo sabato 26 aprile: e, una volta tanto, affermazioni di questo tenore non sono un esercizio di retorica, visto che pochi mesi prima della sua morte papa Francesco ha apposto la sua firma a una riforma dell’Ordo Exsequiarum Romani Pontificis che snellisce in maniera significativa molto di quel cerimoniale che, da tradizione, ruota attorno alla morte d’un papa.

Uno dei primi cambiamenti l’abbiamo già visto in atto (il corpo è esposto non su un catafalco ma, più semplicemente, all’interno di una bara aperta), e altri li vedremo nei giorni a venire. Ma visto che qui siamo gente che ama lasciarsi incuriosire dal passato, più che fantasticare sul futuro prossimo, ho pensato che male non farà l’offrire ai miei lettori un breve excursus di ciò che sono stati, attraverso i secoli, i funerali dei pontefici. A partire dalla prima, strabiliante verità:

In origine, i funerali del papa erano identici a quelli di un comune vescovo

    Sorprendentemente, bisogna attendere l’anno Mille per trovarsi di fronte a un cerimoniale specifico riservato in via esclusiva al vescovo di Roma: fino a quel momento, i riti funebri che ruotavano attorno alla figura del papa erano in tutto e per tutto identici a quelli che erano in uso per un qualsiasi altro vescovo. A darcene testimonianza, c’è un passo tratto dalla Vita di papa Benedetto III († 858), una delle pochissime fonti altomedievali a descrivere con un buon grado di dettaglio i funerali d’un papa. Ebbene: quando il pontefice morì, i presbiteri e diaconi della diocesi di Roma, raggiunti dai vescovi delle altre diocesi adiacenti, si riunirono per raccomandare al cielo l’anima del defunto celebrando la messa esequiale, di cui ci viene data succinta descrizione. A giudicare da quanto scrive il biografo, si trattò certamente d’una cerimonia solenne, ma non diversa da quella che all’epoca veniva tributata a qualsiasi vescovo, specie se a capo di una diocesi ricca e importante. Insomma: a giudicare da quel testo, ai tempi di Benedetto III non esisteva una ritualità specifica appositamente formulata per i funerali del papa; e, d’altro canto, neanche il Liber Pontificalis composto all’epoca di Felice V († 530) dà conto di cerimonie particolari appositamente approntate per l’occasione.

    Chi oggi si stupisce per la semplicità studiata con cui papa Francesco ha voluto disporre il suo funerale, resterebbe probabilmente assai sorpreso di fronte alla totale ordinarietà del funerale di un pezzo grosso come (che ne so) Gregorio Magno.

    Il papa veniva sepolto senza paramenti

    A proposito di Gregorio Magno: era stato proprio lui, nel 595, a disporre che i defunti papi venissero condotti sul luogo di sepoltura indossando semplici vestiti, e senza l’aggiunta di abiti liturgici come la dalmatica, con cui spesso erano state rivestite le salme fino a quel momento.

    Non per altro, ma per ragioni di decoro pubblico: durante la processione funebre di papa Giovanni I († 526), la folla impazzita aveva preso d’assalto il feretro per fare a brandelli la veste dalmatica che era stata posata al di sopra dei vestiti del pontefice. E se Gregorio Magno non aveva dubbio circa il fatto che l’assalto al cadavere fosse stato compiuto «per amore» e «in segno di riverenza verso la santità del defunto», diciamo che lo spettacolo non era stato esattamente edificante, a voler usare un pietoso eufemismo. E il fatto che qualcosa di simile si fosse ripetuto anche per i pontefici venuti dopo Giovanni I (ancorché in maniera più civilizzata: con le vesti liturgiche che venivano rimosse poco prima della sepoltura, tagliate a pezzetti da un incaricato e distribuite ordinatamente ai fedeli) era parso, se possibile, ancor più preoccupante agli occhi attenti di papa Gregorio.

    Ché un pontefice morto non è necessariamente un santo, per quanto i fedeli possano averlo amato; e a nessuno giovava che i defunti papi fossero trattati come tali, con tanto di distribuzione di “reliquie” che rischiavano di creare disorientamento nei fedeli (oltre ad alimentare un mercato di souvenir cadaverici a dir poco di dubbio gusto). E allora, che i vescovi di Roma vadano incontro a cerimonie solenni, capaci di lasciar spazio alla memoria affettuosa e ai congrui onori – ma senza per questo voler necessariamente trasformare il papa in santo.

    E spogliarlo dei paramenti pareva un buon modo – tra i molti – per far passare il non sempre facile concetto.

    Muore un papa, ma non la Chiesa (quindi non svaligiate la casa al morto, cortesemente, grazie)

    Purtroppo o per fortuna, la caccia alle reliquie non si limitava alle vesti indossate dal papa durante i funerali. Innumerevoli fonti storiche ci danno conto del malcostume di saccheggiare (in senso anche molto letterale!) le stanze del defunto papa all’interno del palazzo apostolico… che, non a caso, ancor oggi vengono sigillate con tanto di ceralacca e alla presenza di testimoni, in un’eco millenaria di quanto una volta accadeva a Roma ogni qualvolta che il Vaticano si colorava a lutto.

    I ladri che si introducevano nelle stanze del defunto papa non guardavano al valore intrinseco della refurtiva in sé: ciò che a loro interessava sopra tutto era mettere le mani su oggetti d’uso quotidiano (cioè, quelli più frequentemente venuti a contatto con il corpo del pontefice), da ridistribuire poi alla stregua di reliquie (e certamente ben monetizzabili, sol per quello). (Di tanto in tanto, capitava anche che i palazzi pontifici fossero saccheggiati da ladri più pragmatici: nel 885, il neo-eletto Stefano V scoprì con un certo stupore che qualcuno aveva fatto irruzione nelle stanze del suo predecessore rubando gioielli, vasi sacri e oggetti liturgici d’oro, in un furto che aveva l’aria d’essere stato ben poco devozionale).

    A tal proposito, è francamente tragicomico un aneddoto che ci viene riferito dai biografi di papa Leone IX: nella mattina del 18 aprile 1054, in tutta Roma cominciò a spargersi la voce che il pontefice fosse entrato in agonia. Sicuramente il papa non stava bene (sarebbe morto il giorno successivo), ma era ancora decisamente vigile e cosciente nel momento in cui i suoi collaboratori lo informarono del fatto che, dandolo già per morto, i Romani avevano allegramente iniziato a saccheggiare casa sua in Laterano, «come erano soliti fare alla morte d’un pontefice». La cosa notevole è che Leone IX se la legò al dito, e – se dobbiamo dar retta al biografo – usò le sue ultime forze per dettare dal letto di morte una riflessione sul ruolo del pontefice e sul rispetto che è doveroso tributargli.
    Qualcosa sulle linee di: se, con la morte del papa, viene a mancare un uomo, giammai verrà a mancare la Chiesa, di cui quel singolo uomo è stato messo a capo per un breve lasso di tempo. Dunque, poiché è alla Chiesa (e non al singolo uomo) che appartengono i beni contenuti all’interno del palazzo apostolico, non solo è fortemente irrispettoso, ma è anche proprio concettualmente illogico, che i fedeli si ostinino a volerseli portar via.

    Vagamente surreale, il pensiero di un papa agonizzante che passa i suoi ultimi momenti di vita a tirare accidenti ammonire quei cafoni di Romani che gli stanno svuotando casa mentre lui muore, ma la Storia della Chiesa è così bella perché sa sempre come sorprendere.
    E, a ogni buon conto, il rant di Leone IX dal suo letto di morte ebbe il risultato di portare buon frutto: le ferme parole del papa (coadiuvate probabilmente da una maggior sorveglianza da parte degli organi preposti, a evitare il ripetersi di simili scandali) riuscirono effettivamente a porre fine a questo malcostume.

    E probabilmente non è un caso che, dopo la morte di Leone IX, i funerali dei pontefici abbiano gradualmente cominciato a evolversi in un qualcosa di nettamente differente rispetto alle esequie tributate a un prelato “comune”: il fulcro stava appunto nella necessità di sottolineare, agli occhi dei fedeli, che… , il singolo papa è morto, e dispiace, ma la Chiesa non resterà mai senza una guida. La barca di Pietro ha sempre qualcuno a reggere il timone.

    Pietro Ameil: il confessore dei papi, che detta le regole sui loro ultimi istanti in terra

    Se già a partire dall’anno Mille la ritualità attorno ai funerali dei papi aveva gradualmente cominciato a cambiare, per avere un cerimoniale funebre pontificio propriamente detto, e messo per iscritto con i tutti i crismi del caso, bisogna aspettare il 1370 (circa). A comporlo fu il vescovo Pietro Ameil († 1400), che in quanto confessore personale dei papi Gregorio XI e Urbano VI aveva avuto modo di assistere più d’un pontefice nell’ora estrema della morte.

    E, forte di questa sua esperienza, aveva voluto chiarire un po’ di cose.

    Coerente al suo ruolo di confessore, Ameil riteneva innanzi tutto che la preparazione dei funerali del papa dovesse necessariamente incentrarsi sulla sfera spirituale. Nel momento in cui i medici del papa si fossero resi conto che «la morte si avvicina e che non è in loro potere ritardarla oltre», avrebbero dovuto comunicare la situazione con tutta franchezza, incoraggiando il malato a cominciare a pensare «alla sua anima e alle sue cose». Se ancora non aveva provveduto, il papa avrebbe dovuto affrettarsi a dettare il suo testamento, alla presenza del maggior numero possibile di cardinali, avendo cura di destinare una congrua somma di denaro ai collaboratori che lo avevano servito fedelmente nel corso negli anni. Di fronte ai porporati, il papa avrebbe inoltre avuto cura di dichiarare di essere intenzionato a morire «nell’unità della fede», chiedendo perdono per qualsiasi mancanza che egli dovesse aver avuto nel corso del suo pontificato.

    Nell’imminenza della morte, ovviamente, il papa avrebbe ricevuto i sacramenti; uno dei suoi collaboratori avrebbe dovuto aver cura di tenergli una croce davanti al viso, facendogliela baciare frequentemente «a memoria della passione di Cristo». Prima ancora del decesso, il cardinale camerlengo avrebbe fatto bene a mettere sotto chiave tutti gli oggetti appartenuti al papa, con particolare cura per quelli che erano stati maggiormente a contatto col suo corpo (a testimonianza del fatto che la caccia alla reliquia era diventata impraticabile, ma non era ancora passata di moda). Il cerimoniale di Ameil si spinge addirittura a elencare gli oggetti considerati maggiormente a rischio: la tovaglia dell’ultima cena, le stoviglie utilizzate per l’ultimo pasto, il rasoio e i tovaglioli usati dal barbiere per curare il viso del papa per l’ultima volta.

    Due, i cambiamenti di rilievo introdotti dal cerimoniale di Ameil, in contrasto con quanto era stato prescritto nei secoli passati. Innanzi tutto, la salma del papa avrebbe potuto e dovuto essere vestita con ogni onore, e con ampio ricorso a quelle vesti liturgiche di cui Gregorio Magno aveva vietato l’uso: il defunto sarebbe sceso nel sepolcro indossando sandali bianchi, cingolo, subcintorio, fanone, stola, tunicella, manipolo, dalmatica, pianeta e pallio. Sul capo sarebbero state posate la berretta e la mitra; il fanone avrebbe dovuto essere piegato sulle spalle come se il defunto fosse in procinto di celebrare. Il feretro, circondato da candele accese, sarebbe stato ricoperto di drappi di seta bianca e rossa: solo a quel punto si sarebbero aperte le porte del palazzo apostolico, per permettere ai cardinali e poi ai fedeli di accomiatarsi con un ultimo saluto.

    Secondo cambiamento: i funerali, che fino a quel momento si cercava di celebrare in tempi ridottissimi, avrebbero dovuto tenersi non prima di nove giorni dal decesso, al termine di una novena di preghiera che era stata presumibilmente istituita allo scopo primario di “occupare il tempo” nell’attesa che tutti gli interessati potessero raggiungere Roma.

    Chi erano questi interessati? Beh, ovviamente e principalmente i cardinali: nel 1274, con la costituzione Ubi periculum, papa Gregorio X aveva istituito le regole (alcune delle quali, ancor oggi in vigore) che regolavano il conclave il moderno. Tra di esse, v’era anche quella che ingiungeva a tutti gli elettori di riunirsi nel decimo giorno dopo la morte del pontefice e non più tardi, per dare il via alle votazioni.

    Ma questa è un’altra Storia. E ci sarà tempo, poi, per raccontarla.


    Per approfondire:

    Agostino Paravicini Bagliani, Morte e Elezione Del Papa. Il Medioevo (Viella Libreria Editrice, 2013)

    6 risposte a "I rituali attorno alla morte del papa – nel Medioevo"

    1. Avatar di apheniti

      apheniti

      Molti aneddoti che non conoscevo!! Tra l’altro io sono sicura che Leone IX abbia proprio tirato accidenti, non ammonito 😀 😀 😀 E mi è venuta in mente la scena del Marchese del Grillo in cui il marchese fa suonare a morto tutte le campane di Roma con il papa ancora ben vivo…

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      1. Avatar di Lucia Graziano

        Lucia Graziano

        Quello pare sia successo con Pio XII, i giornali ne avevano annunciato la morte quando il poveraccio era decisamente in agonia, ma ancora vivo 😅

        E… sì, ecco, ho anche io come il sospetto che Leone IX non si sia fermato alle ammonizioni 😂

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