Di quando cercarono di buttare in Tevere la salma di Pio IX

Senz’altro abbiamo assistito a un evento epocale, stamattina, nel guardare la salma d’un papa che lascia piazza San Pietro tra due ali di folla ovante per raggiungere il suo luogo di sepoltura attraverso un corteo funebre che si snoda tra le vie di Roma.

Ma la cosa epocale non sta nel “lascia piazza San Pietro per raggiungere il suo luogo di sepoltura” (scelta normalissima, come notavamo ieri), quanto più nel dettaglio per cui lo fa “tra due ali di folla ovante”: strano ma vero, la scena che più m’è rimasta impressa è stata quella in cui, al confine con Città del Vaticano, polizia e carabinieri si sono affiancati al carro funebre per scortarlo tra le vie della città, in un corteo che non avrebbe potuto essere più entusiasticamente partecipato.

Wow”, ho pensato mentre guardavo quelle immagini, memore di com’era andata l’ultima volta che in Vaticano avevano fatto l’incauto tentativo di organizzare qualcosa di vagamente simile: correva l’anno 1881 e a essere trasferita lungo le vie di Roma era la salma di Pio IX, che a sua volta aveva espresso il desiderio d’essere sepolto in una chiesa diversa da San Pietro.
E, a volerla dire eufemisticamente, in quella circostanza la cosa non andò proprio benissimo.  

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Molte volte, in questi giorni, s’è detto che l’ultimo pontefice a sepolto al di fuori di San Pietro fu papa Leone XIII, nel 1903. Verissimo, ma mi rifiuto di considerarlo rilevante ai fini di questo articolo, visto che il defunto fu interrato in una tomba temporanea e solo nel 1924, a più di vent’anni dal decesso, fu trasportato nella chiesa che aveva indicato come sua ultima dimora, attraverso una traslazione che peraltro si svolse nel cuor della notte e in totale segretezza. Diciamo che, sotto questo punto di vista, quello di Leone XIII non è neanche remotamente paragonabile al corteo funebre che oggi ha accompagnato il viaggio di Francesco al di là delle mura vaticane: quindi, mettiamolo da parte.

Qualcuno potrebbe giustamente chiedersi “ellamiseria: e che aveva fatto, di male, Leone XIII? Cosa avevano in testa, in Vaticano, per organizzare un corteo funebre top secret, notturno e differito di vent’anni per trasferire la salma di ‘sto poveraccio?”.
Avevano in testa il ricordo di ciò che era successo l’ultima volta che un papa aveva attraversato la città di Roma in un corteo funebre: correva l’anno 1881, come dicevo, e a essere trasportata nel suo luogo di sepoltura era la salma di papa Pio IX. E, come dire: si presentò qualche problemuccio.

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Sarebbe stato bello poter scrivere questo articolo senza il rumore di fondo delle polemiche che in questi giorni hanno accompagnato le scelte del governo italiano in materia di lutto nazionale. Spererei di poter sobriamente lasciar da parte la questione rassicurando sul fatto che io vorrei proprio parlare di Storia, e non fare commenti sui fatti d’attualità che se non s’attualizzavano mi facevano anche un favore, togliendomi dall’imbarazzo di dover fare ‘sta premessa.

Certo è che, se ai tempi di papa Francesco il governo italiano è stato accusato d’esser eccessivamente ossequioso nei confronti del suo vicino d’Oltretevere, ben difficilmente si sarebbe potuta dire la stessa cosa guardando ai rapporti tra Italia e Vaticano negli anni di Pio IX. È quasi ridondante ricordare che la breccia di Porta Pia non era stata propriamente un toccasana per i rapporti diplomatici tra i due Stati: in quel periodo, tra il clero e la nascente Italia volavano scomuniche, anatemi, minacce e parole grosse, in un clima di tensione crescente che si rifletteva su tutta la popolazione. Lavorando per anni su carte d’archivio provenienti proprio da quello spazio-tempo, vi posso garantire d’aver visto nella comunità cattolica un livore anti-stato che manco ai tempi del lockdown, e d’aver letto in molti ferventi patrioti un anticlericalismo velenoso e mandatorio che per molti giovani si trasformava in moda.

Dato il contesto, non fu forse una grande idea per Pio IX chiedere d’essere sepolto al di fuori di San Pietro; ma l’ultimo papa re aveva il forte desiderio di poter riposare all’ombra di San Lorenzo fuori le Mura, operando una scelta senz’altro inconsueta ma proprio per questo ancor più ricca di significato. Papa Mastai-Ferretti, che aveva da sempre nutrito un grande amore per la Chiesa delle origini e che nel 1852 aveva istituito la Pontificia Commissione di Archeologia Sacra, era particolarmente legato alla basilica di San Lorenzo, che visitava spesso e volentieri. Nel corso del suo pontificato, aveva promosso scavi archeologici nella parte costantiniana di quell’antica chiesa che, nei primi secoli, un paio di pontefici avevano scelto come loro luogo di sepoltura: e fu senz’altro meditata la scelta di Pio IX di mettersi sulle loro orme, chiedendo appunto d’essere seppellito in quel luogo.

Il problema è che San Pietro e San Lorenzo distano circa 6 chilometri: 6 chilometri che si snodano attraverso una città che, fino a poco prima, i papi avevano sempre considerato, e legittimamente, cosa loro, ma che… beh: ai tempi di Pio IX, non lo era più. Far attraversare mezza Roma alla salma di pontefice è un’operazione che richiede un certo dispiegamento di forze e una collaborazione internazionale ben oliata, lo abbiamo visto oggi: e alla morte di Pio IX, c’erano i presupposti per immaginare un corteo funebre come quello cui abbiamo assistito stamattina?

Direi proprio di no. Ad aggravare la situazione, la circostanza per cui tutti gli Italiani avessero ancora negli occhi il solenne funerale di re Vittorio Emanuele II, morto esattamente un mese prima del papa-re detronizzato: da qualsiasi punto di vista la si volesse guardare, sarebbe sembrato francamente imbarazzante (se non apertamente polemico e provocatorio) mettersi in testa di organizzare per Pio IX un corteo funebre solenne che, in quelle circostanze, avrebbe avuto come minimo il sapore di un confronto.

Certo è che il defunto papa era stato esplicito circa i suoi desiderata; e che bisognava pur trovare un modo di trasportare a San Lorenzo questa benedetta salma.
Come fare? Come non fare?
In Vaticano, decisero innanzi tutto di prendere tempo, stabilendo che, dopo una prima sepoltura temporanea, la salma sarebbe stata traslata a San Lorenzo in un secondo momento, quando la chiesa si fosse dotata d’un sepolcro adeguato in cui accoglierla. Senza fretta.

Due anni più tardi, si pensò ingenuamente che i tempi fossero maturi per procedere a una traslazione che, nelle intenzioni del Vaticano, avrebbe dovuto svolgersi senza clamore.
“Senza clamore” voleva dire “in segretezza assoluta”, senza cioè darne comunicazioni ai fedeli: l’idea era quella di organizzare un trasporto notturno che sarebbe partito da San Pietro alla mezzanotte del 13 luglio, utilizzando un anonimo carro funebre al cui seguito avrebbero viaggiato non più di quattro carrozze, aventi a bordo gli alti dignitari del Vaticano.

Le processioni funebri nel cuor della notte non erano inconsuete, per l’epoca; le traslazioni top secret lo erano decisamente di più, e ben rendono l’idea del clima di tensione che doveva respirarsi in quegli anni. In ogni caso, i pii progetti di segretezza non ebbero mai modo di realizzarsi, ché un giornale romano ricevette una soffiata su quanto si stava organizzando e decise di pubblicare lo scoop. Sicché, nella sera del 12 luglio, piazza San Pietro cominciò a popolarsi di vecchine col rosario in mano, giovanotti a cavallo, famigliole in carrozza e volenterosi fedeli appiedati: una vasta massa d’umanità che ci teneva tantissimo ad accompagnare il papa in quel suo ultimo viaggio. Sicché, quando il carro funebre cominciò a muoversi, tutta questa brava gente gli andò dietro, contribuendo a togliere ulteriori strati di segretezza a una traslazione che ormai era diventata decisamente molto pubblica.

Nel libro che ha dedicato a Pio IX, Andrea Tornielli si affida alle memorie di Pietro Vigo (+1918) per descrivere quanto accadde a quel punto. “Fu scritto che ben più di centomila persone attendessero il passaggio del carro”, scrive lo storico ottocentesco (per quanto le analisi dei suoi colleghi d’oggi si attestino su un più modesto 2000 circa. Che comunque non è poco, se stai cercando di non dar nell’occhio). “Le finestre delle case si illuminavano come d’incanto e sul carro si gettavano fiori”, cosa peraltro non implausibile, ché Pio IX era stato un papa amatissimo dai cattolici; e “quest’ultimo tributo di riverenza e di affetto fu interpretato quale provocazione” da molti di quei patrioti che, al contrario, vedevano la presenza del papa a Roma come un insulto intollerabile al neonato stato d’Italia.

E, a questo punto, sarà il caso d’aggiungere il dettaglio per cui il giornale che aveva ricevuto la soffiata e pubblicato la notizia non era esattamente un foglio parrocchiale: era La Capitale, un quotidiano pubblicato da Sonzogno che si caratterizzava per il suo anticlericalismo radicale. Il motivo per cui la redazione aveva pubblicato la notizia non era quello di fare un piacere ai fedeli riverenti: e infatti, “giunto il corteo funebre di Pio IX […] a piazza Rusticucci” (all’inizio cioè dell’attuale via della Conciliazione), “si udirono le prime grida ostili e le strofe di una canzonetta popolare, venute su da alcuni giovinastri”. Sulle prime sembrò un episodio isolato, scrive Pietro Vigo, ché i manifestanti scesero presto a più miti consigli: ma questo, unicamente “perché fu consigliato a loro da persona di comune intesa per frenare la loro impazienza e dare svolgimento alla combinata dimostrazione ostile un poco più tardi“.

Sì, perché un gruppetto di manifestanti aveva organizzato una protesta nel setting scenografico del ponte di Castel Sant’Angelo: e lì “incominciavano le grida: «A fiume il Papa… Viva l’Italia, viva Garibaldi, morte al Papa e morte ai preti!». Passato il ponte, le preghiere in suffragio dei defunti furono nuovamente disturbate dalle grida di «Viva l’Italia, abbasso i preti! Abbasso le pagliacciate!». Altri poi si aggiungevano gridando: «Fuori i moccoli che passa il carnevale!». Si cominciò a cantare «Marianuccia, Marianella, biondina cara addio» e strofette popolari anche più sconvenienti”.

Messa così fa anche un po’ ridere, al di là della mancanza di rispetto. Meno divertente diventa il leggere che “dinanzi al feretro non furono solo mandate maledizioni e ingiurie, ma furono lanciati anche sassi”, e “certo è che furono impegnati dei coltelli e che furono strappate con violenza le torce di mano e spente sul viso di chi le portava” (!). I manifestanti tentarono addirittura di prendere d’assalto il carro funebre per gettare la bara nel Tevere (!), e solo l’intervento delle forze dell’ordine (che ovviamente erano presenti, nel presentimento di inevitabili contestazioni) riuscì a evitare che i facinorosi mettessero effettivamente le mani sulla cassa.

Ciò non di meno, scrive Pietro Vigo, “i sassi, le imprecazioni, le grida, le bestemmie, le canzoni volgare e oscene, il canto dell’inno di Garibaldi, della Camicia rossa… accompagnarono il funebre corteo sino alla basilica di San Lorenzo”, dove fu necessario sfoderare le baionette per evitare che i manifestanti si facessero venire qualche altra strana idea.

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Quanti erano, in tutto, questi facinorosi? Non più di trecento, ed evidentemente non tutti coordinati tra di loro, viste le testimonianze che riportano di come i gruppi più organizzati si siano visti costretti a intervenire per frenare le incaute proteste dei “giovinastri” che rischiavano di scombinare i loro piani.

Ammesso e non concesso che spegnere torce in faccia alla gente possa essere derubricato a reato minore, trecento persone che scendono in strada con l’intenzione di far danno sono già una discreta massa critica: e, nei giorni immediatamente successivi, molti notarono che la protesta avrebbe facilmente potuto trasformarsi in rissa e anche in tragedia, se gli accompagnatori del feretro (e le forze dell’ordine scese in campo per difenderli) avessero deciso di rispondere alle provocazioni.

Ma, fortunatamente, non fu così: le forse dell’ordine si limitarono a mantenere le distanze tra i due gruppi, intervenendo solo nei momenti più concitati, e i fedeli che accompagnavano il feretro ebbero la lucidità sufficiente per capire che il richiamo evangelico a porgere l’altra guancia costituiva la strategia migliore in quel momento – se non altro, in termini di PR. Ché la notizia di questa scena ben poco edificante fece rapidamente il giro del mondo, suscitando indignazione generalizzata… e creando all’Italia non pochi grattacapi. Il primo ministro, Agostino Depretis, si trovò costretto a rilasciare dichiarazioni stampa in cui chiariva che i tumulti erano stati provocati ad arte da un gruppo di facinorosi ben noti per essere agitatori di folle – e senz’altro era vero. Certo è che l’Italia non ci fece una grande figura, e che Leone XIII tuonò tutta la sua indignazione arrivando al punto di minacciare di abbandonare Roma in segno di protesta; ed è eloquente la segretezza totale con cui, anni dopo, il Vaticano scelse di procedere al trasporto della sua salma, quando fu il momento. Il trasporto avvenne nel cuore della notte, la notizia fu trattata con la massima riservatezza, le strade di Roma erano piene di soldati pronti a intervenire in caso di disordini che ubbidivano diligentemente ai loro superiori ma non avevano la più pallida idea del perché fossero stati mobilitati. Era il 22 ottobre 1924: e che distanza siderale da quanto abbiamo visto oggi, a poco più di cent’anni da quel giorno.

Chissà in che toni avrebbe commentato lo spettacolo d’oggi la redazione de La Civiltà, il quotidiano radicale che nel 1881 aveva indirettamente dato il via alla protesta. All’epoca dei disordini, aveva accolto la notizia senza il minimo senso di colpa, e anzi con un certo compiacimento. “Roma ha accolto questa manifestazione come si meritava”, scriveva nei giorni immediatamente successivi ai fatti, “e il potere temporale può scrivere nelle pagine della storia che il convoglio funebre dell’ultimo suo rappresentante […] non poté attraversare le vie di Roma senza essere scortato e difeso, come il carrettone dell’accalappiacani”.

Tu guarda a volte come cambia il mondo.


Per approfondire:

  • Andrea Tornielli, Pio IX. L’ultimo papa re (Mondadori, 2021)
  • Agostino Paravicini Bagliani, Maria Antonietta Visceglia, Il Conclave. Continuità e mutamenti dal Medioevo a oggi (Viella, 2019)

20 risposte a "Di quando cercarono di buttare in Tevere la salma di Pio IX"

  1. Avatar di ac-comandante

    ac-comandante

    Da qualche parte si legge più crudamente che quella che volevano buttare nel fiume era “la carogna” di Pio IX. Lo dicevano o lo hanno pure scritto?

    Per quel che è successo con Pacelli qualcuno ha parlato di nemesi storica, io quando l’ho saputo lo definito semplicemente, in dialetto triestino, una spuzza de no creder! Altro che di “carogna”.

    Sì, nella grafia del triestino ideata da Carpinteri e Faraguna le doppie ci sono, modificano le tonalità di S e Z.

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    1. Avatar di Lucia Graziano

      Lucia Graziano

      Organizzata non lo so, cioè non ho mai letto una fonte che dicesse: è stato lui l’organizzatore, l’idea di partenza è stata sua. Però sicuramente era presente (tra le file dei disturbatori), era stato notato tra la folla e nei giorni successivi era anche andato incontro a un bel po’ di problemi di PR perché, ‘nsomma, va bene essere radicali ma certi exploit erano imbarazzanti persino in seno al suo partito.

      Cavallotti aveva poi dichiarato di essere pentito e di non sapere bene come era successo, a suo dire era ubriaco e ci si era trovato preso in mezzo e la cosa gli era scappata un po’ di mano 😅😅

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    1. Avatar di ac-comandante

      ac-comandante

      Ah, ecco chi era questo Cavallotti! C’è una strada a lui intitolata a Pordenone e la Rete Mediterranea gli intitolò… una locomotiva, la 3122 (pare sia arrivata nel 1905 alle FS come 6622, perdendo il nome; non assunse mai le numerazioni a 5 e poi 6 cifre).

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      1. Avatar di Lucia Graziano

        Lucia Graziano

        Anche a Torino gli hanno dedicato un piccolo parco pubblico in prossimità dello stadio della Juventus. Ma all’epoca era uno molto in vista, veh!, fondatore di quel partito che poi sarebbe confluito nel Partito Radicale.

        Morto in un duello d’onore contro un giornalista conservatore che, a detta di Cavallotti, aveva offeso appunto il suo onore diffamandolo a mezzo stampa (non in occasione del corteo funebre di Pio IX, eh: molti anni dopo e tutt’altre ragione). Personaggio interessante 😐

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        1. Avatar di Gianluca di Castri

          Gianluca di Castri

          Sulla morte di Felice Cavallotti conosco un particolare che mi fu raccontato da mio padre (nato nel 1899, vissuto pertanto in un’epoca in cui il ricordo era vicino): Cavallotti era un bravissimo schermidoro mentre Macola non lo era per cui di fronte ad un attacco di Cavallotti non riuscì e reagire ma restò con la spada puntata verso l’avversario che, aspettandosi una parata, di fatto ci si infilzò da solo. Non ho mai trovato prova storica di questo dettaglio né peraltro mai l’ho cercata per cui come mi fu riferito lo giro. Saluti e buona giornata, congratulazioni a Lucia che riesce sempre a scrivere cose interessanti e per lo più poco note.

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          1. Avatar di ac-comandante

            ac-comandante

            È vero che l’Italia proibì la sfida a duello proprio a causa della morte di Cavallotti? Gira anche questa.

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  2. Avatar di Sconosciuto

    Anonimo

    Il duello è stato proibito da secoli, di fatto senza effetto. In Italia la legge contro il duello è del 1875 inserita successivamente nel codice penale. Il col. Jacopo Gelli pubblicò per l’edizione Hoepli il “Codice cavalleresco italiano” di cui possiedo una copia della XIV edizione del 1923 appartenuta a mio padre, ed il fatto che ne siano state fatte almeno 14 edizione ci dice molto circa l’efficacia delle leggi contro il duello.

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      1. Avatar di ac-comandante

        ac-comandante

        Dato che ho studiato Diritto (anche se ero a Scienze Politiche), ricordo un particolare: nonostante l’articolo del CP relativo alla sfida a duello fosse dettagliato al limite della pedanteria, i casi di questo reato nella giurisprudenza repubblicana sono stati… zero! Tanto che nel 1999 è stato depenalizzato.
        Che i casi siano rimasti zero dal 1948 al 1999 l’avevo trovato insieme alla notiza della sua di fatto eliminazione.

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        1. Avatar di Lucia Graziano

          Lucia Graziano

          😶

          Quindi se per assurdo qualcuno oggigiorno sfidasse qualcun altro a duello d’onore e la cosa finisse male, non sarebbe penalmente perseguibile per il fatto in sé? 😶

          (Beh, immagino che nel caso sarebbe perseguibile comunque per le conseguenze del fatto: lesioni, morte, etc…)

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          1. Avatar di ac-comandante

            ac-comandante

            Appunto, ci sono altre fattispecie criminali che stanno in piedi da sole.

            Se non si svolge in proprietà chiusa ci sarebbe il porto e l’uso delle armi.
            Ci sarebbe l’omicidio, volontario con dolo eventuale, anche se qualche principe del foro forse lo riuscirebbe a far derubricare a preterintenzionale.
            Se non ci scappa il morto ci possono essere lesioni volontarie (qui vorrei vedere quale avvocato riuscirebbe a farle derubricare a colpose… 😛 ).

            Una fattispecie apposita era assurdamente inutile.

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          2. Avatar di Lucia Graziano

            Lucia Graziano

            Beh… però sono lesioni e omicidio su consenziente 🤔 Nel senso, in questo caso l’omicida non sarebbe il pazzo assassino che fredda un poveraccio che non ne sapeva niente e che si trova una pallottola nel cuore a tradimento. In questo scenario, il rischio di morire era accettato da ambo le parti, e nessuno dei due potenziali assassini sapeva chi sarebbe stato a lasciarci le penne.

            Non ci capisco niente di giurisprudenza, ma mi sembra comunque una fattispecie di reato diversa rispetto all’omicidio classico 🤔 Minimo minimo, penso che all’omicida dovrebbero dare delle attenuanti. No? 🤔

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  3. Avatar di Sconosciuto

    Anonimo

    Contesto: “legittimamente, cosa loro”, a proposito di Roma e i papi.

    Innanzitutto, Mt 16,18 è certamente un’interpolazione. G. era un ebreo e non aveva alcuna intenzione di “fondare una chiesa”, meno che mai a Roma! L’ossessione della Capitale, apparteneva a Paolo (che non lo ha mai conosciuto da vivo) il vero “inventore” di ciò che chiamiamo “cristianesimo”. In merito a questo, si può citare Gv 18,36 “Il mio regno non è di questo mondo”. Infine, sul piano storico, abbiamo la certezza di una truffa (forse la più grande di tutti i tempi) in riferimento alla “Donazione di Costantino”, il celeberrimo FALSO documento sulla proprietà di Roma che avrebbe ceduto l’imperatore a Silvestro (l’insulso vescovo di Roma al tempo di Nicea, dove peraltro NON andò, perché c’era già un capo assoluto (il primo “papa”) ed era l’imperatore, il quale impose per ragioni puramente POLITICHE ai vescovi presenti (13 del totale e quasi tutti orientali) di chiudere la questione “ariana”.

    La Chiesa cattolica si fonda sul nulla, è frutto di inganni, manipolazioni, truffe e violenze. La storia è stata dominata per 1500 anni dal controllo ecclesiastico che ha potuto costruire un falso immaginario creduto vero dai più (ancora oggi). La realtà, per noi addetti ai lavori, è ben diversa.

    Cordialità!

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    1. Avatar di Lucia Graziano

      Lucia Graziano

      Ehm… nel senso: sì, che la donazione di Costantino sia falsa direi che concordiamo tutti (spero), però io nel contesto parlavo proprio di una legittimità giuridica 😅 Nel senso che, fino ai tempi della breccia di Porta Pia, Roma era oggettivamente sotto il dominio del papa re (che poi la cosa possa piacere o non piacere, quello è un altro discorso), e quindi il monarca faceva legittimamente quello che gli pareva, in casa sua. Ma nel momento in cui lo Stato Pontificio non esiste più, chiaro è che se vuoi organizzare una parata attraverso la città di Roma ti serve la collaborazione della nazione di cui vuoi attraversare il territorio, e da lì appunto il sorgere del problema.

      Non ne facevo una questione di donazione di Costantino insomma, io parlavo di una legittimità molto più terra a terra 😂

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    2. Avatar di Mercuriade

      Mercuriade

      Al corso di diplomatica, alla Scuola di Paleografia, ci fu rivolto questo avvertimento: attenzione, gli uomini del Medioevo non avevano il concetto di “documento falso” che intendiamo noi oggi. Un documento, soprattutto nell’Alto Medioevo, non era che la conferma “a posteriori” di qualcosa che già esisteva da un tempo abbastanza lungo.
      Già da prima di Lorenzo Valla si sapeva che il “Constitutum Constantini” e le decretali pseudoisidoriane non erano autentici, tanto che Ottone I nel 962 sentì l’esigenza di “confermare” quel privilegio con un suo atto personale, ma la cosa non aveva grande importanza, perché non era altro che la “messa per iscritto” di qualcosa di riconosciuto e consolidato. Anche quello fu un processo molto lento, conseguenza di un dato di fatto: il papa era praticamente l’unica autorità rimasta in grado di assicurare un minimo di ordine su Roma e dintorni, e la prospettiva allettava un po’ di territori che nel corso dell’Alto Medioevo si posero sotto la sua signoria per avere un minimo di tranquillità, né più né meno di come altrove si faceva nei confronti di signori laici o di monasteri.

      Cfr. Andrea Lonardo, “Il potere necessario: i vescovi di Roma e il governo temporale da Sabiniano a Zaccaria (604-752)”, Roma, Antonianum, 2012.

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