L’accusa del sangue, 1: William di Norwich e l’origine del mito degli omicidi rituali ebraici

Il primo caso fu William di Norwich, ritrovato morto il 25 marzo 1144, domenica di Pasqua. Simone di Trento, detto “Simonino”, arriverà molti anni più tardi: il 23 marzo 1475.
Quando lo dico, la gente in genere si stupisce, ma ebbene sì: è proprio così. Quella delle cosidette “accuse del sangue” è una credenza antichissima, e dunque molto interessante agli occhi degli storici – anche perché William e Simonino non sono certo gli unici “casi” di presunti omicidi rituali parte attribuiti a parte ebraica. Cito a caso alcuni nomi di altre (presunte) vittime: cinque bambini tedeschi a Fulda, nel 1235; “il piccolo Hugh” a Lincoln, vent’anni dopo; Dominiguito del Val nel 1250, a Saragozza; una giovane vergine a Valréas nel 1247. Paradossalmente, l’Italia è una delle regioni in cui le “accuse del sangue” arrivano più tardi, pur essendo proprio italiano colui che è forse il caso più celebre: Simonino di Trento.

Avete capito di cosa sto parlando, vero?
Sto parlando dei presunti omicidi rituali ebraici. Quegli omicidi per commettere i quali, nel giorno di Venerdì Santo, una comunità di ebrei avrebbe sequestrato un giovane cristiano e poi l’avrebbe ucciso barbaramente, in una sorta di macabra rievocazione della Passione del Signore.

Non ho mai letto Pasque di sangue, il discusso libro di Ariel Toaff, dunque non conosco le ragioni in base a cui l’autore sostenga che un fondo di verità potrebbe esistere dietro ad alcune di queste leggende. Però ho letto altri libri sull’argomento, e provo a spiegarvi le ragioni per cui io oso affermare che la vera storia della “accuse del sangue” è molto diversa da come, generalmente, la gente la conosce.

William di Norwich

Il primo caso fu William di Norwich, per l’appunto.
In questa immagine lo vedete come un bambolotto cicciottello, ma in realtà il povero William era un ragazzo dodicenne, quando fu rinvenuto il suo cadavere. Calcolando che eravamo nel 1144, si trattava di un uomo praticamente adulto, altro che bambino; ma l’iconografia dei santi talvolta segue strade sue che hanno molto poco a che vedere con la realtà storica… e quindi, prendiamolo per buono.

Il primo caso fu William di Norwich, dicevamo.
La mattina di Pasqua del 1144, fu rinvenuto nella città di Norwich il cadavere del povero William, che presumibilmente era morto a seguito di un’aggressione. Il corpo fu ricomposto e seppellito in terreno sconsacrato (non chiedetemi il perché): un mese dopo, durante un sinodo ecclesiastico locale, il padre di William puntò il dito contro alcuni ebrei del posto, accusandoli di essere gli assassini del figlio. Una “banale” accusa di omicidio, fino a quel momento, che non citava alcun tipo di elemento rituale.

Il vescovo Eboardo, interpellato in merito, manifestò un certo scetticismo: le prove a carico degli accusati non gli sembravano convincenti. A ogni buon conto, gli accusati vennero invitati a discolparsi di fronte al vescovo – sennocché, avvisata di quanto stava accadendo, l’autorità secolare impedì loro di farlo. Lo sceriffo di Norwich, temendo disordini tra ebrei e cristiani, aveva ingiunto ai primi di non presentarsi all’autorità ecclesiastica e li aveva addirittura invitati a mettersi al sicuro entro le mura del castello. Gli ebrei obbediron di gran corsa, e non furono mai processati.

Ripeto: era una normale accusa di omicidio, all’epoca.
Okay, è vero: incuriosito da questa accusa così particolare (un cristiano ucciso dagli ebrei) il priore dell’abbazia di San Pancrazio aveva fatto richiesta di poter riesumare William e seppellirlo nella sua abbazia, quale potenziale oggetto “di cospicua venerazione e adorazione”. Però, il vescovo aveva rifiutato, consentendo al limite di riesumare il cadavere affinché ricevesse degna sepoltura in un cimitero cristiano assieme a tutti gli altri defunti. E così fu.
Fine.

Quattro anni più tardi, un tal Thomas di Monmounth arrivò bel bello a Norwich.
Divenuto monaco benedettino nella medesima città, venne a sapere della strana storia di William e cominciò a interessarsene. Finendo col trasformare un semplice caso di omicidio irrisolto nella celebrazione di un santo martire e mettendo le radici per quella che sarebbe divenuta la (terribile) leggenda nera dell’omicidio rituale commesso dagli ebrei a scopi religiosi.

Perché lo fece?
Dio solo lo sa, potremmo dire.
Che Thomas, “un uomo di debole intelligenza”, come lo definirono alcuni suoi contemporanei, non avesse la più pallida idea delle conseguenze a lungo termine dei suoi atti, molto probabilmente è vero. Alcuni studiosi hanno fatto notare che, probabilmente, accusare gli ebrei di aver ucciso William in odium fidei era un buon escamotage per aiutare l’agiografo a rendere il giovane ancor più “santo”. Per la serie: se un ebreo mi ammazza perché gli sto antipatica, difficilmente mi canonizzeranno. Se un ebreo mi ammazza perché vede in me un alter Christus, e mi martirizza orrendamente in odio alla mia fede… beh: a questo punto, si può anche incominciare a ragionarci sopra. Probabilmente fu proprio in quest’ottica che l’agiografo Thomas mise in giro questa voce.

In che modo?
Innanzi tutto, componendo la Vita et Miracula S. Wilelmi Norwicensis, l’opera che fonda il mito del santo martire. Nel primo libro del volume, i fatti relativi all’omicidio di William ci vengono presentati così come li aveva ricostruiti Thomas, con indagini condotte più sulla base di congetture che di riscontri veri e propri.
A detta di Thomas, William era un ragazzo incauto, che era stato più volte avvertito da suo padre di non frequentare gli ebrei. Un po’ come Cappuccetto Rosso e il lupo, William aveva disubbidito ai genitori e ne aveva patito le conseguenze: condotto da un forestiero presso una casa della comunità ebraica il 20 marzo 1144, era stato legato e torturato, poi trafitto con una corona di spine, e indi finito con una ferita al fianco destro. “Come abbiamo condannato il Cristo a una morte vergognosa”, avevano detto gli ebrei uccidendolo, “così condanniamo anche il cristiano”. Il cadavere di William, secondo questa ricostruzione, era poi stato lavato con acqua bollente e infine gettato nella foresta di Thorpe dove, quattro giorni dopo, era stato (effettivamente) ritrovato.

Thomas, a quel punto, introduceva il super-testimone: un certo Teobaldo. A detta dell’agiografo, si trattava di un ebreo convertitosi al cristianesimo proprio grazie all’intercessione di “san” William, che aveva ormai raggiunto il Cielo. Dopo la conversione, a distanza di anni dall’omicidio, l’ebreo ravveduto aveva deciso di parlare.
Per rivelare cosa, mi chiedete?
Per rivelare la dinamica dei fatti, facendo luce su una vera e propria congiura ebraica che minacciava l’intera umanità: Teobaldo spiegò infatti che gli ebrei si riunivano annualmente a Narbonne, in Spagna, per organizzare lo spargimento di sangue di un cristiano. Gli ebrei di Narbonne decidevano in quale nazione si sarebbe tenuto, quell’anno, il sacrificio, mentre gli ebrei della nazione prescelta dovevano indicare la città in cui compier l’omicidio.
Nel 1144 la scelta era caduta su Norwich, per l’appunto.

Completo delirio?
Invenzioni assolutamente false?
Evidentemente sì ma forse non nel tutto – nel senso che l’ebreo Teobaldo, molto verosimilmente, esisteva per davvero. Analizzando le tecniche di tortura illustrate nell’agiografia di William, nonché le presunte motivazioni religiose ebraiche addotte per motivare tale scempio, gli studiosi evidenziano due fonti differenti. La prima è quella che risente di un’ottica cristiana: Via Crucis, immagine della Passione, e così via dicendo. Ma la seconda fonte è di matrice sicuramente ebraica: emerge, ad esempio, una buona conoscenza dei sacrifici dell’Antico Testamento implicanti lo spargimento di sangue delle vittime – una conoscenza troppo buona e approfondita per appartenere a un cristiano.
Probabilmente, questo Teobaldo esisteva per davvero. Probabilmente, era un ebreo convertitosi al cristianesimo e in qualche modo desideroso di diffamare la sua comunità (ad esempio, distorcendo l’uso dei sacrifici ebraici allo scopo di giustificare l’improbabile ipotesi di “omicidio rituale”).

Ma Teobaldo (e Thomas) si rendevano conto della vera e propria bomba che stavano per lanciare?
Probabilmente, no.
E non lo dico di testa mia, ma cito l’opinione di un po’ tutti gli studiosi che ho letto, primo tra tutti Ruggero Taradel nel suo L’accusa del sangue. Storia politica di un mito.
Probabilmente, i due derelitti non si rendevano conto delle conseguenze nel lungo periodo e su larga scala della loro piccola agiografia scritta per alimentare la devozione a un santo locale. Non si rendevano conto di come la loro storia diffondesse idee a dir poco inquietanti – in primo luogo, che i responsabili di quel barbaro omicidio non fossero semplicemente gli ebrei di Norwich. A detta dell’agiografia, il responsabile di questo gesto era, piuttosto, l’intera religione ebraica.
Altra idea terribile: quello di William non era solo un tragico caso di fanatismo religioso. Omicidi rituali ebraici si svolgevano ogni anno, in varie parti del mondo, su mandato degli ebrei spagnoli.
E siccome gli ebrei decidevano ogni anno in quale Stato effettuare il sacrificio, nessun cristiano poteva dirsi al sicuro: e se quest’anno i perfidi ebrei avessero deciso che l’omicidio rituale si terrà a Pavia, e stessero progettando di ammazzare proprio me?
Te credo che a questo punto dilaga la psicosi e che si scava un solco incolmabile fra le comunità ebraiche e quelle cristiane (ahimé).

La credenza, tragicamente, aveva tutti i requisiti per colpire il popolino e per diffondersi di bocca in bocca.
Nel 1168, a Gloucester, una comunità di ebrei veniva accusata di aver rapito un bimbo di nome Harold e di averlo crocifisso il Venerdì Santo, dopo averlo circonciso.
Nel 1171, l’accusa aveva già varcato il canale della Manica e gettava scandalo nella comunità di Blois.
Nel 1182, il re di Francia Filippo Augusto decretava l’espulsione degli ebrei dal regno, anche perché convinto che praticassero abitualmente l’infanticidio a scopo rituale.
Nello stesso anno, a Saragozza, compariva per la prima volta la medesima credenza.
Nel 1187, ce ne parla addirittura un arabo citando un caso avvenuto a Gerusalemme (!).
E poi ancora Fulda, Weissenburg, Valréas, e molti casi ancora… una tragica catena di follia, che inevitabilmente finì per arrivare anche alle orecchie dei “pezzi grossi” di quel tempo. Mi riferisco a Federico II di Hoenstaufen e a papa Innocenzo IV.

Federico II era stato direttamente coinvolto nel caso di Fulda, verificatosi in Germania nel Natale del 1235. Alcuni ebrei erano stati accusati del barbaro omicidio di cinque bambini, sottratti ai genitori mentre essi erano a Messa. Nella psicosi collettiva, un gruppo di cristiani armati aveva massacrato quasi tutta la comunità ebraica di Fulda, suscitando lo sdegno dell’Imperatore.
Con un’iniziativa che ha dello straordinario, Federico II aveva proceduto con molto raziocinio e aveva convocato un team di esperti. Invitati a valutare se fosse effettivamente possibile attribuire agli ebrei questi omicidi rituali a scopi religiosi, studiosi di entrambe le religioni avevano risposto “certamente no”. Federico II assolse dall’accusa di omicidio gli ebrei di Fulda (i pochi che erano sopravvissuti al massacro, quantomeno) e ordinò esplicitamente che “ognuno dimostri graziosità e benignità verso gli ebrei nostri servitori”, aggiungendo anche che “coloro che osassero agire contro la presente conferma e assoluzione si esporranno alla nostra suprema indignazione” (1).

E il papa?
Il papa intervenne qualche anno più tardi, con alcune bolle inviate ai vescovi di Francia e di Germania fra il 1247 e il 1253.
In riferimento al caso di Valréas in Francia, dove un’altra ondata di psicosi aveva portato alla persecuzione della comunità ebraica accusata di aver crocifisso una fanciulla a scopi rituali, Innocenzo IV indirizzò due bolle all’arcivescovo di Vienne, nel maggio del ’47. Lamentando i supplizi inflitti agli Ebrei, esigeva la liberazione dei prigionieri ancora detenuti(2): il 9 giugno dello stesso anno, inoltre, osservava che non era assolutamente possibile accusare gli israeliti “di far uso di sangue umano nel loro rito; e benché nell’Antico Testamento sia stato loro prescritto di non far uso di qualsivoglia sangue, e men che mai di sangue umano, tuttavia, presso Fulda e in parecchie altre località, molti ebrei sono stati uccisi sulla base di un sospetto di questo genere; con l’autorità della presente lettera, vogliamo assolutamente impedire che ciò si ripeta”(3). Il 5 luglio 1247, non contento, ribadiva che alcuni cristiani, nonostante “la Sacra Scrittura […] dica – non uccidere – e proibisca agli ebrei nella solennità pasquale qualsiasi omicidio, falsamente li accusano di comunicarsi nella stessa solennità con il cuore di un bambino assassinato, e si pretende che ciò sia prescritto dalle loro leggi, mentre è manifestamente il contrario. Se in un luogo viene trovato un cadavere, a loro viene con malizia imputato l’omicidio. Col pretesto di questa e altre simili favole vengono perseguitati, e, contrariamente ai privilegi benignamente loro accordati dalla Santa Sede apostolica, contro Dio e la giustizia, senza processo e senza regolare istruttoria, li spogliano di tutti i loro beni […]. Quindi, temendo il proprio sterminio, [gli Ebrei] stimarono di dover ricorrere alla prudenza della Sede Apostolica” (4).

Proprio così. Contrariamente a quanto si tende a pensare normalmente, la credenza popolare degli omicidi rituali ebraici fu quasi sempre avversata con tutte le forze da chi stava “ai piani alti”. Vi sto parlando del vertice della società politica del tempo e di colui che stava a capo di Santa Romana Chiesa: coloro che avevano un minimo di sale in zucca sapevano benissimo che si trattava solo di accuse barbare e infondate. E come hanno (quasi) sempre fatto di tutto per cercare di arginare questo barbaro fenomeno – evidentemente, con scarso successo.

Il caso di Simonino da Trento è ancora un’altra storia…
… ma ve ne parlo poi. In un altro giorno di Quaresima.

(1) La bolla è edita in: Zeitschrift für die Geschichte der Juden in Deutschland, I, pp. 137-44.
(2) Archivio Segreto Vaticano, Reg. Vat. 21, foll. 403r-v e 405r-v
(3) Archivio Segreto Vaticano, Reg. Vat. 21, fol. 405r-v
(4) Archivio Segreto Vaticano, Reg. Vat. 21, fol. 442r.

4 risposte a "L’accusa del sangue, 1: William di Norwich e l’origine del mito degli omicidi rituali ebraici"

  1. ago86

    Ottima analisi storica. Avevo letto in un vecchio sito che anche nel 1500 alcuni casi venivano artartamente creati per fini politici, ma poi, con l'intervento di qualche "alta sfera" si procedeva ad un processo regolare. Se trovo la fonte te la mando, si citano un paio di casi precisi.

    Faccio notare una cosa: all'epoca non si conoscevano i rituali ebraici perché l'antico testamento era poco conosciuto, e ciò perché le Bibbie erano talmente rare che alcuni vescovi non le avevano.

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  2. ago86

    Ecco la citazione in questione. Riporto solo una parte, perché il resto del file dice quello che dici tu. Purtroppo non ti posso dare il link del sito da cui è tratto in questo momento, se vuoi te lo darò più avanti:

    Nel 1554 la terribile accusa di omicidio rituale fa la sua apparizione anche a Roma, centro della Cristianità, e proprio alla vigilia dell'avvento al soglio pontificio di Paolo IV, uomo privo di ogni moderazione, dal carattere rigido, irruento e incapace di dominarsi, ossessionato da uno zelo religioso violento, privo di compassione verso se stesso e gli altri: i suoi provvedimenti politici, esageratamente rigorosi e autoritari, fecero tanto soffrire sia gli ebrei che il popolo romano. Questo il fatto. Viene scoperto nel camposanto di Roma, durante la settimana santa, il cadavere crocifisso di un bambino. Il popolo aizzato da un ebreo convertito, Hananel da Foligno, accusa gli ebrei. La folla invoca il massacro o l'espulsione degli ebrei. Il cardinale Alessandro Farnese scopre i veri colpevoli, due spagnoli che avevano agito per denaro e in odio agli ebrei. Il nuovo Papa, Paolo IV, punisce con la morte i colpevoli. L'ordine pubblico è salvo ma sarà, per gli ebrei, un ordine all'interno del ghetto e per i romani un ordine di tipo calvinista che giunge perfino a proibire ogni forma di divertimento lecito. Quando Paolo IV muore, nel 1559, il popolo romano si solleva e ne impedisce i funerali. Il palazzo dell'inquisizione viene invaso e dato alle fiamme, le insegne abbattute e la statua di Paolo IV frantumata e gettata nel Tevere. Tutta la città è in preda a forti subbugli. La salma stessa del pontefice deve essere sottratta al furore del popolo e viene nascosta nei sotterranei della basilica vaticana

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