L’accusa del sangue, 2: le ragioni sociologiche e devozionali dietro al dilagare di una psicosi

In un’epoca in cui la diagnosi pre-impianto non è possibile, quali alternative restano a una madre che si trova a partorire un figlio difettoso?
Ad esempio, prendere il neonatino e poi venderlo ai malvagi ebrei.

Fu così che nel 1343, in Moravia,

una donna malfamata, con l’aiuto di un’altra donna […], propose ad un vecchio ebreo di Brno, chiamato Osel, la vendita del suo bambino per sei marchi, perché il bambino era rosso di capelli e sul volto. Il vecchio simulò contentezza, dette immediatamente tre marchi alla donna, e la invitò a tornare col bambino il giorno successivo, di mattina presto, dicendo che doveva consultarsi per l’acquisto con il vescovo degli ebrei e con gli anziani.

Solo che il giorno dopo la donna non trovò Osel accompagnato dagli anziani, ma bensì dalle autorità civili, a cui il vecchio la aveva denunciata.

È un episodio surreale, che però mette in luce due elementi molto chiari.
Punto primo: la convinzione che gli ebrei praticassero abitualmente infanticidi rituali era una credenza ormai diffusa, in ogni fascia della popolazione. Si trattava di una convinzione radicata, profonda, ormai data per scontata: una donna voleva sbarazzarsi del figlioletto, e quindi che faceva? Lo vendeva agli ebrei: soluzione semplice e efficace.
Punto secondo: questo episodio mette in luce il totale appoggio delle autorità civili (ma anche religiose!) nei confronti degli Ebrei.
Ed era un sostegno – credetemi – che non era mai venuto meno. Avete sempre sentito dire che la Chiesa appoggiava la teoria degli omicidi rituali? Che le autorità civili perseguitavano gli Ebrei, istigati dalla folla?
Ehm, no.
E vi fornisco qualche esempio.

Nel 1283, a Magonza, il vescovo Werner tentò invano di difendere la comunità ebraica dalle accuse di omicidio, ma non riuscì neanche ad ottenere che si svolgesse un regolare processo. Il 19 aprile il popolino aggredì gli Ebrei, e saccheggiò le loro case.
A Monaco, nel 1285, una donna dichiarò di essere stata pagata dagli Ebrei per procurar loro un bambino da uccidere. Gli appelli alla calma delle autorità civili, ahimè, caddero nel vuoto: il 12 ottobre la sinagoga fu incendiata da una folla inferocita.
Nel 1288, a Troyes, una rivolta popolare fu così violenta da indurre Filippo IV di Francia a emanare un’ordinanza in cui si vietava l’imprigionamento di Ebrei sulla base di accuse simili.
Nel 1422, papa Martino V emanò una bolla in cui vietava la predicazione violenta contro gli ebrei, facendo esplicito riferimento alle accuse di infanticidio rituale.
Alcuni anni prima, nel 1348, papa Clemente VI aveva pubblicamente dichiarato infondate le accuse con cui la popolazione accusava gli Ebrei di aver avvelenato l’acqua dei pozzi allo scopo di provocare l’epidemia di peste: “non è plausibile che gli Ebrei abbiano fornito la causa o l’occasione di un simile crimine”; e grazie tante.
Un pronunciamento papale ancor più esplicito risaliva al 1272, con una bolla di Gregorio X: alcuni cristiani “asseriscono il falso, dicendo che gli ebrei fanno sacrificio del cuore e del sangue di quei fanciulli […], e in un’occasione di tal genere moltissimi ebrei più volte furono catturati e imprigionati ingiustamente. Stabiliamo che in casi e circostanze come queste i cristiani non debbano essere ascoltati contro gli ebrei e comandiamo che gli ebrei catturati in un’occasione così insignificante siano liberati dal carcere e non siano da ora in poi neanche catturati in simili circostanze, a meno che – ciò che non crediamo – non siano per caso presi in flagranza di crimine” (1).

Insomma: gli interventi delle autorità secolari ed ecclesiastiche c’erano stati, ed erano anche inequivocabili. Ma non avevano ottenuto grandi risultati, evidentemente.

Dichiarata assurda dai pontefici e spesso anche dai vescovi, l’accusa veniva rilanciata dalla predicazione di alcuni esponenti del clero locale; spesso, si trattava di quei predicatori presso il cui monastero era custodito il corpo di un presunto Santo, assassinato in tal maniera.
Condannata dai regnanti e dagli imperatori, la credenza era celebrata a livello popolare nelle città che avevano vissuto tali eventi: Norwich con il suo William; Trento con Simonino, qualche anno dopo.
Generalmente ostacolata dalle autorità, la convinzione era stata talvolta avvallata e fomentata dalle autorità locali, per scopi politici ed economici assolutamente contingenti, relativi alla singola regione o addirittura al singolo villaggio.

E l’accusa, del resto, aveva tutte le carte in regola per trovar terreno fertile nelle credenze popolari, facendo leva sull’emotività del singolo e sulle paure della folla. Già abbiamo detto dell’ondata di psicosi che aveva scosso tutta l’Europa sulla scia di queste accuse: ci son dei tizi sconosciuti che di anno in anno (non si sa dove e non si sa quando) ammazzano un bambino a caso, nel modo più barbaro e crudele… ahò ragazzi: c’è da far rabbrividir chiunque.
Ma anche dal punto di vista del culto religioso, la presunta morte di questi “Santi martiri” sembrava esser fatta apposita per smuovere la sensibilità dell’epoca, che era particolarmente sensibile a certe storie. Fra il XII e il XIII secolo, il concetto di santità era strettamente legato alla devozione per l’umanità di Cristo, a cui faceva seguito un naturale desiderio dei Santi di imitarLo. Alcuni dei Santi di quell’epoca cercarono di identificarsi con il Cristo della passione infliggendosi patimenti volontari (pensate al movimento dei Flagellanti, per dirne una); ma pensate anche solo alla devozione per San Francesco, a cui addirittura vennero le stigmate.
Insomma: l’imitatio Christi di molti Santi era un elemento che toccava a fondo la sensibilità dell’epoca, commovendo il popolino. E questo genere di imitatio si trovava realizzato in modo perfetto, sotto un certo punto di vista, nel caso dei fanciulli martiri. Totalmente indifesi, assolutamente innocenti, completamente privi di colpa e di peccato, i bambinetti assassinati dagli Ebrei presentavano un’impressionante serie di parallelismi col Cristo assassinato dagli Ebrei. E di Cristo condividevano anche la morte e le torture atroci, effettuate addirittura dai diretti discendenti di quella gente sciagurata che aveva crocifisso il Salvatore.
Certo: stiam parlando di popolino medievale. Noi moderni abbiamo tutt’altra sensibilità, e ci commuoviamo per storie ben diverse.

…ma in fin dei conti, è proprio vero?
Nell’analizzare il culto dei Santi più venerati di quell’epoca, André Vauchez (uno dei maggiori esperti in merito) osservava nel suo La santità nel Medioevo che

lo spettacolo di un innocente fatto soffrire o perire provocava nell’animo della gente uno shock profondo. Dal contrasto tra la durezza della punizione inflitta e la sua palese iniquità nasceva un’emozione, che, trasposta immediatamente sul piano religioso, faceva sorgere una devozione in virtù di un processo che possiamo considerare come una legge dell’affettività popolare: la pietà (emotiva) suscitava pietà (religiosa). Ecco allora le vittime diventare dei martiri e quindi dei santi, perché, agli occhi della gente, essere martire ed essere santo era la stessa cosa.

E io oserei dire che certi meccanismi psicologici sono universali e senza tempo: pensate anche solo ai tristi casi di cronaca in cui un qualche bambino viene ucciso. Li seguiamo spasmodicamente a tv accesa, con ondate di commozione e chiacchiericcio popolare… e poi viene catturato l’assassino, e scatta la follia.
Il pedofilo. L’immigrato. La violenza domestica. Il disagio giovanile.
E per mesi e mesi i vari giornali vanno avanti a parlar sempre di quello, gettando sale sulla ferita aperta e facendo dilagare la paura: sembra quasi che tutti i mariti sian violenti senza cuore, tutti i giovani siano un branco di tossicomani, tutti gli stranieri sian sicari prezzolati… e così via dicendo.

Certo: in genere, ce ne freghiamo della santità e ci limitiamo a piangere la vittima di turno (il che è giustissimo!). Generalmente riusciamo anche a trattenerci, e capita raramente che qualcuno si metta a maciullare il principale sospettato. In genere ci si limita a invocare la pena di morte, “perché in genere io sono contrario, ma in certi casi…”.

Ma io ritengo che il meccanismo psicologico sia tutto qui, sapete?
Pensate a certi tristi casi di attualità, e pensate a certe comunità sconvolte; quelle che, di fronte ai giornalisti, invocano il linciaggio.
Secondo me, vi basta questo: e poi avrete tutti gli strumenti per capire come dovette sentirsi la città di Trento, nel giorno in cui venne ritrovato, esanime, il corpicino di Simone…

(1) Archivio Storico di Trento, Sezione Latina, Capsa 69, n. 17

7 risposte a "L’accusa del sangue, 2: le ragioni sociologiche e devozionali dietro al dilagare di una psicosi"

  1. utente anonimo

    niente da commentare su questo post. si spiega da solo.
    ci sarebbero i soliti complimenti, ma ci fai ancora caso?
    oggi solo…
    tanti auguri!!!!!!!! 
    BUON COMPLEANNO!

    Diego

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  2. PietroFratta

    Mi hai fatto notare una cosa anche se non è il nocciolo della questione.

    C'è una cosa mai chiara (volutamente?) quando si volge al nostro passato.
    Sembra che il popolo fosse più o meno come oggi, cioè ultracivile (beh, insomma…) di buon senso, privo o quasi di superstizioni, innocente, lavoratrice e via discorrendo. Soprattutto razionale e scientista. E che sia cresciuta nonostante il cristianesimo e la Chiesa. Se questa non ci fosse stata, eh… già viaggeremmo nello spazio, facendo picnic con altre intelligenze galattiche, e invece no! Siamo sessuofobici, maligni, invidiosi, grezzi eccetera eccetera, tutto a causa del cristianesimo.
    Non si pensa quasi mai che il popolino poteva essere furioso, ignorante, e linciava e credeva alle streghe ed era da educare, e tale procedimento non è certo breve (il presente è voluto).

    Mi fermo perché sto già iniziando a confondermi.

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