La castità? Una vacanza!

Lasciamo perdere la castità prematrimoniale osservata dai credenti: qualcun potrebbe dire che si tratta di un sacrificio che il cristiano fa obtorto collo, solo per non finire all’inferno. La cosa sorprendente è che, a dar retta ai sociologi, la volontà di praticare uno stile di vita casto sembrerebbe lentamente star tornando di moda anche fra chi credente non lo è. Anche fra chi non si riconosce nel catechismo di questa o quell’altra Chiesa, ma sceglie di vivere in castità… perché ritiene che quella sia la cosa migliore per la sua vita.

Non ve lo aspettavate, vero?
Non me lo aspettavo neanch’io, ma apparentemente è proprio così: a garantirlo è quella Elizabeth Abbot autrice del saggio Storia della castità che ho già citato in varie occasioni su queste pagine.

Apparentemente, questa riscoperta “aconfessionale” della castità nasce in America all’inizio degli anni ’80.
La data è cruciale: nel 1981 vengono registrati a Los Angeles i primi casi di AIDS, e comincia a serpeggiare il panico; inoltre, diciamo pure che, negli anni ’70, ci si era spinti un po’ troppo in là, co’ ‘sta storia della rivoluzione sessuale. In certi ambienti giovanili, sembrava quasi che fare sesso fosse un diktat assoluto – e pazienza se non hai una storia d’amore seria e né manco un partner occasionale da desiderare. Mal che vada, vai in discoteca e raccatti la prima persona alticcia che ti si para davanti: ma casti per troppo tempo, no, non ci si può stare.

Embeh: questo stile di vita, prevedibilmente, non era molto sostenibile nel lungo periodo; e così, verso l’inizio degli anni ’80, cominciò a maturare una graduale riscoperta dei valori della castità. Una riscoperta che partì proprio da quelle persone che, per una decina d’anni, s’erano dati alla pazza gioia producendosi in amplessi multipli in tutti i luoghi e in tutti i laghi… e poi, arrivate all’età adulta, ne avevano tratto l’impressione di essersi ritrovate con un pugno di mosche in mano.

Elizabeth Abbott descrive alcune delle ragioni che spinsero a questo ripensamento gli astinenti di ritorno.
Le donne dichiaravano di essersi anche un po’ stufate di dover fingere a ogni singolo rapporto, in conseguenza del “diktat rivoluzionario” per cui la donna doveva assolutamente raggiungere l’apice del piacere in ogni singola occasione, altrimenti è una repressa con complessi mai risolti.
Gli uomini soffrivano di una costante ansia da prestazione, instillata da partner sempre più esigenti, preparate e sempre più disinvolte nel lasciar capire di non essere appagate.

Globalmente, il sesso era diventato qualcosa di molto esigente, manco stessimo parlando di una disciplina sportiva praticata a livello agonistico. Le donne dovevano essere sempre curate, perfettamente depilate, senza un filo di cellulite, con biancheria intima coordinata, con seno abbondante ma pancia piatta, per sfoggiare un corpo profumato e tonico. I maschi dovevano potersi vantare di dimensioni ragguardevoli (se non altro, per evitare che la donna facesse paragoni col suo ex!); dovevano “durare” a lungo, portare la donna all’acme del piacere, essere virili e machi ma anche comprensivi e dolci.

“Bel risultato ha prodotto, la rivoluzione sessuale!”, cominciò insomma a mugugnare un buon numero libertini pentiti. Giungendo all’estrema conclusione per cui, se il sesso è ‘sta roba qui, tanto vale non farlo proprio.

La capostipite di questo stile di vita fu Gabrielle Brown, autrice del saggio Elogio della castità. Come mai uomini e donne stanno riscoprendo il piacere dell’astinenza sessuale, pubblicato per la prima volta nel 1980 (e poi nel 1989, in una seconda versione ampliata e corretta visto il sorprendente successo di pubblico).
La Brown attaccava duramente l’idea per cui il sesso è l’unico modo fornitoci da Madre Natura per esprimere pienamente un rapporto d’amore. Se si prende per buono questo punto di partenza, si finisce col postulare che, quando una persona (o una coppia) decide di non avere rapporti sessuali, allora c’è qualcosa di grave che non va nella sua psicologia (o nel suo rapporto di coppia).

Mannò, dice la Brown, facendo notare che molte donne, dovendo scegliere fra una intimità fatta di coccole affettuose e un rapporto sessuale da record, ma fine a se stesso, sceglierebbero probabilmente la prima opzione. I loro compagni maschi sarebbero probabilmente più portati a scegliere la seconda… ma, se costretti a vivere castamente, potrebbero persino stupirsi nello scoprire i benefici di questa scelta.

Il libro della Brown si concludeva con un consiglio provocatorio: trattate la castità alla stregua di una vacanza. Una vacanza non dura in eterno, a meno che non sia tu a volerlo. E, del resto, durante le vacanze, ci si sente più aperti a fare nuove esperienze diverse rispetto al tran-tran di ogni giorno, meno pressati dalle aspettative che le persone (e la società in generale) hanno su di noi.
Ecco: considerate la castità alla stregua di una vacanza, diceva la Brown. Provateci per un po’, da soli o addirittura in coppia: prendete una vacanza, lanciatevi in questa nuova esperienza, e provate a vedere se fa per voi.

Gabrielle Brown era una strana tipa, per carità. Sperando che la signora non debba mai leggere questo mio commento, io la definirei una specie di fricchettona new-age con la singolare fissa della castità. Molti potrebbero trovare opinabili parecchie delle sue opinioni (di cui, volendo, potete leggere un riassunto qui). Però, sta di fatto che, all’epoca, il suo libro fece sensazione e fornì una nuova legittimazione aconfessionale a quel vecchio concetto di “castità”, che, fino a quel momento, sembrava essere riservato solo a pochi parrocchiani integralisti.

Con le tesi di Gabrielle Brown, la castità diventava appannaggio di tutti. Si presentava ormai come una scelta matura, densa, piena di significato, e totalmente libera. Un mezzo per arricchire la propria vita, più che una rinuncia fine a se stessa (o fine al compiacimento di una divinità bigotta). E, per quanto l’idea possa stupirci, la sua tesi fece realmente scalpore: ci sono fior fiore di sondaggi che dimostrano come molti Americani che erano all’epoca sessualmente attivi abbiano effettivamente deciso di dare ascolto (in tutto o in parte) a questa proposta di vita.

8 risposte a "La castità? Una vacanza!"

    1. Lucia

      LOL!
      Chissà se era un refuso o proprio un lapsus freudiano (visto che il se stesso era effettivamente il sesso)… però ci stava bene 😀

      Grazie mille: (dopo secoli, ma) ho corretto!

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    1. Lucia

      Pardon, rispondo solo adesso ma mi ero proprio “persa” il commento: a mia discolpa, era stato pubblicato proprio nel preciso giorno esatto della mia operazione 😉

      Dunque, io non ho (ancora?) letto il libro, ma in reatà tutte le recensioni che ho visto in giro concordano col dire che era anche un libro un po’ strano, un po’ fricchettone, un po’ hippy-new-age, stile “rivoluzione sessuale al contrario”. In base a quello che ho letto, mi sembra che la Brown avesse un approccio alla castità un po’ discutibile, quantomeno; sicuramente, diverso dal “nostro” (di noi cristiani).
      Un riassunto abbastanza dettagliato del libro si trova qua, volendo: http://davidpratt.info/brown.htm.

      In compenso… il libro non è più disponibile in libreria, a quanto pare, però si trova (in traduzione italiana) in parecche biblioteche in tutta la penisola (…e, per chi non avesse una di queste biblioteche a portata di mano, ricordo sempre che esiste anche il prestito interbibliotecario):

      Risultati ricerca SBN

      Come dicevo, il libro è anche stato tradotto in Italiano nel 1981 e, volendo, si trova anche usato su MareMagnum, a 9 euro.

      🙂

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  1. AlphaT

    Poi c’è il caso dei Giapponesi, che statisticamente non si accontentano di fare pochi figli, proprio vivono senza sesso e in solitudine, in percentuali spaventose. Da approfondire, perchè è proprio la testimonianza di un fallimento dell’edonismo, ma anche di una stanchezza di vivere, di una società che declina verso l’oblio.

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    1. Lucia

      Non conosco il caso dei Giapponesi, ma in effetti io sorrido sempre molto nel vedere la crescente attività, all’estero ma pure in Italia, dei gruppi AVEN (Asexual Visibility and Education Network)… cioè, in pratica, gli a-sessuali, quelli che non provano desiderio sessuale.
      Non necessariamente vivono in solutudine; a quanto pare, ci sono anche asessuali sposati (o comunque impegnati in una relazione sentimentale)… solo che non fanno sesso, e non provano desiderio sessuale.
      Curioso, eh.
      Secondo me adesso c’è la mania di dare etichette a tutto, quindi basta avere una libido magari più bassa rispetto alla media per trovarsi a pensare “uh, ma io cosa sono?”.
      Però… curioso, eh. In rete si trovano foto di cortei di asessuali, con tanto di bandiere, manifesti, slogan, tipo gay pride… e soprattutto in quest’epoca ipersessualizzata, fa strano per davvero!

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  2. Lucia

    …toh!
    Riporto su questo post, un po’ perché mi rendo conto che mi ero dimeticata di rispondere ai commenti (sfido, erano tutti a cavallo della mia operazione!), e un po’ perché oggi, nella maniera più casuale possibile, mi sono trovata nella home page di Twitter un link a questo post:

    http://blog.longreads.com/2015/08/11/why-do-we-judge-virgins/

    che intervista una studiosa americana, autrice di un libro, di recentissima pubblicazione, che parla del mondo in cui il sesso è vissuto nella nostra società contemporanea. Non mi sembra che il saggio sia esattamente sulla stessa linea di The new celibacy della Brown, ma sembra comunque interessantissimo. Già solo il titolo, The Sex Myth, promette benissimo… 😀

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