Se bazzicate almeno un po’ tra i blog americani dedicati alla cosiddetta “bible womanhood” (che è il termine che usano loro per indicare il lifestyle di una donna che vive secondo il Vangelo), è molto probabile che abbiate già sentito fare il nome di Nancy DeMoss Wolgemuth. Questa elegante signora del Michigan è autrice di una ventina di libri dedicati al tema, la maggior parte dei quali sono diventati best-seller.
Nancy non è cattolica (è una protestante, credo non denominazionale) e, a onor del vero (come ho scoperto poco fa, cercando informazioni per questa breve bio) ha anche la sua buona dose di detrattori, perlopiù a causa di certi momenti un po’ new age che ama inserire nei suoi incontri di preghiera. Ammetto che ci sono un po’ rimasta – ma, ormai, l’articolo era già pronto. Accantonando per amor di discussione questa sua bizzarra devianza hippy (che, in ogni caso, dai suoi libri non traspare affatto) devo dire che i suoi testi, presi in sé e per sé, mi paiono quasi sempre condivisibili. Uno che ho apprezzato particolarmente è il saggio con cui l’ho scoperta: Lies Women Believe (and the Truth That Sets Them Free). Di fatto, è un lungo elenco di menzogne velenose e deleterie a cui le donne finiscono inevitabilmente col credere, a forza di sentirsele ripetere da ogni dove.
Nancy ne elenca (e smentisce) quarantacinque. Di queste, io ne ho isolate cinque in particolare, che a me paiono particolarmente vere e insidiose.
E… occhio: perché se noi donne cattoliche a modino sentiamo di aver capito tutto della vita, guardate che le cinque menzogne che seguono sono bugie in cui cadono anche le donne cristiane (se non addirittura le donne cristiane primariamente).
1. “Oh povera me! Non ho abbastanza tempo per fare tutto!”.
Nancy ci va giù abbastanza decisa, su questo punto – anche perché, dall’alto dei suoi sessant’anni, può anche permettersi la retorica stile “ai miei tempi…”.
E infatti lo dice proprio. Ragazze: noi donne del duemila abbiamo robot da cucina che cucinano al posto nostro, aspirapolveri che puliscono casa mentre noi stiamo sul divano, lavasciuga programmabili che fanno e asciugano il bucato mentre noi siamo a chilometri di distanza. Abbiamo gadget così tecnologicamente avanzati che una massaia anni ’50 non avrebbe neanche potuto immaginare nei suoi sogni arditi: e allora, perché le nostre vite sono più affannate che mai?
I “perché” sono numerosi e molto diversi tra di loro, ma, secondo Nancy, uno dei grandi problemi sta proprio nel fatto che noi stesse ci siamo bevute la storiella che non abbiamo abbastanza tempo per fare tutto.
Il problema non è che non abbiamo abbastanza tempo. Il problema sta nella seconda parte della frase: e cioè, nel fatto che vogliamo fare tutto.
E, peggio ancora, vogliamo fare tutto quello che la società ci ha convinte che dovremmo fare.
Nancy, qui, fa una considerazione buffamente provocatoria: Gesù ce l’ha avuto, abbastanza tempo per fare tutto? ‘sto povero Cristo doveva salvare il mondo e ha avuto a disposizione solamente trentatré anni, la maggior parte dei quali sono trascorsi non si sa bene a far cosa. Se avesse dovuto guardare alla sua vita con lo stesso atteggiamento delle donnine stressate anni 2000, Gesù avrebbe dovuto essere costantemente sull’orlo di una crisi di nervi.
Quanti malati avrebbe ancora potuto sanare! E quanti pochi, invece, ha guarito!
Quante volte ha deluso le aspettative dei suoi amici! Alla fin fine, forse, quella roba di far crollare l’Impero la si poteva anche fare: sai, ci tenevano tanto…
E invece, no. Non solo i Vangeli non ci dipingono Gesù nell’atto di consultare compulsivamente Google Calendar, ma addirittura ci raccontano come, a un passo dalla morte, abbia avuto la lucidità di dire al Padre: “ho compiuto l’opera che tu mi hai dato da fare”.
Ma badate bene, dice Nancy: Gesù, a differenza nostra, considerava prioritaria una cosa sola – compiere l’opera che il Padre gli aveva dato da fare.
Non l’opera che sarebbe piaciuta a San Pietro. Non il miracolo che avrebbe fatto gioire le moltitudini. No: Gesù, che a differenza nostra non è scemo, aveva come unica preoccupazione quella di portare a termine il compito che Dio gli aveva dato.
L’autrice lo dice molto chiaramente: ventiquattr’ore al giorno sono troppo poche perché io possa riuscire a fare tutte le cose che sono appuntate nella mia to-do-list. Se in ventiquattr’ore cerco anche di ottemperare alle to-do-list degli altri, andiamo peggio del peggio. Non ho materialmente il tempo e la forza fisica per ascoltare tutte le telefonate-fiume delle mie amiche in crisi, e contemporaneamente incontrare tutti quelli che mi han detto “vediamoci per un caffè”, e contemporaneamente cucinare una cena per dieci ospiti partendo dalle materie prime, e contemporaneamente rimanere in regolare contatto con tutti gli amici lontani.
E sai qual è il bello, dice Nancy? Il bello è che, in effetti, non c’è scritto da nessuna parte che io debba fare tutta ‘sta roba.
Gli unici compiti che siamo realmente tenute a portare a termine sono quelli che Dio ci mette davanti, sempre diversi a seconda delle varie fasi della nostra vita. “La frustrazione”, scrive Nancy, “nasce quando io mi auto-assumo delle responsabilità che esulano dal progetto che Dio ha per me. Nasce quando noi stesse pretendiamo di scrivere la nostra to-do-list, o permettiamo agli altri di stabilire quali dovrebbero essere le priorità nella nostra vita”.
Hai appena partorito due gemelli, e il fratellino più grande non va ancora all’asilo? Se ti lasci convincere che devi assolutamente farcela ad avere la stessa casa super-ordinata di quando eri una novella sposa, non sei wonder-woman: sei ‘na povera pazza. (Senza offesa).
Le circostanze della vita ti costringono a fare la pendolare per un lavoro fisicamente sfiancante, che ti fa tornare a casa esausta, alle sette e mezza di sera? Se ti fissi che devi a tutti i costi cucire a mano i costumi di Carnevale solo perché la tua amica casalinga sta preparando alla sua bimba un abito da principessa, non sei wonder-woman. Sei sempre ‘na povera pazza.
Impara a dire di no senza sentirti in colpa, impara a distinguere ciò che conta davvero da tutto ciò che sarebbe bello poter fare in un mondo ideale. E vedrai – assicura Nancy – che le tue giornate cominceranno improvvisamente a bastare.
2. “I miei figli devono assolutamente essere la mia priorità numero uno!”
Nancy introduce l’argomento facendo un parallelismo con le cosiddette “mamme elicottero”, quelle madri eccessivamente apprensive e protettive che pattugliano costantemente i loro figli dall’alto (come un elicottero) pianificando, controllando e regolando ogni singolo aspetto della vita del bebè (pure quando il bebè ha già patente e diritto di voto).
La cosa allarmante è che – dice Nancy – “negli ultimi anni ho notato l’ascesa (scusate il gioco di parole) di una variante religiosa della mamma-elicottero: si tratta di madri piene di buone intenzioni che fanno sì che la loro intera vita ruoti attorno a quella del figlio, invece di proporre a se stesse e ai loro figli uno stile di vita che ruoti attorno al Vangelo. E c’è una sottile ma importante differenza, tra le due cose”.
È un inganno in cui cadono moltissime donne dabbene, un inganno che Nancy ritiene ordito niente meno che da Satana: “se non riesce a farti credere alla bugia per cui i tuoi desideri personali sono più importanti dei bisogni dei tuoi figli, ecco allora che cercherà di colpirti con la menzogna opposta: e cioè che i tuoi figli sono la tua unica ragion d’essere. Se non è riuscito a persuaderti a fare un idolo della tua carriera, allora cercherà di indurti a idolatrare i tuoi bambini”.
È indubbiamente vero che viviamo in una società in cui i bambini sono spesso considerati uno scomodo extra, di cui farsi carico il più tardi possibile. Eppure, è altrettanto vero che i (pochi) bambini (rimasti) sono trattati alla stregua di capricciose semi-divinità.
E quindi, anche noi brave donne cristiane (noi, felici poche, che sappiamo davvero quanto vale una nuova vita!) di fronte a un bambino ci sentiamo spesso in dovere di soddisfare (anzi prevenire) qualsiasi sua richiesta, di riempire ogni sua giornata con attività ludiche e gioiose, di allontanare da lui qualsiasi sentimento negativo. E magari imponiamo pure al resto del mondo le urla di un bimbo capriccioso e in lacrime, dando per scontato che qualsiasi adulto dovesse mostrare fastidio non sia altro che un perfido emulo di Erode.
È naturale e santo (ovviamente) amare i propri figli, dare la propria vita per loro, e volere per loro tutto il meglio. E non è certo prerogativa delle sole mamme cristiane mettere loro figlio su un piedistallo: anzi. Eppure, una mamma cristiana dovrebbe stare molto attenta su questo punto, anche perché – sottolinea Nancy – Gesù è stato molto esplicito nel dire “chi ama il figlio o la figlia più di me, non è degno di me”.
Credo anch’io che ogni tanto potrebbe essere salutare fare un accurato esame di coscienza su questo tema. Cos’è che ci dà sicurezza, felicità e appagamento: primariamente la nostra famiglia, o primariamente Dio? Su chi è che facciamo affidamento innanzi tutto: su nostro marito, o sulla Divina Provvidenza? Cos’è che desideriamo di più, nel profondo: essere considerata dal mondo una brava mamma, o essere considerata da Dio una brava cristiana?
Tante cose possono diventare degli idoli, nella vita: la forma fisica, la ricchezza, il sesso, la carriera. Ebbene: quasi nessuno osa dirlo ad alta voce, ma anche il sogno della Perfetta Famiglia Cristiana Da Mulino Bianco, talvolta, a suo modo, può diventare un idolo.
In un certo senso, anche nei confronti dei propri figli si può provare un amore smodato e non casto. E, dunque, a suo modo, peccaminoso.
3. “Mio Dio! Quella povera sorella in Cristo sta sbagliando tutto! Ghe pensi mi: adesso sì che la nutrirò con le mie parole di vita eterna!”
Presente, la proverbiale suocera che pretende di insegnarti a lavare i pavimenti perché “ma sei scema a usare il mocio, lo sanno tutti che lo straccio è meglio”?
Oppure, peggio ancora: presente, la perfetta sconosciuta che ti ferma per strada, lancia un’occhiata pietosa al tuo bambino, e poi comincia a pontificare che lo stai tenendo male, l’hai vestito troppo o troppo poco, quella merendina non gli fa bene, cosa ti è venuto in mente di comprargli quel giocattolo?
Ecco. Se concordiamo tutte quante (come credo) sul fatto che certi comportamenti invasivi e non richiesti dovrebbero essere sanzionati con un viaggio di sola andata verso quel paese, dovremmo francamente stare molto attente a non assumere anche noi lo stesso atteggiamento, quando si tratta di “consigliare” la strada “giusta” a una nostra sorella in Cristo che “vediamo” in “difficoltà” (?).
“La Chiesa”, scrive Nancy, “non è stata pensata per essere un amoroso convivio di famigliole alla mano che sono identiche in ogni singolo aspetto della loro vita”. Siamo persone con problemi, talenti, esperienze di vita e possibilità drasticamente diverse gli uni dagli altri. Quello che fa funzionare il mio matrimonio, non necessariamente potrebbe salvare il matrimonio di Giovanna. Le scelte educative fatte da Giulia, non necessariamente possono funzionare altrettanto bene sui figli di Chiara.
Nancy mi ha fatto molto ridere citando, a questo punto, alcuni stralci di una lettera che un esasperato San Paolo ha indirizzato a una comunità romana evidentemente piena di “so-tutto-io”.
Non mettetevi a discutere sulle opinioni. Uno di voi crede di poter mangiare di tutto, lʼaltro invece, che è debole, mangia solo verdure. Quello che mangia di tutto con convinzione non deve permettersi di disprezzare quelli che la pensano diversamente. E lo stesso vale per questi ultimi: non devono giudicare quelli che mangiano di tutto, perché Dio stesso li ha accettati come suoi figli. Chi siete voi per giudicare i servi di Dio? Essi sono responsabili davanti a Dio, non davanti a voi. […] Per questioni del genere, ognuno approfondisca le sue convinzioni personali. […]
Smettiamola quindi di criticarci a vicenda. Cerchiamo, invece, di vivere in modo da non essere d’ostacolo alla crescita spirituale del nostro fratello.
Intendiamoci: se ci troviamo di fronte a una amica che pone in essere dei comportamenti oggettivamente sbagliati, è senz’altro bene correggerla con buon garbo, nei tempi e nei modi che parranno più opportuni.
Ma per tutto ciò che non è una diretta infrazione del catechismo (per tutto ciò che, insomma, è una tua particolare interpretazione, una tua specifica devozione, una tua intima convinzione: ma nulla di più), sarebbe bene stare molto molto attente, prima di dispensare a destra e a manca parole di vita eterna.
Anche perché, toccando corde delicatissime come quelle della fede e delle questioni di coscienza, è drammaticamente facile dare il consiglio sbagliato, mandare in crisi mistica chi lo riceve (perché “oddio, ma allora sto sbagliando tutto”), convincerlo a fare come dici tu (perché “vedrai, funziona!”) e poi mandare tutto involontariamente a catafascio (perché, no, guarda un po’: ciò che funzionava per te, per lei non funziona affatto).
4. “Sono una donna, sono emotiva: non posso farci niente, sono fatta così. Sai, gli ormoni”
Per una mia personale inclinazione caratteriale, sono probabilmente la donna meno emotiva di questo mondo. Al tempo stesso, non ho mai sofferto (e prego di non soffrire mai, ché la cosa mi destabilizzerebbe mica poco) dei famosi sbalzi di umore che molte donne accusano in quei periodi del mese.
Però, regà, io conosco alcune amiche che affrontano la sindrome premestruale con la stessa rassegnazione all’ineluttabilità dei fatti con cui una gatta affronta l’entrata in calore. Le fluttuazioni ormonali sono un dato di fatto, ma non è che adesso questo debba autorizzarci a trasformarci una volta al mese in una Erinne vendicativa che deve far scontare al povero coniuge tutte le sue colpe passate, presenti e future.
Siamo donne: abbiamo la tendenza ad essere emotive e a dare un grande peso ai nostri sentimenti. Ma non è che adesso dobbiamo sentirci autorizzate ad assecondare ogni singolo sentimento, emozione o stato d’animo che ci si piazza nella capoccia.
Per citare Nancy: “Può anche darsi che tu davvero ti senta nervosa ed irritabile in certi giorni del mese, e che tu non possa fare niente per evitarlo. Ma questo non vuol dire che tu non possa fare niente per evitare di trattare a pesci in faccia gli innocenti che hanno a che fare con te in una giornata no.
Può darsi che tu davvero non possa fare niente per evitare di sentirti vulnerabile e lusingata dalle attenzioni di quell’uomo sposato che ha posato gli occhi su di te. Ma questo non vuol dire che tu non possa fare niente per fermare il corso delle cose”.
Grazie a Dio siamo esseri umani, e non bestie allo stato brado. Ergo, non è vero che siamo incapaci di controllare le nostre emozioni; né possiamo ragionevolmente credere che basti uno sbalzo ormonale per farci uscire completamente di cervella. Se stiamo cercando una scusa per comportarci male, dice Nancy, riusciremo sempre a trovarne una: ma guai, se cominciamo a giustificare i nostri peccati e le nostre asperità caratteriali con una scrollata di spalle e con un “eh ma sai, l’emotività. Gli ormoni”.
Personalmente, rimango sempre un po’ interdetta quando sento donne scherzare dicendo “eh beh ma sono una donna, è ovvio che io sia vanitosa / pettegola / spendacciona”. Generalmente è detto in tono scherzoso e non sono così scema da non cogliere l’ironia, ma… ehm: non sono mica cose di cui vantarsi.
Un uomo che ritenesse normale abbandonarsi a scatti d’ira immotivati al momento dell’andropausa, o dicesse seraficamente “sai, sono un maschio, è nella mia natura essere aggressivo e ruffiano sul lavoro” non lo guarderemmo con la stessa indulgenza sorridente con cui amiamo guardare noi stesse mentre ci crogioliamo nel peccato.
5. “Devo imparare ad amarmi di più”
Che sulla carta, è pure ‘na bella cosa, no? Perché mai dovrebbe essere sbagliato, per una donna cristiana, imparare ad amarsi ogni giorno un po’ di più? Mica c’è scritto da nessuna parte che dobbiamo vivere nel costante disprezzo di noi e del mondo.
No, per carità, ci mancherebbe altro. Ma – fatto salvo il caso di alcune donne che davvero faticano ad accettare se stesse, spesso a causa di trascorsi complicati o di un disagio interiore di fondo – “mi permetto rispettosamente di suggerire”, dice Nancy, “che non abbiamo affatto bisogno di imparare ad amarci di più. Semmai, abbiamo bisogno di imparare a riconoscere l’incredibile amore che Dio prova verso di noi e l’enorme valore che la nostra vita ha ai suoi occhi”.
Perché, nella maggior parte dei casi, davvero basterebbe questa consapevolezza a farci svoltare la giornata. Se davvero riuscissimo a sentire lo straordinario, infinito, misericordioso e giusto amore che Dio prova per ognuna di noi, allora sì che svanirebbero i nostri sensi di inadeguatezza, la nostra autocommiserazione, il continuo confronto con quello che hanno, o fanno, le altre.
Detto brutalmente, nel 90% dei casi, il problema non è che ci amiamo troppo poco: il problema è che ci amiamo troppo. Abbiamo un disperato bisogno di sentirci accolte, apprezzate, felici, realizzate professionalmente, sicure delle nostre scelte – e quando abbiamo l’impressione che queste circostanze non si realizzino, ecco allora che ci immalinconiamo e ci buttiamo giù. Ma allora, sotto sotto, il problema non è che ci amiamo troppo poco: il problema è che ci amiamo così tanto che ci rimaniamo male quando il nostro prossimo (o il nostro cervello) non mostra verso di noi l’alta considerazione che riteniamo che ci spetti. Tendiamo a mettere noi stesse al centro di un piccolo universo di cui siamo noi il primo motore immobile: “in che modo questa scelta cambierà la mia vita? Questo fatto mi renderà felice? Perché tutto questo succede proprio a me? Cosa pensa davvero quella donna di me? Non è giusto, toccava a me stavolta. A nessuno importa delle mie idee. Mio marito ha ferito i miei sentimenti. Ho bisogno di un po’ di spazio per me. Nessuno pensa ai miei bisogni”.
E, per carità, magari è tutto vero, e realmente stai ricevendo un trattamento ingiusto. Però, invece di considerarci sempre e comunque il centro del nostro piccolo universo personale, dovremmo ogni tanto provare a porre al centro Colui che lo è davvero. Nancy suggerisce che, per sentirci più realizzate, dovremmo esercitarci a porci Coram Deo, pensare cioè di essere costantemente alla santa presenza del Signore.
Se Dio è qui, con me, proprio in questo momento, a carezzarmi con il suo sguardo di infinito amore, che me ne importa di quel chilo di troppo, del capufficio che mi sottostima e della signora che ho visto l’altroieri a Messa con la Vuitton nuova fiammante che io posso solo permettermi di sognare?
Prendere consapevolezza di qual è davvero il nostro posto nel mondo e agli occhi di Dio, davvero aiuta a capire qual è il posto nel mondo di tutte le nostre piccole paturnie quotidiane.
vitaincasa il lato rosa della vita
Purtroppo gli sbalzi ormonali per qualche donna sono davvero “fuori controllo”. L’unico modo di essere sicure al 100% di non far danni sarebbe isolarsi per un paio di giorni dal resto del mondo! E’ un problema serio, così come sono seri tutti i dolori e disturbi vari legati al ciclo da cui alcune sono aflitte. La cosa triste è che neanche tra donne c’è solidarietà, poiché non tutte ne soffrono con la stessa intensità, e quelle più fortunate non si rendono conto di quel che passano le più sfortunate.
A parte questo appunto che mi sentivo di fare, interessantissimo articolo come al solito! ☺
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Lucia
In effetti, io non ne soffro e faccio veramente fatica a immaginare come ci si debba sentire concretamente.
(L’autrice del libro, in compenso, dice di averne sofferto, e in maniera piuttosto pesante, soprattutto all’epoca della sua menopausa).
Per come l’ho l’intesa io, il pensiero di Nancy su questo punto (e, comunque, sicuramente il mio pensiero su questo punto) è: nessuno nega che gli ormoni abbiano su alcune di noi effetti anche dirompenti. La cosa importante è che quei giorni lì non diventino per noi una specie di scudo morale dietro al quale proteggerci, facendo sostanzialmente tutto quello che ci pare con l’autogiustificazione che “eh ma sai, gli ormoni”.
Che una tempesta ormonale possa sballarci, renderci più emotive e metterci a dura prova, ok. Ma questo vuol dire che, in quei giorni, la nostra “lotta” per il dominio di sé deve essere particolarmente forte; non che in quei giorni dobbiamo automaticamente fare spallucce e lasciarci andare, e chi s’è visto s’è visto.
Secondo me, lei non voleva negare o diminuire le dimensioni di quello che per molte è un problema oggettivo. Voleva invitare le donne a non usare questo problema oggettivo come scusante per fare di tutto e di più 🙂
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Claudia
Quella degli sbalzi ormonali secondo me è anche una scusa, ormai c’è di tutto per riequilibrare gli sbalzi. Ammetto di non aver quasi mai sofferto di sindrome premestruale (salvo un appetito mostruoso nei giorni pre-ciclo) ma quando vedevo un’amica in questa situazione e le dicevo di consultare un medico mi rispondeva “siamo donne, dobbiamo accettare e soffrire”. Senza contare che il mondo degli uomini ha usato sempre questa scusa per trattarci come delle mezze matte. Fino alla metà degli anni ’60 alle donne era preclusa la magistratura per via del ciclo che le avrebbe rese irragionevoli!
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Lucia
Ché poi, anche ‘sta cosa che in quanto donne dobbiamo accettare e soffrire… bah.
Non si capisce bene perché, ma pare che noi si debba accettare e soffrire solo i fastidi che sono diretta conseguenza del nostro essere donne. Vorrei proprio sapere quante delle donne ci sono che si fanno devitalizzare i denti senza anestesia perché “eh ma dai un po’ di dolore non ha mai ucciso nessuno”.
E invece, conosco almeno quattro donne che rifiutano di assumere farmaci per problemi legati al ciclo perché “eh ma è la nostra natura, dobbiamo accettare e soffrire”. Per non parlare di una mia cara amica che, incinta, era fortemente decisa a ricorrere all’epidurale, ed era circondata di persone che la facevano sentire in colpa perché “eeeehh, ma dai, quante storie, guarda che partoriscono tutte le donne da sempre!” (NB lo so che l’epidurale ha possibili rischi e controindicazioni, ma in quel caso pare che la tapina fosse criticata proprio per la scelta in sè, come se il desiderio di ricorrere all’anestesia la rendesse automaticamente “da meno” rispetto a quelle madri che si fanno tutto il travaglio senza).
Ma boh?
Ricorrere a farmaci e integratori per i problemi del ciclo, mai nella vita, però appena viene il raffreddore subito a prendere gli antibiotici (anche se non servono a niente).
Alcune donne ragionano così per davvero!
(Non tutte eh, ci mancherebbe…)
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Claudia
Analisi ineccepibile!!! Per quanto riguarda il punto 1) – il tempo vedo che questo è dovuto al fatto (a mio parere) che la donna è massacrata dallo stereotipo sociale della donna che deve essere laurata-con master-lavoratrice in carriera-con figli che fanno tre/quattro attività extrascolastiche-organizzatrice di feste di compleanno fastose-ottima cuoca-casa perfetta e tutto sul tacco dodici e taglia 42!
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sircliges
Interessante soprattutto il punto 1, che invero colpisce anche gli uomini (forse alcuni più delle donne).
Vorrei provare per gioco o esperimento a convertire questi errori femminili nella loro controparte maschile (se esiste): maschi in ascolto, chi mi aiuta?
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Lucia
Ha fatto lo stesso gioco anche il marito di Nancy e se ne è uscito con un libro intero sul tema 😀
(Che però non ho ho letto)
Però il tuo è un esperimento mica male!
Su su comincia (cominciate), ché qui noi donne siam curiose 😛
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sircliges
Versione maschile degli errori:
1. Non ho abbastanza tempo per fare tutto (uguale)
2. La carriera deve essere la mia priorità numero uno, così potrò provvedere ai bisogni della mia famiglia, anche se la vedo poco
3. [Uhm, ci devo pensare]
4. Non criticarmi e non fare la rompiscatole! Sono un uomo, sai, il testosterone…
5. Devo imparare a farmi rispettare di più dagli altri! Portate rispetto, $t#@^^!!
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Lucia
Vero: però secondo me c’è da fare un fondamentale distinguo, e cioè che queste bugie, semmai, i maschi se le raccontano da soli. Non sono martellati da una società (e, in molti casi, anche proprio da una Chiesa) che preme costantemente per farli comportare così. Forse giusto la società (ma manco tutta: un certo tipo di società), toh: ma la gran parte della nostra civiltà moderna non esiterebbe a definire disvalori tutti i punti che elenchi tu – almeno sulla carta.
Invece, nel 99% dei casi, le “bugie che si raccontano le donne” sono percepite come valori a prescindere. Anche e persino in seno alla Chiesa.
Le retorica della donna multitasking che non deve chiedere mai, della Brava Mamma Cattolica disposta a sacrificare tutto (e pure se stessa) per la cura dei figli, della amica amorevole che deve essere sempre pronta per ascoltare e consigliare le sue BBF (best best friends, per chi non conoscesse la sigla XD) e della donna che, a forza di tracciare grafici della sua temperatura basale e meditare sulla teologia del corpo, deve pur imparare a conoscersi e ad accettare di soffrire: questi, ti assicuro, sono tutti quanti valori che il 98% delle donne non esiterebbe a definire tali.
Per carità: c’è del buono in tutti gli atteggiamenti che ho elencato qui sopra, eh, ci mancherebbe. Il problema è quando questi atteggiamenti vengono portati all’estremo, in virtù di un perfezionismo tutto femminile e/o di una specie di martirio auto-inflitto che fa tanto “brava mamma”. E questo, da donna, ti assicuro che capita spessissimo, e che anzi è l’atteggiamento dominante in numerosi ambienti (non necessariamente confessionali, ma anche e persino confessionali).
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Lucia
E non sono d’accordo nemmeno sul fatto che il punto n. 1 sia uguale per gli uomini e per le donne.
Preciso a pro’ di lettori esterni che non sto citando episodi di vita vissuta 😉 ma un uomo che torna a casa stanco dopo il lavoro, si toglie i vestiti, si spaparanza sul divano, magari gioca un po’ con i suoi figli (e dunque si fa carico di momenti più “ludici” che pesanti), si mette davanti alla TV perché è stanco, e ogni mercoledì sera va a fare la partita di calcetto con gli amici, rientra assolutamente nello standard di un uomo “socialmente accettabile”. Magari non “marito modello”, toh, ma sicuramente socialmente accettabile.
Una moglie e madre che si comportasse allo stesso modo sarebbe perlopiù considerata una moglie e madre degenere. Ma peggio ancora: molte donne tendono a considerarsi degeneri (e, dunque, a considerare degeneri le loro consimili) anche solo se comprano gli omogeneizzati fatti invece di preparare a casa la pappina a partire dalle verdure; o se non si rendono disponibili per fare la rappresentante di classe; o se non portano abbastanza spesso il bambino raffreddato a fare il weekend al mare; o se vanno in giro con la ricrescita perché non riescono a incastrare un appuntamento dal parrucchiere; o se non riescono ad essere abbastanza presenti nella vita delle amiche. E così via dicendo.
I maschi, onestamente, tutte ‘ste paranoie non se le fanno (o, se se le fanno, a me non risulta proprio, guardandomi attorno). E’ esattamente come diceva Claudia poco più sopra: “la donna è massacrata dallo stereotipo sociale della donna che deve essere laureata-con master-lavoratrice in carriera-con figli che fanno tre/quattro attività extrascolastiche-organizzatrice di feste di compleanno fastose-ottima cuoca-casa perfetta e tutto sul tacco dodici e taglia 42”.
I maschi questo stereotipo sociale non ce l’hanno affatto, e, se posso permettermi, sentire un uomo che dice “eh sì sì poverine, è proprio così anche per noi” mi fa pure pensare l’uomo medio abbia capito ben poco di quanto sia davvero “over-demanding” essere una donna “modello” al giorno d’oggi 😉
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Ilaria
Ero partita prevenuta, invece mi trovo d’accordo su tutti i punti. Il quinto è quello di cui personalmente farò più tesoro, il quarto è anche una mia battaglia. Non sopporto di ascoltare donne che giustificano comportamenti o reazioni fuori luogo con la scusa degli ormoni, tanto più che oggi esistono integratori e farmaci che, per chi soffre di questi sbalzi ormonali, tengono sotto controllo anche dal punto di vista fisico il problema. Perfino in ambienti di lavoro capita di sentire donne usare gli ormoni come scusa, andando peraltro a rinfocolare quel maschilismo che da sempre punta proprio lì; è davvero insopportabile.
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Lucia
Pure sul lavoro? Ammazzate, ci va un bel coraggio, eh… senza contare che ‘ste donne si tirano anche la zappa sui piedi: ma chi è che sul lavoro va a dire in giro “eh no ma dovete sapere che io sragiono cinque giorni al mese”? O.o
A parte il danno indiretto che crea a tutto il resto del mondo femminile, danneggia in modo molto diretto ed evidente anche se stessa. Un genio, proprio… XD
(Comunque io adesso sono curiosissima di sapere che tipo di bugie immaginavi di veder elencate, visto che avevi iniziato prevenuta… :P)
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Claudia
Nell’azienda dove lavorava mio suocero per questo motivo le donne si assentavano regolarmente almeno due giorni al mese ciascuna per malattia (ciclo). Il capo ha dato ordine di non assumere più donne!
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Lucia
😐
Per carità. La dismenorrea grave, l’endometriosi, esistono, e paradossalmente io capisco più una donna che si mette in malattia (presumendo che il dolore fisico sia davvero ingente e certificato da un medico) rispetto a una donna che dà di matto sul lavoro (nel senso che il dolore fisico ingente, se non risponde ai farmaci, davvero non è una cosa che dipende da te; assecondare o meno il nervosismo, invece, è in gran parte una questione di autocontrollo).
Però cavoli, santa pazienza.
Che TUTTE le donne in una azienda soffrano TUTTE QUANTE di dismenorrea in forma grave e che NESSUNA DI LORO risponda ai farmaci, non riesco proprio a immaginarlo.
Ma in che anni succedeva, questo, per curiosità?
Perché storie così, io giuro che non ne avevo sentite mai, e mi sembra anche strano pensare che possano davvero succedere in Italia in anni recenti… :-\
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Claudia
Me lo ha raccontato mio suocero. ,Non è una storia recente, prima che andasse in pensione, circa 15 anni fa…..ma nel 2004 esistevano già tante cose ….il problema è che molte persone si sono approfittate dei contratti tutelati di una volta.
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mariluf
Penso di poter sottoscrivere tutto…. Grazie come sempre, Lucia..
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Eli
Ma – fatto salvo il caso di alcune donne che davvero faticano ad accettare se stesse, spesso a causa di trascorsi complicati o di un disagio interiore di fondo – “mi permetto rispettosamente di suggerire”, dice Nancy, “che non abbiamo affatto bisogno di imparare ad amarci di più. Semmai, abbiamo bisogno di imparare a riconoscere l’incredibile amore che Dio prova verso di noi e l’enorme valore che la nostra vita ha ai suoi occhi”.
Rispetto al riconoscere che Dio prova per me un incredibile amore mi sento gravemente dislessica… Capisco che sia l’unico modo per venire fuori dalla disperazione ma proprio non so da che parte stia la strada. Come diceva Kafka, esiste la meta ma non c’è la via.
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