Il santo e l’orso: una amicizia agiografica con un perché

Joseph Ratzinger, insospettabile fan degli orsacchiotti, ha reso celebre la leggenda dell’orso di san Corbiniano. L’orsetto che campeggia nel suo stemma pontificio è, infatti, un riferimento alla leggenda che vede protagonista san Corbiniano, protovescovo di Monaco. In viaggio per Roma, il santo viene attaccato da un orso bruno che sbrana il suo cavallo, impedendogli teoricamente di proseguire il viaggio. Almeno sulla carta.
Ma Corbiniano è un santo che non si dà per vinto: decide che, se è stato l’orso a metterlo nei guai, dovrà essere l’orso a risolvere il problema. Ergo: con la massima nonchalance gli carica in spalla il suo bagaglio e riprende il cammino verso Roma, accompagnato non più dal suo fido destriero ma bensì da un orso miracolosamente ammansito.

La leggenda, per l’appunto, è ormai abbastanza nota grazie al modo in cui Ratzinger le ha reso omaggio, citandola a più riprese nel corso del suo pontificato.
Tuttavia, potreste stupirvi nello scoprire che l’amicizia tra san Corbiniano e l’orso non è un unicum nel panorama delle agiografie medievali. Del resto, basterebbe fare una vacanza in Trentino e visitare il santuario di san Romedio per sentirsi raccontare una leggenda quasi identica: in questo caso, l’anziano Romedio si stava dirigendo a Trento, quand’ecco un gigantesco orso sbucare dai cespugli e uccidergli il cavallo. Evidentemente, Romedio doveva aver letto da qualche parte dell’escamotage adottato da san Corbiniano, perché fece esattamente la stessa cosa del suo collega: ordinò all’orso di fargli da destriero – e fu così che proseguì il suo viaggi fino alle porte dell’arcivescovado.  

Roberto Franchini, autore di un saggio interessantissimo intitolato Il secolo dell’orso, scrive non a torto che

Se si comincia a collezionare le leggende dei santi che riescono ad ammansire orsi, si rischia di non terminare mai. In molti casi si ha davvero la sensazione che, per mancanza di fantasia o per la volontà di nobilitare una biografia, o, ancora, per fedele obbedienza a una moda religiosa, il “miracolo dell’orso” non potesse mancare nella agiografia di un santo.

Ed è vero: potremmo tranquillamente spingerci a dire che l’amicizia tra il santo e l’orso è, a buon diritto, un topos agiografico.

Ma i topoi agiografici non si sviluppano per caso: se un certo tema si ripete ricorrente, c’è un motivo per cui gli agiografi decidono di inserirlo a mani basse. Quale mai possa essere la funzione pedagogica dell’infarcire le agiografie con storie d’orsi ammansiti, è cosa che Franchini cerca cerca giustappunto di spiegarci. L’autore, innanzi tutto, ci tiene a precisare che, nell’immaginario antico e medievale, l’orso non era affatto quell’animale goloso e goffo che noi moderni siamo portati a guardare con simpatia. Al contrario, era considerato uno dei predatori più famelici e spietati del regno animale. Insomma, dimentichiamoci Winnie Pooh: l’orso, nel Medioevo, era un animale che non suscitava alcun tipo di simpatia.

E infatti, i primi santi ad avere a che fare con gli orsi sono proprio i martiri che da quegli stessi orsi avrebbero dovuto essere uccisi.

Nella Chiesa dei martiri, che lottava per affermare la propria esistenza, nasce la prima versione di quello che abbiamo scherzosamente definito il format del “santo e dell’orso”. In origine, i martiri lottavano e morivano per difendere il diritto alla vita della Chiesa e, dunque, l’ammansimento delle belve feroci, in particolare dell’orso (maschio o femmina che fosse) era una pura autotutela dell’esistenza. Forse era anche un agiografico simbolo della supremazia cristiana sulla ferocia naturale delle belve selvatiche e su quella innaturale della grande civiltà romana.


È questo ad esempio il caso di san Cerbone.
Vescovo toscano del VI secolo, Cerbone fu oggetto di persecuzione da parte del re pagano Totila. Entrato in lotta contro i Goti, che proprio in quel periodo saccheggiavano le terre affidate alla sua custodia, il santo vescovo fu catturato e condannato ad essere sbranato dalle belve. E cioè dagli orsi, nello specifico. Ché, nel nostro immaginario, s’è impressa la scena dei martiri sbranati dai leoni, ma in realtà erano gli orsi ad andar per la maggiore (se non altro per ragioni di maggior reperibilità).
Ebbene: liberato nell’arena, l’orso si avvicinò quietamente a san Cerbone e cominciò a leccargli affettuosamente i piedi, “per far capire chiaramente a tutti” – commenta Gregorio Magno, “che, verso quell’uomo di Dio, i cuori degli uomini erano feroci e i cuori delle fiere erano invece quasi umani”.

Ma Cerbone non è l’unico santo ad aver scampato il martirio grazie a un orso singolarmente premuroso.
Santa Colomba di Sens fu condannata a essere violentata nel bel mezzo di un anfiteatro, ma un’orsa intervenne per proteggerla mostrando una pietà che evidentemente mancava ai torturatori umani.
Faustino e Giovita morirono effettivamente per mano dei persecutori, ma dopo svariati tentativi di martirio andati a vuoto. In quello andato peggio di tutti, i due santi ammansirono gli orsi e altre belve feroci che l’imperatore aveva ordinato di far lanciare contro di loro, sconvolgendo i presenti al punto tale da provocare la conversione di molti – e di una certa santa Afra in particolare.
Non dissimile la sorte dei santi Abdon e Sennen, che, gettati tra le fiere, domano quietamente orsi e leoni. Alla fine, anche loro furono uccisi, ma non da una belva feroce: a finirli fu la ferocia tutta umana di un gladiatore senza cuore.

E dopo questa breve rassegna, direi che è piuttosto chiara la funzione pedagogica del topos dell’orso che rifiuta di attaccare un cristiano perseguitato. “Neppure un animale feroce per sua natura era in grado di tollerare un simile abominio”, sembrano dirci in coro gli agiografi. “La natura stessa rifiutò di partecipare all’eccidio dei cristiani; per compierlo, fu l’uomo a doversi abbassare a una ferocia addirittura superiore a quella delle belve”.

***

Ma, come Dio vuole, le persecuzioni a un certo punto finirono.
Il Cristianesimo divenne religione ufficiale e passò con decisione al contrattacco per convertire le masse. Da Roma, l’azione evangelizzatrice dei cristiani si spostò nell’Italia settentrionale e nelle antiche Gallie… e sono proprio queste le aree geografiche in cui il topos agiografico del santo amico dell’orso gode di maggior diffusione.

In assenza di persecutori pronti a scagliare orsi contro i poveri santi, furono gli orsi stessi ad evolversi in disturbatori.
Nell’agiografia di san Colombano si legge ad esempio come il pio abate avesse deciso di vivere in una grotta per concedersi un periodo di isolamento. Ma ahilui: la grotta in cui aveva deciso di stabilirsi risultava occupata da un orso. Lungi dal fare ciò che avrebbe probabilmente fatto qualsiasi persona sana di mente (e cioè: cercarsi un’altra grotta), Colombano prese da parte l’orso e gli ordinò di sloggiare. Cosa che l’orso fece senza fiatare, senza importunare oltre il santo monaco.

Vogliamo definirla una metafora di una religione che si afferma in territori barbari e selvaggi? Probabilmente sì, soprattutto se ci soffermiamo su un particolare non di poco conto: per i popoli barbarici stanziati a nord delle Alpi, l’orso era una sorta di “animale totemico” (se mi passate il termine improprio), simbolo di forza e di potenza. Una potenza che, tuttavia, si piega docilmente di fronte a un monaco inerme.

Un aneddoto simile a quello di san Colombano ricorre anche nell’agiografia di san Gallo. In questo caso, il religioso stava costruendo un eremo in un territorio che, ahilui, si rivelò essere terra di caccia di un orso tra i più feroci. Senza lasciarsi minimamente intimorire, san Gallo ordinò all’orso di andare a cacciare da un’altra parte (o addirittura – secondo testi più tardi – lo trasformò in bestia da soma, caricandogli sulla schiena il legname che serviva per la costruzione). Esclamò dunque uno dei suoi discepoli, assistendo alla scena: “ora so che il Signore è davvero al tuo fianco, se persino gli animali della foresta obbediscono alla tua parola!”.

***

Lo stupore del discepolo ci introduce alla terza sfumatura che assume, col passar del tempo, l’amicizia tra il santo e l’orso.

Nel momento in cui le persecuzioni erano ormai un ricordo lontano – e nel momento in cui l’evangelizzazione d’Europa si era ormai compiuta – l’innaturale mansuetudine dell’animale selvatico finì con l’assumere il valore di miracolo puro e semplice.
Per esempio, è indubbiamente miracoloso l’episodio occorso ai pellegrini che si erano smarriti nei boschi tentando di raggiungere l’abitazione di san Severino l’eremita. D’un tratto, un orso maestoso balzò di fronte a loro: avrebbe potuto essere l’incipit di una tragedia e invece fu un segno della celeste benevolenza. L’orso, docile, guidò i pellegrini fino alla casa del religioso per poi sparire.

Legato a un eremita da rapporti di buon vicinato fu anche l’orso che prese in simpatia san Serafino da Sarov (vissuto peraltro in epoche a noi vicine: è morto nel 1833!). Eppure, anche questa agiografia tarda si sofferma sulla innaturale benevolenza che le feroci belve del bosco avevano sempre mostrato verso l’eremita che lì viveva. Come non interpretarlo come un segno di particolare grazia?

Ma torniamo ad epoche più antiche. Spostiamoci dalle parti della Repubblica di San Marino, nella quale san Marino si stava giustappunto affaticando per gettare le fondamenta della città. Aridanghete: un orso uccise il mulo che Martino usava per trasportare i mattoni. Per nulla impressionato dagli eventi, il santo ordinò all’orso di prendere il posto del mulo. Grossomodo, lo stesso ordine che san Rustico, in un’altra agiografia, rivolse al bestione che aveva sbranato un bue al quale occorreva far trasportare il carro funebre del defunto san Vincenziano. E fu così che il santo fu trasportato al suo luogo di sepoltura da un orso legato al basto.

Esecrabile la situazione vissuta dai santi Martino e Massimino, nel corso di un viaggio verso Roma. Esecrabile, ma non nuova alle nostre orecchie: alzandosi un bel dì, i due santi uomini scoprirono che un orso aveva sbranato i loro destrieri. Niente affatto intenzionati a rinunciare al viaggio, i due costrinsero l’orso a trasportare i bagagli fino alla Città Eterna. E – come nota Roberto Franchini –

nasce proprio con Martino di Tours e Massimino di Treviri, nel IV secolo, un modulo narrativo che Corbiniano renderà tanto famoso. Ma solo quattro secoli dopo.

Anche se, tra tutti gli esempi che ci consegnano le agiografie, l’amicizia santo-orso che io preferisco è quella che lega sant’Aredio di Gap al suo orso da compagnia.
L’incontro iniziale è turbolento come da copione: il vescovo è in viaggio per Roma; l’orso sbrana la sua cavalcatura; il santo lo costringe a portare il suo bagaglio e poi si fa pure riaccompagnare a casa nel viaggio di ritorno, giusto per chiarire chi comanda.
Sennonché, tra il vescovo e l’animale deve scattare un certo feeling. Racconta l’agiografia che l’orso resterà al fianco del suo amico fino alla morte del santo, comparendo persino davanti alla chiesa nel giorno del suo funerale: una specie di Hachiko ante litteram. E come se non bastasse, si presenterà di fronte alla chiesa ogni anno nel giorno dell’anniversario della morte del santo, per onorare la memoria del suo amico tanto amato.

***

Scherzando, io amo dire che l’orso di sant’Aredio è stato il primo orsacchiotto da compagnia di cui la Storia abbia memoria.
Ovviamente non è vero, ma mi piace crederci: secondo me, se gli orsi del 2000 si sono trasformati in animaletti pucciosi che cullano nel sonno i nostri bimbi e regalano cioccolatini a San Valentino, ciò è chiaramente merito delle generazioni di santi che li hanno pian piano evangelizzati rendendoli animali migliori.
Il mio orso-Papa dice di trovarla una teoria plausibile, per quel che vale.
Anche se forse lui è un po’ di parte.

15 risposte a "Il santo e l’orso: una amicizia agiografica con un perché"

  1. Elisabetta

    E anche i santi strani sono tornati, siam al completo, direi che la fase 3 possa cominciare 😄
    I santi sull’orso mi ricordano certi cartoni anni ’80 in cui il protagonista aveva appunto un aiutante animalesco, sarà un caso che questi elementi da fiaba ritornino? Ma poi sta sfilza da santi da dove salta fuori?io sto aspettando che diventi santo san rolando rivi e di chi devo accontentare? di sant’aredio di gap, mah. Cioè va benissimo, però.
    Che poi è gap in provenza magari ??😍😍🤩
    Ps. Buon san Benedetto a tutti!!!

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    1. Lucia

      Eh, ma è che tu sbagli blog!

      Temo che ci sia un grosso equivoco di fondo: per santi strani, sconosciuti e il cui nome si sarebbe perso nella memoria dei tempi se non fosse per le bizzarrie che vengono attribuite loro, questo è il posto che fa per te!
      Per santi a modino, trattati da blogger sane di mente e possibilmente morti da meno di un millennio 🤣 è sul blog dell’ottima Emilia che devi andare!

      Scherzi a parte, mi fa sempre piacere consigliare, tutte le volte che posso, il bellissimo Testimoniando, fonte inesauribile di tante storie di santità recente (e/o di storie di testimonianza cristiana in senso lato, anche se il testimone non è giunto alla storia degli altari).

      https://testimoni-ando.blogspot.com/

      Però Emilia è una blogger seria, veh.
      Non l’ho mai vista parlare di orsetti e sono strasicura che non abbia mai parlato di reliquie che perdono liquami 🤷‍♀

      Comunque sì, sant’Aredio di Gap è della Gap in Provenza… e buona festa di san Benedetto anche a te 😁😁😁

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      1. Emilia

        Eh no, cara mia, qui ti smentisco!
        In primo luogo, perché i miei Testimoni sono spesso gente misconosciuta (sebbene io abbia deciso di cavalcare l’onda di anniversari e ricorrenze varie).
        In secondo luogo, perché di reliquie e affini ho trattato nei post “Corpi Santi e reliquie, parte di un tutto” (https://testimoni-ando.blogspot.com/2014/10/corpi-santi-e-reliquie.html) e “Furti di reliquie tra ieri e oggi” (https://testimoni-ando.blogspot.com/2017/06/furti-reliquie-5-cose-piu.html; devo rivederlo perché mi sono accorta che sono saltate delle immagini).
        Pensavo che prima o poi avrei affrontato il tema della “manna”, ma dovrei documentarmi meglio.

        No, di orsetti non ho mai scritto, ma ricordo di aver visto una foto della Beata Itala Mela con un orso di peluche in mano (mi pare di avertela anche segnalata).

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  2. klaudjia

    Nell’epoca moderna gli animali sono diventati tutti “pucciosi” e “tenerissimi”. Max Pezzali di recente ha cantato del cinghiale “che gli fa le fusa”! Ora se mi si avvicinasse un cinghiale (se non mi prende un colpo prima) me la darei a gambe levate!! Non è un gattino di un paio di chili!! Probabilmente la nostra società che vive in città ha idealizzato gli animali dimenticando che (vecchio proverbio laziale contadino) “non sono battezzati”. Ovvero hanno la loro natura selvatica ed i loro istinti che non possiamo negare vedendo anche negli animali selvatici il loro aspetto “tenero”. Ho parlato con una persona che ha detto di come è affettuoso il suo pitone e di come gli facesse compagnia!!

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    1. Lucia

      😅
      A Torino qualche giorno fa sono apparsi sui lampioni degli avvisi in cui una famiglia disperata diceva di aver smarrito la sua iguana domestica e prometteva una ricompensa a chi l’avesse ritrovata.
      Ora: pare che le iguane se ne stiano piuttosto bene in cattività e che ci sia gente che davvero trova bello avere una iguana come animale domestico. Fatto sta che la notizia della iguana domestica smarrita per le vite di Torino centro mi è sembrata irresistibilmente comica, più che altro perché non riesco a immaginare la dinamica.
      Se l’iguana è scappata di casa attraverso una finestra lasciata aperta, io mi immagino ‘sta iguana che mi piove addosso dal cielo mentre io cammino per i fatti miei, e rido fortissimo.
      Se l’iguana si è persa mentre i proprietari la portavano a spasso, la scenetta mi sembra non meno comica: come ti porti a spasso una iguana? Col guinzaglio?

      Comunque speriamo che la ritrovino, poveri (e povera iguana)!

      Detto ciò, è vero: oggidì, gli animali sono quantomeno “pucciosi fino a prova contraria”, per così dire. Il libro di Franchini è interessante proprio perché spiega come è stata possibile questa evoluzione per quanto riguarda l’orso nello specifico. Ma in effetti un po’ tutti gli animali, anche quelli selvatici e pericolosi, ci ispirano una certa simpatia.
      Probabilmente sì, questo è dato anche dalla scarsa dimestichezza che noi abitanti di città abbiamo con gli animali, unito al fatto che gli animali selvaggi non sono certamente un pericolo concreto per noi. Conosco zone nelle quali i cinghiali fanno danni grossi a coltivazioni, cose e persone (conosco un persona che ha rischiato di morire e una che è morta per davvero, per colpa di un cinghiale…) e lì c’è già molta meno simpatia 😅

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      1. klaudjia

        L’iguana domestica!!! No vabbè!! Tra l’altro l’iguana maschio può tranquillamente raggiungere il metro di Lunghezza e avendone viste parecchie se te la trovi vicino all’improvviso ti prende un colpo! È assolutamente innocua (tanto è vero che spesso in Messico finisce in padella) ma l’aspetto è bruttarello forte. Nella zona do Ciampino (confinante con Roma) tempo addietro un meccanico aggiustando un motore si è visto spuntare un serpente (innocuo) dal motore. Era un animale “domestico” fuggito e che aveva pensato di fare il letargo lì. Ha avuto un malore dal quale si è ripreso ma ha rischiato!!!

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  3. esprit74follet

    Ciao! E’ la prima volta che ti scrivo: condivido la tua passione per la Storia (e le storie) e per gli orsetti pucciosi. Ti vorrei segnalare che in Valle d’Aosta è venerato Sant’Orso, che nell’immaginario collettivo è un poco orso lui stesso, tanto che una tradizione radicata vuole che se nel giorno della sua festa (1° febbraio) è bel tempo, allora l’inverno si allungherebbe di 40 giorni “perché l’Orso ha messo ad asciugare il pagliericcio” che gli fa da giaciglio per il letargo invernale, e – quindi – può tornarsene a dormire all’asciutto ancora per un mesetto.
    E la fiera di Sant’Orso, di tradizione bimillenaria, è un evento importantissimo per tutti i valdostani, che si tiene con ogni tempo il 30 e il 31 di gennaio di ogni anno.
    Lucia anch’io

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    1. Lucia

      Ciao omonima!

      Wow 😯
      Grazie!, non lo sapevo assolutamente!
      O meglio: sapevo della fiera di sant’Orso e dico da tempo che mi piacerebbe prima o poi andarla a vedere (poi non vado mai perché ci tengo ad essere da tutt’altra parte per una fiera altrettanto grandiosa che si tiene per la Candelora, quindi dovrei passare quei giorni a girare come una trottola 🤣).
      Ma non sapevo proprio che nell’immaginario collettivo sant’Orso si fosse… orsificato 😛 Che cosa curiosa, grazie per l’informazione!

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      1. esprit74follet

        Immagino che tu la conosca, ma ti segnalo ugualmente la Collegiata di Sant’Orso in Aosta, con il suo splendido chiostro, una vera chicca (ma io sono di parte…). E anche il “prato di Sant’Orso”, a Cogne, il più grande prato alpino conservato in Europa 🙂

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  4. Murasaki Shikibu

    Ma il primo animale da compagnia di grosse dimensioni scelto da un santo… è il leone di san Gerolamo 🦁🦁🦁tracciando quindi una mappa tematica degli animali usati come simboli di regalità (e di minaccia), nonché animali da compagnia di grosse dimensioni per santi abbiamo: il leone nell’area mediorientale e mediterranea; gli orsi nell’Europa soprattutto del Nord, e l’elefante nella regione indiana. Quest’ultimo mi è venuto in mente mentre scrivevo il commento e lo aggiungo anche se non credo sia mai stato usato per fargli sbranare martiri sulle arene (però ha tenuto compagnia a numerosi monaci e santi)

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