Il santo che, pur di salvare la birra, arrivò a un soffio dal vendere l’anima al diavolo

Talvolta, leggere le agiografie ti permette di scovare delle piccole chicche storiche che proprio non ti aspetteresti.
Tipo: pensiamo ad esempio a questa cosa del sidro.
A giudicare dalle sue agiografie, san Dunstano di Canterbury (+ 988) aveva dei grossi problemi con il sidro, una bevanda da lui odiatissima e che eppure si stava rapidamente diffondendo in Inghilterra, col rischio di soppiantare la sua amata birra.

Un devoto un po’ distratto potrebbe leggere questo dettaglio, sorridere per l’ironia della cosa e poi andare avanti nel suo studio.
Ma invece no: non sarebbe proprio il caso di sorvolare su questo aneddoto, che è così tanto verosimile da essere quasi certamente vero. Ai tempi in cui il culto di san Dunstano si stava sviluppando, in Inghilterra c’era probabilmente un mucchio di brava gente che davvero avrebbe volentieri buttato a mare i barili di odiatissimo sidro, in un sentimento evidentemente così radicato da aver lasciato traccia persino nei testi sacri.

E qui ci si potrebbe chiedere: ma perché? Che aveva fatto di male, ‘sto sidro, per meritarsi così tanto astio?


***

Liquido alcolico ottenuto dalle mele, il sidro è di, per sé, una bevanda antichissima. Lo conoscevano gli Antichi Egizi, i Greci e i Bizantini, e anche Plinio aveva avuto modo di assaggiarlo viaggiando a nord delle Alpi. Ma come succede con tutti i prodotti che improvvisamente diventano di moda, anche al sidro capitò di fare boom tutto d’un colpo. A partire dall’XI secolo, scoppiò in Francia una vera e propria sidro-mania: i popolani si resero improvvisamente conto che quella bevanda era in effetti assai gustosa e cominciarono a produrla in quantità. Il mercato rispose in maniera positiva, il prezzo del sidro aumentò improvvisamente; molti dei campi che fino a quel momento erano destinati alla coltivazione di cerali destinati alla fermentazione vennero rapidamente convertiti per farci crescere alberi di mele, in quel momento più redditizi. Entro il XVI secolo, il sidro era riuscito a diventare la bevanda più popolare in Normandia, soppiantando l’antica cervogia (cioè la nonna della birra, per capirci).

“Entro il XVI secolo”, ho scritto. E ho scritto bene: ma il XVI secolo è il punto finale di un lento processo che, in effetti, era iniziato molto tempo prima – attorno all’anno Mille, per capirci.
E ai fini del nostro racconto: che succede, attorno all’anno Mille, nei posti dove viveva san Dunstano di Canterbury?

Innanzi tutto, succede che muore san Dunstano, che passa a miglior vita nel 988, viene canonizzato nel 1022 e, nel 1074, è traslato in pompa magna in una più degna sepoltura, a fronte di un culto in constante crescita (e destinato a crescere ancor di più grazie alla nuova collocazione).
Pochi anni prima della traslazione di san Dunstano (ed è un dettaglio di non poco conto), le truppe normanne di Guglielmo il Conquistatore avevano sbaragliato l’esercito sassone di re Aroldo, nella celebre battaglia di Hastings del 1066. Ha inizio così la dominazione normanna d’Inghilterra, che come tutte le dominazioni che si rispettano porta con sé sofferenza, sedizioni, difficoltà di integrazione… ma anche rivoluzioni di costume, nuove abitudini e nuovi sapori.

Tipo quello del sidro di mele, per l’appunto.
Una bevanda che, fino a quel momento, era praticamente sconosciuta nelle isole britanniche, e che i conquistatori normanni invece avevano già imparato ad amare.
A questo punto, era inevitabile il rapido inanellarsi di quattro passaggi, che potremmo sintetizzare come segue:

  1. I conquistatori normanni cominciano a produrre sidro anche in Inghilterra;
  2. Qualcuno si adegua con entusiasmo alla nuova moda, un po’ perché il sidro è effettivamente buono e un po’ per piaggeria nei confronti dei potenti;
  3. Qualcun altro comincia a prendere in odio il sidro, manco fosse un prodotto dell’Anticristo, un po’ perché effettivamente il sapore non gli piace e un po’ perché traspone sulla bevanda tutto il suo odio verso l’invasore straniero;
  4. Qualcun altro, semplicemente, ci rimette. I poveretti che lavoravano nel settore della birra cominciano improvvisamente a veder calare le vendite e guardano al futuro con crescente preoccupazione: che ne sarà di noi, se tra qualche anno tutti quanti vorranno bere sidro? Finiremo col perdere il lavoro e andare a mendicare ai lati delle strade?

Col senno di poi, preoccupazioni infondate: ma, all’epoca, il timore era evidentemente forte. Ed è così che nasce la curiosa leggenda dei Tre Giorni di San Dunstano, un santo che era amatissimo dagli Inglesi ed era ormai diventato per loro simbolo di orgoglio e di identità nazionale. Eventualmente, un ottimo simbolo da contrapporre all’odiata dominazione normanna, se era il caso.

Bisogna comprendere questo antefatto per non scandalizzarsi troppo di fronte alla leggenda agiografica che sto per raccontare, e che (tenetevi forte) vede san Dunstano abbandonarsi a loschi intrallazzi con Satana in persona (!), per stringere con lui un patto (!) finalizzato al danneggiare le colture della brava gente (!).

È che la brava gente danneggiata da san Dunstano non era brava proprio per niente… almeno agli occhi del risentito agiografo sassone pieno di livore che componeva per primo questa leggenda. La brava gente danneggiata da san Dunstano era composta in realtà da contadini normanni, dunque da esponenti di quella stirpe odiosa che aveva appena invaso l’Inghilterra.

Per non scandalizzarsi troppo, bisogna tenere ben in conto questo aspetto prima di leggere la leggenda dei Tre Giorni di San Dunstano, che inizia come segue: san Dunstano, arcivescovo di Canterbury, s’era molto allarmato nello scoprire che i birrifici dei vari monasteri avevano registrato un netto crollo nelle vendite, sì che i monaci facevano la fame. E non erano solo i monaci ad avere difficoltà: stentavano a sbarcare il lunario anche le imprese a conduzione familiare, le botteghe cittadine, i piccoli villaggi che basavano la loro intera economia sulla coltivazione di cereali da rivendere a birrifici.
Improvvisamente, nessuno voleva più la birra e tutta quella brava gente sprofondava nella crisi economica più grave del settore.

La più grande tentazione di san Dunstano non fu la possibilità di ottenere ricchezze infinite, di cedere al richiamo dei desideri carnali o di guadagnarsi fama imperitura.
Non che il diavolo non avesse provato a tentarlo con ognuna di queste cose, eh!
Nelle agiografie di san Dunstano, sono frequentissimi gli aneddoti che vedono il diavolo tormentare il santo vescovo – tendenzialmente, con scarso successo e con esiti abbastanza umilianti per il Satanasso, come vedete nell’immagine di apertura.
Ma quella volta, Satana aveva saputo toccare le corde giuste per instillare il dubbio nel cuore del santo. “Non vuoi nulla per te?”, gli aveva detto. “Fatti tuoi. Rispetto la tua abnegazione. Ma non avrai la faccia tosta di negare al tuo popolo ciò che disperatamente gli serve, che il tuo Dio non gli vuole dare, e che io, invece, potrei concedergli con uno schiocco di dita”.
Arrivati a quel punto dell’agiografia, di solito san Dunstano aveva già risolto la tentazione tirando addosso a Satana oggetti arroventati o cose del genere.
Ma quella volta no. Quella volta, san Dunstano esitò. Ché il popolo stava morendo di fame, la fila dei mendici alle porte della cattedrale era sempre più lunga, la vista di bambini emaciati gli faceva stringere il cuore e talvolta persino il santo era preso dallo sconforto, pensando che Dio sembrava sordo a tutte le sue preghiere.

E lì, san Dunstano vacillò di fronte alla tentazione. “Cosa intendi?”, sussurrò pianissimo.

Satana non cercò nemmeno di nascondere un sorrisetto. “I campi di mele. Te ne rendi conto anche tu, è lì la chiave del problema. I normanni vogliono il sidro, piantano mele in ogni dannato angolo di questa nazione, le coltivazioni cerealicole arretrano e i piccoli contadini che non riescono a tenere il passo finiscono con l’essere spacciati. Quei maledetti invasori stanno rovinando la nazione”.
San Dunstano rimase in silenzio senza neppur trovare la forza per ribattere (ribattere cosa, poi? Era tutto vero) e Satana capì che era quello il momento di giocarsi la sua carta vincente: “e poi sono pure degli irreligiosi, secondo me. Cioè, guardali. Guglielmo il Conquistatore ha rifiutato di prestare al papa atto di fedeltà come vassallo. Sta rimpiazzando col suo sporco clero normanno tutto l’episcopato anglosassone. Cioè, dai. Per voi vinti, non hanno nessuna pietà: perché tu dovresti averne per loro? Lascia che mi ci diverta, e che intanto aiuti il tuo popolo”.
“E cosa vorresti fare?”, sussurrò san Dunstano.
“Manderò delle gelate continue sui frutteti, in modo tale che la produzione delle mele venga compromessa. Sarò spietato e sistematico: notte dopo notte, per tutta la primavera, fino a distruggere completamente l’intero raccolto. Sarà una maledizione che colpirà i normanni ogni anno, risparmiando invece il tuo popolo. Loro non avranno più nulla con cui preparare il loro sidro, del resto non mi pare che abbiano problemi economici, eh. Pensa un po’, con tutte le ruberie che portano avanti. Ma in tal modo, saranno costretti a tornare a consumare birra. E i problemi della tua gente saranno risolti per sempre”.
San Dunstano sapeva ovviamente che avrebbe dovuto dire no, e che mai si stringe un patto con Satana. Ma tutto quello che gli uscì dalle labbra fu un disperato “e che cosa vorresti in cambio?”.
“La tua anima”, disse Satana rapidamente. “E null’altro. Te lo giuro. È da anni che provo a guadagnarmela in ogni modo, ma ormai sto perdendo le speranze. Eppure la voglio, a tutti i costi. È la tua occasione di fare la cosa giusta e di salvare la tua gente portando unicamente su di te il peso della tua colpa”. Lo guardò fisso negli occhi. “Sacrificati per loro. Sarai ricordato come un eroe”.

E san Dunstano disse sì.

Non chiedetemi perché, non chiedetemi con che logica, non chiedetemi che cosa si fosse bevuto l’agiografo prima di decidere che era una buona idea scrivere una leggenda in cui il santo decide di vendere l’anima a Satana.
Personalmente, mi son fatta l’idea che ‘sto pazzo si fosse messo a tavolino sotto l’effetto dei fumi dell’alcool dopo essersi scolato un intero barile di birra a una qualche riunione sediziosa anti-normanna, altrimenti non si spiega.
Fatto sta che, nel delirio alcolico dell’agiografo, san Dunstano disse sì ma non senza una clausola: “hai detto che saresti disposto a sostenere ogni costo, pur di avere la mia anima?”.
Il diavolo onestamente fu preso in contropiede, del resto non gli capitava tutti i giorni di contrattare anime coi santi. “Ehm… lo domandi perché hai in mente qualcosa di preciso?”, chiese con cautela.
“Sì”, mormorò Dunstano, stringendo le dita attorno al bastone pastorale. “Ti concedo la mia anima per tre giorni all’anno, non di più. In quei giorni potrai straziarla, dilaniarla e tormentarla come meglio credi. Ma al termine di quei tre giorni dovrai promettere che la lascerai tornare nella collocazione che si sarà meritata con il frutto delle sue opere. Quale che essa sarà, a giudizio del giudice eterno”.
Poche volte nel corso della sua lunga esistenza il diavolo si era sentito così spiazzato. “Scusa eh. Stai tecnicamente stringendo un patto con Satana. Ragionevolmente, quale speri che possa essere la collocazione della tua anima dopo la morte, secondo il giudizio divino?”.
San Dunstano era pallido come un cencio, ma riuscì a tenere ferma la sua voce nel replicare “questo non lo so. Ma il mio prezzo è questo: ti concedo la mia anima tre giorni all’anno, non di più”.
“Ma guarda che mi sembra un accordo che va a tuo svantaggio”, insistette Satana, genuinamente perplesso. “Io ti avviso: se tu mi dai potere su di te per tre giorni, saranno solamente tre i giorni di gelate che manderò contro gli alberi di mele. Ne val davvero la pena? A fronte di un rischio di dannazione eterna? Suvvia, facciamo una cosa fatta per bene e vendimi la tua anima per sempre”.
“No”, disse con fermezza san Dunstano stringendo sfiorando con le dita il suo crocefisso. “Tre giorni basteranno”.

E fu così che, secondo la leggenda, nacquero i Tre Giorni di San Dunstano.
Se nei due giorni che precedono la festa del santo (cioè il 17 e il 18 maggio, più giorno stesso della sua festa liturgica il 19) vi renderete conto che la città è stata colpita da una ondata di freddo anomalo fuori stagione: sappiate che non è una coincidenza.
È Satana che sfoga sul mondo la sua ira, mentre san Dunstano patisce stoicamente le pene dell’Inferno per salvare i birrifici inglesi.
Con la certezza di poter tornare presto in Paradiso, va da sé: ché la misericordia del Signore è infinita e, evidentemente, riesce a perdonare persino ciò che a noi pare imperdonabile, se non proprio delirante.

***

Giusto per precisare: nel folklore inglese, questa credenza è ancora molto nota!
Semplicemente, i “Tre Giorni di San Dunstano” hanno cambiato nome e adesso sono conosciuti come “Franklin Nights”.

E chi è ‘sto Franklin?, mi domanderà qualcuno. Molto banalmente: Franklin è il nome del mastro birraio che ha preso il posto di san Dunstano nelle quantomai opportune riscritture del mito, che si sono susseguite nel corso dei secoli.
Quando il livoroso agiografo sassone smaltì il fumi dell’alcool cambiò la sensibilità popolare nei confronti della dominazione normanna, fu immediatamente chiaro a tutti che non era proprio il caso di dipingere il povero san Dunstano nell’atto di stringere imbarazzanti patti con il diavolo. Sicché la leggenda cambiò protagonista: un generico birraio sassone di nome Frank sembrava essere il miglior candidato per ricoprire lo scomodo ruolo di distruttore dei frutteti normanni.

Forse per rendere meno evidente il legame tra le Franklin Nights e il culto di san Dunstano, anche le date stesse dei tre giorni maledetti subirono un leggero slittamento: se, inizialmente, il potere di Satana si scatenava sul mondo il 17, il 18 e il 19 maggio (per poi svanire lentamente nel giorno della festa di san Dunstano, per l’appunto), la moderna tradizione popolare ha fatto slittare in avanti i tre giorni di gelo. Oggi, si dice che cadano il 19, il 20 e il 21 maggio.

Del resto, son passati mille anni dalla battaglia di Hastings: ben difficile sarebbe, oggi, spiegare quel sentimento di odio anti-normanno che all’epoca era così pervasivo da invadere persino l’agiografia.
Eppure, un tempo così fu: strano ma vero.

E comunque: quanti gradi ci sono, da voi, quest’oggi?

16 risposte a "Il santo che, pur di salvare la birra, arrivò a un soffio dal vendere l’anima al diavolo"

    1. Lucia

      Vedi che allora è vero? 😱😂

      (Qui a Torino non posso dire che faccia freddo, ma in effetti mi sono messa addosso una giacchina mentre ieri ero in maniche di camicia).

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  1. Umberta Mesina

    Qui (contado di Perugia) fa freschetto, ma già da qualche giorno. Non vorrei che ci beccassimo le due serie festive… Prima o poi dovrò assaggiare il sidro. La birra non mi piace.
    Scusa, ma questo santo è lo stesso san Dunstano che prese il naso del demonio con le pinze e lo tirò su per il camino? Quello citato da Dickens nel primo capitolo del canto di Natale?

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    1. Lucia

      Sììì Umberta, è proprio lui!
      Nelle sue agiografie ci sono moltissimi episodi in cui san Dunstano sfida Satana (tendenzialmente mostrando un po’ più di fermezza che in questa storia imbarazzante 😂).
      E’ lo stesso san Dunstano che prende per il naso Satana con le tenaglie arroventate (come si nota anche nell’immagine di apertura); secondo un’altra leggenda, un giorno Satana si presentò a san Dunstano sottoforma di cavallo ferito, sperando di riuscire con quell’inganno a introdursi nel monastero del santo. Dunstano finge di cadere nel tranello e porta il cavallo nelle stalle, ma quando è lì, con la scusa di ferrarlo, conficca chiodi arroventati nel piedi del cavallo-satana costringendo il povero diavolo (😛) a svelarsi e a scappare via terrorizzato. (E secondo la tradizione è quella la ragione per cui un ferro di cavallo porta fortuna: Satana ricorderà l’umiliazione subita dal santo e capirà che da quella casa di bellicosi cristiani è meglio stare alla larga).

      Anche io non ho mai assaggiato il sidro in vita mia e non ho la più pallida idea di che gusto possa avere, ma l’ho già infilato nel carrello virtuale del supermercato, pronto per la prossima spesa. Adesso son curiosa pure io 👀

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