Mark Ji Tianxiang, l’oppiomane che salì alla gloria degli altari

Una pipa da oppio non è esattamente l’attributo iconografico che più facilmente immagineremmo di poter trovare nelle mani di un santo, ma ehi: mi sembra d’aver già ampiamente dimostrato che il martirologio è pieno di gente strana. E dunque, se qualcuno se lo stesse domandando, la risposta è : abbiamo anche un oppiomane a disposizione di tutti i tossicodipendenti che cercano il proverbiale santo a cui votarsi. Quella che state guardando con presumibile perplessità è la statua di san Mark Ji Tianxiang, scolpita dall’artista statunitense Erik Durant per la chiesa parrocchiale di Sant’Anna a Fall River, in Massachusetts; e questa è la strana storia del nostro santo dipendente dall’oppio.   

Se siete medici, o anche solo appassionati di Storia, non smetterò mai di consigliarvi la visione di The Knick, un ottimo period drama che ripercorre le tappe più importanti della Storia della medicina in quel periodo vorticante pieno di scoperte scientifiche che fu l’inizio del Novecento. Il protagonista della serie è un personaggio di fantasia ispirato però a William Stewart Halsted, un medico statunitense realmente esistito che contribuì a rivoluzionare la chirurgia di quel tempo. Ve ne parlo perché The Knick mette ben in luce, tra le altre cose, un dramma umano che all’epoca colpì un numero sconcertantemente alto di professionisti sanitari: la tossicodipendenza, nella quale molti medici sprofondarono con le migliori intenzioni e nella piena inconsapevolezza.

A partire dalla seconda metà dell’Ottocento, sostanze come l’oppio e la cocaina avevano trovato largo impiego in campo farmaceutico. Avevano, sul corpo umano, effetti potentissimi che li rendevano ottimi antidolorifici, sedativi e calmanti per la tosse. La cocaina era un ricostituente così apprezzato che papa Leone XIII accettò persino da far da testimonial a un tonico alla coca che l’aveva rimesso in piedi dopo una brutta influenza. E il fatto che persino il Santo Padre si facesse di coca (absit iniuria verbis: ma in soldoni, quello è) ci permetterà forse di afferrare l’importante dettaglio per cui, all’epoca, non si vedeva nulla di male nell’uso prudente di queste sostanze.

Certo: oppio e cocaina possono dare dipendenza, ma questa è un’informazione che, tragicamente, non era ancora nota all’epoca dei fatti. La comunità medica se ne rese conto nel più traumatico dei modi, quando divenne evidente che la dipendenza aveva colpito molti dei professionisti che avevano scelto di sperimentare su di sé, in prima persona, quei farmaci che poi prescrivevano ai pazienti.
In effetti, furono proprio i medici quelli che si trovarono a combattere la più difficile delle battaglie: perché se era relativamente raro che una dipendenza si sviluppasse nei pazienti che assumevano quelle sostanze (a basso dosaggio) per periodi di tempo molto limitati (lo stretto necessario per risolvere il problema di salute per cui era stato prescritto il farmaco), molti professionisti optarono invece per un uso molto più ripetuto. Il già citato Halsted, per esempio, utilizzava la cocaina come anestetico locale e aveva l’abitudine di iniettarsene una siringa ogni giorno, prima di iniziare a incidere, per controllare in prima persona (sul suo stesso corpo, a mo’ di cavia) che il dosaggio fosse giusto, a tutto vantaggio del paziente. Tutto bene; se non fosse che, dopo qualche anno di questa prassi, scoprì (come molti suoi colleghi) d’esser diventato un cocainomane.

E Mark Ji Tianxiang, il nostro santo oppiomane?
Anche lui era un medico, e questo costituì probabilmente una grossa parte del suo problema di dipendenza, anche se il nostro amico non si approcciò alle droghe nell’ambito di una sperimentazione che lo vedeva coinvolto come cavia. Molto più prosaicamente: quando aveva circa trent’anni, il dottor Tianxiang fu colpito da una malattia non meglio precisata che gli provocò violentissimi dolori di stomaco. Con la massima fiducia iniziò a usare l’oppio per superare le crisi più dolorose, come del resto suggeriva a tutti i suoi pazienti, ma forse il farmaco gli tolse la lucidità necessaria per rendersi conto che era giunto il momento in cui sarebbe stato prudente sospendere quell’auto-prescrizione. La sua malattia si cronicizzò e così anche la sua dipendenza dall’antidolorifico: nell’arco di pochi anni, Tianxiang era un oppiomane in piena regola, incapace da affrancarsi dal suo quotidiano bisogno di droga.

***

Il nostro amico era nato nel 1834, in Cina, nel vicariato apostolico dello Zhili Occidentale. In quel piccolo lembo di terra, la presenza dei missionari era così importante da aver profondamente cambiato il volto della società, trasformatasi col passar del tempo in un piccolo microcosmo a sé stante in cui l’intera popolazione (o quasi) praticava fede cattolica e viveva secondo i costumi occidentali. Tianxiang compì studi medici e divenne un professionista tra i più rispettabili della zona: anche piuttosto benestante, stando a quanto ci dicono le fonti. Si sposò, ebbe figli, e da quei figli ebbe dei nipoti: insomma, quella classica quotidianità dorata di chi (nel suo piccolo, e senza troppi eccessi) può serenamente dire di aver vinto alla gara della vita. Se non fosse stato per quel piccolo dettaglio della tossicodipendenza, mettiamola così: anche perché non è mai bello essere oppiomani, ma essere oppiomani nella Cina di metà Ottocento è una situazione che aggiunge ulteriore spiacevolezza al dramma.

In quel contesto socio-culturale, più ancora di quanto accadesse altrove, la dipendenza da oppio era considerata una grave vergogna: una mollezza che distruggeva la salute (e i risparmi familiari) di chi colpevolmente ci si abbandonava, senza essere in grado di opporre al vizio quel minimo sindacale di fermezza morale che sicuramente (!) sarebbe stata più che sufficiente a liberarsene. Il concetto di “dipendenza” era del tutto sconosciuto, sicché i drogati che sperperavano i loro soldi dietro l’oppio erano guardati né più né meno come quei ricchi viziosi che si esponevano alla malattia e mandavano in fumo i risparmi di una vita per il solo gusto d’andare a prostitute: non c’erano per loro né solidarietà né comprensione, ma solo un fermissimo giudizio di condanna. Triste scenario, ma probabilmente inevitabile, vista l’oggettiva ignoranza che s’aveva all’epoca circa i meccanismi che instaurano una dipendenza.

E, sotto questo punto di vista, anche la Chiesa si allineava al comune sentire. Mark Ji Tianxiang, cattolico osservante e molto attivo nella comunità parrocchiale, si inginocchiò più volte davanti al confessionale denunciando al sacerdote la sua crescente dipendenza da quel vizio, che pure causava tanta sofferenza a lui e a tutta la sua famiglia. Ma, dopo qualche anno passato a ricevere le stesse identiche confidenze, il sacerdote ritenne in coscienza di non potergli più impartire l’assoluzione: i requisiti base per una buona confessione sono il pentimento del peccatore e il suo proposito di non peccare più, e in questo caso era palese che la seconda componente fosse del tutto assente. Non si trattava nemmeno di trovarsi di fronte a un peccatore che parte con le migliori intenzioni, determinato ad allontanarsi dal vizio, ma poi a un certo punto ci ricade per debolezza: il fatto è che Tianxiang non provava nemmeno a convincere il confessore del fatto che lui avrebbe cercato di star lontano dall’oppio. Si conosceva, conosceva il suo corpo e sapeva perfettamente di non essere in grado di mantenere quel proposito: e così, per non oltraggiare il sacramento della confessione con una promessa vuota e menzognera, il medico disse francamente al confessore qualcosa sulle linee di “io mi dolgo per questo vizio, e mi pento di esserci caduto, ma sono anche perfettamente conscio del fatto che andrò a farmi un’altra dose appena uscirò di qui”.

E così il confessore ritenne di non poter più dare l’assoluzione a quel neghittoso penitente. A Tianxiang fu precluso l’accesso ai sacramenti, e verrebbe da immaginare che un tale provvedimento sarebbe stato sufficiente per spingere il nostro amico (in un già precario stato mentale) ad allontanarsi dalla Chiesa una volta per tutte, magari anche pieno di astio. E invece no: per oltre trent’anni, il dottor Tianxiang si presentò puntuale ogni mattina alla Messa quotidiana della sua parrocchia; standosene in disparte, sempre più malmesso, ridotto a pelle e ossa (e probabilmente additato con disprezzo da molti parrocchiani, visto il clima di quell’epoca). Eppure, restò fermo nella fede (e, a quanto pare, anche negli impegni di cui s’era fatto carico nei confronti della sua famiglia e dei suoi pazienti, compatibilmente con le sue declinanti condizioni di salute).

Qualcuno, a questo punto, potrebbe ingenuamente immaginare un happy ending per questa storia deprimente: “beh, ma alla fine arrivò sicuramente la guarigione, no? O, quantomeno, un ripensamento del parroco! In fin dei conti, la Chiesa non avrà mica canonizzato uno a cui è stata negata l’assoluzione per tutta la seconda metà della sua vita: o no?”.

Ecco, no, la risposta è no: l’unica ragione per cui Tianxiang fu considerato un valido candidato alla gloria degli altari risiede nel fatto che, all’età di sessantasei anni, andò volontariamente incontro al martirio, quel battesimo di sangue che (stando a ciò che dice la Congregazione per le Cause dei Santi) basta già di per sé a cancellare ogni traccia di peccato in chi vi si sottopone con fede e affidamento in Dio.
Ammesso e non concesso che essere vittime di una tossicodipendenza possa essere considerato peccato, ovviamente: oggigiorno diremmo di no, ma la causa di beatificazione di Tianxiang fu avviata negli anni ’30 quando la posizione sul tema era più sfumata. E diciamo pure che (oppiomania a parte), trascorrere gli ultimi trent’anni della propria vita senza mai ricevere un’assoluzione non è esattamente un dettaglio che figura bene nel CV di un candidato agli altari.

***

In che modo il nostro amico fu sottoposto a martirio, vi domandate? Beh, la Cina di fine Ottocento era un posto turbolento in cui essere cristiani: tra il 1899 e il 1901, una rivolta popolare sorse dal basso spingendo numerosi cinesi nazionalisti a mettersi in lotta contro gli Occidentali che vivevano nel Paese e a tutti gli autoctoni che solidarizzavano con loro, vedendoli come espressione dell’intollerabile ingerenza delle potenze coloniali. La ribellione (passata alla storia come rivolta dei Boxer, perché alcuni dei suoi esponenti più violenti erano pugili allenatisi nelle scuole di kung fu) prese di mira soprattutto le missioni cristiane sparpagliate in giro per il territorio, ree di aver corrotto la popolazione locale imponendole usi, costumi e sistemi di pensiero estranei a quelli che erano sempre stati praticati in Cina. Nell’arco di due anni, circa 200 missionari furono uccisi con violenza; e lo stesso destino toccò ai 32.000 cinesi convertiti che restarono al loro fianco rifiutandosi di abbandonare il loro stile di vita (e, soprattutto, la religione in cui credevano). Di queste 32.000 vittime, circa 18.000 professavano fede cattolica; e tra questi 18.000 c’era anche il nostro Tianxiang, che fu catturato dai Boxers il 7 luglio 1900 in compagnia di altri undici membri della sua famiglia, tra figli e nipotini. Stando a quanto dicono le fonti, Tianxiang rifiutò di salvarsi la vita con una facile abiura; in compenso (dettaglio patetico che non può mancare, nelle passiones dei martiri) supplicò i suoi aggressori di essere ucciso per ultimo, in modo tale da poter confortare tutti gli altri membri della sua famiglia. E così fu: ma infine, venne anche il suo turno d’essere decapitato. A quanto pare, l’oppiomane che non s’accostava ai sacramenti da trent’anni stava recitando le litanie alla Vergine nel momento in cui diede il suo ultimo respiro per restare fedele a una Chiesa che, col senno di poi, non è che l’avesse trattato con poi tanta gentilezza.

Pio XII lo beatificò nel 1946 assieme ad altri cattolici uccisi dai Boxers; Giovanni Paolo II lo canonizzò nel 2000, fissando la sua festa al 7 luglio. Oggigiorno, Mark Ji Tianxiang viene considerato il santo patrono dei tossicodipendenti e, più in generale, di tutti quei fedeli che si trovano in condizioni tali da non poter accedere ai sacramenti ma che sperano di poter regolarizzare presto la loro posizione, auspicabilmente senza dover per forza passare dal martirio. E sebbene la sua storia sia decisamente meno leggendaria e avventurosa rispetto a quelle che di solito racconto su questi schermi, spero non dispiacerà al lettore questa variazione sul tema, perché… ma quando è bella (e interessante) questa storia?!

Un caso umano così malmesso è difficile trovarlo, nel martirologio.
Eppure, persino un caso umano così malmesso è riuscito a farsi strada nel martirologio.

7 risposte a "Mark Ji Tianxiang, l’oppiomane che salì alla gloria degli altari"

  1. Avatar di Whitewolf

    Whitewolf

    È una storia molto bella e commuovente, ma soprattutto ti lascia addosso la sensazione che la misericordia di Dio è superiore a quella degli uomini.

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    1. Avatar di Lucia Graziano

      Lucia Graziano

      Sì, diciamo che in questo caso la Chiesa (ma un po’ tutta la società in generale) non ci fanno una grandissima figura, ecco. Però in effetti credo anche di poterli capire: all’epoca non erano ancora noti i meccanismi che si instaurano quando si crea una dipendenza e in quel contesto non mi sembra del tutto irragionevole il pensiero “eddai, che sarà mai, scrollati via questo vizio e mostra d’essere un uomo forte”. E’ un po’ quello che diciamo anche noi oggi a chi sta cercando di smettere di fumare: all’inizio non sarà facilissimo ma si può fare, basta volerlo davvero.

      Chiaramente l’oppio è tutta un’altra cosa e quello di fine Ottocento ci pare un atteggiamento inutilmente punitivo col senno di poi; ma appunto, col senno di poi siam bravi tutti… 😉

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      1. Avatar di Whitewolf

        Whitewolf

        Scusa se sono parso caustico nell’affermazione, non voleva essere una critica alla mentalità cattolica dell’epoca (anche perchè molte streghette di luce fanno discorsi a bischero del genere).
        Però si, effettivamente è un approccio del genere.

        Che tu sappia ci sono santi che aiutano a smettere di fumare? Mi è partito il curioso!

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        1. Avatar di Lucia Graziano

          Lucia Graziano

          No no, si era capito perfettamente che la tua non voleva essere una critica (fra l’altro, non penso che i cattolici fossero gli unici a ragionare così, all’epoca. Penso che fosse proprio il comune sentire, e appunto: anche inevitabilmente, per le scarse conoscenze dell’epoca). Facevo una considerazione in generale 🙂

          Non mi ero mai posta il problema dei santi che aiutano a smettere di fumare, ma pare che ci sia un buon candidato: tal Pacifico da Caiazzo, frate francescano vissuto a fine Ottocento e per il quale è attualmente in corso la causa di beatificazione. Parrebbe che, tra i vari miracoli che gli sono stati attribuiti e che sono all’esame della Congregazione per le Cause dei Santi, ci sia un buon numero di guarigioni su ex-fumatori che avevano sviluppato patologie varie a causa del fumo. A quanto leggo su Google, sarebbe stato un comitato di cittadini provenienti dalla sua nativa Caiazzo a proporlo come potenziale patrono dei fumatori che vogliono smettere, in virtù di questi suoi miracoli.

          Tu pensa 👀
          Devo approfondirlo, adesso!

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  2. Avatar di Francesca

    Francesca

    Questa volta conoscevo la storia… Perché l’avevo letta diversi anni fa in altro sito e in effetti mi aveva colpita già allora (anche se non era scritta così bene come qua), al pensiero delle sofferenze patite dal santo.

    Grazie: per tutti i dettagli in più che apprendo adesso e il contesto più ampio che non conoscevo.
    Domanda: nell’altra “versione” che avevo letto si diceva che Mark aveva pregato espressamente per anni perché gli fosse “donato” il martirio – in quanto lui stesso non vedeva altra via di accesso al Cielo, proprio a causa del fatto che si sentiva in gran parte responsabile della sua dipendenza (e quindi, volente o nolente) in stato di peccato. Oggi, certo sappiamo che il duplice problema dei forti dolori cronici e dell’unico “farmaco” che poteva attenuarli ma che induceva dipendenza NON si possono configurare come piena consapevolezza e deliberato consenso (eccetera eccetera)… Però a quel tempo… Voglio dire: forse non era solo il suo confessore a vederlo così, ma lui stesso si reputava più colpevole che innocente… Il che rende la vicenda ancora più dolorosa.
    Insomma: ti risulta che lui abbia fatto questa supplica (a Dio) di avere l’occasione di essere martirizzato (a causa del fatto che si sentiva all’incirca un peccatore impenitente) ?

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    1. Avatar di Lucia Graziano

      Lucia Graziano

      🙂
      Io invece l’ho scoperto grazie all’ottima Meg Hunter-Kilmer che ne parla nel suo libro per adolescenti dedicato ai santi (spero che venga presto tradotto in Italiano!). Meg è assolutamente imbattibile per la sua capacità di andare a scovare santi semisconosciuti (quasi tutti moderni-contemporanei) con storie DAVVERO “motivazionali”, per dirla come va di moda adesso.

      Anche io avevo letto (probabilmente sullo stesso sito che dici tu) l’aneddoto secondo cui Mark avrebbe pregato per il martirio, vedendola come unica via d’uscita alla sua situazione. Però non sono riuscita a trovare conferma della cosa, e anzi globalmente mi risulta che siano davvero molto poche le informazioni sulla sua vita. Se avesse davvero desiderato il martirio… boh?

      A me onestamente pare strano, e soprattutto non mi pare che sia un gran complimento da rivolgere al santo. In genere, la Chiesa dice che il martirio va accettato con fede quando ti capita, ma non va desiderato né tantomeno ricercato (i martiri di Corbova, che sono stati trucidati in odium fidei da gruppi di musulmani: quindi un martirio in piena regola, senza nemmeno motivazioni politiche di fondo) non sono mai stati canonizzati ufficialmente perché “se l’erano andata a cercare”. Volevano il martirio e l’hanno ottenuto ostentando la loro fede e provocando i persecutori in maniera imprudente: la Chiesa vede malissimo questo tipo d’atteggiamento.

      Ora, in questo caso ci troveremmo di fronte a un oppiomane a cui è preclusa la vita sacramentale che spera di poter morire martire in un contesto in cui la persecuzione è già scoppiata, e senza far nulla per andarsi a cercare attivamente rogne. Quindi sarebbe sicuramente una situazione diversa. Però resto comunque un po’ perplessa: se mi immagino questo (percepito, forse anche da se stesso?) pubblico peccatore trentennale che confida ad alta voce a parenti e amici “vah, speriamo che mi martirizzino così almeno risolvo alla radice il problema di ‘sto vizio che mi porto appresso”… non so, a me pare un po’ strano eh 😅

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  3. Avatar di Francesca

    Francesca

    No, appunto. Mi chiedevo se c’erano fonti che chiarivano in quali termini fosse avvenuta la cosa (ad esempio diario personale “segretissimo”, non certo ostentazioni pubbliche e dichiarazioni ad alta voce)
    e quindi era interessante sapere entro quali termini la Chiesa l’avesse eventualmente reputato “degno di lode” _anche_ per tale preghiera …visto che sarebbe pure andata “a buon fine” (nonché elemento centrale per avviare tutto l’iter canonico).

    Tra parentesi, ma neanche tanto: questo discorso che adesso (GRAZIE!!) hai sviluppato è uno degli argomenti che mi hanno sempre interessata parecchio. Lo trovo uno degli esempi “splendenti” di eccezionale definizione / discernimento forniti dalla Chiesa. Elemento chiave. Grande fondamento di cosa significa essere cristiani… E un sacco di altre cose.
    In passato ho avuto anche qualche discussione (tra cattolici)… Tanto per darti un’idea del mio interesse. Ad esempio, so benissimo la condanna della Chiesa verso ciò che alcuni volevano chiamare martirio ma che in realtà era suicidio. E che altro dire? Ad esempio che ho presente le (per me divertentissime) pagine di Sant’Agostino sui Donatisti… (Nota accaldata: ora come ora, sarà il caldo… Mi viene qualche dubbio sulla sètta eretica in questione… Vabbè, se non erano i Donatisti che andavano a provocare gente fino allo sfinimento, allo scopo di farsi ammazzare, sarà stata un’altra sètta con lo stesso concetto deviato di martirio).

    Ecco, diciamo che St. Mark perlomeno offre spunti interessanti… Non pochi. A fronte della carenza di fonti (che apprendo ora da te).

    Grazie 🙂

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