Santa Modwenna batté le mani entusiasticamente, rivolgendo un sorriso radioso all’angioletto che le aveva appena recapitato una richiesta d’aiuto. Perché, sì: come già sanno i miei lettori di vecchia data, nel mio immaginario malato da blogger la Comunione dei Santi lavora all’interno di un grande ufficio fatto di nuvole, in cui gli angioletti fanno da postini smistando la corrispondenza e recapitando ai diretti interessati le richieste di grazia che arrivano via via. La pausa caffè è un momento importante della giornata lavorativa, e si svolge rigorosamente nel bar aziendale brandizzato Lavazza.
Ambeh: in quel giorno lontano di circa mille anni fa, santa Modwenna non riuscì a credere ai suoi occhi quando realizzò che un angioletto si dirigeva verso di lei a passi spediti. Nascose velocemente in un cassetto le parole crociate, giusto per non sembrare una nullafacente che sta lì a perdere tempo, ed esclamò un entusiastico “avanti!”. Non vedeva l’ora di poter aiutare qualcheduno, finalmente.
Col senno di poi, la scelta vocazionale di andare a fare l’eremita in un’isoletta che affiorava dalle acque del fiume Trent era stata sicuramente utile a conquistarle il Paradiso, ma non s’era rivelata molto redditizia in termini di popolarità. Dopo la sua santa morte, nel VII secolo, Modwenna aveva scoperto che gli unici a ricordarla erano gli abitanti della cittadina di Burton-on-Trent: quelli che s’erano fatti carico, quando lei era ancora in vita, di farle giungere via nave lo stretto necessario per il suo sostentamento. Ma diciamo pure che il culto della santa non era mai riuscito a espandersi oltre i confini di quel paesello, sicché Modwenna s’era vista condannata a un’eternità all’insegna della sottoccupazione: a conti fatti, non erano poi moltissimi i devoti che la ricordavano nelle preghiere. Sicché, per l’appunto, Modwenna esultò di gioia quando realizzò che era finalmente giunto il momento in cui avrebbe potuto rendersi utile; e impaziente chiese al suo messaggero un’anticipazione sul lavoro che le era stato assegnato. “Una giovane madre senza latte che chiede un miracolo per sé e suo figlio? Un agonizzante che posso salvare da morte certa? O forse un peccatore tormentato dai demoni, che cerca rifugio per potersi proteggere da quegli attacchi?”.
Non è noto se gli angeli possano sentirsi a disagio, ma il portalettere di Modwenna aveva tutta l’aria di esserlo, in quel momento. Scelse di misurare con cautela le parole, lanciando un’occhiata mesta a quella povera donna piena di speranze; tastò il terreno con un pacato “non proprio”, e poi spiegò, posando il report di lavoro sulla scrivania: “a quanto pare, i contadini che risiedono nei pressi di Burton-on-Trent hanno un problema con due zombie che gli citofonano a ogni ora del giorno e della notte invitandoli a una festa, e la brava gente non ne può più di questi due disturbatori. Siccome gli zombie arrivano dalla tua parrocchia, la gente del posto chiede cortesemente se puoi far qualcosa per mandarli via. E, no, non è uno scherzo”, una precisazione che s’era resa necessaria a fronte dello sguardo che Modwenna aveva appena lanciato all’angelo dall’altra parte della scrivania.
La santa donna (è proprio il caso di dirlo) prese in mano il foglio contenente le preghiere dei suoi devoti e gli diede una rapida scorsa. La sua prima reazione fu un arrendevole “capisco”, seguita da qualcos’altro che però si limitò a pensare (suppergiù sulle linee di ‘ma mannaggia a me, proprio una santa inglese d’età anglosassone dovevo essere? I santi normali c’hanno preghiere normali, perché sempre a noialtri devono toccare ‘ste storie assurde?’). La seconda reazione fu rivolgere all’angelo un sorriso molto tirato e comunicare: “d’accordo, ma credo che mi servirà un caffè. Doppio. O anche triplo. Comunque bello concentrato”.
***
Emerse rapidamente dalla consultazione delle carte che questa strana storia di zombie festaioli era iniziata in sordina qualche tempo prima, in un momento imprecisato dell’XI secolo ma presumibilmente di poco successivo all’invasione normanna di Guglielmo il Conquistatore. Nel periodo confuso che ne era seguito, ricco di fermento e di instabilità politica, due servi della gleba residenti a Staphenhill (un piccolo agglomerato urbano che sorgeva nel contado di Burton) avevano tentato di fare il colpo grosso, dandosi alla fuga nella speranza di poter riacquistare la libertà. Evidentemente insoddisfatti delle condizioni di vita che venivano offerte loro dal signore di Burton (ovverosia, l’abate dell’abbazia locale, che aveva giurisdizione su un buon numero di terre nella zona), i contadini avevano cercato rifugio nella vicina città di Drakelow, a circa tre chilometri di distanza. Essa era recentemente entrata in possesso di Nigel de Stafford, un nobiluomo proveniente dalla Normandia, e i due villici erano evidentemente convinti del fatto che le loro condizioni di vita sarebbero nettamente migliorate se il francese li avesse accettati come suoi servitori.
E già questo sarebbe stato di per sé sufficiente a far ricadere sui due fuggitivi una colpa di gravità inaudita, che noi moderni fatichiamo probabilmente a concepire. Ma se tu vivi nel Medioevo e hai avuto in sorte d’essere un servo della gleba, il tuo ruolo è quello di curare devotamente il tuo orticello dando il tuo contributo al prosperare della comunità di cui tu stesso sei un membro vitale. In una società in cui pochi valori erano più importanti dell’osservanza alla parola data e del rispetto all’ordine costituito, pochi gesti erano considerati tanto gravi quanto quelli di chi, con le sue azioni sconsiderate, minacciava di far sprofondare il mondo nell’anarchia. Sicché, l’insubordinazione dei due contadini costituiva già di per sé un peccato capitale; ma, per colmo di disgrazia, i due servi della gleba non si limitarono a questo efferato gesto. Nel fuggire da Burton, si portarono dietro tutto il grano che avevano raccolto nel corso della stagione estiva e che sarebbe spettato al proprietario terriero (un furto bello e buono ai danni dell’abbazia!); come se non bastasse, chiesero udienza a Nigel de Stafford e, mettendosi al suo servizio, ebbero il coraggio di giustificare la loro fuga parlando di gravissime vessazioni che, a loro dire, l’abate di Burton era solito compiere ai danni dei suoi servitori. Non è noto quale fosse esattamente il tenore delle accuse: certo è che sir Nigel le ritenne sufficienti a promettere ai transfughi accoglienza immediata, condita con la promessa per cui si sarebbe personalmente occupato di passare a fil di spada il vecchio abate.
Ma, di fronte a tanta malvagità, Iddio non mancò di rendere manifesto il suo vivo sdegno. L’indomani mattina, i due servi menzogneri furono trovati morti stecchiti; e questa sarebbe indubbiamente una degna conclusione per questa triste storia moralizzante… se non fosse, invece, l’incipit di questa strana storia moralizzante.
Ormai poco interessato a tenersi in casa i cadaveri di due contadini in fuga, Nigel de Stafford provvide rapidamente a restituire le due salme alla parrocchia di Burton. I pii resti furono sepolti in terra consacrata con tutti i riguardi del caso e la questione sembrò essersi chiusa; sennonché, nella notte immediatamente successiva, i due cadaveri uscirono dalla fossa. E, dopo rapida consultazione, decisero di tornare a Drakelow, una cittadina che evidentemente era rimasta loro nel cuore a motivo della disinvoltura con cui li aveva accolti la prima volta, quando erano dei criminali in fuga.
Dovette essere un ben strano avvistamento, quello che fecero le vedette che quella notte montavano la guardia sulle mura della città di Drakelow: i due-non morti fecero il loro ritorno in una strana forma che sembrava una bizzarra ibridazione tra lo zombie, la mummia e il vampiro. Graziosamente avvolti nei loro sudari, barcollavano sotto il peso delle casse da morto che scrupolosamente si trascinavano dietro, portandosele a spalla come in una rivisitazione depressa di un Gesù Cristo sulla via del Calvario. Non sembravano di per sé aggressivi, e fu questa una delle ragioni per cui le vedette decisero di farli passare (l’altra ragione era più prosaicamente correlata alla notoria difficoltà nel frenare un’invasione zombie). E, in effetti, in prima battuta, non sembrò neanche una cattiva pensata: non appena i due zombie cominciarono a marciare tra le vie del paesello, la loro bonarietà si rese immediatamente evidente a tutti. Fin troppo evidente, chioserebbe qualcuno: ché i due zombie (cassa da morto sempre in spalla) scampanellavano allegramente alle porte delle case rivolgendo ai terrorizzati inquilini degli inviti festosi, che non avrebbe potuto esser più cordiali: “venite con noi?”, “preparate i bagagli, si parte!”, “seguiteci, andiamo a divertirci in un bel posticino!”.
L’orrore sconvolto con cui la brava gente reagiva a quelle cordiali profferte era direttamente proporzionale alla delusione con cui i due zombie festaioli si vedevano sbattere le porte in faccia. Ma i due non-morti (che evidentemente erano quel tipo di persona incapace di accettare un no) non si diedero per vinti, e continuarono di notte in notte a passeggiare tra le vie di Drakelow, alla disperata ricerca di qualche amico che volesse unirsi a loro per far baldoria.
E, dagli e dagli, finirono per trovarlo.
Orribile a dirsi, una terribile pestilenza divampò improvvisa nella cittadina: e solo in quella, ché nessun altro dei centri vicini sembrava esser stato toccato dal contagio. Inermi, i medici non potevano che registrare la malattia rapidissima che, in poche ore, conduceva all’oltretomba individui perfettamente sani senza che nessun riuscisse a frenarne il corso: e quando si cercò di tracciare una mappa dei contagi per capire in che modo il morbo si espandesse, ci si rese conto con indicibile orrore che a morire erano state tutte quelle persone che, nei giorni immediatamente precedenti, s’erano sentite bussare alla porta dagli zombie.
Non sarà difficile immaginare il crollo esponenziale dell’entusiasmo collettivo quando i due non-morti tornarono a far visita al villaggio, continuando allegramente a invitare gente al loro party; ma, sciaguratamente, ogni tentativo di difesa fu tristemente vano, come insegna ogni film di zombie. Inutile barricarsi in casa, tirar loro sassi in testa o minacciare i mostri con le fiamme accese: graditi tanto quanto un operatore di call center che ti fa squillare il telefono mentre t’eri appena addormentato, i due zombie proseguivano imperterriti nel loro inesausto pellegrinaggio alla ricerca di nuovi compagni d’avventura. Entro qualche settimana, la città di Drakelow era stata interamente annientata dalla peste: gli unici superstiti erano sir Nigel (che era scappato via non appena vista la malaparata), il sindaco Drogo (che, misteriosamente, gli zombie non avevano mai importunato) e due poveracci che non erano ancora morti ma che forse forse se lo sarebbero augurato, vista la dolorosissima e pietosissima agonia in cui stavano sospesi da molti giorni a quella parte.
E fu a quel punto che sir Nigel si rese conto che qualcosa doveva essere fatto urgentemente (una delle miglior doti di governo del nobiluomo era evidentemente la prontezza con cui affrontava le situazioni complicate). Vestito con gli abiti di sacco del penitente, bussò alla porta dell’abbazia di Burton confessando tutto ciò che fino a quel momento aveva taciuto: che i due zombie avevano tutta l’aria di essere i due servi della gleba in fuga che lui aveva indebitamente accolto nelle sue terre; che lui stesso aveva peccato, prestando fede alle loro ciance e ancor più accettando di incamerare il grano che i due contadini avevano sottratto a chi ne sarebbe stato il legittimo proprietario. Implorò i monaci di Burton di accettare il suo pentimento e le monete che offriva loro a titolo di rimborso; e poi si prostrò sulla tomba di santa Modwenna, che era sepolta tra le mura dell’abbazia. E, inondando di lacrime i suoi pii resti, la supplicò di far qualcosa per ridurre a più miti consigli quei suoi due parrocchiani riottosi, che persino in morte rifiutavano di sottostare al normale ordine delle cose e di rimanersene nella tomba a decomporsi come si deve.
Santa Modwenna, a onor del vero, non intervenne in maniera particolarmente incisiva. A me verrebbe da dire, più esplicitamente, che non fece un bel niente, se non fosse che questo episodio è raccontato nella Vita e Miracoli di santa Modwenna e che Geoffrey di Burton, che la compose nel XII secolo, si diceva assolutamente certo di come la risoluzione del problema fosse da attribuirsi in via esclusiva all’intercessione della buona santa.
Sarà.
Certo è che – a voler leggere testualmente il resoconto di Geoffrey – gli eventi che posero fine a questa bizzarra invasione zombie sembrano l’epilogo di un romanzo fantasy, più che una pagina di agiografia. Per la precisione «i contadini del luogo decisero di prendere in mano la situazione: dissotterrarono i due servi della gleba, scoperchiarono le loro casse da morto e scoprirono che i sudari di lino che ne avvolgevano la faccia erano intrisi di sangue ancora fresco. A quel punto, estrassero i cadaveri, li decapitarono e ricollocarono le teste nelle bare, ma avendo cura di posarle all’altezza delle ginocchia. Dopodiché, squarciarono il petto dei cadaveri per estrarne i cuori (che trovarono ancora caldi) e li portarono nel villaggio di Drakelow, dove fu costruita un’enorme pira. Quando il fuoco fu acceso, vi gettarono dietro i cuori e continuarono ad alimentare la fiamma con ciocchi di legno per tutto il giorno. Alla fine della giornata, il fuoco aveva raggiunto una temperatura così elevata che s’udì dal centro della pira un rumore d’esplosione; e si seppe con certezza che, in quell’istante, i due cuori s’erano inceneriti. Lo si seppe perché, proprio in quel momento, uno spirito malvagio si erse tra le fiamme nella forma di un enorme corvo e poi volò via. Vedendo quell’uccello volare via, i due appestati che erano in agonia riacquistarono immediatamente le loro forze» (dopodiché fuggirono, comprensibilmente determinati a lasciarsi alle spalle quel borgo-fantasma; si trasferirono nella vicina Gresley, dove anche l’ex-sindaco aveva preso dimora). «Dralekow rimase vuota e abbandonata a se stessa, e per molti anni fu considerata una città maledetta; gli uomini dei villaggi circostanti levarono al cielo grandi lodi in omaggio a santa Modwenna, che li aveva salvati dalla terribile minaccia».
Mboh? Se lo dicono loro.
Non è nota la reazione di santa Modwenna a fronte a un così accorato rendimento di grazie. Io amo immaginarmela come qualcosa sulle linee di ‘ma una Vita normale non potevo avercela? Non pretendevo tanto, mi bastava una Vita senza zombie compagnoni alla ricerca d’amici’. Ma in fin dei conti, essere una santa inglese d’età anglosassone è una condizione che già di per sé dovrebbe temprarti e prepararti a ogni forma di follia… quindi, ehi: tocca vedere il bicchiere mezzo pieno. Quantomeno, la povera Modwenna non fu dipinta come una santa zombie, né andò incontro alla ventura di essere martirizzata da un’orda di non-morti. E, visto l’andazzo, io direi che anche questa dovrebbe costituire una qual certa consolazione.
Per approfondire:
- Oxford Medieval Texts: Life and Miracles of St Modwenna, a cura di Robert Bartlett (Oxford University Press, 2002)
- Robert Bartlett, England under the Norman and Angevin Kings. 1075 – 1225 (Oxford University Press, 2000)
Whitewolf
Che storia! Mi chiedo una cosa però: cosa sarebbe successo se qualcuno avesse accettato di seguirli? Sarebbe stato portato all’inferno o avrebbe risparmiato la città dalla peste?
Però comprendo la perplessità della santa, a meno che non abbia telegrafato la soluzione e se ne dia dimenticata per modestia. Forse l’hanno ringraziata per l’effetto preghiera (cioè io ti prego, mi calmo, trovo l’idea, e allora credo che me l’hai data te)?
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Lucia Graziano
Ma in realtà, da come dice la storia, la peste era comunque settoriale, cioè colpiva solo le famiglie che erano state invitate al party dei due zombie (e che, nonostante il no, han finito per seguirlo lo stesso). Più che una malattia epidemica, questa peste dava l’aria di essere una maledizione ad ampio raggio, ecco 😉 Che alla fine ha sterminato tutti per l’unica ragione che gli zombie avevano “suonato a ogni campanello”, per così dire.
Il ruolo della santa in questa storia è destinato a rimanere per me un grande enigma 😂 Per carità, anche oggi molti credenti ringraziano i santi per un’operazione andata a buon fine (a titolo d’esempio) quando “concretamente” il merito di aver salvato il malato è sicuramente del chirurgo che ha tenuto in mano il bisturi (ma che intanto è stato vegliato dai santi nel corso del suo lavoro, ha fatto tutto per benino perché illuminato dal suo angelo custode, è stato agevolato dal fatto di non aver incontrato complicazioni, e ciò sicuramente a causa dell’intercessione del santo… etc. etc.). Quindi probabilmente gli abitanti di Burton avevano una visione di questo stesso tipo. Però ecco… 😅
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ilnoire
Poteva almeno aggiungere, l’agiografo, un qualcosa tipo “la santa spiegò cosa fare”… così tanto per dire “ok, brava lei”
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Lucia Graziano
Ma che poi mi sembra anche un po’ cruenta, questa soluzione da film horror, per poter essere attribuita a una santa 😂 Per carità, se è quello l’unico modo in cui ci si può liberare da uno zombie, alzo le mani, ma a me verrebbe prosaicamente da pensare che, se stiamo parlando di un miracolo, gli zombie avrebbero miracolosamente potuto restarsene nella loro fossa a decomporsi anche senza il bisogno di tutto questo ambaradan… 😝
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ilnoire
O beh, sì, era meglio più un finale a: la santa col suo amore pervase la valle e gli zombie trovarono la luce e il riposo… L’altra soluzione fa un po’ rimedio fantasy. Stavo per dire celtico, ma forse è proprio ciò che si cercava per finale che “acchiappasse” i fedeli…
C’è da dire che tra i tanti modi per abbattere gli zombi, wow questo molto goth-fantasy!
Da riusare senz’altro.
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ilnoire
se posso rebloggo
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Lucia Graziano
Ma certo che puoi! Anzi, grazie, non c’è nemmeno bisogno di chiedere 😉
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ilnoire
Chiedo sempre, non hai idea di quanti blogger hanno reagito in malo modo… soprattutto quando gli spieghi: beh allora leva il tasto condividi! Allora sì che si arrabbiano! 😀 😀
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ilnoire
schedulato! venerdì 9 alle 17:17
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Francesca
“il sindaco Drogo (che, misteriosamente, gli zombie non avevano mai importunato)”
Ho subito pensato al suo patrono San Drogo – cioè che tale patronato l’avesse protetto 😇
Poi ho cercato il tuo racconto sul santo e ho visto che – in teoria – San Drogo sarebbe nato DOPO la vicenda degli zombie (oltre che in zone geografiche diverse).
Anche se – sempre in teoria – Geoffrey di Burton mi sembra all’incirca coevo o posteriore a San Drogo (per quanto posso capire io leggendo le tue narrazioni, senza sapere nient’altro).
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Lucia Graziano
Sì, Geoffrey di Burton è stato abate dell’abbazia di Burton fino al 1150, anno della sua morte. Si stima che sia nato attorno al 1107, onestamente non so sulla base di che cosa ma mi fido 😛
Lui, comunque, non era stato testimone oculare dei fatti narrati, che gli erano stati descritti dagli altri monaci dell’abbazia e che erano di poco posteriori all’invasione normanna del 1066.
Il nostro amico san Drogo, invece, è vissuto dal 1118 al 1186, quindi nel momento in cui Geoffrey si metteva a scrivere era solo un pastore eremita complessato. Ahimè, difficile pensare a una protezione da parte sua. Però è ormai chiaro che i Drogo sono destinati a fare grandi cose 😂
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Elena
Si, gli zombie sono un bel problema…
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Lucia Graziano
La cosa comica è che quando parliamo di zombie li consideriamo una invenzione dei film horror anni ’60, invece se uno sta a guardar bene le leggende medievali sono strapiene di morti ritornanti, e talvolta anche “contagiosi” come in questo caso.
(Sì, erano creature diverse rispetto agli zombie dell’immaginario moderno ecco, ma ‘nsomma…)
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Francesca
Invio il messaggio qua perché non ho facebook ma ogni tanto do una sbirciata dalla finestra che hai messo qui e… Contenta come una Pasqua per il corso che stai frequentando, attendo (paziente e pregustante) il primo articolo che inaugurerà la parte ebraica della tua penna.
Non vedo l’ora 😀 anche per eventuali “incroci” di folklore che immagino interessantissimi!
Intanto, Shanah Tovah! 💙💙💙
Con una proposta di lettura… proveniente dai cattolici di lingua ebraica in Terra Santa
https://catholic.co.il/index.php?option=com_content&view=article&id=14019:lucia-rosh-hashana-the-feast-of-god-the-father-it&catid=46&lang=it&Itemid=461
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Lucia Graziano
Ma grazie!! E scusa per le risposte a scoppio ritardato: come forse si sarà intuito 😅 sono in una fase di superlavoro in questi giorni. Non pensavo onestamente che il mio corso avrebbe riscosso tanto interesse, e invece sì: ma che bello!! Quasi una sorpresa!
Per il primo articolo a tema ebraico mi sa che farò aspettare ancora un po’ perché voglio essere ben sicura di non dire boiate 😛 però sì, è già da un po’ che leggiucchio (fino a poco fa solo amatorialmente) cose sul folklore ebraico, ed è davvero una miniera ricchissima e meravigliosa. Infatti sono anch’io molto contenta di essere riuscita a trovare un corso specifico che parla proprio di questo ed erogato da un istituto riconosciuto, non era scontato!
… il corso per la cronaca si tiene a New York (in DAD ma pur sempre a New York) sicché grazie al fuso orario finisce esattamente alle due di notte. Se non è questa dedizione alla causa… 🤣🤣
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Francesca
Allora, direi proprio…
Kol hakavod!
😇
(guarda, io ti immagino sempre occupata tra libroni e pc. Quindi spedisco i messaggi auspicandomi che tu li possa almeno leggere. Un super GRAZIE – Todàh Rabàh – se poi arrivano anche risposte come questa)
L’interesse per quello che scriverai aumenta … Cioè, non so se in questo momento – oltre a Israele – esiste un “centro” per l’ebraismo mondiale più importante di New York…
👍
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