Che per caso qualcuno di voi nutre il desiderio di posare i suoi vivi occhi sul bastone di San Giuseppe, sposo di Maria Vergine, che prodigiosamente fiorì nelle sue mani e che, trasportato da Giuseppe d’Arimatea in Inghilterra, giunse nel 1712 a Napoli per opera del cavaliere Nicola Grimaldi?
Beh: nel caso in cui la vostra risposta fosse un “sì”, oggi è il vostro giorno fortunato. Perché la descrizione di cui sopra non è (ovviamente) un parto della mia fantasia: la si può leggere ancor oggi su una incisione del XIX secolo che funge da didascalia a (quella che la tradizione partenopea ritiene essere) una delle più preziose reliquie della cristianità – il bastone di san Giuseppe, che ancor oggi s’offre agli occhi curiosi di chi vorrà osservarlo nel museo San Giuseppe dei Nudi, in via Mancinelli 19 a Napoli.
Gestito dall’Arciconfraternita di San Giuseppe dei Nudi (i cui componenti non sono al corrente della mia esistenza in vita: cioè, non sto facendo una marchetta per spingervi a visitare la loro fondazione, tanto per capirci), il museo, di recentissima fondazione, è stato creato per presentare al grande pubblico la storia di quel gruppo di devoti nato nel 1740 con una missione del tutto particolare. Ovverosia, quella vestire gli ignudi, e più specificatamente gli ignudi vergognosi: quelli cioè che non osavano andare a mendicare apertamente, e in fin dei conti non erano così poveri da non riuscire a mettere assieme il pranzo con la cena, ma si trovavano in ristrettezze economiche tali da non riuscire in alcun modo a permettersi quei piccoli lussi necessari come rimpiazzare i vestiti lisi e comprarsi un paio di scarpe nuove. E così, due volte all’anno – in occasione del Natale e della festa di San Giuseppe – la confraternita dei Nudi provvedeva con discrezione a distribuire vestiti nuovi a tutte quelle famiglie che ne avevano bisogno.
Ebbene: è proprio questa confraternita a custodire una delle reliquie più preziose della città di Napoli – il bastone di san Giuseppe (o quello che, almeno, la tradizione popolare ritiene tale. Non c’è nemmeno bisogno di dire che, in casi come questi, i condizionali sono decisamente d’obbligo).
Ma da dove spunta questo bastone, e soprattutto come ha fatto ad arrivare a Napoli?
La storia della reliquia è legata a doppio filo alla figura di Nicolò Grimaldi, un cantante che potremmo paragonare, per popolarità, a uno dei più grandi divi dello spettacolo del mondo d’oggi. Amatissimo dentro e fuori la patria, Grimaldi contribuì non poco a far crescere la popolarità dell’opera italiana all’estero (e fu determinante per rendere famoso Händel, che lo volle scritturare per le prime di molti dei suoi spettacoli). Nell’agosto 1713, il cantante era di ritorno a Napoli dopo una lunga tournée all’estero; e un giornale locale annunciava in questi termini il suo glorioso rientro in patria: «pochi giorni fa, il virtuoso signor Nicolino Grimaldi è ritornato da noi dopo una sospirata attesa; in questo tempo, grazie all’armonia della sua voce soprannaturale, egli è divenuto l’idolo delle prime corti europee, e in quella d’Inghilterra si è guadagnato i favori di Sua Maestà la regina Anna. Si dice che, insieme ad altri doni di valore, abbia ricevuto a Londra un gioiello molto peculiare di inestimabile valore, del quale non sapremo mai la qualità; se ne parlerà, forse, con maggiori dettagli quando egli si sarà ristabilito, dal momento che per ora giace a letto ammalato».
Il gioiello misterioso, che Grimaldi fu ben lieto di mostrare al mondo non appena ripresosi dalla sua malattia, si rivelò essere un bastone di legno nodoso dall’aspetto molto semplice. La sua preziosità derivava dal nome prestigioso di colui che l’aveva stretto tra le mani: niente meno che san Giuseppe, che proprio aiutandosi con quel bastone avrebbe compiuto il suo viaggio fino a Betlemme al fianco della sua giovane sposa.
Meglio lasciare, ovviamente, alla sensibilità individuale di ognuno l’onere e l’onore di decidere quanta credibilità dare a questa storia. Certo è che, nel 1712, quando fu donato al cantante napoletano, il bastone era proprietà della famiglia Hampden, esponente della piccola nobiltà inglese. Pare che fosse entrato nelle sue disponibilità sul finire del Quattrocento, quando uno degli avi l’aveva sottratto a un convento carmelitano del Sussex che, effettivamente, già nel XIII secolo si faceva vanto di questo cimelio. Ripercorrendo a ritroso lo scorrere del tempo, vediamo la Storia sfumare nel mito: a portarlo in Inghilterra un sì prezioso cimelio (assieme al sacro Graal e a un bel po’ di altre reliquie prestigiose) sarebbe stato san Giuseppe d’Arimatea. E qui immagino che molti di noi staranno già sorridendo a mezza bocca. Fatto sta che, nel 1713, il bastone arrivò in Italia, fu benedetto con solennità dal vescovo di Napoli e poi esposto all’ammirazione dei fedeli nella casa di Grimaldi, che ogni 19 marzo spalancava le sue porte per permettere a tutti i suoi concittadini di toccare con mano la reliquia preziosissima.
Dopo la morte del cantante, nel 1732, il cimelio restò per qualche tempo nella disponibilità dei suoi eredi: era stato il defunto stesso ad affidare «al sig. Nicola Fago, suo cognato, per l’amore che gli porta, la famosa reliquia del bastone di San Giuseppe, che egli si procurò con tanta fatica in Inghilterra, togliendolo dalle mani degli eretici, e che ha sempre tenuto in casa sua con grande venerazione, solennizzando ogni anno la sua festa. Egli supplica e incarica il detto S.N., suo cognato, di tenerlo presso di sé e di celebrare ogni anno la festa in onore del detto glorioso santo»… anche se, a dirla tutta, quest’ultima volontà fu attesa solo in parte. Gravati dall’incomodo di dover custodire in casa un cimelio così importante, e divisi oltretutto da dispute familiari che videro i vari eredi entrare in lotta tra di loro per mettere le mani sul prezioso oggetto, i discendenti di Nicola Fago decisero nel 1794 di donare il bastone di san Giuseppe a chi meglio di loro sarebbe stato in grado di dargli onore. E così, il legno entrò a far parte del tesoro dell’Arciconfraternita di San Giuseppe dei Nudi, che orgogliosamente lo custodisce ancor oggi, parlandone nei termini di una «preziosa reliquia» che, se mondata doverosamente dalle «derive folkloriche» che inevitabilmente si accompagnano a reperti di questo genere, conserva intatto un «fascino» tutto speciale che le conferisce «un forte potere di attrazione».
E in effetti, basterebbe farsi un giro su Google per vedere quanto siano numerosi gli articoli, gli approfondimenti e i documentari televisivi che sono stati dedicati, negli anni, a questo piccolo pezzo di devozione napoletana. Questo, tra i molti, è buon esempio per chi volesse approfondire (e, tra le altre cose, un buon memento del tempo che fu).
Per approfondire:
Vittorio del Tufo, Napoli Magica (Neri Pozza, 2018)
Mauro Orletti, Guida Alle Reliquie Miracolose d’Italia (Quodlibet, 2021)