Come viveva un cardinale in conclave?

Sorprendentemente, alla domanda di cui sopra siamo in grado di rispondere con buona precisione: strano ma vero, è giunta fino a noi una sterminata quantità di documentazione che potremmo sommariamente inventariare alla voce “vita quotidiana di un cardinale durante il conclave”. Infatti, se i cardinali d’oggi sono invitati a mantenere una certa riservatezza su tutto ciò che accade dopo il momento dell’Extra Omnes, non necessariamente lo stesso rigore vigeva nei secoli passati; e nel momento in cui il conclave si scioglieva dopo aver eletto il nuovo papa, nulla impediva ai prelati di raccontare a terzi la loro esperienza nei palazzi vaticani. Sicché, riguardo ai conclavi dei secoli passati, è sopravvissuta una notevole quantità di testimonianze, ivi compresi (giusto per rendere l’idea di quanto loquaci potessero essere i cardinali d’un tempo) i fogli di appunti che davano conto dell’andamento dei voti per i vari candidati, aggiornati di scrutinio in scrutinio.

E allora, sulla base di queste testimonianze: com’era, nei secoli passati, la vita quotidiana di un cardinale durante il conclave?

La risposta sintetica potrebbe essere “uno schifo”, e non sarebbe un’esagerazione: in un’epoca in cui capitava di frequente che i conclavi si trascinassero per mesi (se non anni), rendere disagevole la vita degli elettori era una strategia deliberata che aveva dichiaratamente lo scopo di accelerare le operazioni e far passare la voglia di perder tempo in complotti e macchinazioni varie. Sicché, i conclavi dei secoli passati furono qualcosa di molto diverso rispetto alla reunion extralusso che ci verrebbe spontaneo immaginare pensando agli accomodamenti che sarebbe lecito attendersi per una convention di principi della Chiesa.

Per esempio,

La cappella sistina era adibita a tendopoli

Ebbene sì: in origine, le votazioni per il nuovo papa non si tenevano nella cappella sistina, che aveva piuttosto la funzione di dormitorio.

Se vogliamo considerare il 1274 come anno di nascita del “moderno” conclave, basandoci sulla costituzione apostolica con cui papa Gregorio X imponeva regole più stringenti per il periodo di votazioni: beh, la normativa servì senz’altro a standardizzare le procedure, ma non la logistica del conclave in sé e per sé. I primi conclavi “moderni” si tennero un po’ dove capitava: talvolta a Roma, più frequentemente a Viterbo; in un paio d’occasioni (1431, 1447) addirittura all’interno di un convento domenicano (quello romano di Santa Maria sopra Minerva), tanto per variare. Nel lungo periodo della “cattività avignonese” (1309-77), i conclavi si tennero ovviamente in Francia; nel 1417, i cardinali decisero di votare a Costanza, dove del resto si stava già tenendo il celebre concilio che vedeva impegnati molti di loro.

Fu solamente papa Nicola V († 1455) a stabilire che, da quel momento in poi, meglio sarebbe stato eleggere i nuovi papi in prossimità della chiesa che custodisce le reliquie di san Pietro. Sicché, nacque l’abitudine di tenere le votazioni nella sistina la cappella sistina si trasformò in una specie di tendopoli per cardinali.

Ebbene sì. Originariamente, l’area deputata ad accogliere i voti era la cappella nicolina, nelle adiacenze. Nel 1538, il locale fu parzialmente abbattuto per lasciar spazio a una scala di congiungimento che avrebbe collegato la sistina alla cappella paolina di recente costruzione, fortemente voluta da papa Paolo III… proprio con l’intenzione di adibirla a sede delle votazioni del conclave.

L’intenzione, del resto, si rispecchia nel ciclo di affreschi che furono commissionati per la cappella paolina a un Michelangelo ormai anziano: inizialmente, all’artista fu chiesto di lavorare sul tema “Gesù consegna a Pietro le chiavi del Paradiso” e solo in un secondo momento si preferì la nuda crudezza delle immagini che vediamo ancor oggi, raffiguranti piuttosto la crocifissione di san Pietro. Significativo che ai cardinali si volesse mettere davanti agli occhi proprio questa immagine, come monito eloquente delle sfide e dei patimenti che il nuovo papa sarebbe stato chiamato ad affrontare.

…anche se, a onor del vero, un po’ tutta l’atmosfera in cui si svolgeva il conclave si poneva come un training accelerato, in tal senso.

I cardinali erano costretti a vivere in un cubicolo di 2 metri quadri (sì, davvero)

E insomma: i cardinali votavano nella cappella paolina e passavano la restante parte del tempo nella sistina, là dove era allestito per loro una sorta di dormitorio; e fin qui ci siamo.

Se vi steste a questo punto domandando “ma di quanti cardinali stiamo parlando?”: il conclave del 1503 si aprì con quarantacinque porporati; il conclave del 1700 ne contò cinquantasette. Nel mezzo, ce ne furono alcuni anche più affollati dove il numero di presenze sfiorò la settantina.
“Ma ci stanno comode, settanta persone, dentro la sistina?”, potreste legittimamente chiedervi a questo punto. E, ecco: no, la risposta è decisamente no.

Nel conclave del 1513, la cappella era così affollata che i cardinali si trovarono costretti a vivere all’interno di un cubicolo di 2 metri quadri (no, non è un errore); e a poco valse il provvedimento con cui, a partire dal 1549, si stabilì di creare posti letto più spaziosi (di 3 metri per 4) occupando le stanze adiacenti (la Sala della Lettoria, le due Sale del Concistoro e gli appartamenti Borgia). Oggettivamente, le condizioni di vita dei cardinali restavano comunque sfidanti, tenendo conto che gli elettori venivano fisicamente chiusi a chiave all’interno di quei pochi locali comunicanti, per un periodo di tempo che frequentemente si misurava in settimane, se non in mesi. Nel caso dei conclavi che si tenevano in estate, la cosa poteva rapidamente trasformarsi in tortura visto che venivano sprangate anche le finestre, con l’unica eccezione di quelle altissime che erano poco più che feritoie e che ben poco davano sollievo a chi era costretto a vivere in mezzo all’afa soffocante.

Almeno – ci si potrebbe chiedere – pur con tutte queste limitazioni, venivano alloggiati confortevolmente, questi poveri cardinali?

Ecco, no: l’unica cosa che faceva il Vaticano era assegnare loro una piccola area del pavimento, delimitandola con quello che era sostanzialmente un recinto fatto da quattro cornici di legno disposte a rettangolo. Punto.
Tutto il resto, i cardinali dovevano portarselo da casa, e con “tutto il resto” intendo anche letto, materasso, vaso da notte, federe, lenzuola, biancheria e quant’altro. In un manoscritto del XVII secolo conservato nella biblioteca vaticana, così leggiamo alla voce

Inventario delle cose da portarsi in conclave

Il paramento di saia pavonaza.
Il letto per il cardinale con i fornimenti suoi pavonazzi.
Il materazo con sue lenzuola e coperta per li conclavisti li quali la straponevano in terra sopra un tappetto nella camera del suo cardinale e lì dormivano.
Una cassetta per il pitale.
Tavola lunga cinque palmi con suo treppiede e con sedia e sgabello.
Tre tappeti.
Due orinali.
Una sporta grande di corame.
Una cassa detta la cornuta.
Dodici piccole salviette da tavola.
Due piccole tovaglie per la tavola del cardinale.
Quattro asciugatori e una tovaglia per i conclavisti.
Due piccole tele da nettare li vasi d’argento.
Una cassa per li vestimenti, camice e tacchetti sciugatori per il viso.
Fazoletti, una scopetta per le vesti del cardinale.
Un mantello ovvero croccia con il suo cappuccio.
Confettioni secondo quando piacerà al cardinale.
Un pan di zucchero.
Una scala piccola.
Un martello di ferro, chiodi, tenaglie e filo grosso.
Spago con filo di più colori.
Un calamaro con cartella, forbice e penna.
Un scaldaletto over focone.
Un quinterno di carta e cera rossa.
Un baccile con boccale per lavar le mani.
Tazze, scodelle, scodelline, piatti, saliere, cortelli e altre cose necessarie alla tavola del cardinale.
Un libro delli Decreti sesto con le clementine.
Due breviari ed altri libri a volontà del cardinale.
Due fiaschi di malvasia.
Sale, olio, aceto.
Una lucerna.
Due candelieri.
Quattordici libbre di candela dalla tavola del cardinale.
Due intorciate.
Due fiaschi vuoti.
Due caraffe di cristallo con bicchieri.
Due acquiere piene di acqua per munitione.
Una conca per lavar le cose.
Tre torce di libre cinque di cera comune.
Un’altra cornuta per fuor di conclave.
Uno scabello più alto delli ordinarij un palmo con un pulpito sopra.


L’immagine di un cardinale che entra in conclave trascinandosi dietro «una scala piccola», «un martello di ferro, chiodi, tenaglie e filo grosso» potrebbe sembrarci vagamente surreale ma era in realtà necessaria, visto che ricadeva sui singoli prelati (o sui loro servitori) il compito di trasformare il recinto di legno in qualcosa di vagamente simile a una stanza, per esempio attaccandoci sopra della roba che potesse fungere da parete.

Si trattava, tendenzialmente, di roba piuttosto leggera, consistente perlopiù in sottili tende di lino (anche perché, come già detto, in estate si moriva di caldo, e anche in inverno si doveva comunque convivere con una perenne sensazione di “aria chiusa”). Ogni cardinale aveva il permesso di portare con sé fino a due servitori… che però dovevano dormire a loro volta all’interno del cubicolo riservato al prelato, quasi sempre su tappeti stesi per terra, il che suggeriva tendenzialmente di non abbondare troppo con la servitù.

I romani andavano a fare i turisti in conclave

La bizzarra scena di questo camping cardinalizio alla sistina doveva sembrare surreale anche alla gente d’un tempo. E infatti, ogni volta che s’apriva un conclave, i romani prendevano d’assalto i palazzi vaticani per poter dare una sbirciatina al modo in cui i principi della Chiesa s’erano sistemati in quella singolare tendopoli: una curiosità che in passato era facile soddisfare, data la consuetudine di tener aperte le porte della sistina fino alla mezzanotte del primo giorno di conclave. Solo a quell’ora sarebbe stato pronunciato l’Extra Omnes e le porte sarebbero state sprangate; quanto alle votazioni, ovviamente, sarebbero cominciate solamente l’indomani, in totale segretezza.

Curiosare nel pre-conclave era uno degli hobby preferiti dei romani, e capitava spesso che in quell’occasione i palazzi vaticani venissero presi d’assalto da folle così numerose da diventare di difficile gestione. È giustamente passato alla Storia il caso eclatante di una donna che nel 1689 ebbe la pessima idea di andare a dare un’occhiata ai preparativi mentre era in stato di gravidanza avanzata; fu colta dalle doglie mentre si trovava dentro la sistina e fu costretta a partorire nella sala adiacente, sotto gli occhi perplessi dei cardinali e d’altra gente di passaggio, perché i palazzi vaticani erano talmente invasi dalla folla che non si riuscì materialmente a trasportare fuori quella poveraccia.  

A magra consolazione delle partorienti, talvolta persino i cardinali facevano fatica a fendere le folle: così scriveva nel 1644 Ernesto Adalberto d’Harrach, ricordando come, nel primo giorno di conclave,

si stentò ad entrare per la gran moltitudine della gente che si trovava per tutto, oltre che la scala, conchiusa mezzo con assi per la soldatesca, era stretta assai. Entrato in zella, puoca quiete n’hebbi, perché e li ambasciatori, e li prelati et altri conoscenti, del continuo venivano a vedermi.

Proprio perché consapevoli della curiosità che le loro “tende da campeggio” suscitavano nei turisti, i cardinali cercavano di agghindarle con tutto il decoro concesso loro dalla situazione. Molti appendevano il proprio stemma cardinalizio al sopra della “porta” (in realtà, quasi sempre un sipario creato con le tende), e non mancava chi decideva di decorare il suo cubicolo con festoni, ghirlande e altri ammennicoli di suo gusto. I prelati che erano stati creati cardinale dal papa appena defunto listavano a lutto le loro cellette con due nastri viola, e c’era chi decideva di portarsi dietro anche quadri, statuine e oggettistica varia di home decor.

Da una illustrazione del conclave del 1667

C’era anche un altro elemento che incuriosiva molto i turisti: cioè, il modo in cui i cardinali erano distribuiti all’interno degli spazi. Poiché le cellette venivano assegnate in modo randomico, molti ritenevano che capitare in un certo punto della cappella fosse già di per sé una sorta di pronostico sull’andamento delle elezioni. Sicché, gli osservatori guardavano con molta attenzione a quei cardinali cui capitava in sorte d’essere alloggiati sotto il dipinto del Perugino raffigurante Gesù che consegna le chiavi a Pietro, o sotto la scena del Signorelli che mostra Mosè nell’atto di cedere il bastone del comando.

Perché, no, il toto-papa non è un prodotto della contemporaneità corrotta: nei bei tempi andati in cui la gente aveva più rispetto del sacro, signora mia, i romani scommettevano direttamente denaro, nelle bettole cittadine, puntando sul nome del futuro papa.

Il pranzo dei cardinali? In un cestino da pic-nic

Un altro spettacolo molto gradito ai romani era quello che si ripeteva due volte al giorno là dove un imponente corteo di cuochi incedeva verso la sistina con il cibo da consegnare ai cardinali. Così lo descriveva a metà Cinquecento Bartolomeo Scappi, il cuoco del Vaticano:

seguivano due Palafrenieri, con dui bastoni, pinti del medesmo colore che era la cornuta, et poi veniva il Scalcho con quattro, o sei scudieri, che portavano caraffe piene di vino di più sorti, et d’acqua limpida; et in mezzo di essi andava il Bottigliere. Venivano poi due Palafrenieri, che portavano lo sportone con le vivande della Credenza. Seguitava poi il Credentiero, con due altri Palafrenieri.

Da una illustrazione del conclave del 1610

Verrebbe da pensare che tutta ‘sta folla di gente fosse lì per consegnare chissà quali pietanze gourmand, ma la verità è molto più sconfortante: il menù standard che veniva offerto ai cardinali consisteva in due letterali cestini da picnic contenenti un’insalata, una macedonia di frutta e altro cibo freddo. Nei primi giorni del conclave, i cardinali potevano anche richiedere che venisse consegnato loro del cibo caldo (e spesso lo facevano), ma in quel caso dovevano organizzarsi in autonomia facendoselo comprare a parte dai loro servitori che erano rimasti all’esterno. Tutto il cibo, in ogni caso, sarebbe successivamente stato ispezionato per controllare che non vi fossero stati nascosti bigliettini o messaggi vari e sarebbe stato passato ai cardinali attraverso una ruota infissa in una parete provvisoria che veniva eretta a metà della sala regia.

Perché scrivevo che i cardinali avevano facoltà di ordinare cibo extra “nei primi giorni del conclave?”. Perché le normative in vigore in età moderna imponevano regole strettissime riguardo al cibo, ritenendo che affamare i cardinali fosse una tecnica di sicura efficacia per convincerli a non tirarla troppo per le lunghe. Dopo tre giorni di conclave, ai cardinali sarebbe stato consegnato solamente un cestino al giorno, consistente in un’unica razione di cibo (freddo). A partire dall’ottavo giorno di votazioni, quell’unico cestino avrebbe contenuto solo pane e acqua, più una bottiglia piccola di vino.

Il nuovo papa veniva eletto in condizioni igieniche assai precarie

Il caso eclatante fu quello delle elezioni di 1287-88, che irritualmente furono interrotte nel bel mezzo delle votazioni e riaggiornate in tempi migliori (diversi mesi più tardi), perché in conclave girava una malattia contagiosa che nell’arco di poche settimane aveva già mandato nella fossa sei dei sedici elettori.

Ma anche volendo escludere questo caso estremo, che potremmo derubricare a un ottimistico “questione di jella”: certo è che essere (piuttosto letteralmente) murati vivi all’interno di una tendopoli priva di ricambio d’aria, con latrine in numero insufficiente rispetto alle necessità reali e con pulci, pidocchi e zecche che balzavano da un letto all’altro… beh: non è esattamente una passeggiata di salute. E vorrei esortarvi a riflettere una volta di più sul fatto che nemmeno i villici delle più umili periferie erano costretti a vivere per settimane in mezzo all’afa romana della piena estate senza manco la possibilità di aprire la finestra per cambiare l’aria, mentre i principi della Chiesa invece sì; nel conclave del 1549-50, il medico dei cardinali aveva dovuto alzare la voce per ottenere di poter aprire periodicamente gli scuri, se non altro per poter buttare fuori i piatti sporchi che da mesi si stavano accumulando in una stanzetta adibita a discarica (!) rendendo fetida l’aria stagnante. Alla fine del conclave del 1559, durato quasi quattro mesi, la cappella sistina puzzava così tanto che fu necessario fumigarla (una procedura a cui all’epoca venivano attribuite proprietà disinfettanti: in pratica, i locali furono sanificati), e gli ambasciatori segnalarono a più riprese voci ricorrenti su una epidemia di gastroenterite che aveva messo KO buona parte degli elettori, alcuni dei quali cercavano di tenere nascosti i loro sintomi per non dare l’impressione d’essere di salute cagionevole e bruciarsi così la chance di diventare papa. La situazione era così notoriamente disagevole che, nel 1621, il cardinal Bellarmino aveva sentito l’esigenza di entrare in conclave portandosi dietro un opuscolo di Avvertimenti medici per mantenersi sano, simile del resto al manualetto Sopra il governarsi in conclave per non ammalarsi che nel 1644 il cardinal von Harrach s’era fatto scrivere dal suo medico di fiducia.

«Pensare che i principi della Chiesa fossero disposti a sopportare per settimane e mesi (potenzialmente anche fino alla fine della loro vita) tutte queste privazioni e tutto questo squallore è un dettaglio significativo di quanto il conclave fosse importante agli occhi dei cardinali», scrive giustamente la storica Mary Hollingsworth – facendo eco, del resto, alle riflessioni che molti prelati del passato vollero consegnare ai posteri. Eloquente è quella scritta nel 1655 da Alderano Cybo:

i tormenti del conclave non sono piccoli. Caldo, stanchezza, insonnia, difficoltà e ansie abbondarono in questa santa elezione, dalla quale la grazia di Dio volle liberarci proprio nel momento in cui l’affollamento e il fetore erano diventati insopportabili.

Giusto per rendere l’idea, Cybo si riferiva al conclave conclusosi da poco, che s’era aperto il 18 gennaio e s’era chiuso il 7 aprile per sfinimento collettivo dell’elettorato. Più comica ancora è l’ammissione fatta dal cardinal Giovanni Battista Maria Pallotta, che prima del conclave del 1644 aveva tentato di far mettere agli atti un documento programmatico in cui il futuro papa, quale che fosse, si impegnava «a fabricare un conclave più commodo per i cardinali»; e di magra consolazione temo gli sia stata l’evidenza per cui, nel corso di quelle stesse votazioni, si rese effettivamente necessario fabbricare un’infermeria in cui alloggiare in modo un po’ meno disagevole tutti i poveracci che via via cadevano ammalati. Uno di loro, il cardinal Bentivoglio, finì col lasciarci le penne; era uno dei membri più autorevoli del collegio cardinalizio, da molti ritenuto un papabilissimo papabile.

Ma quando finisce questo orrore?

In realtà, molto tardi. Sarebbe compito dei contemporaneisti raccontare il modo in cui i conclavi si sono trasformati nei secoli (e nei decenni) più recenti, e molti infatti hanno provveduto a farlo eccellentemente, in questi giorni. Per chi avesse la di curiosità di sapere a partire da quando la sistina abbia cominciato a ospitare le votazioni dei cardinali: l’ultimo anno in cui fu adibita a dormitorio fu il 1559. Da quel momento in poi, nacque la consuetudine di votare proprio all’interno di quella cappella; a dormitorio, furono adibiti altri locali nelle adiacenze.

Questo però non si tradusse automaticamente in un netto miglioramento della qualità di vita dei cardinali, che ancora per lunghi secoli dovettero rassegnarsi a conclavi decisamente improntati all’umiltà. Ancora nel 1978 (!) i prelati che si riunirono per eleggere Albino Luciani e Karol Wojtyla parlarono di cellette minuscole, letti francamente scomodi e servizi igienici in numero inferiore a quello che sarebbe stato utile; e fu proprio Wojtyla a ordinare la costruzione della famosa Casa Santa Marta che, a partire dal 2005, è diventata la residenza dei cardinali durante il conclave. Una residenza decisamente più comoda e confortevole di quella che gli elettori si videro assegnare per secoli: ma questa è un’altra storia, anzi è Storia contemporanea. O meglio ancora, attualità.


Per approfondire:

Mary Hollingsworth, Miles Pattenden, Arnold Witte (a cura di), A Companion to the Early Modern Cardinal (Brill, 2020)
Maria Antonietta Visceglia, Morte e Elezione del Papa. Norme, riti, conflitti (Viella Libreria Editrice, 2014)
Maria Antonietta Visceglia, Agostino Paravicini Bagliani, Il Conclave. Continuità e mutamenti dal Medioevo ad oggi (Viella Libreria Editrice, 2019)

Ma io al posto vostro darei anche un’occhiata a The original ‘Conclave’? How commercial engravings grew global interest in papal succession, un pezzo di Louis Jebb apparso qualche giorno fa su The Art Newspaper, che è a dir poco splendido (anche proprio a livello visivo, intendo!) per la quantità d’immagini d’epoca che mostra ai suoi lettori

22 risposte a "Come viveva un cardinale in conclave?"

  1. Avatar di Francesca

    Francesca

    In qualche modo (un po’ alla lontana ma pur sempre) collegato al tuo articolo che ci ha fatto… come dire… annusare ( 😅 ) l’atmosfera di un tempo passato rispetto al tempo presente…

    è il video che ti propongo casomai tu avessi circa 4 minuti liberi e li volessi impiegare così – e nella mia proposta sarebbe anche compresa una richiesta di eventuale articolo correlato. Il topic: lo spiega il Bishop Robert Barron che in questo momento si trova a Roma e ci tiene aggiornati, come tanti altri (religiosi o laici) stanno facendo in questo momento in tutto il mondo con vari mezzi.

    Diciamo che, tra le tante riflessioni e opinioni che girano in questi giorni… questo vescovo, nell’ultimo video pubblicato, secondo me, fornisce una prospettiva MOLTO INTERESSANTE … E così dopo averlo visto, il mio pensiero è andato a te Lucia: puoi (prima o poi) dire cioè scrivere qualcosa su come era “visto” il Papa nei periodi storici di cui ti occupi? C’è “qualcosa da dire” di interessante rispetto alla riflessione specifica che oggi fa il vescovo Barron?

    Poi… per chi ama seguire queste cose … Allego anche “l’arrivo” a Roma dello stesso. Tanto per la cronaca. Mi piace sempre un sacco ascoltare come le persone da varie parti del mondo “ci vedono” quando arrivano in Italia 😇💚 …e comunque anche nel seguente video viene dato un grande insegnamento a tutti noi ascoltatori cattolici. (secondo me)

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    1. Avatar di Francesca

      Francesca

      Annotazione del giorno 8 maggio 2025, orario del post. Sono ormai oltre 2 ore che attendo un post, uno short, un mini video, un commento, una parola, qualcosa! da parte del Bishop Barron. Mi sa che è svenuto 😅 o che sta saltellando di gioia per le strade di Roma e non riesce a fermarsi. È sempre stato instancabile e puntuale nel darci aggiornamenti… e una lunga diretta (senza commenti, senza conduttori, con la sola inquadratura su San Pietro) dal suo canale ha atteso la fumata bianca. Poi silenzio 😂

      Credo che sia al settimo cielo. Sto aspettando che dica qualcosa 😇

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      1. Avatar di Francesca

        Francesca

        p.s. intervistato nei giorni scorsi da ewtn, alla richiesta su un possibile papa statunitense, aveva detto qualcosa tipo “beh sì ok è possibile ma altamente improbabile” 😂

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  2. Pingback: Habemus papam! E adesso, se gli vogliamo bene, andiamo tutti a svuotargli casa – Una penna spuntata

    1. Avatar di Lucia Graziano

      Lucia Graziano

      Mah, io semmai sto vedendo girare parecchi screenshot di tweet in cui Prevost, ovviamente prima delle elezioni, criticava alcune posizioni e dichiarazioni di Vance.

      Non conosco assolutamente Prevost e fino a ieri sera sapevo a malapena che esistesse, ma a vederlo così e giudicando solo da quel paio di tweet che girano, non mi sembrerebbe proprio un sostenitore scatenato del MAGA 😅

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  3. Avatar di ac-comandante

    ac-comandante

    OK, è passato abbastanza tempo.

    Quando quel mio conoscente ha scritto il raccontino Conclave fantasma (in cui il POTUS dai capelli arancioni convoca un conclave coi cardinali pre-Francesco ancora elettori nel 2022 ritenendo invalida l’abdicazione di Ratzinger), il cardinale eletto, abbastanza scontatamente il più anziano, e italiano*, sceglieva il nome di Leone XIV!
    Mi sono chiesto se l’amico ha agganci nelle curie, ma poi gli ho telefonato con la scusa di chiedergli come va col plastichetto e ho scoperto che non solo non è credente ma è pure s-battezzato (il che può voler dire nulla: anch’io ho seguito la stessa procedura su suggerimento del Pastore quando sono diventato protestante).

    *immagino abbiate capito chi sarebbe…

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    1. Avatar di Ago86

      Ago86

      Il pastore valdese crede che una roba tipo lo sbattezzo abbia qualche senso oltre alla presa in giro? Le cose sono due: o lui e quelli che non ti volevano tenere a lavorare ti hanno fatto delle belle trollate o le stai facendo tu.

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      1. Avatar di ac-comandante

        ac-comandante

        Già il tono offensivo non meriterebbe una risposta, ma te la do.

        Il Pastore considera lo “sbattezzo” un puro atto civilistico, non religioso, in quanto sa benissimo che la CCAR continua a considerare dei suoi anche quelli che se ne vanno e passano con altri (o con nessuno). Se uno si fa valdese è ovvio che non voglia più essere considerato cattolico.

        Quando la CCAR mi ha messo in guai seri solo per dichiarami irregolare e non permettermi di entrare in una cooperativa cattolica, ho i miei buoni motivi per pretendere di non esserne più considerato parte. Punto.

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        1. Avatar di Ago86

          Ago86

          Civilistico? Guarda che non ha valore da NESSUN punto di vista, è solo una buffonata che non ha nessun effetto – né per la Chiesa né a livello “civilistico”.

          Quanto ai toni, fatti un esame di coscienza su quello che scrivi qui, dai

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          1. Avatar di ac-comandante

            ac-comandante

            Guarda che anche i Garanti della privacy hanno detto la stessa cosa che ha detto il Pastore.
            Anche la famigerata “sentenza Fiordelli” è civilistica: ha stabilito, ed è giurisprudenza, la “doppia sudditanza” del battezzato non solo allo Stato ma pure alla Chiesa Cattolica.
            Da qui la liceità di considerare l’abbandono della CCAR come atto civilistico e il suo renderlo possibile per cancellare gli effetti civili di un’appartenenza non desiderata. Che ci sono.
            E c’è ancora un documento dello Stato (se quel “86” nel tuo nick è l’anno di nascita, potresti non saperlo: l’ultima classe di leva fu la 85) in cui viene schedata la religione: il foglio matricolare militare, e si era obbligati a dichiararla. Non riesco a capire oggi a cosa serva dichiarare una religione per essere militari volendo esserlo ma l’obbligo pare ci sia ancora.
            Io di mio, non essendo più militare nemmeno in congedo, ho solo fatto allegare la copia dell’atto di ingresso nella Chiesa Valdese al foglio medesimo, era mio diritto. Se qualcuno va a curiosare lì dentro, trova la mia conversione, anche se sarebbe più facile domandare alla Chiesa Valdese stessa!

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          2. Avatar di Lucia Graziano

            Lucia Graziano

            Oh cielo: a livello civilistico non saprei (del resto non è il mio campo) e ho in effetti delle grosse perplessità (più che altro, non vedo in che modo i registri civili potrebbero recepire una annotazione che viene registrata a margine di un registro cartaceo sperduto nell’ufficio parrocchiale della parrocchietta di turno. Né del resto il modello di lettera che è presente sul sito della UARR chiede al parroco di comunicare a terzi l’avvenuta annotazione, anzi lo diffida proprio dal farlo (giustamente, per ragioni di privacy). Quindi non lo so, su questi effetti civilistici sono molto perplessa 😅).

            Ma da un punto di vista storico e archivistico, io trovo che le richieste di “sbattezzo” abbiano TOTALMENTE senso e le ho sempre trattate con il massimo rispetto (e con la massima celerità) tutte le volte che mi è capitato di riceverne una negli archivi parrocchiali in cui via via ho prestato servizio. E francamente non capisco proprio le battutine che i cattolici (un po’ tutti eh, mica solo tu Ago86) si ostinano a fare sul tema. Chiunque abbia visto un registro dei battesimi sa che, accanto allo spazio per annotare l’avvenuta somministrazione del sacramento, c’è una colonna a parte in cui l’archivista parrocchiale, se fa bene il suo lavoro, dovrebbe annotare via via tutti gli altri eventi rilevanti della vita di quel battezzato (cresima, ordinazione/professione religiosa/matrimonio, morte). Tant’è vero che, quando chiudi l’istruttoria matrimoniale per due nubendi, l’ultima cosa che fai è spedire alla parrocchia di battesimo una notifica di avvenuto matrimonio proprio perché il parroco possa aggiornare il registro dei battesimi, e idealmente sarebbe bello riuscire ad annotare nell’apposito spazio anche il decesso del battezzato (anche se ovviamente quello è molto più difficile, ma ho visto archivi parrocchiali in cui si faceva, quando si poteva).

            Ora: se il registro dei battesimi è concepito per tenere traccia degli eventi di particolare rilievo nella vita spirituale di un battezzato, non capisco francamente perché bisogni fare muro di fronte alla richiesta di far registrare l’annotazione per cui il battezzato ha deciso (per dirla in linguaggio tecnico) di fare pubblica apostasia abbandonando la fede cattolica.

            Sono tenuta a registrare che s’è sposato, ma dovrei rifiutarmi di registrare che ha cambiato religione? Sono invitata a tenere traccia della sua morte (e la morte non è un sacramento) ma dovrei sentirmi tirare le orecchie dal vescovo se annoto che ha professato pubblica apostasia? Ma dai.

            Non vedo davvero alcuna logica nell’obiezione di principio che molti cattolici, e purtroppo anche alcune diocesi, pongono di fronte alle richieste di “sbattezzo” (e se non si fosse notato è un tema che mi sta a cuore 😂 perché veramente non vedo nessuna logica in questa levata di scudi per una prassi che, tra l’altro, ormai è anche piuttosto nota e diffusa, manco a dire che vieni colto alla sprovvista e non sai come gestirla). (Anzi, io onestamente se fossi il parroco ringrazierei pure. Non sto implicando che le richieste di “sbattezzo” vengano fatte a cuor leggero da ragazzini che giocano a fare i ribelli (non ne ho idea, non conosco le statistiche), ma se io dovessi aprire l’istruttoria matrimoniale per uno, e dovessi venire a sapere che quando aveva 18 anni s’era sentito molto ganzo a spedire la richiesta di sbattezzo – salvo poi decidere quindici anni dopo di sposarsi in chiesa perché la tipa ci tiene ad avere le foto scenografiche nella pieve di campagna – troverei decisamente rilevante questa informazione. Se il parroco del tempo s’è rifiutato di registrarla, mi dà un elemento in meno su cui procedere: ‘sta levata di scudi contro le richieste di “sbattezzo” a me sembra proprio un tirarsi la zappa sui piedi, oltre che una presa di posizione senza senso).

            Chiaro poi che l’annotazione sul registro dei battesimi non implica che vengano meno gli effetti sacramentali del battesimo ricevuto, per chi ci crede (e grazie al cavolo), ma del resto non è quello lo scopo per cui vengono richiesti gli “sbattezzi”. E quindi?

            (Non è per te, Ago, eh, è che proprio è una cosa che mi manda ai matti perché riguarda direttamente la mia professione e perché, giuro, per quanto mi sforzi di capire, proprio non capisco 😂 Io fortunatamente non ho mai avuto problemi in tal senso (cioè, nessuno mi ha mai sgridata per aver registrato l’annotazione) ma avrei degli ENORMI problemi di etica professionale se solo qualche parroco provasse a dirmi “non evadere la richiesta”).

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          3. Avatar di Ago86

            Ago86

            Ragazzi, siamo a livello di trollate: credere che ci siano chissà quali effetti civili della “doppia sudditanza” è roba da UAAR. Quanto al codice militare, non ci si era accorti che non era stato revisionato in accordo ai principi costituzionali fino agli anni ’80 – fu pubblicato nel 1994 il codice militare attuale, senza pena di morte (abolita dalla costituzione). E sì, ho visto che “cattolico” è scritto sulla targhetta di mio padre, quella che tenevano i soldati al collo.

            Inoltre una questione è il livello civilistico e burocratico, un’altra è prendere sul serio un foglio scritto da sé: nel primo caso c’è un codice e un qualche valore (oltreché, a volte, anche un senso) a ciò che si fa, nell’altro siamo all’assegno da un milione del Signor Bonaventura.

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          4. Avatar di Ago86

            Ago86

            Lucia, riguardo gli eventi di importanza nella vita di un battezzato etc., sullo sbattezzo la cosa è semplice: se uno vuole segnalare l’apostasia con un atto burocratico (“civilistico”) non fa che ritenerla una questione burocratica, che non c’entra nulla con il sacramento – c’è un motivo se si chiama “sbattezzo”, ed è un’estrema ingenuità prendere sul serio una roba del genere perché il vero problema è appunto che questa gente la ritiene sensata.

            Il problema vero è cosa passa per fede, e non si risolve prendendo sul serio una cosa completamente vuota, inutile e senza valore sia dal punto di vista burocratico che dal punto di vista spirituale, anzi si conferma l’idea che la fede sia solo una questione di “appartenenza a un’organizzazione” – quanti sanno cos’è un sacramento? Quanti sanno cos’è il carattere sacramentale?

            Mi risparmio battute sulla “pastorale” e su questa roba, le fa già un altro tizio.

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          5. Avatar di Lucia Graziano

            Lucia Graziano

            Ma infatti se vai a vedere sul sito della UARR (che è quella che ha lanciato la campagna e al cui sito, credo, ancor oggi si rivolge chi vuole chiedere lo “sbattezzo”, per scaricare la modulistica già precompilata), non c’è scritto da nessuna parte che la procedura serve a rimuovere gli effetti sacramentali del battesimo (che gliene importa a un ateo degli effetti sacramentali del battesimo: se è ateo, non ci crede e basta). Se leggi la modulistica e la pagina di spiegazioni, appare molto chiaro che l’intenzione della UARR è quella di fare un gesto che abbia valore burocratico (e, probabilmente, di protesta civile): compiere un atto di autodeterminazione e segnalare alla Chiesa Cattolica che una certa fetta dei suoi fedeli non si considera più tale.

            Ripeto: non vedo problemi, anzi. Guardando alla cosa da una prospettiva storico-archivista, mi pare un dato molto interessante, e anzi il mio sogno (storicamente parlando) sarebbe quello di una pratica sempre più diffusa in cui gli sbattezzati indicano anche il perché del loro abbandono: ateismo, disgusto verso la Chiesa, conversione per un’altra religione e quale, “non ho niente contro di voi ma per coerenza vi segnalo che nessuno nella mia famiglia è praticante e mi hanno battezzato giusto per avere le foto carine di me col vestitino bianco”, etc. Sarei curiosa di sapere se qualcosa di simile esiste in quelle zone del mondo dove davvero essere cattolici ha ricadute civili (tipo in Germania, per la questione famosa delle tasse per il clero): se sì, sarebbe davvero una miniera d’oro per gli storici.

            Poi, chiaro che è una notazione puramente burocratica (o storica, a vederla dal mio punto di vista), ma per un ateo cos’altro dovrebbe essere? Non so come sia nata tra i cattolici la convinzione (che spesso leggo in giro) che gli sbattezzandi pensino di potersi liberare con quel gesto degli effetti sacramentali del battesimo: non c’è scritto da nessuna parte e non vedo perché dovrebbero preoccuparsi degli effetti sacramentali derivanti da un dio che secondo loro non esiste. In effetti, non so (e sarei curiosa di sapere) quale valore danno al gesto le Chiese protestanti: di testimonianza, immagino.

            Comunque, certo che gli sbattezzandi la ritengono una questione puramente burocratica: se sono atei, come altro dovrebbero ritenerla? 😐

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          6. Avatar di Ago86

            Ago86

            Il fatto è che non ha nemmeno valore burocratico, è solo un dito medio o un insulto rivolto verso la Chiesa. La mia non è una “levata di scudi” verso chi ha perso la fede, è semplicemente rendersi conto di che si tratta materialmente. Se gli sbattezzandi ritengono che quel foglio abbia burocratico mentre non lo ha, è un problema diverso dalla loro perdita di fede, ma in ogni caso resta il fatto che farsi insultare o tirare diti medi non è il modo migliore per “ascoltare” o affrontare il problema.

            Anzi, per quanto riguarda la perdita di fede o la totale assenza di fede che viene comunque spacciata per fede o roba “gradita a Dio” sono uno dei primi che si interessa di queste cose, ma è un discorso che esula del tutto da quel pezzo di carta senza valore burocratico/civilistico – e indirettamente riguarda anche me, molto più profondamente di quanto tanta gente all’interno della Chiesa riesca a capire: si parla tanto di pastorale, ascolto etc. ma chi ne parla è il primo a non riuscire nemmeno a vedere la realtà dei fatti e a non ammettere nessun tipo di critica – e a insultare i “rigidi” che non la pensano come loro o che comunque segnalano che certe robe sono del tutto stupide, assurde e infantili.

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          7. Avatar di Lucia Graziano

            Lucia Graziano

            Dal mio punto di vista di archivista, note come questa annesse al registro dei battesimi hanno un *enorme* valore storico. E comunque sì anche le dita medie hanno un valore storico, e pure importante 😂

            Resto dell’idea se il registro dei battesimi è stato pensato per tracciare tutti gli eventi religiosi importanti della vita di un battezzato, sia assolutamente nel pieno diritto di ognuno farci appuntare il suo abbandono dalla chiesa cattolico quale che sia la sua motivazione (dito medio, coerenza con sé stesso, atto di testimonianza dopo aver abbracciato un’altra religione, impedire alla suocere di rompere alle scatole per il matrimonio in chiesa “ops non posso più neanche volendo”). Resta comunque il fatto che, secondo me, di fronte a uno che viene da te convintamente presentandoti una dichiarazione scritta di pubblica apostasia, tu ipotetico archivista parrocchiale prendi il foglio e registri.

            Se poi ti rode dentro è un problema tuo, il pat-pat solidale al parroco che se ne cruccia ci sta tutto, ma a fronte di pubblica apostasia tu prendi il foglio e registri. Voglio dire, c’è uno spazio apposta.

            Mi spiace ma temo non cambierò idea sul punto 😂

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