A che ora è nato Gesù Bambino?

Tra i più grandi misteri della mia vita, v’è senza dubbio quello che riguarda un fantomatico articolo che io avrei scritto a proposito dell’orario di nascita di Gesù Bambino. E che, da alcuni anni a questa parte, periodicamente mi viene chiesto di linkare perché i mie gentili lettori “non riescono più a trovarlo sul blog”, condendo la richiesta con complimenti tipo “era bellissimo!”, “voglio mandarlo ai miei amici!”, “voglio usarlo in classe durante l’ora di religione!”, “ti prego aiutami!”.

Ora. Io non so chi sia l’infelice che ha scritto e messo online questo bellissimo pezzo sull’orario di nascita di Gesù Bambino ottenendo come unica gratificazione professionale quella di vedere mezzo mondo convincersi che l’articolo fosse in realtà a mia firma. La triste realtà dei fatti è che (LOL) io sono piuttosto certa di non aver mai trattato l’argomento in tutta la mia vita, tanto che io stessa mi son dovuta documentare prima di mettere assieme queste due noticine storiche.

Sì, perché… a questo punto, vista la grande richiesta, potevo forse esimermi dallo scrivere anch’io qualche parola su questo tema?

Senza falsa modestia, vi dico che l’articolo dello sventurato collega che tutti scambiano per me sarà sicuramente più documentato e più dettagliato del mio (anche perché la liturgia e la patristica non sono proprio il mio pane quotidiano). Ma visto che questo nessuno riesce a ritrovare l’articolo fantasma del mio ghostwriter involontario… ecco qui, per chi volesse, i miei due cents sulla vexata quaestio:

A CHE ORA È NATO GESÙ BAMBINO?

La risposta sintetica è “non lo sappiamo”.

Di certo non occorro io a spiegare che molti degli elementi che noi associamo alla narrazione evangelica del Natale (tipo il bue e l’asinello, i re magi in numero di tre, la stella in forma di stella cometa) sono dettagli che, in realtà, non sono presenti nei vangeli canonici. Si sono sedimentati nell’immaginario popolare per frutto di leggende, letture apocrife e interpretazioni iconografiche ripetute così tante volte attraverso i secoli da essere diventate a buon diritto parte della tradizione… ma, di per sé, non c’è alcun vangelo a confermarne la veridicità.

Lo stesso si può dire circa la tradizione di far nascere Gesù Bambino allo scoccare della mezzanotte. Nessuna fonte canonica si sofferma sull’ora esatta del primo vagito del bambinello, per quanto l’evangelista Luca ci dia un’informazione importante circa il fatto che il lieto evento dovrebbe effettivamente aver avuto luogo ben dopo il tramonto, visto che i pastori «stavano vegliando di notte» nel momento in cui l’angelo annunciò loro la nascita del Salvatore (Lc 2, 8–11).

«Notte», però, è un concetto molto vago, che non basta di per sé a spiegare l’ostinazione a voler collocare la nascita di Gesù proprio alle 00:01. (Fra l’altro, se volessi decidere arbitrariamente un orario di nascita basandomi sul simbolismo della faccenda, io personalmente credo sarei incline a immaginarla alle prime luci dell’alba, non nel bel mezzo delle tenebre. Per dire).

E allora, perché proprio la mezzanotte?

Non è solamente una questione di simmetria o, peggio ancora, di precisione matematica (tra l’altro forse più immediatamente comprensibile per noi che per i nostri antenati, ai tempi in cui gli orologi di precisione erano un miraggio). In realtà, sono proprio le Sacre Scritture ad aver alimentato, attraverso i secoli, l’idea che la mezzanotte sia uno degli orari che Dio predilige quando si tratta di compiere azioni incisive: nel libro dell’Esodo, l’ultima delle piaghe d’Egitto si abbatte sulle terre del faraone «verso la mezzanotte» (Es 12, 29), concretizzando così la liberazione degli ebrei; nel vangelo di Matteo, nella parabola delle dieci vergini, lo sposo arriva «a mezzanotte» in punto (Mt 25, 6).

Ma fu soprattutto su un passaggio del libro della Sapienza che si basò, già a partire dai primi secoli, la tradizione di collocare la nascita di Gesù proprio a quel preciso punto della notte. Nel capitolo 18, 14–15 del libro della Sapienza, si legge infatti: «mentre un silenzio profondo avvolgeva tutte le cose e la notte era a metà del suo corso, la tua Parola onnipotente, dal cielo, scese di slancio dal suo trono regale in mezzo a una terra votata allo sterminio».
All’atto pratico, il libro della Sapienza faceva riferimento alla Pasqua (ebraica), non al Natale: la reference era appunto quella dell’angelo della morte che, nel cuore della notte, uccide tutti i primogeniti d’Egitto, spezzando così la schiavitù degli ebrei e inaugurando un tempo nuovo. Ma già in età tardoantica questo passo cominciò a essere letto dai primi commentatori cristiani come una prefigurazione dell’Incarnazione. Agli occhi dei primi cristiani, era abbastanza lampante che la «Parola onnipotente» scesa dal cielo dovesse essere null’altro che il Verbo divino fattosi carne.

E qual è l’orario in cui questa Parola decide di scendere sulla terra? «Nel pieno della notte», dice il libro della Sapienza, «mentre un silenzio profondo avvolgeva tutte le cose». Che, diciamolo, è una descrizione piuttosto simile a quella che è (e già all’epoca cominciava a essere) la notte silente e santa del Natale.

C’era, del resto, anche un testo apocrifo che, con apprezzabile efficacia, stava contribuendo a cementare questa idea nell’immaginario collettivo. Il protovangelo di Giacomo, composto nel II secolo e immediatamente divenuto popolare nelle prime comunità cristiane, si diverte a immaginare, nella notte di Natale, il mondo intero che per un attimo si ferma e trattiene il fiato, di fronte all’evento più dirompente della Storia. Giuseppe, allontanatosi dalla grotta per cercare una levatrice che possa assistere Maria, tutto d’un tratto assiste a uno spettacolo inaudito: «guardai verso la volta del cielo e la vidi ferma, e immobili gli uccelli del cielo; guardai sulla terra e vidi un vaso giacente, e degli operai coricati con le mani nel vaso: ma quelli che stavano masticando non masticavano, quelli che prendevano il cibo non lo alzavano più dal vaso, quelli che lo stavano portando alla bocca non lo portavano; i visi di tutti erano rivolti a guardare in alto. E vidi delle pecore spinte innanzi che nel camminare stavano ferme: il pastore aveva alzato la mano per percuoterle, ma la sua mano era immobile per aria. Guardai la corrente del fiume e vidi le bocche dei capretti poggiate sull’acqua, ma non bevevano. E poi, in un istante, tutte le cose ripresero il loro corso» (18, 1–3).

È il tempo stesso che si arresta, il mondo intero che trattiene il fiato: il normale corso delle cose umane che si spezza per un attimo, là dove l’impossibile e l’infinitamente altro irrompe nel nostro piccolo e quotidiano mondo. Ovviamente stiamo parlando di una semplice leggenda: un aneddoto contenuto in un vangelo apocrifo, cui la Chiesa non ha mai ritenuto di dover dare credito. Però questo racconto (così oggettivamente suggestivo) contribuì senz’altro a fissare l’idea di una nascita avvenuta nel silenzio più assoluto, nel cuore della notte, in un tempo fuori dal tempo. E la mezzanotte è – da sempre – l’ora perfetta per questo tipo di prodigi.

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Arrivati a questo punto, l’idea di una nascita avvenuta nel cuore della notte aveva tutti gli attributi per potersi imporre anche al di fuori della letteratura. Come spesso accade in questi campi, prima ancora che qualche teologo si mettesse ad analizzare la questione dal punto di vista teorico, la cosa cominciò a essere fatta: per consuetudine, perché piaceva, e perché istintivamente sembrava giusto.

Furono le Chiese orientali le prime a consolidare a livello liturgico il legame tra la nascita di Cristo e il pieno della notte: già nel IV secolo, le celebrazioni che facevano memoria del Natale si tenevano nel cuore della notte, attraverso veglie, processioni e funzioni al lume di candela. Una delle testimonianze più vivide in tal senso è quella che ci viene offerta dalla pellegrina Egeria, che alla fine del IV secolo compì un viaggio in Terra Santa annotando con cura tutto ciò che vedeva (modello travel blogger ante litteram, come dico sempre). Descrivendo le liturgie cui aveva assistito nel periodo di Natale, Egeria riferisce che il vescovo e i fedeli si recavano ogni notte a Betlemme in una lunga processione per venerare il luogo della nascita di Cristo, e lì sostavano in preghiera finché il cielo cominciava a schiarire.

Entro il V secolo, questa sensibilità comincia a imporsi anche in Occidente. Decisivo in questo senso fu papa Sisto III, che nel corso del suo pontificato (432–440) volle far allestire presso Santa Maria Maggiore un piccolo oratorio in forma di grotta, destinato a custodire quelle che la tradizione riteneva essere le reliquie della mangiatoia in cui era stato adagiato Gesù. E fu proprio Sisto III a celebrare, per la prima volta a Roma, una messa notturna di fronte alla mangiatoia del bambinello, alla mezzanotte del 24 dicembre. L’anno dopo ripeté il gesto, e poi ancora e ancora: entro la fine del suo pontificato, quella di celebrare una messa alla mezzanotte di Natale era già diventata una consuetudine stabile, che pian piano si sarebbe diffusa a macchia d’olio in tutta la cristianità.

Non perché qualcuno avesse necessariamente deciso che la mezzanotte fosse “l’ora giusta”: nessuno aveva mai fatto affermazioni drastiche di quel tenore né tantomeno le aveva fatte il papa, che anzi nel Medioevo aveva l’abitudine di celebrare ben tre messe nel giorno di Natale (una a mezzanotte, una alle prime luci dell’alba e una al mattino). Quella di gran lunga più frequentata, per inciso, era la celebrazione mattutina — ché non molti morivano di gioia al pensiero di buttarsi fuori casa in piena notte, in mezzo al gelo, per assolvere a un precetto che più comodamente avrebbe potuto essere portato a termine anche il giorno dopo, con il sole. Che quella di mezzanotte debba necessariamente essere la messa di Natale “più messa-di-Natale di tutte” è una delle tante piccole, grandi, rivoluzioni nel nostro modo di vedere il Natale donateci dalla tarda modernità con tutti i suoi mille comfort, tra cui l’illuminazione artificiale e la maggior sicurezza nelle strade.

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Ma insomma: alla fine di tutte queste ciance, potremmo e forse dovremmo tornare alla domanda di partenza — “ma, in definitiva, a che ora è nato Gesù Bambino?”. Il problema è che non esiste una risposta a questa domanda (e che la risposta non esiste perché, con ogni probabilità, i cristiani dei primi secoli non hanno mai ritenuto che la cosa fosse particolarmente urgente da chiarire).

Che Gesù sia nato a mezzanotte è una pura convenzione; o, se preferiamo, una soluzione narrativa, che ha il gran pregio di funzionare senza dover essere dimostrata. Ahimè, la nostra curiosità dovrà contentarsi di fermarsi qui, accontentandosi magari di un piccolo premio di consolazione: non sappiamo, né mai sapremo, a che ora è nato Gesù Bambino… ma almeno adesso sappiamo come mai i nostri antenati hanno trovato sensato rispondere: “a mezzanotte”.

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