La prima notte di nozze di Valeriano

Se Valeriano fosse vissuto oggi, nella nostra società post-sessantottina, se ne sarebbe accorto senza dubbio che c’era qualcosa che non andava. Due ragazzi normali, senza vincoli religiosi, al passo con la mentalità dei tempi, che si frequentano per anni senza mai finire a letto… mhm. Ai giorni nostri, sarebbe stato chiaro che c’era qualcosa di anomalo nelle scelte di vita di quella Madonnina infilzata che i suoi genitori gli avevano messo al fianco.

E invece, niente. Valeriano era nato nel 177 d.C., figlio di una nobile famiglia di patrizi. Cecilia, la sua fidanzata, si avviava verso un futuro di rispettabile matrona: la castità pre-matrimoniale era data per scontata, i fidanzamenti erano puri di default, i futuri sposi avevano anche poche occasioni per frequentarsi. Insomma Valeriano non aveva la più pallida idea di quello che passava per la testa della fanciulla.

In effetti, a leggere certe agiografie sulle sante vergini dell’antichità, si tende a provare un po’ di compassione per quei poveri disgraziati dei loro fidanzati: santa Cecilia (come del resto una vasta schiera di sue colleghe) aveva accettato la mano del suo pretendente omettendo di comunicargli quel piccolo dettaglio circa il voto di verginità che aveva preso. Se poi si ha la ventura di leggere le suddette agiografie in un’edizione particolarmente antica (ad esempio perché sei una bibliotecaria storica, e in pausa pranzo ti prende vaghezza di sfogliare un libretto devozionale seicentesco), la compassione per il fidanzato di turno si unisce a un senso di straniamento misto a ridarola: perché gli agiografi seicenteschi non andavano troppo per il sottile e presumevano che i fedeli non avrebbero contestato affatto la verosimiglianza di quanto affermato.

O, più probabilmente ancora, davano per scontato di star scrivendo nulla più che un canovaccio destinato ai preti, i quali avrebbero ben avuto l’accortezza di rendere presentabile la storia durante la predicazione.

Ma, letta su carta così come l’ho letta io sulle pagine ingiallite di quel taccuino seicentesco, l’agiografia di santa Cecilia e la descrizione vicende mirabolanti che portarono alla conversione del suo amato sposo presenta – come dire – qualche criticità dal punto di vista della verosimiglianza narrativa. Non ci credete?

Ambeh: la nostra storia inizia nel giorno delle nozze fra Valeriano, pagano duro e puro, e la bellissima Cecilia, cristianissima in incognito. Ci fu la cerimonia, e ci fu il grande banchetto; e poi calò la sera e i due sposi si ritirarono nella loro camera.

Valeriano, molto comprensibilmente, cominciò a slacciarsi i pantaloni (o il corrispettivo dei pantaloni nell’Antica Roma, insomma. Quella roba lì).
Cecilia, tranquillamente sdraiata nel suo letto, sorrise serenissima. “Oh, no, Valeriano, no”, disse soavemente.
“Come sarebbe a dire, no?”.
No”, ripeté la giovine. E poi si sentì in dovere di aggiungere, sotto lo sguardo sconcertato del suo sposo: “no, mio diletto amico. Ti prego, rimettiti i vestiti ed esci in strada”.
“In strada?”, boccheggiò il pover’uomo.
Cecilia sorrise, incoraggiante.
“Cioè vuoi farlo in strada? Tipo, in carrozza per strada? Ma io non so se…”.
“Nonnò, che!, te lo scordi!”, esclamò Cecilia. “No. Tu vai in strada. Io resto a casa. Tu procedi fino a quel tal crocicchio che hai ben presente, lì, in quella zona isolata e piena d’ombre, e lì, a quel crocicchio, troverai qualcuno che ti aspetta. Vedrai, ne varrà la pena. E poi, potrai tornare al talamo”.

“Troverai qualcuno che ti aspetta”.
Oh wow. La cosa cominciava a farsi intrigante, agli occhi di Valeriano.
Nella peggiore delle ipotesi si trattava di un venditore di gioielli: sai com’è, magari ho sposato una di quelle da cui ti puoi anche scordare un figlio se prima non sono sommerse di lussi e di preziosi, e vabbeh.
Ma, oooh. E se invece non si fosse trattato di un venditore di gioielli? Se invece fosse stato… che ne so… qualcosa di un po’ più piccante? ‘nsomma, non è tanto normale che la tua giovane sposa, alla prima notte di nozze, ti mandi in un crocicchio buio per incontrare qualcuno “dopodiché potrai tornare al talamo”.

Ora: voi mettetevi nei panni di questo povero marito che cammina spedito fino al crocicchio, presumibilmente sperando di trovare una bella pupa con cui fare una cosa a tre altrimenti quest’agiografia esce fuori dalle categorie dello spiegabile, e che invece si trova di fronte a un vecchio.
Vestito strano.
Che fra l’altro è il papa.

Proprio così: era papa Urbano I, diciassettesimo vescovo di Roma. Era papa Urbano I, che si parò di fronte allo sconcertato giovanotto e cominciò a predicare qualcosa circa la misericordia del Signore e l’importanza assoluta di votarsi a Lui.
Dopo una quindicina di minuti in cui papa Urbano I andrò avanti con quelli che a Valeriano parvero deliri (e dopo una quindicina di minuti in cui Valeriano rimase in zona nella speranza di scrollarsi di dosso il vecchio pazzo e di vedere una playmate in ritardo all’appuntamento, io credo, altrimenti non si spiega), il santo padre prese una boccetta d’acqua, la versò in testa al pover’uomo, e procedette a battezzarlo.
Lo sguardo sconcertato di Valeriano dovette probabilmente dissuadere Urbano I dal proseguire la sua catechesi, giacché il vicario di Cristo salutò cordialmente il neo-cristiano (?) e se ne andò rapidamente, salmodiando una preghiera.

Appurato che no, non c’era nessuna playmate in vicinanza, Valeriano si grattò la testa, alzò gli occhi al cielo in un muto appello agli dèi, e tornò sconcertato a casa.
Dove scoprì sua moglie che giaceva con un altro uomo.

Ora: io non metto in dubbio che la lingua italiana sia mutata profondamente, negli ultimi quattrocento anni. Però, nel libretto seicentesco che ho avuto fra le mani, c’era scritto proprio così. Trovò Cecilia nella camera da letto, che giaceva prostrata con un giovane uomo.
Di nuovo, vi inviterei a mettervi nei panni di quello sposo che esce di casa convinto di star dando il via a un menage a trois, scopre che il suo blind date è il papa, viene battezzato a tradimento, torna a casa, entra in camera da letto, e scopre sua moglie mentre si prostra con un altro uomo.

“Amore mio, ma che ti pensi?!”, esclamò Cecilia dopo qualche istante, notando l’espressione omicida che si stava facendo largo sulla faccia del marito. “Questo è un angelo del Signore, che te credi?!”.
L’angelo del Signore lanciò un sorriso gioviale a Valeriano. (Vi pregherei peraltro di notare l’aria da teppista ribelle che generazioni intere di pittori hanno attribuito a ‘sto celeste terzo incomodo, nel corso di tutta la Storia dell’Arte).

Cecilia angelo


“Un angelo del Signore”, ripeté scettico Valeriano, che in un altro momento forse avrebbe già ammazzato a pugni in faccia il tizio sconosciuto che giacendo si prostrava con sua moglie, ma in quel momento aveva solo una gran voglia di piangere.
“Sì!”, esclamò Cecilia, con notevole entusiasmo. “È il mio angelo custode!”.
L’angelo custode salutò di nuovo.
“Hai avuto modo di chiacchierare con Urbano, vero?”, domandò la donna con apprensione, cogliendo un’altra volta l’espressione attonita sulla faccia del marito.
“Urbano?”, sussurrò il pover’uomo passandosi una mano fra i capelli. “Il pazzo che mi ha versato una boccetta d’acqua in testa…”.
“Ti ha battezzato”, lo corresse Cecilia pazientemente: “ti ha reso un cristiano, come noi”.
“…e poi ha detto…”. Valeriano si interruppe, e sgranò gli occhi. “No, scusa. Tu mi stai dicendo che tu sei una cristiana?”.
Cecilia annuì sorridendo. L’angelo custode sorrise ancor di più. “Sì, e a proposito, io avrei anche consacrato la mia verginità al Signore” aggiunse la donna molto rapidamente, “ma non è questo il punto amore mio, vedrai, ho pregato tanto per la tua conversione e sono certa che avrà luogo presto, e poi sarai molto più felice”.

A questo punto, dicono le agiografie, Valeriano fece l’unica cosa ragionevole che potesse fare un uomo nella sua situazione, e domandò a sua moglie di mostrargli la natura angelica di quel tizio che aveva beccato in camera da letto mentre si prostrava assieme a lei giacendo.
(Ma si prostrava dove e perché, aggiungo io? Si prostrava in preghiera? E non me lo specifichi? Mi dici che si prostravano e basta? Ma come scrivevano, nel Seicento?).
Comunque, si vede che a questo punto il mio agiografo s’era stufato di scrivere, giacché le cose precipitarono vertiginosamente: l’angelo fece un miracoluccio, ovverosia fece apparire nelle sue mani due corone di fiori profumati (rose rosse, per lei; gigli candidi, per lui) e le mise in testa ai due sposini. E a quel punto Valeriano si convertì.
Non chiedetemi attraverso quali processi mentali: io non ne ho idea e il mio agiografo non me lo dettaglia, evidentemente aveva finito lo spazio. Si vede che, all’epoca, il buon Dio amava andarci giù pesante, con la tecnica delle conversioni lampo in stile “fulminato sulla via Damasco, e ZAC!”.

Cecilia e Valeriano

In ogni modo, Valeriano si convertì. Ormai fervente cristiano, pregò per la conversione di suo fratello Tiburzio e la ottenne con la stessa tecnica lampo.
A quel punto, i due fratelli crearono una specie di team di becchini in nero, che si davano daffare per sotterrare i cadaveri dei cristiani martirizzati (i persecutori avevano ordinato che fossero lasciati insepolti, per aggiungere un’ulteriore pena a quelle vittime. Il che, a onor del vero, succedeva veramente in alcuni periodi storici, ma non sotto il pontificato di Urbano I, durante il quale anzi non risultano esserci state persecuzioni massive).
Comunque, secondo l’agiografia, Valeriano e Tiburzio vennero scoperti mentre cercavano di seppellire i correligionari, furono processati e uccisi. Cecilia pregò serenamente sulla tomba di suo marito, certa di riabbracciarlo di lì a poco: e di lì a poco, invero, fu denunciata come cristiana e condannata a morte da parte di un giudice evidentemente insano che ordinò che la fanciulla fosse affogata nella vasca da bagno della casa di lui. Fortunatamente la pena fu commutata in una decapitazione, e così nacque al cielo anche Cecilia.

E termina così la strana storia di santa Cecilia del suo amato Valeriano.

15 risposte a "La prima notte di nozze di Valeriano"

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  3. Denise Cecilia S.

    Oddio, che una decapitazione sia preferibile al soffocamento… no, dai. Io voto per il secondo, se proprio in un futuro oscuro dovesse toccarmi.

    ‘sta storia comunque non la conoscevo.
    Inquietante. Una pacca sulla spalla a valeriano…

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    1. Lucyette

      Preferiresti morir soffocata piuttosto che decapitata? O.o
      Ommamma, io proprio no… una decapitazione (fatta bene, con un colpo netto) è rapida e ti ammazza in fretta… morir soffocati, invece, mi da l’aria di non essere né rapido né indolore, anzi, secondo me passi i tuoi ultimi istanti di vita a dibatterti nel panico…
      Nonnò: io preferisco essere decapitata, assassini in linea prendete nota! 😀

      (Ehm. Sì. Immaginavo che sulle agiografie serie di Santa Cecilia non raccontassero questa storiella o non la raccontassero con questi toni. Ma, ehm. Tutto vero, eh. Non mi sono inventata niente. Pover’uomo, sì :-D)

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  5. Mercuriade

    Il problema era che Cecilia non aveva POTUTO fare diversamente che accettare quel marito: all’epoca era praticamente inconcepibile che una donna non si sposasse, eccezion fatta per sacerdotesse e vestali, ma quelli erano casi straordinari (ed era sempre la famiglia a decidere, non la donna): in genere veniva lasciata vivere una sola figlia per famiglia, e veniva lasciata vivere proprio per questo, in quanto strumento di alleanze, il suo corpo non apparteneva a lei stessa, ma alla famiglia (a guida maschile). All’epoca si faceva un gran parlare che il filosofo non deve sposarsi per lasciare libera la sua anima di salire ai vertici della sapienza e dello spirito, ma si dava per scontato che questo valesse solo per gli uomini, le donne erano uteri e/o giocattoli a loro disposizione.
    Noi non ce ne rendiamo conto, ma Agnese, Cecilia, Lucia, sono donne di una statura mostruosa, donne che hanno osato quello che nessuna delle “emancipatissime” donne romane avrebbe osato: dire in faccia NO al paterfamilias. Per loro la verginità era libertà, libertà dalla sessualità e dalla violenza maschile, libertà di non corrispondere ad un utero, libertà per una donna di essere un’anima che, libera dalla carne, s’innalza alle vette della sapienza e dell’essere (non per nulla le donne più colte e più dedite alla filosofia sono state le monache).

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    1. klaudjia

      Mi piace il tuo commento perché molto spesso sento dire che la religione cristiana ha schiavizzato le donne mentre nell’antica Roma loro erano libere e felici. Ora sorvolando sugli errori che la Chiesa ha fatto nei confronti delle donne, che per il gentil sesso l’epoca d’oro corrisponda all’antica Roma lo metto in dubbio. C’è in giro una distorsione della realtà, a parte qualche imperatrice/matrona nobile ecc. Ecc. per le altre la vita era dura.

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