Ci dev’essere qualcosa che funziona drammaticamente male nell’algoritmo che gestisce i banner pubblicitari di Facebook: da alcuni giorni a questa parte, Zuckemberg s’è convinto che io debba nutrire un qualche interesse all’idea di far spendere svariate migliaia di euro pur di ricevere a San Valentino un gioiello firmato Cartier. E così, la mia home di Facebook è invasa da spot pubblicitari in cui giovanotti scapestrati ammaccano autovetture parcheggiate in riva alla Senna da sfortunati vetturini; e ciò, al solo scopo di raggiungere rapidamente l’amata, che solinga attende un monile nuovo di pacca.
Il monile in questione è il bracciale “Love” di Cartier. Costo variabile dai 4.000 ai 24.400 euro, è uno dei prodotti di maggior successo della Maison parigina: non so voi, ma io non sono particolarmente fan dei gioielli di lusso… eppure, pur non interessandomi al tema, il Love di Cartier effettivamente lo conosco. Lo si vede addosso a troppi VIP per non avercelo “negli occhi”, quantomeno a grandi linee.

Pippa Middleton è una delle tante estimatrici del “Love”
L’ho appena detto: non sono particolarmente appassionata di gioielleria dei grandi marchi. Di conseguenza, non so fino a che punto la storia che sto per raccontarvi sia già nota: forse, se siete interessati al tema, la conoscete già benissimo (e, se non siete interessati al tema, non vi interessa manco questo post). Ad ogni modo, io ci provo e vi racconto comunque la storia del braccialetto… anche perché, a ben vedere, il gioiello merita davvero un post su queste pagine. In fin dei conti è un prodotto di lusso, amato dal jet-set… che si ispira al Medio Evo, alla castità, e al concetto cristiano di amore eterno.
Stupiti, eh?
La nostra storia comincia a New York nel 1969, quando il designer Aldo Cipullo, orafo fiorentino trapiantato oltreoceano per inseguire il sogno americano, viene assunto dalla Maison Cartier. I datori di lavoro lo mettono alla prova chiedendogli di creare un gioiello innovativo e al passo coi tempi (ricordo che siamo nel 1969: l’anno prima era il famoso ’68). E così, Cipullo sforna quello che sarebbe diventato il marchio di fabbrica non solo della sua produzione artistica, ma di Cartier in generale. Il bracciale “Love”, per l’appunto.
Ora, voi dovete sapere che Cipullo era italiano: fiorentino, per la precisione. Aveva vissuto in Italia per tutta la sua giovinezza, facendosi le ossa con un apprendistato nell’oreficeria di famiglia. E già questo lo poneva in una posizione diversa rispetto a quella di tanti suoi colleghi designer che lavoravano a New York: sì, perché Cipullo era cresciuto avendo negli occhi il Medio Evo europeo.
E lo affascinava pure, questo periodo storico così particolare e così pieno di luci ed ombre.

Lindsay Lohan è un’altra che non si separa mai dal “Love”
La cintura di castità non è mai esistita (o quantomeno nel modo in cui ce la descrive la leggenda), però tutti noi conosciamo bene la storiella secondo cui i cavalieri medievali, prima di partite per una crociata, si assicuravano la fedeltà della consorte chiudendola dentro al marchingegno.
È una leggenda che conosciamo tutti, per l’appunto, e che infatti conosceva anche Aldo Cipullo. Ed è proprio grazie a lui che questo oggetto leggendario, adeguatamente ammodernato in chiave sessantottina, viene riproposto al jet-set mondiale.
Il gesto del cavaliere medievale, in sé e per sé, sarebbe considerato misogino ancor oggi, figuriamoci negli anni della rivoluzione femminista. Cipullo infatti decide di reinterpretarlo in chiave trasgressiva, come un gesto di complicità e di totale fiducia verso il proprio partner: io dama medievale amo così tanto il brivido che accetto volontariamente di farmi inchiavardare in ‘sto coso metallico di cui solo tu custodisci la chiave. Oh che simpatico gioco di coppia, o quale segno di totale intesa tra i partner!
Boh?
Comunque, rielaborato così il concetto, Cipullo si mette al lavoro per creare una… cintura di castità sessantottina, molto hot e molto girl power, e soprattutto made in Cartier. Per le mutandine d’oro battuto sembrava esserci poco mercato, quindi il designer ripiega su un braccialetto che, una volta accettato in dono, andrà indossato 24h/24, un po’ come una fede nuziale. Anzi, peggio ancora di una fede nuziale: io la fede la porto al dito ma posso toglierla in ogni momento; sfilare il braccialetto di Cartier, invece, è materialmente impossibile, a meno di non disporre di un apposito chiavistello.
Ebbene sì: ciò che il bracciale eredita dalla cintura di castità è proprio l’irreversibilità di accettare in dono il prodotto. Il gioiello di Cartier viene chiuso attorno al polso del malcapitat cliente mediante due piccole viti, dopodiché rimane lì in saecula saeculorum. Non ci sono aperture, non ci sono bande elastiche che permettono di sfilare il bracciale: per disfarsi del gioiello bisogna ricorrere a un letterale cacciavite (d’oro) che la Maison fornisce gentilmente in dotazione. Ma senza quel cacciavite, puoi anche attaccarti, come si suol dire: ad esempio, la sorella di Kim Kardashian ha recentemente causato ilarità sui social dopo aver twittato di essere rimasta intrappolata dentro un braccialetto Cartier per quattro lunghi anni, dopo aver perso il cacciavite in dotazione (e non volendo spendere per comprarne un altro).

Katie Holmes e un immancabile “Love Bracelet”
Oggigiorno, questo può sembrare più che altro un giochino idiota (“io, il mio braccialetto e il cacciavite scomparso”, sai che roba…). A onor del vero, all’epoca del lancio sul mercato, il gesto assumeva tutto un altro pathos, grazie all’azzeccatissima campagna marketing di Cartier, in base alla quale i gioielli non potevano assolutamente essere comprati per se stessi, ma solo ed esclusivamente per regalarli a un altro.
Cioè: lui e lei andavano in negozio; lui interloquiva con la commessa e sceglieva il modello; la commessa avvitava il braccialetto al polso della signora… e poi consegnava il cacciavite a lui, con un gesto che si ammantava di una certa (eccitante?) ineluttabilità.
E infatti, le prime pubblicità del “Love” di Cartier suggeriscono secondo me proprio questa dimensione di possesso (possessivo?) e – se vogliamo – anche di sottomissione,
che, fortunatamente, non era necessariamente declinata solo al femminile, nel senso che lo stile “neutro” del bracciale lo rendeva adatto ad essere indossato anche dal maschio:
Insomma: siamo davanti a gioielli gemelli da indossare in coppia e da portare addosso per tutta la vita.
Le (volute) assonanze con la fede nuziale trasformava i Love Bracelet in un accessorio perfetto anche per quelle coppie che non potevano o non volevano accedere al matrimonio, ma desideravano comunque scambiarsi un gioiello che fosse simbolo del loro amore. E magari anche una provocazione, e un pubblico richiamo al fatto che “love is love”: perché no?

Anche Jennifer Aniston ama i bracciali Cartier
Eppure, al di là dell’uso “trasgressivo” che ne è stato fatto, io rimango affascinata dall’eco di “amore vecchio stampo” che stava alla base di questi gioielli. In un’epoca in cui si inneggiava all’amore libero, al sesso promiscuo e all’abolizione dei vecchi tabù, sfondava nel jet set un gioiello che, tutto sommato, piaceva proprio perché simboleggiava un amore eterno per la vita.
E lo faceva in toni trasgressivi e cool, e lo faceva con un linguaggio e con una strategia comunicativa molto diversa da quella adottata dai pulpiti delle chiese cattoliche che tuonavano proprio in quegli anni contro il divorzio…
…però, sostanzialmente, lo faceva. Faceva quello.
In un’intervista del 1972, Cipullo avrebbe dichiarato: “ai nostri giorni l’amore è diventato una cosa commerciale, ma quello che le persone vogliono sono simboli [d’amore] che siano semi-permanenti, o, quantomeno, non così facili da rimuovere. Dopo tutto, i simboli d’amore dovrebbero suggerire caratteristiche di eternità”.
E in fin dei conti, questo cosa vuol dire, se non che, in un mondo dove l’amore stava diventando usa-e-getta, restava comunque nel cuore delle persone un desiderio profondo di un amore finché morte non ci separi, in barba al divorzio, al sesso libero e alle convivenze senza impegno?
L’ho sempre trovato un dettaglio curiosamente significativo – allo stesso modo in cui, tutto sommato, trovo comicamente significativo anche il fatto che Cartier, nella sua campagna marketing su Facebook per il San Valentino 2017, promuova il braccialetto “Love” come il regalo perfetto per tutti coloro che credono negli
amori liberi da ogni convenzione. Viti grafiche, ovale perfetto e dichiarata eleganza ne fanno l’intramontabile emblema degli amori passionali. Tempestato di diamanti, in oro giallo o rosa: fin dove vi spingereste per amore?
Singolarmente ironico, che un gioiello nato su imitazione di un pegno di fedeltà coniugale, e pubblicizzato come simbolo di amore eterno no matter what in un’epoca in cui la moda era quella dell’amore libero, sia oggi riproposto a chi sogna un amore “passionale” e “libero da ogni convenzione sociale” – al punto che Cartier arriva addirittura a chiedere ai suoi clienti “e voi, fin dove vi spingereste per amore?”. Sembra il trailer di Cinquanta sfumature di grigio, e invece è solo la pubblicità di un gioiello che testimonia il tuo impegno per la vita nei confronti di un’altra persona.
Magari Cartier non se ne rende conto, ma in fin dei conti ha detto una grossa verità.
L’amore davvero non convenzionale, quello che ti da il brivido di osare laddove tutti gli altri fanno marcia indietro… non è forse l’amore (cristiano) del “per sempre”?