Immaginiamo che domenica prossima, a Messa, magari proprio al momento della consacrazione, scenda in mezzo a noi Gesù in carne ed ossa (tunichetta bianca, calzari, capelli lunghi: insomma, quello lì). Immaginiamo che Egli si piazzi sull’ambone e cominci a indicarci ad uno ad uno, urlando cose tipo: “Idioti! Sepolcri imbiancati! Ipocriti che non siete altro! E tu! Avevo grandi speranze per te, vuoi mica dirmi che anche tu sei stupido come tutti gli altri? Fai qualcosa di sensato: vendi ‘sto cappottino ridicolo e comprati una pistola! Banda di vipere, per quanto tempo ancora dovrò avervi tra i piedi?”.
Noi presenti ci guarderemmo l’un l’altro molto imbarazzati. Il ministrante correrebbe in sacrestia per spegnere il microfono; il sacerdote si avvicinerebbe cautamente a Gesù per accompagnarlo garbatamente fuori, come si fa con gli ubriachi problematici. Qualche pia donna raggiungerebbe sul sagrato l’Onnipotente e lo rimprovererebbe in tono affettuoso: “tsk tsk tsk, Gesù, non ti ricordi cosa ti ha insegnato la mamma? Ripeti con me: se non hai niente di gentile da dire riguardo una persona, allora stai zitto”.
In breve, diremmo a Gesù (ma molto misericordiosamente, eh, con un gran sorrisone) che egli dovrebbe vergognarsi di se stesso. Con quella imbarazzante performance in chiesa, Gesù non s’è affatto comportato come si confà a un Bravo Ragazzo Cattolico.
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Per la serie “libri scritti da autori protestanti che però insegnano più di certa spiritualità nostrana”, uno dei miei titoli preferiti in assoluto è il validissimo No More Nice Christian Guys di Paul Coughlin.
Provocatoriamente, Coughlin esordisce con un’affermazione ad effetto: quella che ci stanno facendo leggere (e che stanno facendo studiare ai nostri figli a catechismo) è una traduzione non autorizzata della Bibbia: la Bibbia del Bravo Ragazzo. Si tratta di un testo apocrifo con tendenze ereticali – scrive Coughlin, col sorriso (amaro) sulle labbra – dal quale sono stati espunti tutti i passaggi non politically correct. Quei pochi che rimangono, sono affiancati da un vasto apparato critico atto a spiegarci che, no, dai, Gesù non voleva mica dare degli ipocriti alla gente, lo diceva così per fare una provocazione, e quella volta lì al tempio ha alzato un po’ la voce solo per farsi sentire meglio, come fanno le guide turistiche nelle piazze affollate, non è che urlasse davvero, ci mancherebbe, urlare è da maleducati.
La Bibbia del Bravo Ragazzo è una traduzione non autorizzata che piace molto e che, ultimamente, va per la maggiore – e non c’è di che stupirsene, visto che fa apparire la scelta cristiana come un’esperienza di vita deliziosa e appetibilissima. Ma pericolosamente appiattita su una dimensione sola, un po’ come fa la pornografia, dice l’autore: piace, perché dipinge i rapporti di coppia in un modo intrigante ed eccitantissimo. Ma pericolosamente appiattito su una dimensione sola – e dunque, niente affatto fedele alla complessa realtà dei fatti.
E infatti, il Gesù apocrifo della Bibbia del Bravo Ragazzo è un tizio “scialbo, scipito e ridicolmente piacevole”, per usare le parole dell’autore. “È una caricatura del vero Gesù, destinata a portarci piano piano verso una morte spirituale (ma lenta, pietosa e sotto anestesia). Il Gesù Bravo Ragazzo deve morire”, conclude tranchant l’autore “perché questo impostore non ha alcuna possibilità di condurci davvero alla salvezza”.
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Ché poi, scrive Coughlin, ci sarebbe anche da riflettere, a priori, sulla frase “sei un bravo ragazzo”. Noi lo diciamo – così, a cuor leggero – tutte le volte che vogliamo elogiare un giovanotto, e non ci rendiamo nemmeno conto che, storicamente, dare a qualcuno del “bravo ragazzo” sarebbe stato un insulto. I più avrebbero percepito la frase come un modo subdolo di sottolineare che il giovanotto in questione era sì un omino ammodo, delicatino, bravino, carino… ma non un uomo vero. Un debole, insomma.
E, senza stare ad attaccarci al galateo dei secoli scorsi, ancor oggi, quando raccomandiamo a un bimbo di fare “il bravo bambino”, gli chiediamo, in buona sostanza, di non fare danni e anzi di mettere in atto comportamenti che possano creare attorno un clima di piacevole comfort per se stesso e per chi lo circonda.
Gira e rigira, è la stessa identica richiesta che facciamo anche noi agli adulti, quando raccomandiamo loro di essere “bravi ragazzi”.
E, per carità, l’intenzione è lodevolissima. Il problema è che però il mondo ci pone spesso dinnanzi a delle sfide che, se vogliamo davvero essere cristiani, dobbiamo avere il fegato di affrontare a muso duro, per il bene di ciò che è vero, giusto e bello. E dobbiamo avere il fegato di farlo anche se, facendolo, potremmo doverci comportare in un modo niente affatto rilassante e confortevole per il nostro prossimo.
Ma non è possibile né accettabile in alcun modo che la retorica del Bravo Ragazzo Cattolico ci induca ad etichettare come “piantagrane” quelli che, in realtà, dovremmo definire “santi”.
Ecco: il problema è proprio questo, dice Coughlin.
Molti Bravi Ragazzi Cattolici (lui, da protestante, parla genericamente di “cristiani”) hanno passato anni e anni della loro vita a sentirsi ripetere che un buon cristiano deve essere innanzi tutto bravo e gentile e accogliente e dolce. Col risultato che, al momento del bisogno, questi Bravi Ragazzi hanno paura di tirar fuori gli attributi, perché “eh ma forse un buon cristiano non dovrebbe comportarsi così”.
È come se questi Bravi Ragazzi vivessero secondo una specie di filosofia naïve per cui “se io vivo in piccolo, a capo chino, senza strafare, e non mi espongo, allora anche i miei problemi e i miei peccati saranno piccoli e da poco conto”. Messi di fronte alla necessità di fare una scelta coraggiosa e santa (ma, magari, scomoda e divisiva), si impallano, esitano e tornano sui propri passi, preferendo crogiolarsi in una rassicurante inattività. Per non rischiare di fare la scelta sbagliata, scelgono di non fare nulla. Per non rischiare di peccare, peccano (magari non in opere, ma sicuramente in omissioni).
Coughlin fa molti esempi, tratti dal mondo del lavoro, della scuola, della vita di coppia. Io mi limito a quello che, forse, è il più immediatamente comprensibile.
Tu, in famiglia, pensi di essere un Bravo Ragazzo, se ingoi sempre il boccone amaro, eviti a tutti i costi ogni situazione di conflitto, e, in nome della quiete familiare, ti fai andar bene tutto (anche se segretamente ti rodi il fegato e muori dentro ogni volta un po’ di più)?
Ecco, no: non sei un Bravo Ragazzo, sei uno scemo, e ti stai comportando con la stessa maturità di un bambino in età da asilo. O di uno struzzo. Col tuo comportamento “paziente” e “distensivo”, non fai altro che tenere nascoste situazioni di disagio che, con buona probabilità, prima o poi finiranno con l’esplodere malamente (oltretutto cogliendo di sorpresa i malcapitati che fino a quel momento avevano beneficiato della tua “bontà d’animo”).
Quest’ultimo, secondo Coughlin, è un problema particolarmente sentito dai credenti maschi, che sono costantemente mitragliati da una raffica di sermoni in cui non si fa altro che raccomandare il sacrificio, la pazienza, l’annullarsi per gli altri, il morire per lei. Molto probabilmente i sacerdoti predicano queste verità (perché si tratta di verità, beninteso) avendo in mente un target di uomini gretti, egoisti ed egocentrici, magari addirittura con tendenze violente. E la loro è senz’altro una medicina ottima per i malati, ma – secondo Coughlin – troppa insistenza martellante solo e unicamente sugli stessi temi finisce, dagli e dagli, col creare squilibri per i sani. Sani che, alla fine, si convincono che il modo migliore per essere un Bravo Ragazzo Cattolico sia, sostanzialmente, essere uno zerbino, pronto a farsi calpestare col sorriso sulle labbra in una specie di rassicurante e salvifico martirio bianco.
Ma, per citare un’efficace immagine dell’autore, Dio non ha creato gli uomini per farne degli zerbini. Dio ha creato gli uomini per farne dei portoni blindati, capaci di creare sani confini per se stessi e i propri cari – entro i quali conservare quanto c’è di bello e di prezioso, e oltre i quali tener lontane le forze nemiche.
E pazienza se, così facendo, rischi di generare alzate di sopracciglia, o di scontentare qualcuno, o di far pensare “eh però, ma che caratteraccio”. Talvolta, è il prezzo che si deve pagare se si vuole essere Uomini Buoni (e non Bravi Ragazzi).
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Oltretutto, dice Coughlin, ‘sta Bibbia del Bravo Ragazzo piace molto sul momento, ma non funziona nel lungo periodo.
Alla fine non sono tutti dei Bravi Ragazzi, quegli adolescenti che, appena vanno al college (appena entrano nell’età adulta, diremmo noi Italiani), smettono improvvisamente di andare in chiesa, nonostante l’impegno educativo profuso dai genitori?
Porca la miseria, se non si salvano loro non si capisce davvero chi possa salvarsi. Stiamo parlando di ragazzi che sono stati catechizzati nel migliore dei modi possibili, hanno vissuto la fede in famiglia, hanno ricevuto mille esempi positivi di vita cristiana, hanno passato decenni a dire le preghiere tutte le sere con mamma e papà. Erano stati cresciuti così bene…
No, non erano stati cresciuti bene: erano stati cresciuti da Bravi Ragazzi Cattolici. Cioè, personcine cattoliche sorridenti e coccolose che, all’atto pratico, non hanno nemmeno il coraggio di restare attaccati alla propria fede se si trovano a doverla praticare in un contesto sociale appena appena un po’ più ostile dell’oratorio parrocchiale. Nessuno ha mai insegnato a questi ragazzi a onorare Dio con ostinazione, nonostante le prese in giro e le difficoltà. Nessuno ha mai spiegato loro che per essere buoni cristiani potrebbe essere necessario diventare “quello impopolare” o rinunciare ad amicizie o amori che non vanno bene per te.
Abbiamo preferito andare sul sicuro e insegnar loro che il Bravo Ragazzo Cattolico è quello che crea ponti e ama il prossimo suo, due concetti che piacciono a tutti. E così, questi raminghi sono pure intimamente convinti di far del bene, quando decidono di amare il prossimo loro più ancora di quanto amino Dio.
Ma noi li abbiamo preparati a dire che “no” è “no” (e pazienza se questo scontenta il tuo fidanzatino)?
Li abbiamo preparati a capire che cercare l’approvazione di Dio è più importante che cercare l’approvazione del mondo (e pazienza se devi rinunciare a quell’occasione di guadagno facile, o se non diventerai mai il ragazzo più popolare della scuola)?
Li abbiamo preparati a difendere gli indifesi anche a costo di prendere apertamente posizione contro il malvagio (e pazienza se sarebbe tanto più comodo girarci dall’altra parte, come le famose scimmiette che non vedono e non sentono)?
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C’è un proverbio nel mondo dell’outdoor americano, dice Coughlin. È qualcosa sulle linee di “il cotone uccide”.
Il senso è che il cotone ti tiene confortevolmente al caldo solo finché non ti piove addosso e le temperature si mantengono al di sopra di una certa soglia. Ma se vuoi sopravvivere all’esterno devi necessariamente affidarti a un tessuto più efficace, tipo la lana: è meno comoda e più ruvida del cotone, ma ha una performance mille volte migliore.
Ecco, noi dovremmo adottare lo stesso principio per quanto riguarda la nostra vita spirituale: il comfort uccide. Se nella nostra vita spirituale vogliamo solo essere carini e coccolosi, per star bene noi e far star bene le persone che ci circondano, allora finiremo inevitabilmente per morire.
Coughlin conclude con questa esortazione: ragazzi, voi siete il sale (non lo zucchero) della terra.
E allora andate, e insaporitela di brutto.
Celia
Daje!!!
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gianni
Interessantissimo…
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Lyra
L’ha ripubblicato su Lyresca…mentee ha commentato:
Una riflessione da recuperare, nella domenica dedicata al Vangelo del “voi siete luce della terra e sale del mondo”.
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