Razzle Dazzle: la “scandalosa” moda dell’estate 1920

Se esordisco dicendo che, durante la prima guerra mondiale, la gente dipingeva così le navi per farle passare inosservate, è probabile che voi pensiate “vabbeh, questa s’è bevuta il cervello”.

La SS West Mahomet nel 1918

Fu, peraltro, la stessa reazione che ebbe il 90% della popolazione europea quando cominciò ad avvistare questi giganteschi mercantili che se ne andavano a zonzo conciati come un Arlecchino sotto l’effetto di sostanze psicotrope. I governi dei paesi Alleati furono ricoperti di sarcasmo da parte di cittadini che avrebbero di certo saputo far meglio, fino al momento in cui (a guerra finita e vinta) l’ideatore di questa tecnica si fece avanti per mettere i puntini sulle I.

New Zealand Herald, 8 febbraio 1919

Ovviamente, lo scopo del Razzle Dazzle (così era stata battezzata la tecnica di cammuffamento) non era di rendere la nave invisibile. Lo scopo era quella di renderla irriconoscibile. O, meglio ancora: difficilmente interpretabile
“Spezzando” le linee della nave, il Razzle Dazzle disorientava l’osservatore esterno rendendogli difficile comprendere a prima vista che tipo di nave fosse quella che stava osservando; come fosse orientata; a quale velocità stesse procedendo. Se la nave era armata, questa tecnica permetteva anche di mimetizzare i cannoni (questa volta sì, nel senso letterale del termine) dipingendoli con colori e linee spezzate tali da confondersi con quelle dello “sfondo”.

La tecnica, adottata dalla marina britannica e statunitense, funzionò sorprendentemente bene. Il successo più eclatante fu riscosso dalla RMS Olympic (la nave gemella del Titanic) che riuscì – unico mercantile nella Storia della Grande Guerra – ad affondare un sottomarino tedesco. Il 12 maggio 1918, infatti, un povero U-Boot di passaggio tentò di affondare la nave mercantile indirizzando due siluri verso la sua poppa (o quella che credeva essere la sua poppa). Sbagliò clamorosamente mira e fu avvistato dall’equipaggio del mercantile, che passò al contrattacco puntando contro l’U-Boot un cannone… che i soldati tedeschi non avevano assolutamente notato. 

E voi mi direte: tutto molto interessante, ma che c’azzecca con la moda estiva del 1920?
Beh… c’azzecca, perché il Razzle Dazzle è a suo modo una forma d’arte.

Camuffare una nave con questa tecnica mimetica non è un lavoro da imbianchini: è un lavoro da imbianchini che lavorano seguendo il progetto di uno che se ne intende di colori e prospettiva. Insomma: un architetto, un pittore – qualcuno che abbia dimestichezza con le Belle Arti. E infatti, fu proprio un artista inglese (Norman Wilkinson, in servizio presso la marina britannica negli anni della Grande Guerra) a ideare il Razzle Dazzle e a progettare i primi motivi da riprodurre sulle navi (erano tutti diversi e venivano cambiati con regolarità, di modo che il nemico non potesse abituarsi).

A titolo di curiosità: molte delle imbianchine erano donne. Signore al lavoro sulla USS Recruit (1918)

E voi mi direte di nuovo: sì, ma che c’azzecca?
Beh, c’azzecca perché – ripeto – questa era un’espressione artistica. O una forma di design, se preferite.
Brutta come la morte come tutta l’arte futurista, ma era pur sempre arte. Picasso, ad esempio, ne fu fortemente impressionato, dichiarando che il Razzle Dazzle era cubismo applicato alla guerra.

E l’arte, da che mondo è mondo, influenza sempre la moda.
Era solo questione di tempo prima che il Razzle Dazzle si infilasse nei guardaroba delle signore, dando origine a una moda brutta da morire: la Dazzle Fashion.

Tutto iniziò il 12 marzo 1919, quando la Royal Albert Hall ospitò il tradizionale ballo del Chelsea Art Club di Londra. Appuntamento immancabile per tutti gli artisti iscritti al Club, il ballo era stato sospeso negli anni della guerra – sicché, nel fissare finalmente la nuova data, gli organizzatori decisero di esorcizzare col riso il ricordo di quei tempi duri. Ai partecipanti fu chiesto di indossare un outfit ispirato al Razzle Dazzle… e gli artisti del club risposero entusiasticamente all’appello, presentandosi con un tripudio d’abiti che facevano a gara per bizzarria. La festa (durante la quale i partecipanti, nonostante il camuffamento, si videro sganciare addosso centinaia di “bombe” di palloncini e coriandoli) finì su tutti i giornali e – diremmo oggi – divenne trending topic.

Dì a pochi mesi, cominciarono a essere avvistati sulle spiagge dei costumi da bagno femminili ispirati al motivo mimetico.
Io li guardo, trasecolo per la bruttezza, ma al tempo stesso non fatico a capire perché potessero piacere: il modello era quello di sempre, perfettamente appropriato per una signora; però, i motivi geometrici stampati sulla stoffa erano esplosivi, dirompenti: una totale rottura col passato, perfetta per la ragazza che sognava di rivoluzionare se stessa e il mondo.

Capiamoci: ‘sta roba piaceva a molte, ma dispiaceva a molte altre ancora.
Nell’agosto 1919, il Winnipeg Evening Tribute pubblicava le foto di tre giovani bagnanti che sembravano “mimetizzarsi” con le loro stuoie da mare, ironizzando sulla comica assurdità di indossare un costume da bagno aderente, all’ultimo grido (scelta che di per sé denota il desiderio di essere guardata) ma facendoselo confezionare in una stoffa che aveva la funzione di ingannare lo sguardo.

Alcuni moralisti scelsero invece di sottolineare l’ipocrisia del “rubare” al mondo militare una tecnica mimetica (e cioè una cosa seria!) per il solo gusto di andare a farsi guardare in spiaggia, sottolineando anche come – davvero incomprensibilmente – le donne camuffate in maniera siffatta tendessero a risultare decisamente assai visibili. Qualche vignettista – ironizzando sulla pretesa muliebre di andare in spiaggia a gambe scoperte, indossando semplici calze in nylon – propose quantomeno di mettere in commercio calze mimetiche “per diminuire la visibilità”.

Ma se l’uso del Razzle Dazzle nel contesto vacanziero (e cioè, in un contesto in cui sempre si sovvertono le normali regole di abbigliamento) aveva suscitato nulla più dell’ironia maschile, lo sdegno popolare cominciò a montare quando il trend cominciò a farsi strada anche nel guardaroba autunnale delle signore.

Sì, perché… un conto è fare le estrose in spiaggia; un conto è andare in giro conciata come un Arlecchino a lutto nel tran-tran della vita quotidiana.

Acquistare un abito “per la vita di tutti i giorni” era, all’epoca, una scelta economicamente importante, che implicava la ragionevole certezza che quell’abito sarebbe stato utilizzato intensivamente per molti anni. Francamente inverosimile, dicevano i moralisti, che una donna possa andare in giro conciata così per anni e anni, senza mai stufarsi.
Francamente inopportuno, notavano altri, andare in giro conciate così anche solo per una stagione. Soprattutto se quella stagione arrivava a breve distanza da una pandemia e una guerra che avevano falcidiato metà dell’Occidente e fatto sprofondare nel lutto i superstiti. Grossolano, inadatto e crudele sembrava, in quel contesto, sfoggiare in modo così ridanciano e provocatorio abiti di colore bianco e nero (fino a quel momento, i due colori del lutto).  E forse c’era davvero, da parte di molte, la volontà di esorcizzare la morte, in quel ridanciano tripudio di colori che più appropriati sarebbero stati addosso a una vedova affranta.

Fatto sta che la moda piaceva un sacco alle indipendenti ragazze degli anni ’20.
E non solo alle giovanissime, a dire il vero. Come avevano osservato alcuni stilisti, un accorto uso dei motivi mimetici poteva essere molto utile anche per… mimetizzare qualche chilo di troppo sui corpi femminili appesantiti dagli anni.

E questo era troppo. Intollerabilmente troppo.
I moralisti degli anni ’20 erano anime semplici che si scandalizzavano con poco, e la sola idea che una madre di famiglia potesse andarsene a zonzo conciata in un modo così volgare era cosa da far tremar le vene e i polsi.

Prese così il via una vera e propria campagna moralizzatrice che, a suon di satira e battute, cercava di spingere le signore a indossare abiti più appropriati. Entro l’estate del 1920, il prorompente stile Dazzle si era irregimentato in forme un tantino meno esplosive: le scoordinate linee mimetiche avevano lasciato spazio a scacchiere ordinate e a motivi geometrici con colori a contrasto.

Completo sportivo (sic!) per l’estate 1920
Proposte di moda per l’autunno-inverno 1920

Ai moralisti non andavano un granché bene neanche quelli, ma era già un mezzo risultato.

I costumi da bagno mimetici che erano stati confezionati nel 1919?
Quelli – ostinati – restarono saldamente appesi ai corpi femminili anche per tutta l’estate 1920, suscitando l’ironia e lo sdegno dei più conservatori.

Conservatori che, in fin dei conti, mostrarono d’aver avuto ragione (…o furono essi stessi causa della propria ragione?). Costantemente criticato dall’opinione pubblica (e forse davvero troppo particolare per potersi imporre come moda duratura), il Dazzle cadde rapidamente in disgrazia tra le signore. Davvero sarebbe stata una buona idea non investire troppo danaro su quei capi d’abbigliamento, giacché l’estate 1920 fu l’ultima in cui qualcuno ebbe il coraggio di indossarli e andarci in giro.

Coi primi freddi dell’autunno, i vestiti furono ripiegati e messi in un baule. Ma, da quel momento in poi, nessuno li vide più: spariti e condannati all’oblio, se ne andarono in punta di piedi come un amore effimero che dura il tempo di una estate.

14 risposte a "Razzle Dazzle: la “scandalosa” moda dell’estate 1920"

  1. Lurkerella

    Ooohhh altro che creme anticellulite! Questi sì che migliorano la silhouette! Del resto, le signore matronali in abito lungo erano spesso paragonate a navi o velieri quindi ci sta.
    La quantità di critiche raccolta in qualunque epoca da qualunque abbigliamento femminile è micidiale, suppongo che per non sbagliare dovremmo stare tutte tappate in casa, castamente coperte solo dai nostri lunghi capelli.

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      1. Lurkerella

        I mega colletti dei dandy, lo smalto nero, i corsetti da uomo, i capelli lunghi, le barbe hipster – anche Leopardi aveva da ridire sulla proliferazione pilifera dei suoi contemporanei

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      2. Lucia

        Beh, diciamo che la moda maschile degli ultimi secoli è stata straordinariamente conservatrice, e che quando ha iniziato a cambiare significativamente la gente aveva già imparato a dar poco ascolto ai moralisti.

        Però oltre a quello che giustamente avete già citato voi, mi vengo in mente almeno altre tre cose:

        1) il cappello a tuba. Pare che la prima volta che qualcuno lo indossò a Londra ci fu un tale shock tra i presenti che alcuni si sentirono male e altri finirono col prendersi a botte (ellamiseria 😳)

        2) l’orologio da polso, che fino a inizio ‘900 era un accessorio tipicamente femminile (gli uomini usavano l’orologio da taschino). Divenne popolare durante la prima guerra mondiale perché per un soldato era ovviamente più comodo un orologio da polso (oltretutto, fu distribuito gratuitamente dall’Esercito a molti dei soldati, che poi se lo portarono a casa), ma la cosa non piacque per niente agli ansiosi moralisti degli anni ’20 perché lo ritenevano un pericoloso segno di fluidità di genere. (L’ho già detto, che fanno venire il latte alle ginocchia gli anni Venti? 🙄)

        3) il maglione di lana maschile in un contesto che non fosse prettamente sportivo/militare. La moda fu sdoganata da Edoardo VIII di Inghilterra, al quale invece i maglioni di lana piacevano molto, ma non fu molto ben vista perché giudicata sciatta e trasandata (e diciamo che pure Edoardo VIII fu un testimonial molto discutibile…).

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  2. Elisabetta

    Oh tu, vago/ a giornalista nazionale che ci leggi, e che non sai che cosa scrivere, ma trai ispirazione RIELBORANDO dai tuoi infiniti archivi e teche, che ne dici di un bell’articolo sui conigli che menano di brutto nelle miniature medievali? Lucia non ha ancora trovato abbastanza materiale, la bruceresti sul tempo.
    Altre idee: animali antropomorfi vittoriani, quando il cucinotto dava scandalo, il museo di san Giovanni dei Fiorentini a Roma(da riscoprire, con veduta unica dal ballatoio dietro organo e icona donata da ex presidente consiglio, oltre a busti del Bernini), nonchè un bell’articolo in cui intervisti le signore del ghetto di Roma, quelle che in pieno centro prendono le sedie e si mettono fuori dalla porta a chiacchierare come le commari dei paesini (ho sempre desiderato farlo io).

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  3. Murasaki Shikibu

    In realtà si è rivelata una delle mode più durature di sempre, soprattutto nei costumi da bagno, ed esiste anche nella versione coloured. In forme un po’ più discrete di certe foto che pubblichi, ma molto diffusa. E secondo me ha un suo fascino.
    Quanto ai moralisti, non esiste cambio di moda dai tempi della pelle di leone e della clava che non li abbia scontentati, quindi li diamo per scontati 😄

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