Trotaconventos, Celestina, Auberée: il potere inquietante di una mezzana

Celestina era donna da non andar troppo per le spicce: era stata pagata per svolgere un lavoro e aveva tutta l’intenzione di portarlo a termine nel miglior modo possibile. Sicché, non esitò a usare una letterale magia d’amore pur di accendere di passione il cuore di Melibea e farla cadere nelle braccia dell’uomo che l’amava e che aveva pagato denaro sonante per per averla.
Auberée, Trotaconventos e altre mezzane della tradizione sembrano più restie a ricorrere ai sortilegi, preferendo far leva sulla magia delle parole inanellate l’una all’altra in un discorso affabulatorio ben confezionato.
Ma quale che sia il profilo professionale della mezzana cui intendete affidarvi: uomini medievali che state leggendo queste pagine, non trascurate di procurarvene una se ambite a conquistare una pulzella! Una professionista abile nel suo lavoro è il vostro grande asso nella manica, come vedremo in una nuova puntata di

Un flirt cortese
Guida di seduzione per l’uomo medievale
che non deve chiedere mai

“Mezzana”, di per sé, è un termine che suona male: fa pensare immediatamente a foschi scenari con maneggi poco trasparenti.
A dire il vero, anche i più probi cavalieri solevano affidarsi a una intermediaria che potesse fare da tramite con la donna che stavano cominciando a corteggiare. Lo scopo era dei più nobili, e cioè tutelare il buon nome della dama – per evitare insomma che la gente cominciasse a mormorare, notando che il corteggiatore ronzava un po’ troppo attorno alla sua bella.
Una donna che, presa a cuore la vicenda, si mettesse a disposizione per fungere da intermediaria poteva essere un alleato prezioso per permettere all’amore di svilupparsi senza dare scandalo: sarebbe stata lei a consegnare con discrezione le lettere d’amore; sarebbe stata lei a orchestrare incontri “casuali” tra la dama e il suo spasimante amoroso.

Non c’era dunque nulla di male nell’avviare il proprio corteggiamento avvalendosi dei servigi di una intermediaria. E non era neppure così riprovevole chiedere all’intermediaria di intercedere per la propria causa, se la dama sembrava poco incline ad assecondare il corteggiamento: talvolta, ragionare con una anziana zia o con una dama di compagnia può aiutare ad aprire gli occhi su tanti aspetti che non avevi considerato.

Quindi: nel Medioevo, e secondo i dettami dell’amor cortese, non c’era assolutamente nulla di strano nell’avvalersi di un fidato intermediario nelle prime fasi del corteggiamento. Lo facevano anche i più valenti cavalieri.
…ma qui, vi avviso, NON parleremo di cavalieri senza macchia – ché il ruolo della mezzana nella letteratura medievale diventa infinitamente più intrigante quando vediamo questo personaggio aggirarsi tra le pagine di un’opera a carattere comico.
In questo caso la mezzana è una vera e propria professionista, specializzata nell’arte della seduzione conto terzi. Dietro pagamento di congrua tariffa, immancabilmente trova il modo di far cadere la donna amata nelle braccia del suo spasimante… e, naturalmente, si mette a disposizione della coppietta per favorire incontri amorosi al di là di ogni sospetto.

Passando in rassegna le varie figure di mezzane della tradizione medievale, il filologo Charmaine Lee le definisce “personaggi che fanno un po’ paura”, “donne molto furbe e piene di risorse”, capaci di fare “un uso intelligente della parola per persuadere le vittime ad agire in modo contrario alla loro volontà, per convincerle che il falso è vero e il vero è falso”. “Sfiora spesso il diabolico” la loro capacità di manipolazione mentale, che riesce a far cedere alle avances del corteggiatore anche le dame più caste e ritirate.
Sfiora il diabolico, beninteso, a patto che non sia diabolico in senso letterale: alcune delle mezzane più famose della tradizione fanno un uso assai disinvolto della magia d’amore – o, per dirla con le parole di Charmaine Lee, “affiancano al potere della parola quello del sortilegio”.

Sono donne che si caratterizzano immancabilmente per l’età avanzata e per una religiosità molto spiccata, almeno a parole: due elementi che le rendono individui al di sopra di ogni sospetto, permettendo loro di guadagnarsi la fiducia delle dame più pie. “Usano insomma la religiosità o fanno leva su quella delle loro vittime con richieste di carità per introdursi nelle case altrui”, spiega Charmaine Lee – e, una volta entrate nelle grazie della fanciulla, cominciano a tessere la loro tela.

Come fa notare il filologo, “c’è un riscontro con la realtà sociale. Sappiamo che, con l’inizio del processo di urbanizzazione delle città, c’erano molte donne sole, nubili o vedove, e che nella fascia d’età tra i quaranta e i cinquant’anni c’erano più donne che uomini. Ciò significa che la donna doveva impiegarsi in qualche modo per vivere, e uno dei modi preferiti era la filatura e il cucito (lo testimonia la precoce formazione di gilde femminili). Non tutte, tuttavia, trovavano un lavoro «onesto» di questo tipo; altre riuscivano a sbarcare il lunario vendendo porta a porta, e introducendosi in questo mondo nelle case; più lucrativa ancora era la prostituzione. […] È però chiaro che una donna anziana non poteva svolgere con successo questo mestiere, sicché molte ex prostitute rimanevano nel giro come mezzane”.

Ma come lavorava una mezzana? Quali erano queste sue infallibili tecniche di persuasione? Scopriamolo assieme seguendo, direttamente “sul campo”, le tre mezzane più famose della letteratura medievale: Trotaconventos, Auberée e Celestina.

***

Trotaconventos (e il nome è tutto un programma…) ebbe il merito di portare infinite schiere di donne tra le braccia di Juan Ruiz, l’autore del provocatorio Libro di buon amore, meritandosi anche una straziante elegia funebre da parte del poeta, al momento del suo trapasso.

Evidentemente grande estimatore delle categoria professionale, Juan Ruiz introduce il personaggio della mezzana con toni carichi di compiaciuta ammirazione:

Son vere maestre | queste vecchiacce false:
girano dappertutto | per cortili e per le piazze;
alzano a Dio il rosario | lamentando i loro mali;
ah, quanto male sanno | le mie care birbone!

Scegli tra quelle vecchie| che fanno le erboriste:
vanno di casa in casa | si spaccian per mammane;
con polveri e belletti, | con le loro ampolline
adocchian la ragazza | e la accecano davvero.

Cerca una messaggera | tra quelle diavolacce
che conoscono frati | monache e bigotte;
quelle vanno dappertutto | ben consumano le scarpe;
son trottaconventi, | sanno fare mille imbrogli.

Nel momento in cui decide di avvalersi per la prima volta dei servigi di Trotaconventos, Juan Ruiz ha deciso di intraprendere una caccia molto ambiziosa. La sua preda è una nobildonna recentemente rimasta vedova: decisamente al di sopra di lui nelle gerarchie sociali, e comunque per nulla intenzionata ad abbandonare le gramaglie del lutto.

Donna Endrina, che dimora | qui nel vicinato
per bellezza ed eleganza | per beltà e discrezione
supera e vince tutte | le donne del contado;
se l’amore non mi inganna | è pura verità.

Questa donna m’ha ferito | con saetta avvelenata,
è arrivata fino al cuore | e lì dentro sta inchiodata;
per quanto io ci provi | non può essere strappata;
la piaga va crescendo | e il dolore non dà tregua.

Il problema è appunto che la bella Endrina ha già attorno a sé uno stuolo di corteggiatori… che comunque lei non prende neanche in considerazione:

Con dote e con averi | le chiedon matrimonio,
ma lei li disprezza tutti | come vili serpi;
Ah! Dove è gran lignaggio | è grande il disdegno;
sempre, gran ricchezza | fa alzare la superbia,

ché la donna ricca | ma figlia d’un porcaro
si prenderà marito | qual vorrà, tra mille.
Ma poiché così non posso | fare mia donna gentile,
l’avrò con il lavoro | e con arte sottile.

Più che altro: col lavoro e con l’arte sottile della miglior mezzana sulla piazza, che accetta immediatamente l’incarico affidatole da Juan:

Disse: “andrò a casa sua | da questa vicina,
le farò una magia | le darò una pappina
per sanar la vostra piaga | con la medicina.
Ma ditemi il suo nome” | “Ahimè, è donna Endrina!”

Per nulla impressionata dalla sfuggevolezza della preda, la mezzana Trotaconventos si mette immediatamente all’opera:

La merciaia col suo cesto | va suonando campanelli,
rimestando gioiellini | spilloni, anelli e spille.
Sventola salviette, | “comprate le tovaglie!”.
La sente donna Endrina | “entrate, entrate pure”.

La vecchia entra in casa | le fa “signora mia,
per la vostra bella mano | prendete questo anello.
Se non lo dite in giro | vi conto una storiella
Che ho pensato questa notte”. | E inizia, poco a poco:

“Figlia mia, ve ne state | sempre qui rinchiusa in casa:
da sola invecchierete! | Vogliate qualche volta
uscire, andare in piazza | con la vostra gran bellezza.
Di certo a nulla giova | star qui tra quattro mura.

In città dimora | tanta bella gioventù,
educati cavalieri | proprio bei ragazzi,
gente di buon costume. | Ogni giorno son di più!
Mai s’era veduta | così bella compagnia.

Tutti mi ricevon bene | per povera che sono,
ma il più nobile e il migliore | in lignaggio ed in bontà
è don Melon de la Huerta | un ragazzo, in verità,
che supera ogni altro | per la sua gran beltà. […]

È uomo molto ricco | e di buon costume:
credo si sposerebbe | con voi ben volentieri;
perché se voi ben sapeste | quanto è apprezzato
vorreste amare questo | di cui tanto vi ho parlato".

“Chi diavolo è don Melon de la Huerta?”, potrebbe domandarsi il mio attento lettore, memore del fatto che la mezzana era in realtà al soldo di Juan? Banalmente, “don Melon de la Huerta” era il roboante nome sotto al quale Juan aveva deciso di spacciarsi per aristocratico, nella speranza di avere una chance in più con la nobildonna.

Sciaguratamente, la nobildonna sembra poco interessata e anzi, al sentire il nome di don Melon,

disse allora donna Endrina | “smettete di ciarlare,
che questo chiacchierone | mi stava già per ingannare:
sapeste quante volte | m’è venuto a tentare.
ma d’averci messo assieme | non vi potrete mai vantare”

Questo sarebbe per Trotaconventos il momento adatto per ricorrere alla sua pozione d’amore – ma perché sprecare preziosi oggetti magici se puoi ottenere lo stesso scopo con un po’ di ars retorica?  

“In fede” disse allora | “da che vedova v’han visto,
sola, così indifesa | non siete molto rispettata:
la vedova troppo sola | come vacca è dileggiata.
Ma da questo uomo | voi sareste ben difesa:

vi tratterrebbe fuori | da ogni tipo di molestie,
da cause e ruberie | da vergogne e da processi.
Molti dicono che voglion | prepararvi tali insidie
per rubarvi tutto | anche i cardini di casa.

Ma, guarda un po’ i casi della vita, la vedova insidiata da parenti disonesti che vogliono contenderle l’eredità ha il colpo di fortuna davvero straordinario di essere corteggiata da un avvocato dei più valenti!

Questo vi difenderà | nella vostra causa,
sa molto di contese | e ben pratica la legge
egli difende e aiuta | chi a lui si raccomanda;
se lui non vi difende | non avrete altro avvocato”.

E poi comincia la fattura | la vecchiaccia esperta:
“Quando chi ha vita eterna | sedeva in questo androne,
dava ombra alla casa, | la calce riluceva;
ma dove non c’è uomo | la casa poco vale.

Così voi siete, figlia, | vedova ma giovinetta:
sola e senza compagno: | una tortorella!
Per questo io ci credo | che siete pallida e magretta;
dove stan solo donne | non mancano le liti.

La casa è benedetta | dove c’è un brav’uomo:
sempre vi son feste | piacere ed allegria.
Per questo, quel ragazzo | io lo vorrei per voi.
Bastan pochi giorni | vedreste il cambiamento!”.

Donna Endrina non è dama da capitolare facilmente: obietta che il suo lutto è ancora fresco e che cominciare a frequentare un uomo così prematuramente potrebbe indurre il popolo a pensare a un eccesso di lussuria. Ma è chiaro che le menzogne di Trotaconventos hanno fatto breccia: quelle di Endrina sono le argomentazioni di una donna che ha comunque preso in seria considerazione lo scenario.
Da quel momento in poi, la strada è in discesa: a Trotaconventos basterà diventare un’ospite fissa nella casa di Endrina, dando inizio a un serrato corteggiamento per conto terzi. Come la mezzana potrà riferire compiaciuta al suo datore di lavoro in capo a qualche settimana:

dice la vecchia: "Amico | nella donna vedo
che vi vuole, vi ama | e ha desiderio;
quando di voi le parlo | e intanto la scruto,
in tutto lei si muta: | colore e aspetto.

Quando alcune volte | mi fingo stanca e taccio,
mi dice di parlare | di non perdere il filo;
fingo che non ricordo, | così lei lo riprende
e m’ascolta dolcemente. | Ci son mille segnali. […]

Le labbra della bocca | le tremano un pochino
e lei trascolora | pallida e vermiglia;
il cuore le sobbalza | così, a ogni minuto,
poi stringe le mie dita | nelle sue, piano piano.

E faccio il vostro nome | mentre chiacchieriamo,
mi guarda, poi sospira | e resta pensierosa
Le luccicano gli occhi | si gira sulla sedia,
escludo dormirebbe | trovandovi al suo fianco".

In effetti, fu solo questione di tempo: quando Endrina si trovò faccia a faccia con Juan Ruiz, i due innamorati fecero effettivamente tutto fuorché dormire.

***

La stessa sorte toccò alla giovane borghese che fu circuita dalla mezzana Auberée in un gustosissimo fabliaux francese dell’inizio del XIII secolo, tradotto in Italiano per i tipi di Carocci.  

Se Trotaconventos si trovava a dover conquistare una donna difficile, ma tutto sommato libera, ad Auberée viene dato il compito di indurre all’adulterio una giovane donna sposata. Ché, in effetti, la ragazza amerebbe, ricambiata, un giovanotto del quartiere; e tuttavia, è stata data in sposa a un altro uomo. E non ha la minima intenzione di mettere a repentaglio il suo onore diventando una fedifraga.
Il piano di Auberée, in questo caso, prevede di farglielo perdere già in partenza, ‘sto benedetto onore. Introdottasi in casa della ragazza con la scusa di venderle prodotti di merceria, la mezzana abbandona nella camera da letto un indumento intimo maschile: quando, a sera, il marito lo nota, pensa ovviamente d’esser stato tradito dalla moglie e la caccia via di casa in quattro e quattr’otto.

Casualmente, Auberée si trovava nei paraggi proprio nel momento in cui la povera sposa viene cacciata in strada. L’anziana, premurosa, le fornisce subito conforto e le offre anche un alloggio per la notte:

“Via: forse tuo marito è ubriaco e domani gli sarà già passata. In buona fede, io ti consiglio di venire con me, è pericoloso stare in strada a quest’ora […], sarai molto ben nascosta in una stanza segreta, dove nessuno saprà che ti trovi, finché il tuo signore non avrà smaltito la sua sbronza”.

Peccato che, nella stanza affianco a quella messa a disposizione della giovane, si trovasse il suo spasimante (“già tutto nudo”, ci dettaglia l’autore giusto per chiarire lo stato d’animo).

“Ti dico io come fare”, disse la vecchia: “vai a stenderti sul letto, e se lei si dovesse arrabbiare con te, o mettersi a gridare, tu in un battibaleno solleva le coperte e infilatici sotto. Appena lei sentirà le tue carezze, cambierà completamente la musica; vedrai che si calmerà e potrai fare di lei ciò che vorrai”. 
Il giovane allora andò a coricarsi affianco alla borghese e piano piano si strinse a lei. A quel punto lei si svegliò, trasalendo di paura; quando si accorse di lui saltò fuori dal letto; ma lui l’abbracciò e le disse: “mia amata, venite più vicino a me: io sono il vostro caro amico, a cui avete fatto tanto male [accettando di sposare un altro]. Ma io mi sono impegnato così tanto che, grazie all’aiuto del Signore e di madama Auberée, vi tengo qui sola, chiusa in questa stanza”.
“Bella roba!”, disse lei, “non vi servirà a un bel niente. Griderò così forte che vedrete accorrere molto presto tutta la gente di questa strada”.
“In fede”, disse lui, “sarebbe questo a non servirvi a un bel niente, perché in questo scenario io vedo solo voi, piena di vergogna, quando la gente entrerà e vi scoprirà nuda al mio fianco. È già quasi mezzanotte: non ci sarà nessuno che non penserà che io ho già preso ampiamente da voi il mio piacere. Credetemi, è molto meglio che il nostro incontro venga nascosto agli estranei, e che rimanga solo tra noi tre”.
E così dicendo la tira dolcemente a sé e le stringe i fianchi, che lei aveva morbidi e bianchi, e le bacia la bocca e il visetto. La ragazza non sa che fare, pensa che in effetti le converrebbe restar tranquilla perché, diversamente, potrebbe guadagnarsi coi vicini una tale fama e una tal reputazione che le procurerebbero solo vergogna. E riflettendo su queste cose, cambia completamente musica: la ragazza si tranquillizza, si calma, e il giovane l’abbraccia e la bacia, e lei non oppone più resistenza. E lui la stringe a sé e i due gioiscono assieme, e giocano al gioco per il quale s’erano incontrati.

Il problema del marito arrabbiato?
Auberée risolverà anche quello: l’indomani mattina busserà alla porta dell’uomo chiedendo se, per caso, qualcuno ha trovato un giro un capo di abbigliamento maschile: uno dei suoi clienti glielo aveva dato da riparare ma lei deve averlo dimenticato da qualche parte – e infatti adesso sta facendo il giro di tutte le case in cui era stata il giorno prima…

***

Se Trotaconventos ebbe il compito di far capitolare una vedova dal cuore di ghiaccio e Auberée dovette lavorarsi una sposa intenzionata a restar fedele a suo marito, Celestina si trovò alle prese con un altro problema ancora: la bella Melibea, concupita da Calisto, era sorvegliata da genitori estremamente protettivi. E, come se non bastasse, dava tutta l’impressione di odiare visceralmente il suo spasimante.
In questo caso, la diabolica Celestina (una che, evidentemente, amava andare per le spicce) non esiterà al ricorrere a un letterale rito magico, e anzi a uno dei peggiori: per piegare la volontà di Melibea, arriverà addirittura a compiere necromanzia evocando il potere delle forze infere.

Protagonista di una tragicommedia godibilissima composta da Fernando de Rojas e stampata in edizione italiana dalla BUR, Celestina non si limita però all’uso della magia. Come da tradizione letteraria, anche lei entra nella casa di Melibea con la scusa di venderle un po’ di chincaglierie – dopodiché, una volta rimasta sola con la ragazza, inizia a parlarle di un giovanotto gravemente ammalato. Con astuzia diabolica, la mezzana fa leva su tutto l’apparato di topoi letterali tipici della malattia d’amore così come la descriveva la poesia dei trovatori: il giovane è ammalato, soffre terribilmente, il dolore lo trafigge, la notte non riesce a chiudere occhio. Oh!, gli basterebbe solo una parola da parte di Melibea per riacquistare la salute…

Melibea capisce immediatamente l’antifona, non si impietosisce manco per niente, anzi s’arrabbia:

“Credi che non mi sia accorta dei tuoi maneggi e non abbia capito il tuo dannato messaggio? Non voglio nemmeno sentir nominare quel pazzo, quello scavalcamuri, quel fantasma notturno, lungo come una pertica e impalato come una figura di arazzo mal dipinto! Che parole speravi di ottenere da me per quell’uomo?”.
“...mia signora, io speravo solamente in una preghiera a sant’Apollonia contro il mal di denti”.

Mal di denti?
La vostra perplessità è la stessa di Melibea; e intanto, Celestina prosegue sorniona: sì, certo, lui voleva solamente una preghiera devota, è per questo che negli ultimi giorni aveva inutilmente provato a contattare la ragazza vedendosi sempre sbattere la porta in faccia. Del resto è noto a tutti lì in paese che Melibea era stata in pellegrinaggio sulle reliquie della santa.

“Mi mandava a chiedere una preghiera a sant’Apollonia, di cui gli è stato detto che conoscevi il testo. E anche il tuo cordone, che è fama che abbia toccato le sue reliquie. Quel signore che t’ho detto ha un mal di denti da morirne, era questo il motivo della mia venuta”.

Melibea, adesso, si sente pure in colpa per aver subito pensato male; si sente in colpa e probabilmente anche un po’ scema, toccata nell’orgoglio. Ma Celestina ha appena iniziato a tessere la sua tela.

“In un certo modo il mio cuore prova sollievo nel riflettere che è opera pia guarire i sofferenti e i malati”.
“E che malato, signora Melibea! […] È di nobile stirpe, gran giostratore, a vederlo armato sembra un san Giorgio. Forza e ardire, Ercole non ne ebbe altrettanti; nell’insieme, sembra un angelo del cielo. E adesso, signora, lo ha abbattuto un solo dente!”.
“E da quanto tempo è in questa condizione?”.
“Potrà avere ventitré anni, è nel fiore della giovinezza”.
“Non ti ho chiesto questo, volevo sapere da quanto tempo ha questo dolore”
“Ah! Otto giorni signora, ma pare un anno, da quanto è estenuato. E l’unico suo rimedio è prendere un liuto e suonare tante canzoni. E per quanto io sappia poco di musica, sembra che lo faccia parlare quel liuto! E se poi canta, gli uccelli si fermano per ascoltarlo!”.

Cantare agli uccelli del cielo: sicuramente una attività singolare, per uno che è straziato dal dolore in bocca, ma evidentemente Celestina conosce la sua polla e basta la sola immagine a intenerire il cuore di Melibea (cuore che, del resto, è già avvinto nelle spire della magia d’amore scagliata contro di lei…).
Il finale di questa storia lo lasciamo al monologo pronunciato in tono sognante dal giovanotto improvvisamente risanato, dopo una notte trascorsa a casa di Melibea e con la prospettiva di trascorrerne mille altre ancora:

Oh, lucente Febo, affrettati a compiere il tuo cammino! Oh, dilettevoli stelle, comparite nel cielo prima dell’ora stabilita! E voi, mesi invernali che ora ve ne state nascosti, se solo poteste venire con le vostre lunghissime notti e scambiarle con queste prolisse giornate!

***

E qui, forse, toccherebbe chiudere con un disclaimer: signori, non sono cose belle da fare, oggigiorno. Pur ignorando per amor di discussione l’inquietante mezzana satanista: è chiaro che, oggigiorno, scenette come quelle che ho appena descritto ci mettono a disagio molto più di quanto non ci facciano sorridere. Un seduttore che ricorre alla manipolazione mentale per convincere le donne a fare cose che non vogliono appare ai nostri occhi come un personaggio fortemente negativo… e certamente anche i lettori medievali dovevano essere perfettamente consci di questa ambiguità di fondo.

Ma credo che non si debba dimenticare chi erano i principali destinatari dei testi improntati all’amor cortese: il lettore-tipo era un intellettuale, un accademico d’alto livello, un giovanotto che aveva passato la sua intera carriera scolastica ad esercitare la sua ars retorica.

E, alla fin fine, è grazie all’ars retorica che queste donne finiscono col capitolare.

Proprio come un cacciatore che stana la preda con astuzia e come un avvocato che riesce a scagionare anche i più indifendibili clienti: allo stesso modo, l’intellettuale medievale gongolava al pensiero di poter conquistare una donna facendo leva sulle abilità retoriche conferitegli da anni e anni di duro studio.
Il divertimento stava tutto lì. Come a dire che anche la seduzione è una scienza esatta: basta sapere come, e la si può padroneggiare infallibilmente. Altro che cavalieri muscolosi: il vero tombeur de femmes è il rètore studioso.

O quantomeno: così dicevano i rètori studiosi.

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