Cioè: Boxing de che?
Cosa sarebbero ‘ste scatole a cui è dedicato il giorno del 26 dicembre?
Quando era piccina, la mia maestra di Inglese ci aveva spiegato che le boxes in questione erano quelle che contenevano i regali di Natale e di cui si ritrova piacevolmente invasi all’alba del 26 dicembre, quando di cerca di riordinare la casa una volta finita la giornata di festa e di bagordi. E in effetti questa spiegazione sembra esser piuttosto gettonata (l’ho vista citata in diversi libretti per bambini)… se non fosse che è sbagliata. La storia che si cela dietro alle scatole del Boxing Day è molto più complessa – e più bella, se vogliamo.
Tutto inizia all’aprirsi dell’età moderna, quando le chiese inglesi cominciano a esporre, nel periodo dell’Avvento, delle alm boxes, piccole scatoline nate per raccogliere le elemosine dei fedeli. La particolarità di quelle boxes avventuali era che l’intera somma deposta in esse sarebbe stata distribuita agli indigenti (a differenza di quanto accadeva con le generiche elemosine raccolte nel corso della Messa, che potevano essere utilizzate anche per coprire i bisogni della chiesa). L’ultimo giorno disponibile per deporre i propri soldi nelle alms boxes era il 25 di dicembre (ché, si sa: durante la Messa di Natale, si è tutti quanti un po’ più generosi). L’indomani, le elemosine sarebbero state raccolte e poi distribuite alle famiglie bisognose: a suo modo, questo boxing day avrebbe davvero portato gioia e sollievo nelle case di chi poteva trarre beneficio dalla generosità dei suoi ricchi compaesani.
Ma c’è di più. Entro la prima metà del Seicento, piccole boxes create sul modello delle scatoline delle chiese erano apparse, un po’ sfacciatamente, anche sulle scrivanie e sui tavoli da lavoro dei garzoni di bottega (cioè di quei giovanotti volenterosi e malpagati che erano gli antesignani degli stagisti d’oggi). Un po’ come accade oggi in quei locali che espongono speranzosamente il barattolino delle mance, le scatolette dei garzoni se ne stavano lì per tutto il periodo pre-natalizio: si confidava, insomma, nel buon cuore dei clienti (o di chi, a vario titolo, si fosse trovato a transitare per l’ufficio o il luogo di lavoro). La generosità natalizia – lo sappiamo – fa miracoli, e i garzoni più affabili e volenterosi avrebbero avuto buone chance di accumulare, giorno dopo giorno, un bel gruzzoletto con cui garantirsi un sereno Natale.
A un certo punto, qualche datore di lavoro di buon cuore pensò che sarebbe stato un bel gesto quello di far scivolare a sua volta qualche banconota nella piccola scatoletta delle mance. In fin dei conti, il garzone era un bravo ragazzo e valeva molto più di quanto indicasse il suo stipendio!
Entro la fine del secolo, insomma, s’era affermata in ogni ambiente di lavoro l’abitudine di fare piccoli regali di Natale a tutti i dipendenti e i sottoposti. Eufemisticamente chiamati Christmas boxes (ché dire “ti faccio l’elemosina perché sei povero” pareva brutto), questi doni – a conti fatti – erano l’omologo della nostra tredicesima. A seconda delle inclinazioni del singolo datore di lavoro, potevano presentarsi sottoforma di denaro contante o, alternativamente, assumere la forma di un pacco viveri piuttosto generoso, tale da permettere ai dipendenti di non dover fare la spesa per un po’.
Nel corso del Settecento, questa consuetudine andò lentamente declinando – se non altro perché si fece strada la comune convinzione che un contratto di lavoro più favorevole con stipendi più sostanziosi sarebbe stata di gran lunga più gradito rispetto a un singolo bonus natalizio di entità variabile e incerta. L’abitudine di donare Christmas boxes ai propri sottoposti rimase però in voga in quegli ambienti in cui esisteva una letterale familiarità tra il datore di lavoro e i suoi dipendenti. Mi riferisco a quei grandi palazzi in cui i ricchi signori vivevano fianco a fianco con un fitto stuolo di camerieri, cuochi valletti e maggiordomi, finendo inevitabilmente con l’instaurare con la servitù quel rapporto di stima e confidenza che è stato così ben descritto da Downton Abbey.
In quel caso, restò in vigore l’abitudine di donare ai dipendenti delle piccole Christmas boxes benaugurali – e del resto, ben triste sarebbe stato il non far avere neppure un pensierino a quella cameriera che era custode di tutti i tuoi segreti o a quel valletto che era al tuo fianco sette giorni su sette, ventiquattr’ore su ventiquattro.
Poiché – comprensibilmente – chi si circonda di cuochi e maggiordomi ha la giusta aspettativa di esser servito e riverito anche e soprattutto nel giorno di Natale, nel corso dell’Ottocento s’affermò la consuetudine di concedere alla servitù domestica un giorno di riposo il 26 dicembre, quando ormai i festeggiamenti s’erano conclusi e gli ospiti di riguardo erano tornati a casa.
Se le distanze lo consentivano, il 26 dicembre era anche il giorno in cui il personale di servizio andava a far visita alla sua famiglia, festeggiando il Natale coi parenti in differita. Nel qual caso, il significato delle Christmas Boxes avrebbe assunto un altro valore ancora: col permesso dei datori di lavoro, gli avanzi del pranzo delle feste sarebbero stati rimaneggiati e trasformati in cibo d’asporto che la servitù avrebbe portato a casa per donare ai suoi parenti un… pranzo da signori. Veri maestri nell’arte del riciclo, i cuochi d’età vittoriana conoscevano mille ricette per preparare sandwiches, tramezzini, involtini e canapè ottimi da trasportare senza troppe scomodità. Per le famiglie proletarie che avrebbero beneficiato di queste prelibatezze, si trattava di un lusso da signori (ché anche un tramezzino può essere molto buono, se fatto con pane morbido e farcito con ingredienti preziosi e ben amalgamati); per i datori di lavoro, si trattava (se vogliamo) di un modo discreto eppur tangibile di estendere i loro auguri di Natale anche ai parenti di quei collaboratori che componevano una sorta di famiglia allargata.
E fu proprio dall’unione di tutti questi elementi (le alms boxes delle chiese, le boxes per le mance, le Christmas boxes per i dipendenti e le boxes “da picnic” di chi festeggiava santo Stefano in famiglia) che la giornata del 26 dicembre prese il nome di Boxing Day.
E se confrontiamo questa storia con la moderna diceria per cui il Boxing Day prenderebbe il nome dalle scatole di regali sparpagliate per la casa all’alba del 26 dicembre: non concordate con me nel dire che la storia vera è, almeno stavolta, molto più natalizia della leggenda?
Solite letture di sempre per approfondire:
The Stations of the Sun. A History of the Ritual Year in Britain di Ronald Hutton
Christmas. A Biography di Judith Flanders
marcello comitini
Mi commuovono le tue considerazioni sulle intenzioni di quei datori di lavoro perché mi fanno pensare che oggi non si usa più fare qualcosa anche per la famiglia dei dipendenti. Un’usanza in essere fino a metà degli anni novanta. Adesso, come regalo natalizio ai dipendenti c’è soltanto il “non licenziamento”, che potrebbe essere inteso (ironicamente) come una moderna estensione di quella antica attenzione di cui parli tu. Un bell’articolo, Luisa🌹
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Lucia
🙂
Grazie!
Eh sì, erano altri tempi e c’era un’altra mentalità. So per esperienza diretta (ad esempio dei miei genitori) che a un certo punto, in alcuni casi, sono addirittura stati i dipendenti a scocciarsi di queste attenzioni che venivano ormai percepite come paternaliste. A Torino, la FIAT storicamente aveva sempre riservato molte attenzioni alle famiglie dei suoi dipendenti, ma a un certo punto verso gli anni Settanta ha cominciato a farsi strada tra i lavoratori un certo malumore al pensiero di un “signor padrone” che sembrava voler allargare la sua sfera di influenza anche sulla vita privata dei lavoratori (o almeno così la cosa cominciava a essere percepita da molti). Insomma, i tempi stavano cambiando. Oggi, un datore di lavoro che omaggia la tua famiglia con gli avanzi del suo pranzo di Natale sarebbe abbastanza irricevibile ecco 😂
Fun fact: il mio nonno paterno, morto piuttosto giovane, lavorava in una ditta che ogni anno regalava ai suoi dipendenti un panettone. Non chissà che, ma un panettone di buona marca. E evidentemente si faceva punto d’onore di regalare il panettone anche alle vedove dei dipendenti, perché ‘sto panettone ha continuato a essere recapitato a casa di mia nonna in ogni singolo Natale che lei ha passato in terra, fino a quando è morta ultraottantenne qualche anno fa. Ai pranzi di Natale c’era sempre ‘sto panettone (di ottima marca, ma pieno di canditi: non piaceva a nessuno 😂) che “bisognava” mangiare senza se e senza ma, perché era il panettone del nonno.
Che era morto da decadi senza aver mai visto i suoi nipoti e pronipoti, ma intanto continuava a procurarci ogni anno ‘sto panettone aziendale. Pensa te!
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marcello comitini
Grazie della bella risposta, Luisa🙏. Sì, negli anni settanta i sindacati hanno inziato a sobillare i lavoratori con certe idee che non avevano né capo né coda se non quello di affermare il potere dei sindacati. L’azienda dove lavoravo pensava anche ai figli dei dipendenti: se piccoli riservava loro dei bei giocattoli, se studenti dava una busta in denaro. Ti assicuro nessuno sentiva il padre padrone. Non è lì che il datore di lavoro afferma il suo potere, lo sapevamo noi e lo sapevano i sindacati. Adesso sappiamo tutti quale sia il vero potere, e non c’è bontà di Natale che possa sminuirlo. Non rimpiango il tempo passato. Piango il presente.
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vogliadichiacchiere
Era quella che adesso (le ditte più “illuminate”) fanno anche tutto l’anno, viene chiamato “Welfare aziendale”! Il lavoratore lavora più tranquillo, si crea un’atmosfera di “famiglia allargata”
Come per certe aziende, come Marzotto e Crespi, che avevano fatto: azienda, casa del padrone, case per gli operai, case per gli impiegati (ecc gerarchicamente parlando), minimarket, asilo, scuole, cimitero e ospedale . . . in un Docufilm, buona parte degli intervistati hanno ricordi splendidi, altri hanno ricordi come di “sudditanza” . . . Penso dipenda tutto da come uno la prende!
https://villaggiocrespi.it/
Ciao, Fior
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mariluf
Ricordo ancora con riconoscenza alcuni giocattoli che ricevevo nel pacco natalizio aziendale: Un teatrino con 6 burattini, alcuni giochi da tavolo, un piccolo ping pong (rete e morsetti per fissarla al tavolo, racchette e cinque palline) e qualche libro. Era una tradizione piacevole, e non credo che i miei la sentissero come un paternalismo offensivo. Ricordo anche le strenne offerte dai negozianti ai clienti abituali: non erano grandi doni, ma ho sempre apprezzato la cortesia del gesto: un cartoccio di frutta secca, salatini o cioccolatini, accompagnati a volte da un calendario o da un Bambinello di gesso o di resina . Non ho più fato a tempo a vedere i piccoli Gesù Bambino di zucchero, che sono spariti, mi dicono, con la seconda guerra mondiale.
Grazie sempre, Lucia!
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vogliadichiacchiere
Ormai, nei supermercati l’unico regalo che ti fanno, se va bene ed è un supermercato di quartiere, è una piantina in certi giorni, come domenica scorsa
Oppure, in farmacia, un barattolo di bagnoschiuma o una crema mani!
Ciao, Fior
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Lucia
Io ho all’attivo la piccola merceria di quartiere che regala (ancor oggi) ai suoi clienti abituali uno strofinaccio natalizio contenente il calendario dell’anno nuovo (proprio nel senso che il calendario è stampato sullo strofinaccio) – peraltro io non vorrei essere brutale, e ben capisco la bellezza di conservare e tramandare ai posteri gli strofinacci degli anni che hanno avuto un particolare valore simbolico nella storia della famiglia… ma forse sarebbe più pratico optare su doni con una obsolescenza meno evidente? 😅). E poi ovviamente la farmacia col suo immancabile bagnoschiuma per i clienti fissi, penso sia un must.
Al supermercato ho ricevuto in dono una volta un vasetto di primule alla festa della donna, non me lo aspettavo e mi ha fatto tantissimo piacere, e anche la palestra di mia mamma regala mazzolini di mimosa alle signore ogni anno in quell’occasione.
Io però aggiungerei al conto anche i regali (devo dire parecchio consistenti!) che i supermercati oggi fanno a chi sfrutta le raccolte punti della tessera fedeltà. Ok il meccanismo è diverso, lo so bene, ma alla fine è un modo diverso per attuare lo stesso proposito di una volta: premiare con un dono i clienti più fedeli.
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