Arrivavano di lontano – dai boschi, dalle campagne aperte, da chissà dove – nelle ore in cui il sole era più caldo. Indossavano abiti sgargianti, ghirlande di agrifoglio sui cappelli, costumi animaleschi fatti di pelliccia e, talvolta, dei veri e propri mascheroni. Si annunciavano facendo risuonare di lontano il loro corno, cui seguiva un percuotere frenetico del tamburello. E quando la gente s’avvedeva del loro arrivo, sorridente si precipitava in strada (con qualche minoranza di musoni che invece tiravano accidenti a questi rompiscatole non richiesti): perché loro erano i wassailers, e la loro venuta avrebbe portato prosperità e buona sorte.
Non sappiamo esattamente quando nasca il rito del wassailing, che fino a qualche decade fa fu una delle più peculiari caratteristiche del Natale inglese. Fonti d’archivio risalenti alla prima età moderna ce lo descrivono come un rito già diffuso e ben documentato su tutto il territorio, il che ci lascia ragionevolmente immaginare che dovesse trattarsi di una usanza risalente, come minimo, al Medioevo. Per carenza di fonti, non è storicamente dimostrabile (ma è comunque non implausibile) l’ipotesi che questa tradizione possa avere radici pre-cristiane, collegate ai riti un tempo praticati a protezione dei raccolti.
Sì, perché il wassailing consisteva proprio in questo. Era un rito contadino a carattere benaugurale che veniva portato avanti per assicurare salute e buona sorte agli animali da fattoria, agli alberi da frutto, agli alveari e alle abitazioni. Non era mai un rito fai-da-te, vale a dire che non era mai il proprietario terriero a “benedire” le sue proprietà: la buona sorte sarebbe calata solo su quelle famiglie di buon cuore che fossero state disposte ad accogliere a braccia aperte i wassailers provenienti da lontano… e a dar loro una giusta remunerazione, evidentemente. Ché se io busso alla tua porta offrendoti la buona sorte, tu vuoi non ricompensarmi con qualche regalia?
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Ma come si svolgeva, concretamente, questo rito?
All’atto pratico, consisteva nell’innaffiare piante, campi e animali con generose cucchiaiate di wassail, una bevanda natalizia a base di birra o sidro di cui oggi Mani di pasta frolla vi propone la ricetta. Era un momento carnascialesco e scherzoso, contraddistinto da mille risate e da un alto tasso alcolemico, come si può facilmente immaginare di un rito portato avanti da gruppi di giovanotti mascherati che vagano cantando e trascinandosi dietro un enorme catino pieno di birra. Annunciandosi al padrone di casa con larghi sorrisi e canti avvinazzati, e ottenuto da lui il permesso di procedere, i ragazzi si avviavano in processione verso i campi ove iniziavano ad aspergere di wassail tutti gli alberi da “benedire”. Col passar del tempo, nuovi elementi si aggiunsero a questa ritualità: entro la fine del Settecento, è attestata l’usanza di sparare in aria colpi d’arma da fuoco “per mettere in fuga gli spiriti cattivi che portano la malasorte” (o questa almeno era la spiegazione). Nel corso dell’Ottocento, comincia a diffondersi la moda di decorare con ninnoli e piccoli dolcetti gli alberi che erano stati appena innaffiati di wassail: un dono benaugurante per l’albero, spiegavano i wassailers, oppure un omaggio per attirare i pettirossi, la cui presenza era considerata di buon auspicio.
Ma non erano gli alberi gli unici elementi che potevano beneficiare delle attenzioni dei wassailers. Anzi: il fulcro delle loro attività consisteva nella benedizione degli animali da fattoria, e delle vacche in particolar modo.
Dando via a quella che probabilmente era per una mucca la più destabilizzante sequenza di eventi mai sperimentata nella sua quieta vita, i wassailers facevano irruzione nella stalla e profittavano del tepore di quel luogo per concedersi innanzi tutto qualche generosa sorsata dal loro barilotto, per scaldarsi le ossa ché non fa mai male. Lo step successivo consisteva nell’adagiare sulla testa della mucca una piccola tortina o un pudding di Natale; dopodiché, la povera bestia veniva “benedetta” con generose cucchiaiate di wassail che le venivano tirate in faccia a ritmo di musica da questa cosca di beoni mascherati. Se la mucca rimaneva quieta, continuando a tenersi la tortina in equilibrio sulla testa, la fortuna per l’anno entrante sarebbe stata assicurata. Se la mucca, agitandosi, faceva cadere la torta all’indietro, gli auspici erano comunque piuttosto felici; semmai, la sventura si sarebbe abbattuta sul bestiame se la mucca agitandosi avesse fatto cadere la torta sul pavimento avanti a sé, come a voler rifiutare il dono che le veniva offerto.
E infatti, se prestate attenzione alla Gloucestershire Wassail Carol, annotata per la prima volta del tardo XVIII secolo e rapidamente divenuta una delle più popolari canzoni natalizie associate al wassailing, vi renderete conto che i cantori stanno effettivamente parlando con delle (perplessissime) mucche, delle quali bagnano di volta in volta or l’una or l’altra parte anatomica.
Inevitabilmente, queste tradizioni scomparvero gradualmente tra la fine dell’Ottocento e l’aprirsi del Novecento. Sembrava ormai sciocco, alla brava gente, affidare la propria buona sorte a queste tradizioni contadine, in un mondo in cui una crescente fetta della popolazione aveva ormai cominciato a disinteressarsi alle tematiche relative all’agricoltura e alla pastorizia. C’è ben poco spazio per il wassail, in una società piena di gente che ormai lavora in fabbrica, vive nelle grandi metropoli e le mucche e i campi coltivati li vede solo di lontano, magari quando torna al paese avito per far visita ai nonnetti.
Ma c’è di più. Non so voi, ma se io avessi una stalla da gestire… col cavolo che ci farei entrare una banda di ubriaconi mascherati che pretendono di infilzare un pudding sulla testa delle mie mucche prima di tirar loro addosso liquidi di dubbia provenienza. Come giustamente fa notare Steve Roud, “costumi di questo tipo possono esistere solo in comunità piccole e relativamente coese, dove tutti conoscono tutti e comprendono bene le leggi non scritte secondo cui operano queste tradizioni”. Assieme alla pratica del wassailing, scomparve anche quella bella usanza che aveva il nome di Thomasing e che aveva luogo il 21 dicembre in concomitanza con l’antica festa dedicata a san Tommaso apostolo. In omaggio a una bizzarra leggenda agiografica che vedeva san Tommaso apostolo commettere reati di appropriazione indebita e di distrazione di fondi pubblici per far arrivare denaro ai bisognosi, i poveri del villaggio si sentivano legittimati a passare di casa in casa per chiedere ai propri vicini più abbienti una qualche elemosina capace di garantire anche a loro un sereno Natale. Talvolta associata al wassailing stesso (ma altre volte no, ché spesso i veri poveri non hanno tempo da perdere dietro a mascherate benedicenti e botti di sidro), la pratica del Thomasing svanì come neve al sole quando venne meno quella rete sociale di supporto reciproco che in passato legava le piccole comunità paesane.
Certo, in quel caso furono le chiese e gli enti caritativi a rilevare queste vecchie pratiche assistenziali (e probabilmente anche a organizzarle meglio, in maniera più equa e capillare). Inevitabile, del resto: i tempi erano cambiati e la società doveva adeguarcisi.
E tuttavia, i tempi hanno la caratteristica di cambiare costantemente. E, negli ultimi anni, un crescente interesse per le tradizioni del passato ha fatto sì che molti comuni britannici e irlandesi abbiano rispolverato a scopo folkloristico queste antiche tradizioni, spesso ricreandole con un certo grado di attenzione storica. Godetevi, ad esempio, questo splendido reportage fotografico di un wassailing ricreato dai membri dell’associazione Leominster Morris, per viaggiare – almeno con la fantasia – in un passato che è ancora molto vivo.
Per approfondire:
The Stations of the Sun. A History of the Ritual Year in Britain di Ronald Hutton
The English Year. A month-by-month guide to the nation’s customs and festivals, from May Day to Mischief Night di Steve Roud
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Elena
Mia mamma racconta sempre che quando lei era piccola era usanza che un gruppo di uomini andasse di casa in casa il primo giorno dell’anno a portare gli auguri appunto di buon anno a tutte le famiglie. Erano uomini perché si pensava che gli auguri fatti da una donna portassero sfortuna (ovviamente), quandi doveva essere un uomo a portare per primo gli auguri. Quindi c’era questo gruppetto che andava in giro per il paese di casa in casa a portare auguri, cantare canzoni e raccontare storielle. In cambio ricevevano bicchieri di vino o liquore come ringraziamento, per cui in effetti a un certo punto erano piuttosto alticci. Però ne parla sempre con divertimento e allegria, come se fosse qualcosa di bello e divertente, mai eccessivo. Tra parentesi ancora oggi se si devono fare gli auguri di buon anno alle persone anziane o a persone particolarmente superstiziose si manda avanti o si fa telefonare l’uomo di casa. Poi anche la donna può fare gli auguri…
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Lucia
Oooohhh, sì! In che zona d’Italia, questo?
Anche da noi, in Piemonte, c’erano tradizioni molto simili (una delle mie nonne, nata negli anni ’20, le ricordava ancora; l’altra nonna no, segno che evidentemente all’epoca la tradizione stava già cominciando a perdersi). Da noi, era un buon presagio se la prima persona che si vedeva il primo dell’anno era del sesso opposto.
Nel nostro caso, poteva anche essere una visione casuale e di lontano (tipo, che ne so: esci di casa e il primo tizio che incroci per strada è uno del sesso opposto) e, per l’appunto, era legata al sesso ma in una declinazione diversa da quella che dici tu. Le donne portavano fortuna agli uomini e viceversa.
Ma mi fa davvero piacere sentire la tua testimonianza, perché è la prima in questo senso che mi arriva dall’Italia!
In compenso, la tradizione che descrivi tu (esattamente come la descrivi tu) è attestata in Inghilterra. Lì, i visitatori portafortuna che viaggiavano di porta in porta si chiamavano firstfooter, ed erano particolarmente richiesti se erano uomini giovani e dai capelli scuri.
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Elena
Emilia Romagna, un paesino di campagna tra Ferrara e Bologna. I ricordi di mia mamma arrivano ai primi anni ’60, lei era piccola e mi dice che appunto questo gruppo di uomini andava nelle case, specialmente in campagna, perchcè avevano stanze grandi o stalle in cui c’era spazio per tante persone (compagnia e spettatori) e facevano delle recite molto divertenti in cui c’erano personaggi ricorrenti tipo la Befana, il Diavolo, il Dottore, gli Infermieri. Mi dicono che mio nonno faceva spesso la parte del Diavolo :))), però mia mamma che era molto piccola lo ricorda con divertimento per cui non credo trascendessero, erano probabilmente cose scherzose. Per dire che mio papà, stesso contesto rurale ma poco fuori Ferrara non mi ha mai raccontato niente del genere…però indagherò e nel caso riferirò…a questo punto mi fai venire voglia di partire con un’indagine!
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