È così celebre da esser citato ne (la traduzione di) Harry Potter, è così popolare da aver ispirato uno dei dolci più amati delle feste: ma cos’è esattamente lo Yule Log, o Ceppo di Natale che dir si voglia?
Una breve descrizione per chi non ne avesse mai sentito parlare: lo Yule Log è un elemento tradizionalmente legato al Natale inglese (anche se, come vedremo, nasce in realtà da un’altra parte). Si trattava, come dice il nome stesso, di un grosso tronco di legno, di dimensioni sufficienti da permettergli di bruciare per tutto il periodo delle feste, lasciato ad ardere nel caminetto di casa dal giorno di Natale fino a quello dell’Epifania. Ma a fronte di questa breve presentazione, qualcuno potrebbe giustamente domandarsi: ok, ma qual è la storia del Ceppo di Natale? Quando nasce (e con quali valenze) questa tradizione?
Ed è a questo punto del discorso che la questione comincia a farsi ingarbugliata. Tendenzialmente, la gente immagina lo Yule Log come qualcosa dalle origini molto antiche, con radici che affondano nella notte dei tempi. Trattandosi di una tradizione che noi conosciamo come tipicamente inglese, spesso si ricollega il Ceppo di Natale ad antichi rituali di matrice druidica che possiamo senz’altro immaginare siano stati portati avanti, a ridosso del solstizio d’inverno, dalle popolazioni che vivevano nelle isole britanniche.
In realtà, l’ipotesi è suggestiva ma è storicamente dubbia a voler usare un eufemismo, tanto che ancor oggi gli studiosi di folklore dibattono animatamente riguardo la questione. Perché sì, sarebbe sicuramente affascinante riuscire a tracciare un collegamento diretto tra il Ceppo di Natale e quei rituali del fuoco che è ragionevole ipotizzare fossero posti in essere dai druidi (e che in ogni caso sappiamo per certo esser stati portati avanti anche all’epoca degli Angli e dei Sassoni).
Le fonti risalenti ai primi secoli dell’era cristiana, a onor del vero, ci parlano di falò che venivano accesi all’aria aperta, in mezzo ai campi, e non menzionano ceppi di alcun tipo né men che meno ceppi da far bruciare privatamente nel camino della propria abitazione… ma ehi: magari le fonti sono frammentarie! Se i primi secoli non ci hanno consegnato alcuna testimonianza riguardo lo Yule Log, certamente avremo numerose fonti che lo citano in quell’epoca in cui l’antichità cominciava a scivolare nel Medioevo! O no?
Ecco, no. La prima fonte inglese a citare lo Yule Log è un testo di Robert Herrick dedicato alle tradizioni del Natale, che viene composto tra il 1620 e il 1630. Prima di quella data, al di là della Manica, nessuno mai aveva parlato di tronchi di alcun tipo o variamente tracciato collegamenti tra il periodo natalizio e i ceppi da far bruciare nel caminetto. Il che rende quantomeno difficile ipotizzare un collegamento diretto tra lo Yule Log seicentesco e gli antichi fuochi legati al solstizio: per quanto suggestiva possa essere l’idea, va ammesso che sarebbe ben curioso avere una tradizione popolare che viaggia sottotraccia per oltre un millennio per poi uscire allo scoperto all’improvviso così: de botto e senza senso, per dirla come Boris.
Ad aggravare la questione storiografica v’è poi un’altra curiosa circostanza. Sebbene non esistano fonti che descrivono questa usanza in Inghilterra prima del Seicento, risale al 1184 e proviene dalla Germania il primo documento che ci parla di un ceppo di Natale, fatto bruciare nel caminetto lungo tutto il periodo delle feste e selezionato appunto in modo tale da poter durare fino al giorno dell’Epifania. Da quel momento in poi, si moltiplicano in Germania le testimonianze riguardo questa usanza popolare, che nel corso dei secoli a venire si diffonde anche nelle Fiandre, in Svizzera, in Francia e nelle zone alpine dell’Italia settentrionale. In età moderna, è attestata persino in Serbia, che a ben vedere non è neanche dietro l’angolo.
Di fronte a tutte queste evidenze, tocca ammettere due cose: l’usanza trova particolare diffusione nelle isole britanniche nella tarda età moderna, ma sicuramente non nasce in Inghilterra. Dobbiamo probabilmente immaginarla come una tradizione tedesca che si diffonde gradualmente in tutta Europa e che presumibilmente arriva Oltremanica facendo una tappa intermedia nelle Fiandre.
Conseguentemente, diventa chiaro che gli Angli, i druidi e i Sassoni non c’entrano un bel niente: se vogliamo ipotizzare che questa usanza sia legata ad antichi rituali precristiani, dovremmo semmai tracciare un legame con la religiosità dei popoli norreni.
Ma è ragionevole, tracciarlo, questo legame?
“Sì” secondo Frazer, l’antropologo che ha firmato il celebre saggio Il ramo d’oro. A suo dire, in età precristiana, riti del fuoco erano praticati un po’ in ogni dove a ridosso del solstizio d’inverno: e sottolineando il valore apotropaico e benaugurale che lo Yule Log assumeva nelle tradizioni inglesi di età moderna, lui ritiene senz’altro plausibile ipotizzare che queste fossero l’eco di un valore sacrale che veniva associato a quel ceppo infiammato.
Ma – per esempio – Carl Wilhelm von Sydow, che è un po’ il “padre” della ricerca accademica nei campi del folklore, non concordava manco di striscio con la lettura fatta da Frazer. A detta dello studioso, l’unico reale motivo per cui a un certo punto prese piede la moda dello Yule Log è che la gente, sotto Natale, aveva piacere di starsene al calduccio in casa a festeggiare, senza doversi preoccupare delle incombenze domestiche di ogni giorno. Qualcuno, a un certo punto, si sarà fatto venir l’idea di procurarsi un tronco sufficientemente grosso da scaldare tutta l’abitazione per l’intera durata dei festeggiamenti e poi se ne sarà vantato con gli ospiti e con gli amici. Secondo lo studioso, la tradizione sarebbe nata così: per contagio, senza che il ceppo in sé e per sé avesse valenze particolari. Anche perché – fa notare von Sydow – è pur vero che nell’Inghilterra della tarda età moderna esistevano tradizioni che attribuivano al Yule Log una valenza benaugurale, ma si tratta di usanze locali (cioè, non uniformemente distribuite su tutto il territorio) e che comunque si inseriscono in quel più ampio numero di riti di buon auspicio di cui sono piene le feste di fine anno. Parafrasando von Sydow, potrei esemplificare: pure noi riteniamo di buon auspicio mangiare lenticchie a Capodanno, ma questo non vuol necessariamente dire che questa tradizione sia da collegare a ritualità arcaiche pre-cristiane.
Ronald Hutton, che su questi schermi ho più volte citato come uno dei massimi esperti del paganesimo europeo, fa notare che, sì, “emergono occasionali testimonianze sulle valenze magiche attribuite al Ceppo di Natale, associazioni verso le quali Frazer indirizzava il suo interesse”; però, a onor del vero, la maggior parte dei documenti in nostro possesso si concentra su altri elementi: “gli aspetti frivoli e di competizione sono largamente superiori. [Le fonti d’epoca] tendono a enfatizzare le dimensioni del tronco, spesso così grosso da riempire da solo l’intero camino e così pesante da dover essere trascinato da gruppi di uomini, se non addirittura da cavalli”. Robert Herrick (quello che fu il primo a parlare del Yule Log in Inghilterra) ci descrive l’arrivo del tronchetto come un festoso momento di gioia collettiva, al termine del quale i volenterosi trasportatori venivano ricompensati dalla padrona di casa “con tutto il vino che fossero riusciti a bere o a portarsi via”. Altri fonti più tarde descrivono l’usanza di utilizzare il ceppo di Natale a mo’ di cavalluccio per bambini: il piccolo di casa si sedeva a cavalcioni sopra quel grosso tronco mentre gli adulti lo trascinavano verso l’abitazione. Se il bimbo fosse riuscito a mantenere l’equilibrio senza cascar giù nemmeno una volta, la cosa sarebbe stata considerata di buon auspicio per l’anno entrante.
E di buoni auspici, indubbiamente, ne portava parecchi anche il semplice bruciare del ceppo. Avere il camino così pieno di combustibile da non doversi neppure preoccupare di fare avanti e indietro dalla legnaia era spesso interpretato come un augurio di prosperità e di agiatezza. In alcune zone dell’Inghilterra, era documentata l’usanza di tenere da parte e conservare fino all’anno successivo le ceneri che il ceppo aveva lasciato nel caminetto dopo aver finito di bruciare: si mormorava che avessero il potere di tener lontane le streghe e la malasorte. In altre zone, a esser conservato per l’anno entrante era un pezzettino del ceppo stesso, tolto dal camino poco prima che le fiamme finissero di consumarlo del tutto: la buona sorte non avrebbe mai abbandonato quella casa, finché quel legno dimorava sotto il tetto.
Si tratta, a onor del vero, di usanze locali (in altre zone, la gente si portava a casa il ceppo senza attribuirgli alcun valore particolare), ma si tratta di usanze in ogni caso attestate.
***
Quando e perché sparisce la tradizione di scaldare la propria casa con il tronchetto del Natale?
Sia nelle isole britanniche sia nell’Europa continentale, scompare nel tardo Ottocento (le cronache italiane d’età risorgimentale fanno ancora in tempo a descrivere la tradizione di far bruciare nel camino un grosso ceppo di Natale “per aiutare la Madonna ad asciugar le fasce del Bambinello”).
Sul perché scompaia (e così all’improvviso!), si potrebbe dibattere lungamente, anche se talvolta le spiegazioni più banali sono quelle che più si avvicinano al vero: nel tardo Ottocento, i camini spariscono da molte case di recente costruzione lasciando spazio alle stufe, più pratiche e meno ingombranti. E di certo l’urbanizzazione non agevolò la conservazione di queste pratiche contadine: nel mezzo di una metropoli, non è esattamente agevole reperire tronchi di abnormi dimensioni e poi trascinarseli fino a casa (magari con un bambino che ci siede sopra a cavalluccio).
L’eco dello Yule Log, però, sopravvive ancora in uno dei nostri dolci delle feste. Nelle prime decadi del Novecento apparvero in Francia i primi tronchetti di Natale, torte festive a base di pan di Spagna farcito con creme di vario sapore. Ebbero, sul momento, una notevole diffusione, anche perché erano molto più rapidi da preparare rispetto ai pudding e ai pani lievitati. Inoltre, la loro consistenza e le morbide farciture davano loro un sapore un po’ diverso rispetto a quello dei dolci della tradizione, rendendoli una buona alternativa per chi voleva gustare qualche cosa di diverso. Tale fu il successo iniziale di questo piatto che quasi stupisce notare come, oggi, il tronchetto di Natale sia tornato a essere un piatto di nicchia, che non sempre si trova in pasticceria e che non tutte le ditte di dolciumi per le feste si curano di mettere a catalogo.
Ma del resto… quale dolce, per quanto buono, può sperare di regger la concorrenza di panforte e panettone?
Per approfondimenti: il dibattito storiografico sulla natura del Yule Log è ben riassunto da Ronald Hutton nel suo The Stations of the Sun. Riguardo alle tradizioni legate al ceppo presenti nell’Italia settentrionale, qualcosa è stato scritto da Eraldo Baldini e Giuseppe Bellosi in Tenebroso Natale. Il lato oscuro della grande festa. Per farsi una cultura sul tronchetto commestibile, la lettura da non perdere invece è At Christmas We Feast. Festive Food Through the Ages di Annie Gray
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phileasfogg2020
Quando parlo dei nostri dolci natalizi ai miei studenti (stranieri che studiano italiano), spesso si mettono a parlare del tronchetto di Natale… la prossima volta cadrò un po’ meno dalle nuvole 🙂
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Lucia
😀
Ma dai?!
Di che nazionalità sono, in genere, quelli che parlano del tronchetto? Cioè: in che nazione è, che è un dolce veramente famoso? Mi verrebbe da pensare alla Francia, ma sparo così a caso…
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phileasfogg2020
Francesi, in effetti 🙂
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Anonimo
La buche de Noël de mon enfance!
Annalisa.
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