San Tommaso è un truffatore reo di appropriazione indebita ma, ehi!, è solo una leggenda di Natale

E poi, un giorno, Cristo apparve a san Tommaso.

San Tommaso, che dopo quella figuraccia brutta di qualche tempo prima non si era ancora ripreso completamente dalla vergogna, fu molto rapido nel prostrarsi ai piedi del Risorto.
“Grazie, grazie”, disse il diretto interessato, che aveva tutta l’aria di volersi sbrigare. “Ti ho cercato, mio caro amico, perché ho un compito per te”.
Oh wow. San Tommaso non riusciva a credere alle sue orecchie: finalmente era giunta per lui l’occasione del riscatto! “Parlami, Signore”, disse con un sorriso che andava da parte a parte. “Sono qui. Ti ascolto”.
Iddio si schiarì la voce e, effettivamente, cominciò a parlare. “Caro amico, desidero informarti che sta per arrivare a Cesarea un funzionario del potente re Gondoforo, monarca nel Lontano Oriente. Costui si è messo in viaggio per cercare un abile architetto in grado di costruire al re un palazzo di incredibile bellezza, come mai se ne sono visti al mondo”.
San Tommaso restò in educata attesa. “Devo andare a cercare il funzionario e convertirlo?”, butto lì, in tono propositivo.
“No”, gli disse il Cristo. “Devi mandare il tuo CV al funzionario e proporti come architetto regio”.
Seguirono trenta secondi abbondanti di silenzio. “…ma perché?”, chiese infine un basito san Tommaso. “Non sono manco architetto. La costruzione più complessa che io abbia mai costruito è stato un fortino di legnetti quand’ero bambino”.
“Evvabbeh”, glissò il Risorto. “Tanto, il funzionario deciderà di assumerti”.
Ma perché?!”, ripeté san Tommaso, incredulo come mai nella sua vita.
“Perché io voglio così e sono onnipotente”.
San Tommaso deglutì nervosamente. “Gesù. Signore. Amico. Non credi che questo, ehm” – e qui si schiarì la gola – “possa tecnicamente configurarsi come raccomandazione? Pare brutto”.
Gesù si strinse nelle spalle. “Evvabbeh. Peraltro, mi auguro ti sia chiaro che tutto questo non sta succedendo per davvero. Questa storia esiste solo nella testa di un agiografo che a un certo punto s’è inventato ‘sta leggenda agiografica. A occhio e croce, nel Medioevo, probabilmente da qualche parte in Spagna”.
San Tommaso fissò Cristo con crescente smarrimento. “Va bene tutto, ma mo’ pure la figura del raccomandato devo fare, nelle leggende agiografiche della Spagna medievale? Non poteva starsi zitto, ‘sto agiografo?”.
Gesù incassò la testa nelle spalle. “Non so che dirti. Si vede che all’agiografo sembrava una buona idea. Sapessi quante me ne ha dette la Maddalena, a proposito delle leggende agiografiche che son fiorite attorno a lei. C’est la vie”.
“Sì, ma non è giusto”, brontolò san Tommaso. Dopodiché, ad ogni buon conto, obbedì: ché, se nella leggenda agiografica di cui sei protagonista, si scomoda Dio in persona per procurarti un lavoro mediante raccomandazione… che fai? Non ne approfitti?
Alquanto dubbioso per l’intera situazione, il nostro san Tommaso mandò il CV ed ebbe il posto.

Il problema di quando ottieni un posto mediante raccomandazione, è che molto spesso salta fuori che non sei affatto preparato per quel posto.
Tipo: san Tommaso non aveva la più pallida idea di come costruire ‘sto palazzo a re Gondoforo. Zero proprio.
‘Vabbeh, dai, mica sarà scemo ‘sto agiografo’ si era ripetuto più e più volte sentendo crescere la tachicardia man mano che si avvicinava il momento del suo ingresso nel regno del Lontano Oriente. ‘Arriverà in questa leggenda un qualche altro intervento del deus ex machina e io riuscirò a uscire da questo pasticciaccio brutto in cui mi son cacciato. No?’.

Ecco, no.
L’unica cosa che arrivò, per il povero Tommaso, fu una esorbitante somma di denaro che re Gondoforo mise a sua disposizione: ori e ricchezze in tale abbondanza che nessuno avrebbe mai nemmeno potuto immaginare, consegnati nelle mani di Tommaso affinché potesse usarli per costruire il palazzo.
Dopodiché, Gondoforo strinse calorosamente la mano di Tommaso e gli disse “ingegnere, buon lavoro! Io starò lontano per due anni perché impegni politici mi reclamano altrove. Posso sperare di trovare il mio palazzo già ultimato, quando farò rientro nella capitale?”.
San Tommaso alzò gli occhi al cielo invocando disperatamente l’intervento dell’agiografo, che ben si guardò dal dare cenno di vita. Al che, buttò lì un molto incerto “…s-sì?”.

Il problema è che a questo punto la narrazione cominciò a stagnare.
San Tommaso se ne stava lì a fissare corrucciato ‘sti enormi sacchi di denaro nella fiduciosa attesa di un colpo di genio, di una apparizione celeste, di qualsiasi cosa che gli facesse capire come caspita procedere.
A un certo punto, il nostro amico si convinse che l’agiografo avesse deciso di lasciar perdere questo sconclusionato filone narrativo; sicché, ritenendosi ormai abbandonato al suo destino, pensò di fare l’unica cosa che gli parve sensata in quel frangente: prendere tutti i soldi e distribuirli ai poveri.
‘Tanto, ‘sto scimunito di agiografo si è reso conto che ‘sta storia non aveva senso e ha smesso di scrivere, figuriamoci se il re torna’

Ecco, mettiamola così: la già bassa stima che san Tommaso nutriva verso il suo agiografo subì un drammatico crollo verticale quando, dopo due anni di completa stasi narrativa, re Gondoforo tornò improvvisamente. E, giustamente, si irritò alquanto con san Tommaso quando, visitando il luogo in cui si aspettava di trovare il suo palazzo, trovò… non dico un cantiere edile in ritardo: dico lo stesso identico terreno edificabile di due anni prima, su cui ormai crescevano le erbacce.

Re Gondoforo, al quale va tutta la mia solidarietà, venuto a sapere cosa aveva combinato san Tommaso decise, comprensibilmente, di sbatterlo in carcere e condannarlo a morte.
Oltretutto, quello era un pessimo momento per il re. Il suo amato fratello – il suo compagno di giochi nell’infanzia, il suo braccio destro e consigliere negli anni dell’età adulta – giaceva a letto colpito da grave malattia, che più di una volta l’aveva portato sull’orlo della morte. Anzi: proprio nel giorno in cui avrebbe dovuto essere eseguita la condanna di san Tommaso, l’infermo era entrato in quella che i medici di corte definirono la fase terminale della malattia. Le funzioni vitali erano ridotte al minimo, lui neppure apriva gli occhi: l’agiografo medievale probabilmente non aveva dimestichezza col concetto di “coma”, ma direi che grossomodo lì siamo.

E mentre Gondoforo piangeva lacrime di disperazione stringendo la mano ormai scheletrica del fratello esanime – ecco, il malato si drizzò a sedere fresco come una rosa. E gridò: “fratello mio, ti scongiuro, ferma l’esecuzione di quell’architetto! In verità ti dico: ho potuto ammirare coi miei occhi il palazzo che ha costruito per te!”.

Eh??” disse Gondoforo, facendo tanto d’occhi.
Eh??” disse san Tommaso, ancor più sconvolto di Gondoforo, quando la notizia gli venne riferita.

Saltò fuori che il fratello del re, in quella che potremmo definire una sorta di esperienza di pre-morte, aveva visitato i verdi pascoli del cielo e ammirato le meravigliose ricchezze che ivi attendono coloro i quali varcano le porte del Paradiso.
(“Ma che è ‘sta cafonata?”, sbottò san Tommaso quando ascoltò l’intera storia. “Premorte? Palazzi in Paradiso? Regà, io ve lo dico: secondo me il nostro agiografo beve”).
Ad ogni modo, il fratello del re aveva capito tutto. Aveva cioè compreso che le ricchezze e il potere del mondo di quaggiù sono una nullità rispetto a quelle di cui si gode in Paradiso. E così, convinse suo fratello a considerare quella triste storia di truffa immobiliare per quello che in realtà era: un segno del cielo.
(“Un segno che l’agiografo si droga!”, borbottò san Tommaso).

Re Gondoforo chiese udienza a san Tommaso e gli domandò come si potesse accedere a questo palazzo che era pronto per lui nel Regno dei Cieli. Tommaso, ormai esasperato, gli urlò che per entrare nel Regno dei Cieli bisogna convertirsi e vivere secondo il Vangelo.
E – siccome l’agiografo di questa storia non era una gran cima quanto a verosimiglianza narrativa – re Gondoforo non batté ciglio alla notizia e anzi decise di convertirsi immantinente.
Fu in tal mondo, secondo la leggenda, che san Tommaso diede il via al suo apostolato nelle Indie.

***

“MA TE PARE??” sbottò Tommaso subito dopo aver battezzato il re. “Brutto cretino d’agiografo, non potevi inventarti ‘na leggenda bellina come hanno tutti i cristiani di questo mondo, invece di tirarmi in mezzo a ‘sta storia di appropriazione indebita e distrazione di fondi pubblici?? Mi spieghi qual era lo scopo di tutta ‘sta manfrina??”.

Beh.
Non so se fosse questo lo scopo che si era prefissato il nostro amico agiografo.
O meglio: probabilmente no. Con ogni probabilità, questa leggenda dalle bizzarre implicazioni penali aveva come unico scopo originario quello di sottolineare goffamente il concetto che le ricchezze terrene sono un nulla al confronto delle ricchezze celesti.

Ma (a dimostrazione che Dio sa scrivere dritto anche sulle righe storte) la curiosa leggenda, particolarmente amata nel Medioevo, ebbe effettivamente alcune ripercussioni positive.
La festa di san Tommaso apostolo, fino a qualche decennio fa, veniva festeggiata il 21 dicembre: vicinissima al Natale. Per molti secoli – dal tardo Medioevo fino a metà Ottocento – fu consuetudine in numerose zone d’Europa onorare la festa dell’apostolo distribuendo generose elargizioni a tutti gli indigenti, proprio come san Tommaso si diceva avesse fatto, distribuendo i soldi di Gondoforo alle famiglie più bisognose.

A quei tempi, fare la carità era una cosa seria – e, per contro, le famiglie comuni non avevano alcun riserbo nell’ammettere che, beh, qualche soldo in più farebbe decisamente comodo, specie adesso che le feste si avvicinano.
E così, nel giorno di san Tommaso, andava in scena in tutt’Europa un grande rito di generosità collettiva. Le famiglie in difficoltà bussavano alla porta dei loro vicini di casa più benestanti, senza timore di chiedere un aiuto. E ricevevano, e spesso ridistribuivano almeno in parte, se nel corso della giornata avesse bussato alla loro porta qualcuno di ancor più bisognoso di loro.

Era un giorno di festa e di gioia, una sorta di distribuzione di doni generalizzata. Alcuni storici riportano che, in Inghilterra, la pia usanza si mescolava alla pratica delle carole di Natale; vale a dire: il benefattore che, aprendo la porta, avesse elargito mance a chi gliele chiedeva, avrebbe ricevuto, in cambio, il “dono” di una canzone con la quale i passanti invocavano su di lui ogni ricchezza terrena e ogni benedizione celeste.

Grossomodo, su queste note:

 

7 risposte a "San Tommaso è un truffatore reo di appropriazione indebita ma, ehi!, è solo una leggenda di Natale"

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