Se c’è un episodio che davvero genera sempre un sacco di confusione è quella brutta storia relativa a Cromwell e ai Puritani che vietano per legge il Natale in Inghilterra.
Che sia accaduto davvero, è cosa ben documentata; con cosa si fossero drogati ‘sti pazzi prima di firmare una legge simile, è una domanda che resta aperta… e che comunque non è la più importante. Perché il quesito veramente significativo, secondo me, è un altro: ma fino a che punto questo provvedimento è riuscito a cambiare per davvero il modo quotidiano di vivere il Natale?
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La nostra Storia affonda le sue radici in un passato molto lontano, e cioè nei secoli del pieno Medioevo. Dobbiamo sforzarci di capire che, nel Medioevo, il Natale non era la quieta festa per famiglie che siamo abituati a conoscere oggi; quella in cui nonni e nipoti si radunano felici attorno a un tavolo mangiando il dolce della festa e cantando allegre canzoncine. A dirla tutta, è solo in epoche recenti che il Natale assume questa dimensione domestica e familiare. Negli anni in cui i Puritani cominciavano a rodersi il fegato contemplando scandalizzati i festeggiamenti dicembrini, il Natale era di norma festeggiato sulla pubblica piazza, con abbuffate collettive che spesso sfociavano nell’ubriachezza e con balli popolari dove gente avvinazzata s’abbandonava a comportamenti non sempre contegnosi. Quando andava bene, le cittadine venivano invase da girovaghi mascherati in modo eccentrico che mendicavano insistentemente in cambio della loro performance canora, con scene che Annie Lennox ha ricreato molto bene in questo video dal sapore onirico.
Quando andava male, ti trovavi con preti che fisicamente menavano i fedeli nel corso della Messa e che accettavano di prendere ordini da un vescovo-bambino che faceva il verso alle alte gerarchie ecclesiastiche.
Ecco: quando leggiamo che i Puritani avvertirono l’impellenza di fare guerra al Natale, dobbiamo capire che era questa roba a essere oggetto delle loro critiche. Come ebbe a dire un certo Philip Stubbes scrivendo negli anni ’80 del Cinquecento: “non dovremmo forse festeggiare, nel giorno di Natale? Certo che sì, dovremmo senz’altro – e tuttavia, festeggiare non vuol dire che dobbiamo passare tutto il giorno a berciare sguaiatamente e a tracannare cibo come maiali”.
In molte delle usanze natalizie di quell’epoca, i Puritani credevano di poter scorgere pericolose reminiscenze pagane. In altre (soprattutto quelle legate ai grandi santi di dicembre), vedevano rigurgiti di papismo; in altre ancora, notavano dinamiche carnascialesche che banalmente sfociavano spesso nella maleducazione bella e buona. E avevano anche ragione, sotto un certo punto di vista: se oggi molti cristiani ritengono che la vera essenza del Natale sia minacciata dallo spettro del consumismo, all’epoca erano queste dinamiche di ordine sociale a impensierire (non del tutto a torto) i soliti benpensanti.
V’erano poi dei problemi di natura scritturale. O meglio: cinicamente, io direi che i Puritani s’appellavano ai problemi scritturali per meglio giustificare la loro antipatia per queste feste.
Evidentemente, nessuno metteva in dubbio che, a un certo punto, Gesù fosse nato: a essere criticata era la data del 25 dicembre, che non è citata nella Bibbia e che dunque fu rapidamente etichettata come un’invenzione papista.
Vale a dire: Gesù era certamente nato, ma quasi certamente non in quel giorno di dicembre. Ergo, festeggiare il Natale proprio in quella data significava dare credito a una tradizione cattolica, che tuttavia non trovava riscontri nel testo sacro. Eresia!
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I Puritani, povera gente, erano così radicali da rasentare a volte il fanatismo. Con questa cosa del Natale, ci andarono giù pesanti: nel 1561, il First Book of Discipline emanato dalla Chiesa di Scozia vietò la celebrazione del Natale, dell’Epifania, della circoncisione di Gesù (1° gennaio) e di tutte le feste legate al culto dei santi o della Vergine; nel 1583, una scomunica fu scagliata su tutti i fedeli che avessero comunque continuato a festeggiarle.
E siccome i Puritani erano gente tignosa, si diedero un bel daffare per sottolineare che facevano sul serio. Nel 1573, improvvisando una sorta di tribunale dell’inquisizione, processarono a St. Andrews un vasto numero di persone accusate di aver “prestato osservanza a giorni superstiziosi, in particolar modo nel periodo di Yule”; l’anno successivo, quattordici donne di Aberdeen furono condannate “per aver cantato riprovevoli canzoni alla vigilia di Yule”. Negli anni ’80, i Puritani cominciarono a prendersela coi panettieri che a dicembre mettevano in vendita i dolci delle feste; nel 1599, lo zelante sindaco della città di Elgin vietò per legge la pratica di tutti quei “passatempi profani” tradizionalmente praticati in occasione del 25 dicembre, come “giocare a palle di neve e intonare canti natalizi” (cosa che per inciso equivale alla fornicazione, ci informa nel 1588 il presbiterio della città di Haddington).
Fino ad allora, si trattava di proibizioni di natura esclusivamente religiosa.
Vale a dire che c’erano ‘sti ministri di culto che andavano in giro a dare il tormento alla brava gente ripetendo che non è cristiano festeggiare il Natale e che, alla peggio, scomunicava i festaioli irriducibili tacciandoli di essere dei papisti in pectore. Ma le autorità civili non s’erano mai sognate di vietare per legge i festeggiamenti di Natale (salvo i casi rarissimi e isolati di qualche sindaco particolarmente zelante, come accadde nella già citata Elgin). Anzi: Giacomo Stuart, re di Scozia e d’Inghilterra, era un grande fan delle feste natalizie, e come lui molti dei personaggi più influenti del regno. Protetti da quell’immunità che il sangue blu tende a conferire, gli aristocratici continuavano a portare avanti le tradizionali celebrazioni, tutt’al più cambiando il loro nome per eliminare ogni problematico riferimento alla Messa. Il Christ-mass della tradizione aveva lasciato lo spazio a un più laico Christ-tide, ma a conti fatti poco cambiava.
Le cose si ingarbugliarono durante la guerra civile inglese.
Durissimi scontri contrapposero i politici “realisti”, che sostenevano la monarchia, e i politici “parlamentaristi”, che avevano eletto Oliver Cromwell a loro portavoce. Tra rivolte, complotti e attentati falliti, il partito dei parlamentari prese il potere. Era una situazione di estrema instabilità politica, i cui equilibri si reggevano sul filo del rasoio: Cromwell, un fervente puritano, si rivolse ai membri della sua stessa Chiesa nella speranza di poter ottenere un endorsement pubblico a consolidare la posizione del suo partito. E si sentì rispondere di sì, ma a una condizione: se il Parlamento voleva l’appoggio dei Puritani, avrebbe dovuto ottemperare a un certo numero di richieste, tra cui quella di vietare per legge i festeggiamenti di Natale (ahò: ve l’ho detto, che erano fissati, ‘sti Puritani).
Nel 1642, il Parlamento cominciò in sordina con una proibizione degli spettacoli pubblici. Nel 1643, per mandare un segnale forte alla popolazione, fissò una seduta proprio al 25 dicembre lavorando in quella data come se niente fosse. Seguirono, negli anni immediatamente successivi, una vasta serie di ordinanze, divieti e proibizioni che giunsero al culmine nel 1647: da quel momento in poi, le celebrazioni natalizie sarebbero state vietate per legge su tutto il territorio nazionale.
Ma, all’atto pratico, cosa voleva dire “vietate per legge”? Il Parlamento mandava le guardie a perquisire la brava gente di casa in casa, per controllare che nessuno avesse decorato per le feste?
A onor del vero no, sebbene la propaganda politica del partito avverso abbia cercato di farlo credere alla popolazione. Ancor oggi, molti britannici sono stra-convinti che Cromwell abbia vietato per legge la mince pie, il tradizionale piatto delle feste di quell’epoca (di cui oggi Mani di pasta frolla vi avrebbe proposto molto volentieri la ricetta, se non fosse che sta poco bene quindi per il momento vado avanti a scrivere da sola mentre voi le augurate una buona guarigione).
Per onestà intellettuale: la proibizione della mince pie e dei festeggiamenti è una bufala.
Magari a Cromwell sarebbe anche piaciuto, ma lo statista non era così scemo da non comprendere che portare su quel piano la lotta contro il Natale sarebbe stato un suicidio politico (oltre che una scelta poco attuabile sul lato pratico).
Con maggior concretezza, il Parlamento si “limitò” a vietare per legge tutte le manifestazioni pubbliche tradizionalmente associate al periodo di Natale. Vietate le feste di piazza e i concertini dei carolers, proibite le decorazioni sulle facciate dei palazzi, rese il 25 dicembre un giorno lavorativo come tutti (e, ovviamente, vietò alle chiese di tenere celebrazioni liturgiche legate al Natale).
Mai osò (e probabilmente mai volle) legiferare sul modo in cui le famiglie vivevano privatamente il 25 dicembre nell’intimo della loro abitazione. L’idea che Cromwell fosse sul punto di vietare per legge anche i dolci del Natale fu nulla più di uno spauracchio sventolato dai suoi avversari politici a scopo di propaganda. Scriveva ad esempio nel 1652 John Taylor, criticando il partito di Crowmell: “questi sono convinti che il roast beef sia l’Anticristo, che le mince pies siano le reliquie della meretrice di Babilonia e che l’anatra arrosto sia il marchio della bestia”. Obbiettivamente, quella assurda guerra al Natale era così ridicola da diventare un simbolo perfetto da utilizzare nella lotta politica; ma in realtà furono i detrattori di Cromwell a ingigantire la reale portata dei provvedimenti.
“La meno scandalosa realtà dei fatti”, fa notare la storica Annie Gray, “è che i tentativi di fermare le celebrazioni pubbliche del Natale ebbero semplicemente la naturale conseguenza di spostare i festeggiamenti nella sfera privata. La maggior parte delle persone continuò a vivere quei giorni come aveva sempre fatto”, con l’eccezione che non si poteva più andare a Messa e in compenso bisognava lavorare, almeno sulla carta. Ma “le autorità ebbero il buon senso di non interferire mai su ciò che accadeva nelle abitazioni private” (in fondo, come avrebbero realisticamente potuto?).
“Persero gradualmente di intensità i festeggiamenti di larga scala, ma ciò accadde in maniera molto più graduale di quanto piacque poi affermare ai detrattori di Cromwell”: fra l’altro, lo stesso cambiamento ebbe luogo, più o meno nelle stesse decadi, anche nelle nazioni che non avevamo mai avuto a che fare coi Puritani. Evidentemente, i tempi erano maturi e i costumi stavano cambiando in ogni caso.
Sparirono quelle grandi manifestazioni dal sapore carnascialesco che nel Medioevo caratterizzavano il periodo di Natale. Scomparvero, in generale, buona parte delle manifestazioni pubbliche e degli spettacoli teatrali: la comunità si radunava ancora nella piazza del villaggio in occasione dell’Epifania o dell’ultimo giorno di dicembre, ma il Natale era ormai una ricorrenza che le persone volevano festeggiare nel privato delle loro case. Si perse quasi ovunque (o decrebbe, in area cattolica) l’enfasi che nel Medioevo accompagnava le grandi feste dei santi (san Nicola, san Tommaso, i santi innocenti); se anticamente i dodici giorni che andavano dal Natale all’Epifania erano vissuti come un unico e lungo periodo di vacanza, pian piano si ridusse il numero dei giorni in cui davvero la gente si asteneva dalle normali occupazioni.
Ma soprattutto, il Natale era diventato una festa a misura di famiglia. Scomparse quelle manifestazioni di piazza (un po’ in stile concertone di Capodanno) che anticamente costituivano il fulcro dei festeggiamenti, le celebrazioni natalizie si spostarono all’interno delle abitazioni private. Festeggiare coi vicini di casa e coi compaesani non sembrava più particolarmente desiderabile; molto più attraente era l’idea di pranzare in compagnia della famiglia allargata, e magari anche di quei parenti che si ha modo di vedere solo poche volte l’anno.
Se ne accorsero amaramente alcune chiese inglesi che sul finire del Seicento (dopo la restaurazione della monarchia e l’abolizione delle leggi contro il Natale) si lamentarono d’essere comunque mezze vuote alle funzioni del 25 dicembre. Gli sconsolati pastori lo scrivevano a chiare lettere: la gente, ormai, non aveva più interesse a festeggiare col resto della parrocchia, anzi approfittava di quel giorno di vacanza per andare (gasp!) a visitare i parenti, che magari vivevano a qualche paesino di distanza. E di questo passo dove andremo a finire, signora mia?
Nell’anno di pochi decenni, il Natale era cambiato profondamente. Era un Natale molto diverso da quello medievale… ma, in effetti, un Natale assai più simile a quello che conosciamo oggi.
Prima della bibliografia, una comunicazione di servizio che non c’entra niente:
Venerdì 10 dicembre, alle ore 18:30, il prof. di religione più famoso del web mi interrogherà sul suo canale YouTube (Bella, prof!) sul delicato tema “Chiesa & Epidemie”. Ovviamente la chiacchierata sarà registrata per chi non può collegarsi a quell’orario, ma il supporto da casa è sempre gradito!
E adesso la bibliografia:
The Stations of the Sun. A History of the Ritual Year in Britain di Ronald Hutton
At Christmas We Feast. Festive Food Through the Ages di Annie Gray
Christmas. A Biography di Judith Flanders
Did Oliver Cromwell ban Christmas?, articolo online a cura di The Cromwell Museum
Elisabetta
Costanti delle feste, come ho imparato da questo blog:
1. Abbiamo pregiudizi su quei pazzi uomini medievali (che invece di essere oscurantisti e modesti ci fanno vieppiù la figura di maniaci delle feste, del sesso e delle abitudini bizzarre) .
2. Le nostre radici non sono così lineari come pensiamo
3. La … ( inserire festa a piacimento) come la conosciamo noi deve il suo assetto ai vittoriani.
4. O forse sono i vittoriani che l’hanno scippata ai cattolici
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Lucia
🤣
Ho riso molto sul commento riguardo agli uomini medievali, eppure quanto è vero!
Io penso che se noi ci trovassimo vivere nel Medioevo rimarremmo sconvolti per motivi molto diversi da quelli che immaginiamo mediamente 🤣
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Umberta Mesina
Io sapevo che il divieto era avvenuto in America, non sapevo dell’Inghilterra. Grazie!
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