Tiro in ballo i cavalieri della Tavola Rotonda, ma qualcuno potrebbe anche dire che lo faccio per clickbaiting: in realtà, non vi sono testimonianze storiche di come questo costume fosse già in uso nell’epoca in cui sono ambientate le vicende di re Artù. In compenso, questa tradizione viene citata quasi universalmente in tuti i testi del ciclo arturiano composti dal XVI secolo in avanti, lasciandomi quantomeno lecitamente immaginare che, a Camelot, ‘sta roba andasse di gran moda.
E non solo a Camelot, a onor del vero. Una delle primissime descrizioni di questo rituale è contenuta in un testo di Robert di Gloucester che descrive il pranzo di nozze del perfido re Vortingern, personaggio che gli appassionati sicuramente conosceranno come il nemico giurato del padre di re Artù (nonché come il tutore di un giovanissimo Merlino). Ebbene: poco dopo aver sposato la bella Rowena, quando la corte è nel pieno dei festeggiamenti, re Vortigern beve da una grande coppa che subito dopo passa ritualmente alla sua sposa al grido di “waes hael”.
Ma cosa volevano dire quelle due parole?
E soprattutto, qual era il significato di questo piccolo rituale festivo?
Partiamo dalla prima domanda, dicendo innanzi tutto che “waes hael” era nulla meno e nulla più del nostro moderno cin cin. “Waes hael!”, esclamava la persona più influente della tavolata, augurando con quelle parole un “sii in buona salute!” a tutti i suoi commensali. “Drinc hael!”, rispondevano allora i suoi interlocutori, in un augurio che suonava come un “bevi in buona salute!”.
Insomma: nulla più di un brindisi come tanti, verrebbe da dire. Se non fosse che, col passar del tempo, questo costume ebbe un’evoluzione tale da renderlo un vero e proprio rituale delle grandi feste conviviale. Entro le prime decadi del XIV secolo, era consuetudine che il festeggiato (oppure il padrone di casa, il capofamiglia, o insomma la persona più influente della tavolata) gridasse “waes hael” sollevando verso il cielo una gigantesca coppa strapiena di liquido. Una specie di grossa insalatiera, se così volete immaginarla.
Dopo aver preso un primo e lungo sorso, si accingeva a porgere la coppa a chi gli sedeva vicino, sottolineando con un bacio quel passaggio. E così, a turno, tutti i commensali bevevano vicendevolmente da quella stessa coppa, passando di bocca in bocca quel bacio e quell’augurio che il padrone per primo aveva esteso a tutti gli ospiti. Agli occhi dell’uomo medievale, pareva profondamente significativa la simbologia che si celava dietro a questo gesto: era inconsueto e commovente, pensare che tutte le persone presenti al banchetto avessero la chance di bere da quello stesso calice da cui s’era servito il re, il leader, l’uomo del momento. La coppa che passava di mano in mano mostrava insomma l’esistenza di un rapporto tra pari, e il bacio che veniva soffiato di bocca in bocca sottolineava ovviamente il clima di concordia venutosi a creare tra i commensali. Non mi stupisce, insomma, che gli autori abbiano fatto largo uso di questa immagine per descrivere la serena atmosfera che si respirava tra i cavalieri della Tavola Rotonda: a suo modo, il brindisi del waes hael simboleggiava proprio quei valori che erano più cari alla corte di re Artù. Concordia, amicizia, comunità, uguaglianza.
***
Entro la fine del XIV secolo, il rito del waes hael era già diventato così importante da aver lasciato traccia in tutte le cucine dei grandi palazzi signorili. Grazie a cronache, inventari e ritrovamenti archeologici, posiamo affermare che entro quella data quasi tutte le famiglie nobiliari d’Inghilterra s’erano dotate di grandi coppe, spesso riccamente istoriate o addirittura abbellite da pietre preziose, che venivano portate in tavola al momento clou del banchetto mediante una piccola processione dal sapore scherzosamente cerimoniale.
Sarebbe interessante avere una pur vaga idea di quale fosse il liquido contenuto all’interno della coppa. Sfortunatamente, non ne abbiamo idea: e anzi, leggendo le varie descrizioni che vengono offerte qua e là dagli autori medievali, si ha l’impressione che non esistesse una ricetta univoca per la bevanda da bere in quel frangente. Insomma: si poteva brindare con qualsiasi cosa, a patto che fosse un “qualcosa” di sufficientemente ricercato per poter essere gustato nelle grandi occasioni. Gli alcolici, ovviamente, andavano per la maggiore, anche se il vino non era apparentemente una scelta particolarmente gettonata. L’impressione è che le bevande utilizzate per il waes hael fossero perlopiù dei punch a base a birra e sidro, spesso aromatizzati con l’infusione di spezie e frutta. È storicamente attestata, in alcuni casi, l’usanza di intingere nella coppa delle fette di pane tostato, oppure (nei banchetti più ricchi) dei piccoli biscotti o altri dolci delle feste.
Naturalmente, gli ingredienti e la composizione della bevanda potevano variare a seconda della stagione – ché il rituale del waes hael poteva essere riproposto in tutte le grandi occasioni: matrimoni, vittorie militari, alleanze appena sottoscritte, banchetti in onore di ospiti importanti e così via dicendo.
Ma c’era uno specifico periodo dell’anno in cui questo brindisi non poteva mancare: ed era il periodo delle feste natalizie. In questo frangente, il grido “waes hael!” risuonava nelle case accompagnandosi a bevande che erano quasi sempre ammorbidite dal sapore aromatico della mela, un frutto che si conservava bene lungo l’inverno (dunque ben si prestava all’essere usato sotto Natale) e che nella cultura dell’epoca era spesso associato a idee di prosperità e ricchezza (come a dire che chi possiede un meleto che dà buon frutto avrà scorte abbondanti per tutta la stagione fredda).
In quest’ottica, la più simbolica e più significativa di tutte le bevande associate al periodo natalizio è, a mio giudizio, quella che gli Inglesi chiamavano Lamb’s Wool; letteralmente, lana d’agnello. La ricetta non è medievale (o, quantomeno: risalgono al tardo Cinquecento i primi documenti che ce ne parlano), ma la bevanda ben s’attaglia a essere portata ad esempio di quanto ho appena scritto, grazie alla sua simbologia inequivocabilmente benaugurale. Generose pinte di birra o di sidro venivano aromatizzate con succo di mela; infine, un sottile strato di polpa di mela finemente grattugiata veniva posato a mo’ di topping sopra la bevanda e lasciato lì a galleggiare.
Come potrete appurare sul blog di Mani di pasta frolla, che ha ricreato questa bevanda dal sapore antico, l’aspetto e la consistenza della polpa di mela ricordano vagamente il vello di pecora. Tanto bastava per rendere questo drink una bevanda dalla simbologia fortemente benaugurale, che veniva consumata attorno a Capodanno (oppure nella notte dell’Epifania) con lo stesso spirito con cui gli Italiani d’oggi mangiano lenticchie a san Silvestro per assicurarsi prosperità e ricchezza. Se noi ci facciamo affascinare dalla somiglianza tra i legumi e le tonde monetine, ben altre erano le immagini che scaldavano il cuore di un uomo dei secoli passati. Un frutteto pieno di mele succulente e un gregge sufficientemente numeroso da produrre vello soffice in abbondanza: nulla di meglio avrebbe potuto desiderare, un uomo del passato.
E infatti, proprio questo augurava a se stesso e ai propri cari, brindando a quell’anno che stava per iniziare e alla primavera che presto sarebbe arrivata – perché il Natale ormai era passato, e il primo lunedì dopo l’Epifania avrebbe segnato la ripresa dell’anno agrario. La bella stagione era ancora lontana; ma, piano piano, iniziava a avvicinarsi.
E per approfondire:
The Medieval Christmas di Sophie Jackson
The Stations of the Sun. A History of the Ritual Year in Britain di Ronald Hutton
Come ben immaginerete, col passar dei secoli la tradizione del “waes hael” ebbene una evoluzione dando origine al wassail, lo scherzoso rituale dal sapore carnascialesco a benedizione del raccolto e del bestiame. Ma questa è un’altra storia, che ho già raccontato qua!