L’Ange au Sourire: quando la guerra toglie il sorriso persino agli angeli

Che la cattedrale di Reims fosse stata bombardata in un’azione militare che mirava direttamente a colpirla fu una cosa così sconvolgente che (a distanza di anni e ormai firmato l’armistizio) le due parti interessate sentirono il bisogno di confrontarsi espressamente sul tema.

Il governo tedesco disse di essere stato costretto, perché aveva prove schiaccianti di come la chiesa fosse utilizzata, a quel tempo, come base militare sotto copertura. Se così non fosse stato, la Germania non avrebbe mai osato prendere di mira una cattedrale medievale – se non altro perché non era masochista, e prevedeva bene le ripercussioni che questo attacco avrebbe avuto sull’opinione pubblica.
La Francia negò sdegnosamente di aver mai utilizzato chiese per scopi bellici. Disse anzi che l’attacco alla cattedrale in cui per secoli erano stati incoronati i re di Francia aveva avuto il chiaro scopo di abbattere l’umore nazionale distruggendo un simbolo di identità patria.

Difficile (e forse anche inutile) stabilire a distanza di anni chi tra le due parti stesse dicendo il vero. In questa storia, solo una cosa è certa: il 19 settembre 1914 l’esercito tedesco che aveva invaso la città di Reims aprì il fuoco contro la cattedrale, che in quel momento era particolarmente vulnerabile perché circondata da un ponteggio ligneo che era in uso per lavori di ristrutturazione.

Fu un disastro nel pieno senso del termine: il ponteggio si incendiò e nell’arco di pochi minuti le fiamme avvolsero l’intera costruzione. I danni apparvero fin da subito incalcolabili e per più di una ragione: le fiamme non si erano limitate a distruggere un luogo sacro ingenerando tra i fedeli uno shock senza precedenti. In maniera ancor più profonda, il bombardamento aveva distrutto secoli di arte e di storia francese: la popolazione locale visse questo atto di guerra come un attacco diretto alla sua stessa identità nazionale.

Per il governo tedesco, il bombardamento alla cattedrale di Reims fu un colossale autogol in termini comunicativi. Fornì al nemico, su un piatto d’argento, un ottimo elemento da usare in chiave di propaganda: perché, in effetti, non furono solo i Francesi a sdegnarsi nel profondo per quell’attacco. Come ebbe a dire il senatore Camille Pelletan quando ancora il fumo si levava dalle macerie, “il grido di orrore che di fronte a questo scempio si è levato in tutto il mondo non smetterà mai di risuonare”. Fotografie della cattedrale in fiamme o della sua navata invasa dalle macerie cominciarono a essere stampate ad alta tiratura (talvolta, addirittura nel formato tipico dei santini!). Piccoli frammenti rinvenuti tra le macerie (pezzi colorati di vetrate infrante; un crocifisso di bronzo parzialmente disciolto dal calore delle fiamme) cominciarono a essere esposti nelle città francesi, quasi fossero delle piccole “reliquie” laiche ormai diventate simbolo della distruzione della guerra. Un pilastro della chiesa annerito dalle fiamme fu trasportato a New York e incorporato nel basamento di una statua dedicata a Giovanna d’Arco che fu inaugurata nel 1915, in segno di solidarietà verso il Paese sotto attacco. Insomma: l’incendio della cattedrale di Reims ebbe davvero una forte eco mediatica, nella prima fase della Grande Guerra.

Ma tra tutte le opere d’arte di cui si pianse la perdita, una in particolare fece sospirare i Francesi. Nel corso dell’incendio, una trave del ponteggio che era posto sopra il portale nord della cattedrale cadde dall’alto decapitando di netto l’Ange au Sourire, una delle statue che stava ai lati della porta per accogliere il pellegrino che s’apprestava a entrare in chiesa. Scolpita tra il 1235 e il 1245, l’opera d’arte raffigurava un angelo alato che dolcemente abbassava lo sguardo verso il sagrato donando un sorriso splendido e rassicurante a chi, dabbasso, si fermava per ammirarlo. Per la popolazione, che aveva sempre amato quella scultura dall’espressione affettuosa e confortante, fu un vero shock realizzare che l’angelo di Reims era stato privato del suo sorriso.

Non c’è nemmeno bisogno di dirlo: le fotografie della statua senza testa fecero il giro della Francia e dei Paesi alleati. Per la propaganda, furono oro: l’angelo decapitato era il simbolo perfetto di tutti gli orrori della guerra: i cannoni nemici non si erano limitati a invadere le città francesi e a portare distruzione persino nei luoghi più sacri – la violenza della guerra era stata tale da aver (letteralmente) tolto il sorriso persino agli angeli.

Il fatto che l’effige dell’angelo fosse vicina alla statua di san Nicasio aggiunse al fatto di cronaca un’ulteriore suggestione. Secondo la Vita di san Nicasio, che fu vescovo di Reims ai tempi delle invasioni barbariche, il sacerdote cercò di fermare una scorreria vandala ponendosi davanti alla porta della cattedrale che stava per essere razziata dagli invasori. Lottò con l’unica arma a sua disposizione, cioè con la preghiera, recitando ad alta voce i salmi; i vandali però non si lasciarono impressionare e decapitarono san Nicasio con un colpo netto. E tuttavia, il santo vescovo non si lasciò fermare da così poco: secondo la leggenda medievale, la testa di san Nicasio andò avanti a recitare le sue preghiere mentre giaceva sul sagrato in una pozza di sangue. Comprensibilmente atterriti di fronte a questo miracolo, i vandali irreligiosi si diedero alla fuga: e in tal modo il sacrificio del vescovo diventò salvifico, preservando Reims da quella scorreria.

Il fatto che, a distanza di secoli, la stessa sorte di san Nicasio fosse toccata proprio all’angelo che gli stava a fianco (il suo angelo custode?) parve oltremodo suggestiva, agli occhi dei cattolici di Reims. Con il timore di chi non osa sperare troppo e con la speranza di chi pone il suo destino nelle mani del Signore, i cittadini cominciarono a pregare affinché un miracolo analogo potesse ripetersi anche ai loro giorni, preservando quel piccolo lembo di terra da ulteriori distruzioni.

Beh: un piccolo miracolo avvenne per davvero, se vogliamo metterla in questi termini. Nel novembre del 1915, l’angelo decapitato tornò a sorridere dolcemente al mondo.

Caduto da quattro metri e mezzo di altezza, scheggiato in più parti e ormai quasi irriconoscibile, il volto dell’angelo fu ritrovato quasi per caso nelle cantine della cattedrale di Reims, in mezzo a una pila di macerie che erano state recuperate poco dopo l’incendio e messe da parte nella speranza che potessero essere restaurate in un domani. Probabilmente, il sacerdote che l’aveva frettolosamente recuperata dal sagrato in quei momenti convulsi che seguirono l’incendio non si era reso conto che quella testa ammaccata appartenesse proprio all’angelo sorridente (che non fu certo l’unica statua a essere danneggiata, nel bombardamento di quel giorno).
Mentre tutti la credevano distrutta e perduta per sempre, la testa dell’Ange au Sourire finì così in una pila di frammenti anneriti dalle fiamme e impolverati dalla fuliggine; trascorse un intero anno prima che qualcuno la notasse quasi per caso, e soprattutto riuscisse a identificarla. Simbolicamente, ci si rese conto che quella testa apparteneva senza dubbio all’angelo del portale nord perché il cherubino non aveva mai smesso di sorridere: le sue labbra dolcemente piegate verso l’alto erano l’unico elemento sul viso della statua a non esser stato danneggiato.  

C’è bisogno di dire come si conclude questa storia?
La notizia del ritrovamento del volto dell’angelo di Reims fece in poco tempo il giro del mondo – un’espressione che in questo caso sarà da intendere in senso molto letterale. Per preservarla da ulteriori distruzioni, la testa dell’angelo fu mandata in tour nelle zone che non erano ancora state toccate dalla guerra ed ebbe modo di farsi ammirare negli Stati Uniti, in Canada, in Argentina e persino in Cile.

Sì, perché ormai la storia di quella statua era diventata patrimonio collettivo caro a tutti. Ormai ribattezzato “sorriso di Reims”, a portare sulle sue spalle i sentimenti dell’intera cittadinanza, l’angelo decapitato che aveva ritrovato il suo sorriso divenne simbolo della resilienza con cui la popolazione riusciva ad andare avanti nonostante la distruzione e gli orrori della guerra. (Neanche troppo) metaforicamente, la sua vicenda sembrava voler dire: talvolta la guerra è così terribile da togliere il sorriso persino a chi abita in Paradiso. Ma non per questo la speranza deve morire, perché un giorno si tornerà a sorridere di nuovo.

Visti questi presupposti, non stupisce affatto leggere che, nel 1914, l’Ange au Sourire fu il protagonista di una medaglietta votiva che ebbe larga diffusione in tutta la Francia. In questa sede, l’angelo della cattedrale era rappresentato col suo solito sorriso di sempre e veniva presentato ai fedeli nei termini di ange gardien, angelo custode – un divino protettore che, pur toccato personalmente dagli orrori della guerra, non smette mai di vegliare sui suoi protetti, confortandoli col suo sorriso quieto, beatifico e rassicurante.

6 risposte a "L’Ange au Sourire: quando la guerra toglie il sorriso persino agli angeli"

    1. Lucia

      Ahimè ☹️

      Comunque, la prima guerra mondiale è davvero piena di storie di questo tipo. Molto dolci, a loro modo, e soprattutto davvero molto diffuse: probabilmente era il modo in cui la gente dell’epoca cercava di resistere psicologicamente a una guerra che aveva assunto dimensioni senza precedenti, perché furono davvero tantissimi (e tutti molto dolci) i momenti in cui, tramite questi piccoli segni, il pubblico volle vedere messaggi celesti di conforto e di protezione.

      Tutte storie molto dolci e secondo me molto significative.

      "Mi piace"

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