In prossimità della Pasqua 1670, una donna vistosamente incinta si trova nella chiesa napoletana dell’Ospedaletto in attesa che sia il turno per potersi confessare. Uno dei frati, notando il suo ventre gonfio, le fa segno di saltare la fila e di accomodarsi subito in confessionale… ma verrebbe da dire che, forse forse, quella gentilezza era solo la scusa per poter restare a tu per tu con lei. Dopo aver ascoltato i peccati della donna e dopo averle dato l’assoluzione, il frate si avvicina infatti alla penitente per sussurrarle all’orecchio poche parole: “e adesso prenditi cura di te e del bambino, perché il figliolo che porti in grembo è destinato a fare grandi cose. Vedrai nascere tuo figlio il 26 agosto all’ora quindicesima, e gli darai il nome di Francesco”.
Sembra l’inizio di un romanzo, invece è storia vera. E, con la puntualità svizzera che è propria delle profezie, la donna partorì davvero il 26 agosto dando alla luce il pargolo all’ora indicata; e ovviamente ebbe cura di farlo battezzare col nome di Francesco, nonostante quella non fosse la sua prima scelta (se fosse stata libera di scegliere, avrebbe usato il nome di un suo parente che era da poco venuto a mancare).
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Fin da subito, fu evidente a tutti che Francesco era veramente un bambino prodigioso. Non piangeva mai, aspettando quieto nella sua culla che la madre venisse da lui dopo aver sbrigato le faccende domestiche. Rifiutava ostinatamente il seno ogni venerdì, come se già volesse (ancor neonato!) partecipare al digiuno ecclesiastico. Negli altri giorni della settimana, invece, mangiava con gran gusto e con con gusto veniva allattato, non solamente dalla madre ma da una vasta schiera di nutrici. I genitori avevano praticamente la fila davanti a casa, ché in capo a poche settimane s’era diffusa nel quartiere la notizia di come le donne si sentissero “ricreare” ogni volta che s’attaccavano al seno il neonatino, provando un senso di beatitudine paradisiaca non appena la boccuccia di Francesco le sfiorava.
Flash forward di cinque anni: nel 1675, il piccoletto era unanimemente considerato un santo in terra, la cui fama era ormai diffusa in tutta la città. Non v’era un singolo napoletano che non conoscesse la storia di quel bambino prediletto dal Signore; e la casa di Francesco era oggetto di un flusso ininterrotto di pellegrini che si recavano in preghiera di fronte al pargoletto, il quale riceveva i suoi devoti accomodato in un lettuccio fatto di sola paglia, posto di fronte a un altarino domestico pieno zeppo di immagini sacre che, apparentemente, lui stesso aveva creato.
I pellegrini (prevalentemente donne) si recavano da lui alla ricerca di un miracolo, che non tardava ad arrivare. Francesco, a quanto pare, era un taumaturgo specializzato nelle malattie muliebri: di fronte a lui, le donne sterili riguadagnavano la fertilità; le puerpere senza latte sentivano improvvisamente gonfiarsi il loro seno; le donne che soffrivano a causa dei disturbi della gravidanza venivano sanate dalle sue carezze delicate. Ma il piccolo Francesco, a dar retta ai suoi seguaci, era capace di compiere prodigi ancor più grandi: di tanto in tanto, profetizzava con infallibile precisione; in altri casi, discacciava i demoni e con un solo sguardo convertiva i peccatori. Alcuni giuravano addirittura che il santissimo bambino avesse moltiplicato farina e vino davanti ai loro occhi!
Insomma: la cosa stava prendendo una piega così assurda da star diventando inquietante a dir poco. Delle due, l’una: o Francesco era realmente un essere prodigioso, inviato dal Cielo in terra a maggior gloria di Dio, oppure la venerazione che s’era venuta a creare attorno a ‘sto bambinetto era una follia popolare che aveva la potenzialità di prendere una gran brutta piega.
La diocesi di Napoli, ritenendo che la misura fosse ormai ampiamente colma, iniziò a indagare su Francesco negli ultimi mesi del 1675 in collaborazione con la Sacra Romana Inquisizione, che ovviamente non si occupava solamente di dar la caccia alle streghe ma, in senso più ampio, mirava a contrastare tutti i fenomeni potenzialmente capaci di allontanare i cattolici dalla vera fede.
E tuttavia, riguardo al piccolo Francesco, la parola “stregoneria” fu sussurrata in più d’un caso.
O per meglio dire: non si parlò propriamente di magia malefica, quanto più di possessioni demoniache.
Dopo aver incontrato il piccino, gli inquisitori dovettero constatare che Francesco era realmente in grado di compiere miracoli (o quantomeno: tale fu la loro valutazione); sicché cominciarono ansiosamente a chiedersi quale fosse l’entità che lo metteva in condizione di compiere prodigi così eclatanti. O Francesco era davvero un santo in terra, con un canale di comunicazione preferenziale col Signore, oppure il suo piccolo corpo era controllato da un’entità niente affatto celestiale, che usava il bambinetto per ostentare il suo potere.
Si temette, insomma, che il povero Francesco potesse essere posseduto dal demonio – e quanto diabolico sarebbe stato, il piano luciferino di penetrare nel corpo di un infante troppo piccolo per chiedere aiuto, al fine di confondere e assoggettare a sé il popolino nascondendosi dietro la maschera di una santità apparente!
Sotto questo sospetto, Francesco fu sottratto ai genitori e affidato a un sacerdote domenicano che per ben otto volte cercò di esorcizzarlo. Ma, alla fine, anche l’esorcista dovette gettare la spugna, riconsegnando il bimbetto all’inquisizione: Francesco faceva sicuramente cose strane, ma non sembrava possibile ravvisare in lui segni di una possessione demoniaca.
A quel punto, i confusi inquisitori ritennero che l’unica cosa ragionevole da fare fosse interrogare la madre di Francesco. Fra le righe, si legge nelle loro domande la speranza di sentirsi confessare che era tutta una montatura, una colossale truffa orchestrata per far soldi. Forse, i miracolati erano in realtà dei figuranti; forse, esisteva un accordo sottotraccia tra la famiglia di Francesco e quel sacerdote che cinque anni prima aveva profetizzato la nascita del santo e che adesso si dava un gran daffare per diffonderne il culto in ogni dove.
In realtà, anche questa pista non portò a risultati degni di rilievo. La madre di Francesco, con decisione fermissima e sdegnata, negò con ostinazione l’esistenza di una qualsiasi macchinazione volta a monetizzare i doni del bambino o, peggio ancora, a inscenare una santità inesistente. E, del resto, non v’erano indizi concreti che potessero giustificare questo sospetto, per quanto ragionevole.
Quanto al frate francescano che per primo aveva profetizzato la venuta del bambino: era certamente vero che il sacerdote si era dato un gran daffare per diffondere in tutta Napoli la fama di santità del piccolo Francesco, di cui aveva personalmente curato la formazione spirituale. Eppure, non sembrava che il frate avesse mai tratto benefici diretti dalla venerazione che aveva preso corpo attorno al bambinetto; se ne trasse l’impressione che lui (e i suoi confratelli) agissero in buona fede e in maniera disinteressata, ogni volta che definivano “santo” il piccolino e che si industriavano per raccontarne l’esistenza prodigiosa.
Morale di questa storia?
Nella perplessità generale, la diocesi di Napoli decise che un santo in terra può ben essere indirizzato alla vita monacale senza che ciò ostacoli i progetti celesti che Dio ha in serbo per il suo servitore.
Temendo che la venerazione sorta attorno al piccoletto potesse col passar del tempo trasformarsi in idolatria, la diocesi ritenne che il modo migliore per risolvere la questione fosse quello di far sparire la fonte del problema. Francesco fu sottratto ai genitori quando non aveva ancora compiuto sei anni e mandato a vivere in stato di clausura in un convento cittadino gestito dall’ordine dei Pii Operai. Un gesto eclatante, che di certo risulterà molto spiacevole per la sensibilità di noi moderni; per contestualizzare, va anche detto che, all’epoca, non era poi così infrequente entrare in convento a un’età così precoce.
Il fatto che i genitori di Francesco non avessero la minima intenzione di separarsi da lui quand’era ancora così piccolo: questa, è un’altra (triste) storia.
***
Che fine fece il nostro bimbo taumaturgo dopo aver varcato il perimetro del chiostro? Quali altri miracoli ebbe modo di operare, tra le mura del convento che divenne la sua casa? E quale fu il destino di quel bambino prodigioso, la cui santità era stata profetizzata quand’era ancora nel grembo della madre?
Spiace dire che non ne abbiamo idea.
Del bambino, da questo momento in poi, si perdono le tracce, proprio come la diocesi aveva voluto (senza che questo debba far pensare a tragedie varie: probabilmente, finito il noviziato, Francesco vestì l’abito religioso e cambiò nome come di consueto, iniziando una nuova vita).
Curioso però un dettaglio. Qualche anno dopo le vicende che ho narrato, il religioso che era stato nominato tutore del bimbetto diede alle stampe un opuscolo in cui raccontava la vita di un altro pargoletto napoletano noto per le sue virtù cristiane (che però, a differenza di Francesco, era morto in età precoce, eliminando sul nascere tutti i rischi di idolatria).
Due vicende apparentemente scollegate: eppure, conoscendo il background dell’autore, a molti storici è parso significativo il messaggio che traspare dalla lettura di quel libro. Sì, sembra dire il religioso: i santi bambini esistono. La loro santità ci può sembrare strana, forse incomprensibile, forse inquietante a tratti, nella misura in cui proviene da individui apparentemente troppo giovani per poter esercitare in piena coscienza le virtù cristiane. Eppure, ciò non toglie che la loro sia una santità reale.
E, ovviamente, a tutti noi piace pensare che il religioso stesse scrivendo queste parole pensando proprio al piccolo Francesco, di cui era il tutore. Magari il bimbetto se ne stava lì vicino giocherellando con le immagini sacre dentro il suo piccolo saio e realizzando, felice e quieto, la sua vera vocazione.
Per approfondire: I santolilli. Culti dell’infanzia e santità infantile a Napoli alla fine del XVII secolo di Pierroberto Scaramella… che io però non ho letto. Per scrivere questo post, mi sono basata su un articolo del medesimo autore titolato Fonti agiografiche e fonti inquisitoriali: il caso dei santolilli napoletani apparso nel volume Santità, culti, agiografia. Temi e prospettive a cura di Sofia Boesch Gajano
Luca
Molto interessante, grazie Lucia! 🙂 Sarei curioso di sapere chi fosse il frate domenicano…
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mariluf
Molto curioso e interessante….
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Elena
Ma come facevano a sottrarre i bambini ai genitori? 😳 La chiesa locale aveva autorità per farlo? E poi i genitori non potevano più vederli? È una cosa tremenda… è un commento sicuramente ingenuo ma mi sembra una cosa davvero terribile
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Lucia
Beh… in questo specifico caso, i genitori erano sempre stati piuttosto collaborativi con la diocesi senza mai entrare in aperto conflitto, quindi sospetto che avessero formalmente acconsentito. Nel senso: all’epoca, non era poi così inconsueto entrare in noviziato quando si era ancora molto piccoli. E tutto sommato la diocesi stava “solo” proponendo di avviare il pargoletto a una comoda carriera religiosa.
Cioè: adesso a noi pare strano pensare di “dar via” un figlio quando è così piccolo, ma io stessa conosco personalmente alcuni religiosi di settanta, ottant’anni che sono entrati in piccolo noviziato a nove anni (spesso, perché nel loro paesino la scuola elementare si fermava alla seconda classe e bisognava comunque andare altrove per continuare la formazione) e da quel momento in poi hanno visto i genitori solamente una volta al mese, durante le vacanze estive. Sono persone ancora vive, talvolta poco più anziane dei miei genitori, nate e cresciute nella civilissima Italia. Per dire. Una volta, i metodi di reclutamento erano parecchio sbrigativi 😅
Ciò detto, essendoci di mezzo un processo di inquisizione e addirittura un sospetto di possessione demoniaca, penso che formalmente la diocesi avrebbe anche potuto procedere senza il consenso dei genitori, se la cosa fosse stata giudicata indispensabile (es. perché riteneva che la cattiva influenza dei genitori stesse portando sulla cattiva strada il pargoletto). Penso eh, non sono sicura ma così a naso mi verrebbe da dire di sì, magari con un po’ più di burocrazia nel mezzo. Ma penso anche che, in quelle circostanze, solo un pazzo avrebbe voluto mettersi in conflitto con il vescovo, soprattutto se teniamo conto che il vescovo stava “solo” offrendo al bambino una buona formazione in un convento e un posto di lavoro sicuro “a tempo indeterminato”.
Inizialmente la madre ebbe il permesso di visitare il bambino ogni tot. settimane, poi il permesso le fu negato nonostante le sue ripetute proteste scritte (sono rimaste agli atti). Chiaramente lo scopo della diocesi era quello di allontanare Francesco dai suoi genitori, perché evidentemente il vescovo non era poi così convinto che la madre fosse stata sincera nel dire che lei non c’entrava niente, e non stava manipolando il bambinetto.
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Lucia
(Oh, io rispondo in tono neutro come se fosse la cosa più normale del mondo, ma non vuol dire che la consideri una bella cosa in senso assoluto eh 😂 Però nel contesto storico dell’epoca non era niente di che: cioè, ci traumatizziamo solo noi, giovani adulti del 2022. Sono stra-convinta che se dovessimo raccontare questa storia a qualche religioso nato negli anni ’20 del secolo scorso: lui ad esempio la troverebbe già molto meno strana. Anzi, quasi quasi provo appena ne ho occasione 😂)
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Elena
Si non avevo valutato la cosa da questo punto di vista grazie…se ti capita chiedi!!! Sarebbe una testimonianza interessante sotto tutti gli aspetti!
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Lucia Graziano
Uh, poi ho chiesto davvero eh!
E, come sospettavo, i religiosi più anziani che ho interpellato non ci trovano niente di particolarmente strano. Cioè, ovviamente non lo farebbero adesso, non si metterebbero a rapire bambini bambini in età scolara alle famiglie 😂, ma trovano perfettamente normale, per quell’epoca, il quadro di un bambino di sette-otto anni che entra in convento, pienamente consenziente, perché egli stesso dichiara di voler esplorare la sua vocazione religiosa. E’ grossomodo quello che avevano fatto anche loro ai tempi, in fin dei conti.
Il “Piccolo Noviziato” in effetti era, in molte famiglie religiose, una sorta di collegio in cui venivano mandati a studiare i bambini che non avrebbero potuto proseguire gli studi nella scuola del paesino (perché magari la scuola dal paesino arrivava solo alla quinta elementare, se non alla terza) e quindi avrebbero comunque dovuto lasciare la casa. Già che c’erano, invece di entrare in un collegio normale, entravano in un Piccolo Noviziato in cui esploravano la possibilità di proseguire poi gli studi in un noviziato vero e proprio avviandosi verso una vita religiosa. Ovviamente, se poi decidevano di no erano liberi di tornare a casa senza impegno.
Ovviamente adesso a noi fa molto strana l’idea di mandare in noviziato un bambino di dieci anni, ma fino a qualche decennio fa era assolutamente la norma. Insomma, i miei religiosi anziani non si stupiscono nel leggere la storia di Francesco, inserendola nel contesto dell’epoca 🙂
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Elena
Capisco, grazie Lucia 🙂🙂
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