Di quando erano i maschi a sentire l’ansia della prova costume

C’erano una volta, circa cent’anni fa, i primi costumi da bagno della Storia.

Non è che la gente avesse aspettato gli anni ’20 per cominciare ad andare in spiaggia, naturalmente. Per quanto le località balneari fossero molto diverse da come le conosciamo oggi (nessuno passava ore a rosolarsi sotto il sole, e persino le immersioni in acqua erano molto brevi e sbrigative), era da almeno un secolo che le famiglie con buona disponibilità economica si godevano periodicamente villeggiature sulla costa, soggiornando in appositi alberghi che erano sorti in riva al mare per rispondere alle esigenze di quella crescente massa di turisti.

Il fatto è che i turisti che andavano al mare non avevano l’abitudine di indossare costumi da bagno. Si immergevano in acqua (per pochi minuti, e tendenzialmente subito prima di far ritorno in albergo) indossando abiti che erano sostanzialmente identici ai vestiti utilizzati nella vita di ogni giorno. Per ovvie ragioni, la stoffa era rigorosamente di colore scuro (a differenza di quanto accadeva coi vestiti chiari che venivano tradizionalmente usati in vacanza); per ragioni altrettanto ovvie, gli abiti da bagno per signore includevano sempre dei lunghi calzoncini, che spesso permettevano alle gonne di accorciarsi, per agevolare i movimenti in acqua.

Moda mare per l’estate 1879

Ma si trattava appunto di abiti da bagno, che miravano a portare sul bagnasciuga quello stesso stile composto ed elegante che i villeggianti amavano sfoggiare nella vita di ogni giorno. Di costumi da bagno propriamente detti, ne esistevano già;  ma erano appannaggio dei nuotatori professionisti, cioè degli atleti che gareggiavano in contesti agonistici.

Le atlete della nazionale britannica durante le Olimpiadi del 1912

Contrariamente a quanto si potrebbe immaginare, queste succinte tenute agonistiche non erano criticate per il quantitativo di pelle che lasciavano scoperta (era chiaro a tutti che un atleta ha valide ragioni per dover gareggiare mezzo nudo); semplicemente, erano considerate un abbigliamento professionale che non aveva senso indossare se non si era atleti in gara. Un villeggiante che avesse indossato un costume da bagno per sguazzare qualche minuto nell’acqua bassa si sarebbe meritato le stesse occhiate che si guadagnerebbe oggi un ciclista amatoriale che avesse l’abitudine di pedalare quieto per le vie della città sfoggiando la tutina aderente alla Pantani.

In una cartolina d’epoca, l’evoluzione della moda mare di inizio Novecento

Tutto cambiò improvvisamente negli anni ’20, quando nelle località costiere cominciarono a essere avvistati degli abiti da bagno che, pur non ricalcando le forme dei costumi agonistici, erano immediatamente riconoscibili come abbigliamento da spiaggia, da utilizzare solo in quel contesto.

Fu una rivoluzione che interessò innanzi tutto i tessuti: entro gli anni ’20, esistevano già dei maglifici specializzati che lavoravano delle lane trattate appositamente per non infeltrirsi in acqua – e per evitare scenari come questo:

Ma, ovviamente, fu una rivoluzione che interessò anche l’estetica, i modelli, lo stile.
Seguendo quella fascinazione tipica degli anni ’20 per un corpo femminile senza curve e dall’aspetto androgino, i produttori di costumi da bagno cominciarono a commercializzare dei capi sostanzialmente unisex: uomini, donne e bambini indossavano quello che – di fatto – era lo stesso modello. Una cinta vezzosa, stoffe colorate o qualche passamaneria decorativa erano tutto ciò che gli stilisti sembravano essere pronti a concedere alla vanità femminile, in quegli anni.  

Bagnanti ambosessi nelle spiagge degli anni ’20

E, a dirla tutta, le donne se lo fecero andar bene.
Sorprendentemente, furono i maschi a cominciare a scalpitare per potersi scoprire sempre più: lo fecero, in teoria, per ragioni mediche, diventando improvvisamente accesi sostenitori di quell’elioterapia che all’epoca andava per la maggiore. Le riviste erano piene di articoli in cui si decantavano i benefici effetti dei raggi solari, e gli stabilimenti balneari si stavano adattando alla nuova moda cominciando a riempirsi di lettini e sedie a sdraio per tutti i villeggianti desiderosi di massimizzare la loro esposizione al sole.

E a proprio al fine di aumentare quanto più possibile i centimetri di pelle scoperta (“il sole fa bene, è per la salute!”) i costumi da bagno cominciano a subire un graduale ma percettibile restringimento. I pantaloncini maschili e femminili si accorciarono visibilmente di stagione in stagione. La scollatura si abbassò un tantinello; le schiene, invece, si scoprirono del tutto. Tagli, spacchi e feritoie cominciarono a decorare i costumi maschili e femminili; ma se l’abbigliamento per signore non osò mai restringersi oltre i limiti della decenza, non lo stesso si poté dire riguardo alle tenute dei galantuomini.
Vale a dire: negli anni ’20, nessuna donna sana di mente si sarebbe mai sognata di andare in spiaggia a seno nudo; gli uomini, invece, cominciarono a sentire l’improvviso bisogno di scoprire anche il petto (“è per fare elioterapia!”).

Un costume che è un vero toccasana per la salute!

In effetti, il petto maschile non era mai stato considerato una zona erogena, e non era inconsueto vedere contadini che lavoravano nei campi a torso nudo. Dunque, quale regola morale avrebbe dovuto impedire ai vacanzieri di fare altrettanto durante il soggiorno al mare, permettendo al loro corpo di ritemprarsi al massimo grado grazie ai benefici raggi solari?

Nel dubbio, gli uomini cominciarono a scoprirsi la schiena

I custodi della morale pubblica, in effetti, non profusero molto impegno nel contrastare questa nuova moda. Non mi risulta le varie Chiese si siano scandalizzate particolarmente all’idea di un uomo che andava in spiaggia a petto scoperto (del resto, erano molti i lavoratori manovali che, nei mesi caldi, lavoravano a torso nudo, e nessuno aveva mai ritenuto che la cosa fosse particolarmente scandalosa dal punto di vista morale).

Anche perché, se l’alternativa è questa…

A scandalizzarsi furono, più che altro, i maestri d’eleganza, le madri di famiglia attente all’etichetta, i proprietari degli stabilimenti balneari. “NO GORILLAS ON OUR BEACHES” recitavano ironicamente dei cartelli affissi in numerose località costiere degli Stati Uniti, dando voce all’irritazione degli imprenditori che non sopportavano l’idea di vedere uomini in mutande nei loro lidi a cinque stelle. In Australia, furono emanate infinite ordinanze per impedire ai turisti di andare in spiaggia a torso nudo (ma non sempre i proprietari di stabilimenti balneari furono disposti a respingere i clienti poco vestiti). Nella Riviera francese, dove erano direttamente le forze dell’ordine a far sloggiare i villeggianti in tenuta indecente, i vacanzieri avevano cercato un compromesso indossando costumi a due pezzi composti da pantaloncini in stoffa e da una canotta confezionata con rete da pesca, che ovviamente lasciava ben poco all’immaginazione.

Qualche coraggioso bagnante a torso nudo comincia a fare capolino nella Viareggio degli anni ’20

La chicca che non avremmo mai immaginato di leggere, e che eppure è vera?
Incredibile ma vero: furono i maschi i primi individui della Storia a sperimentare davvero l’ansia di doversi guardare allo specchio in vista della temutissima prova costume.

Forse per sdoganare queste nuove tenute ed evitare reprimende da parte dei religiosi, gli stilisti e i giornalisti di moda insistettero molto nel sottolineare che i pantaloncini da bagno sono sexy solamente se vengono indossati da uomini prestanti in piena forma fisica (in caso contrario, fanno semmai l’effetto opposto). Se un uomo con la panza e il petto villoso decide di uscire di casa indossando solo le braghette, è chiaro che lo fa per ragioni puramente sanitarie dettate dal suo desiderio di beneficiare dell’elioterapia: di certo non sta cercando di cuccare in spiaggia (anzi, semmai si fa terra bruciata attorno); quindi non c’è proprio niente da criticare. La morale è salva!

Vacanzieri mezzi nudi e nudi per tre quarti sotto lo sguardo giudicante delle signore, in una stampa del 1937

Non sorprendentemente, l’essere bombardati da affermazioni di questo tipo non fece un granché per aiutare l’autostima dei giovanotti anni ’20. Anche perché, a voler essere obiettivi, gli impietosi stilisti avevano ragione: oggettivamente, andare in giro in mutande non aiuta un granché a mascherare tutte quelle caratteristiche fisiche che uno potrebbe non voler mettere in mostra.

E di uomini con questo fisico (così come in una pubblicità di metà anni ’30) non ne esistono poi moltissimi, in natura

A farsi problemi, non erano solamente quei maschi che non potevano vantare un addome scolpito: più in generale, fino a quel momento, il sex appeal virile era stato espresso mediante completi giacca e cravatta, che restituivano del corpo maschile una immagine non meno artificiosa rispetto a quella donata alle donne dall’apparato di corsetti e crinoline.
Costretti a mettere in bella mostra polpacci storti e un po’ rachitici, gli uomini rimpiangevano i loro bei pantaloni sartoriali che cadevano dritti fino alle scarpe, dando l’illusione di gambe dritte e statuarie. Il taglio delle giacche maschili, studiato per allargare visivamente le spalle, faceva sembrare forti e possenti anche quegli uomini mingherlini che, guardandosi allo specchio, si vedevano le braccia di un ragazzetto. La peluria creava altri mille grattacapi: depilarsi il petto era roba da donnicciole, ma nessuno aveva piacere di sfoggiare un corpo più villoso di quello di una scimmia. E non parliamo poi del fatto che le mutande da bagno erano letteralmente mutande, oltretutto confezionate in lanetta leggera che, bagnandosi, aderiva impietosamente al corpo. I bermuda si sarebbero diffusi nel dopoguerra, accolti con entusiasmo da tutti quegli uomini che invocavano un po’ più di decenza in spiaggia; fino a quel momento, i costumi più pudichi erano quelli a vita alta che coprivano la pancia… ma diciamo che i rotolini di lardo non erano esattamente il primo problema del giovanotto che usciva dall’acqua sentendosi tutti gli occhi femminili addosso.

E quanto a standard di bellezza irraggiungibili, diciamo che non stavano messi male nemmeno all’epoca

Si parla poco di questi patemi d’animo al maschile, che del resto furono di breve durata: entro la fine degli anni ’30, la rivoluzione del costume s’era ormai compiuta e l’intera totalità degli uomini in vacanza scendeva tranquillamente in spiaggia a torso nudo, finendo pian piano con lo sdoganare petti villosi, panze de fora, gambucce storte e rotolini lardosi. Quando la moda è così diffusa da diventare quotidianità, anche gli osservatori più impietosi iniziano a guardare al fenomeno con molta più indulgenza.  

E poi, ovviamente, furono le mode muliebri a cambiare radicalmente con l’avvento del bikini, esponendo il corpo femminile a tutti quegli sguardi giudicanti che, qualche decennio prima, avevano impensierito gli uomini. Ma la Storia ci insegna che, una volta tanto, non furono le donne le uniche vittime del giudizio altrui: una curiosità sorprendente, se vogliamo; forsanche consolante, direbbe qualcheduno.


Per approfondire: The Swimsuit. Fashion from Poolside to Catwalk di Christine Schmidt (edizioni Berg, 2012)

5 risposte a "Di quando erano i maschi a sentire l’ansia della prova costume"

  1. Elena

    Cari uomini, dovrebbero tenere bene a mente questo retaggio del loro passato!
    Ma sbaglio o i costumi delle atlete inglesi nel 1912 sono piuttosto trasparenti?? 🫣 Non avrei mai potuto nemmeno pensare ad una cosa del genere 😳 , articolo molto interessante grazie.

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    1. Lucia Graziano

      Sì, erano parecchio trasparenti: se clicchi sulla foto per ingrandirla, si vede proprio 😐
      Più che “trasparenti”, penso che il problema fosse anche e soprattutto che erano di stoffa leggera, che ovviamente aderisce al corpo senza pietà quando si bagna, evidenziando tutto. E poi sì, uno era proprio decisamente trasparente 😂
      E dire che è una foto scattata ad atlete olimpiche, erano chiaramente il meglio di quanto potesse offrire il mercato all’epoca.

      Comunque sì, davvero sono cose che uno non si potrebbe nemmeno immaginare. Si fa tanto parlare, in questi ultimi anni, di Storia “al femminile” (che interesse anche a me, beninteso), ma mi sto appassionando sempre di più alla Storia culturale degli uomini. Davvero emergono storie che uno non si immaginerebbe proprio.

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  2. Ago86

    “E di uomini con questo fisico (così come in una pubblicità di metà anni ’30) non ne esistono poi moltissimi, in natura” non dovrebbe essere la didascalia di una foto? Non riesco a visualizzarla, non so se gli altri lettori la vedono.

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