Perché il vestito bianco è diventato un must del guardaroba estivo?

Probabilmente mi risponderete citando la teoria per cui i colori chiari, d’estate, tengono più fresco grazie alla loro capacità di riflettere e rispedire al mittente il calore dei raggi solari. Con la premessa che io non me ne intendo e che mi limito a citare ciò che ho letto in giro, pare che in realtà questa storia sia una mezza bufala, la cui smentita si basa su argomentazioni che penso di poter sintetizzare come segue: sarà pur vero che i vestiti chiari rimandano al mittente il calore dell’ambiente esterno… ma fanno altrettanto con il calore che arriva dall’altro lato, cioè dal nostro corpo, che con i suoi 37 gradi non è che sia propriamente fresco. Intonacare di bianco le pareti esterne delle case può effettivamente portare benefici, ma coprire il proprio corpo con una stoffa bianca non fa poi chissà quale grande differenza.
Eppure, non so per voi, ma per me (e per tutte le riviste di moda…) il Vestito Estivo per eccellenza è sempre lui: un abitino di cotone bianco, svolazzante, leggero e arioso.
Ma perché?

Voglio dire: se non è vero che il bianco è particolarmente efficace nel tenerci al fresco, perché ci vestiamo proprio col colore della neve, e non – che ne so – con l’azzurro chiaro delle acque?
In effetti, un “perché” esiste… e a ben vedere è lo stesso per cui sono bianchi i vestiti da sposa.

***

Occorrerà partire da lontano e dire, innanzi tutto, che la consuetudine di indossare abiti bianchi nasce in epoche recenti.
Non per altro: è che, fino a un paio di secoli fa, le stoffe di colore chiaro non riuscivano mai a raggiungere quel bianco ottico che noi conosciamo adesso. Tutt’al più si arrivava un begiolino o un grigino chiaro, due tonalità che di certo non hanno lo stanno fascino. Bisognerà aspettare il 1784 per avere la Grande Svolta: in quell’anno, il chimico francese Claude Louis Berthollet diventa direttore delle manifatture tessili Gobelins e lì ha una idea che contribuirà a rivoluzionare la storia della moda. Il nostro amico inventa la candeggina (o, come la chiamava lui, l’Eau de Favel. Ché i Francesi amano darsi delle arie).

E mettiamola così: la candeggina funziona piuttosto bene nelle operazioni di candeggio dei tessuti. Quella di Berthollet è una innovazione non da poco, che arriva oltretutto nel momento giusto: in Europa è esplosa la moda del Neoclassicismo, con il suo apprezzamento per i colori chiari che caratterizzano le antiche statue in marmo. Winckelmann era addirittura arrivato a scrivere che “poiché il colore bianco è quello che rimanda più raggi di luce, di conseguenza è quello che si fa più sensibile; così, un corpo bello lo sarà ancor di più nella misura in cui sarà bianco”.
Winckelmann, evidentemente, non aveva la più pallida idea di quello che può succedere a un corpo femminile anche solo un filo sovrappeso quando scivola in un ambito color bianco stile impero, ma sta di fatto che l’abito bianco stile impero diventa il must nel guardaroba d’ogni signora d’alta classe. Simbolicamente, si intravvedeva pure una compiaciuta associazione di tipo intellettuale tra il candore del vestito e la purezza morale di una società post-rivoluzionaria che, non a caso, si vantava di aver sconfitto con la sua raggiante luce le tenebre che avevano così a lungo avvolto il mondo.

Col crollo dell’impero napoleonico, la Restaurazione fece tornare di moda forme e stili d’abbigliamento più antiquati, mettendo fine a quell’invasione di biancume che per qualche decennio aveva candeggiato ogni sala da ballo europea…
…eppure, il bianco non scompare dal mondo della moda. Anzi: rimane impresso nel gusto estetico, assumendo tuttavia una sfumatura completamente diversa da quella che gli Illuministi avevano sognato di potergli dare. Da colore post-rivoluzionario, diventa il colore dell’élite.

Perché… diciamolo: con o senza la candeggina, un abito bianco è difficile da mantenere nel tempo. Su una stoffa chiara, risalta ogni minima macchietta. Gli aloni di sudore sono all’agguato dietro l’angolo; le macchie di fango raccattate lungo la strada rischiano di rovinare la gonna irrimediabilmente. Il bianco non perdona, perché qualsiasi difetto che il tempo andrà a creare sulla stoffa risalterà vistosamente. Solo un idiota sceglie di investire i suoi soldi in un vestito bianco, in un’epoca in cui le lavatrici non esistono.

Solo un idiota… o solo chi ha soldi da buttare, per la precisione.
Ecco che l’abito di colore bianco comincia a diventare uno status symbol per dichiarare al mondo “io sono ricco e me ne vanto. Io ho così tanti soldi da buttare che li spendo in un abito stiloso, incurante del fatto che, probabilmente, tra un paio d’anni sarà da buttare. Son talmente ricco che per me non è un problema”.

Nasce così la consuetudine di vestire la propria figlia con un lussuoso abito bianco nel momento in cui la si accompagna all’altare: il candore del velo non c’entra affatto con la verginità, come spiegavo più diffusamente in questo articolo, ma c’entra molto con la volontà di sfoggiare, in quel frangente, tutta la propria ricchezza familiare.

La stessa identica linea di pensiero rende popolare la consuetudine di indossare abiti bianchi durante i mesi estivi – o, per meglio dire: durante le vacanze estive.

Nel corso dell’Ottocento, il turismo comincia a diffondersi… fermo restando che quello ottocentesco era decisamente un turismo d’élite. Nella stragrande maggioranza dei casi, i turisti erano aristocratici o ricchi imprenditori, gli unici a potersi permettere lunghe villeggiature nella tenuta di campagna (o nel lussuoso hotel vista mare).
“Campagna” e “mare”: le mete più ambite per l’epoca avevano un unico comun denominatore – quello di essere lontane dalla città. E cioè lontane dall’inquinamento, dalla fuliggine onnipresente, dai camini delle prime industrie che eruttavano fumo. Inoltre – lo sa – nelle località di vacanza c’è meno traffico (il che vuol dire meno cacche di cavallo sulla strada…). Se poi è estate, c’è anche meno fango. Di sicuro non c’è un caminetto acceso nel salone, che affumica lentamente tutto quello che gli sta attorno.

Insomma, l’estate, o per meglio dire la vacanza estiva, si distingue dalla vita in città per una caratteristica fondamentale – è più pulita.
E dunque è l’occasione perfetta per poter sfoggiare quei vestitini candidi – che, da un lato, ostentano la tua ricchezza; dall’altra, hanno comunque qualche chance di essere utilizzati in un ambiente decentemente pulito, senza che fango ed escrementi ne attentino costantemente all’integrità.

Finiti i mesi più caldi, ricominciata la stagione delle piogge e terminata la quiete della villeggiatura estiva, i vestiti di colore chiaro sarebbero stati riposti nell’armadio, spesso senza nemmeno ritornare nella casa di città. Il guardaroba della tenuta di campagna sarebbe stato perfetto per conservarli fino all’utilizzo venturo, a distanza di nove mesi, nella nuova villeggiatura estiva.

I secoli sono passati, tante mode sono cambiate… ma questa, effettivamente, resiste con tenacia. E il bianco rimane il colore del Vestito Estivo per eccellenza: romantico, arioso, chic. Se poi abbiamo anche l’impressione che ci tenga fresco… tanto meglio.

6 risposte a "Perché il vestito bianco è diventato un must del guardaroba estivo?"

  1. Claudia

    Adoro i vestiti bianchi, ma no ho mai avuto il coraggio di metterne uno. Ho paura che si sporchi, che attiri troppo l’attenzione….che non c’entri nulla con la verginità almeno per me era chiaro. Mia madre mi raccontava che ai suoi tempi, quando le ragazze erano di norma illibate al momento del matrimonio spesso ci si spostava co il tailleur, perché era un capo riutilizzabile (il concetto di usa e getta era lontano anni luce). Mia nonna si sposò con un abito grigio perla (in quel periodo considerato il colore più chic). È come dici tu per imitare le ricche spose (vedere alla voce matrimoni reali) che dopo il boom economico si è diffusa l’usanza del bianco.
    P.s. ho comprato il libro “siete pazzi ad indossarlo” e lo sto leggendo con molto interesse. La sovrapproduzione di abiti è palese, pensa che oltre alla mia parrocchia che non prende più vestiti anche il mercatino dell’usato che frequento ed accetta oggetti usati in conto vendita mi ha chiesto di non portare più vestiti perché ne portano troppi!

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    1. Lucia

      Rispondo con esattamente un anno di ritardo 🤣 ma meglio tardi che mai…

      In effetti, anche le mie nonne si sono sposate con tailleur che hanno poi riutilizzato in lungo e in largo, al punto di gettarli via col passar degli anni perché l’uso li aveva usurati. Mia nonna paterna si era sposata con un completo di un delizioso azzurro polvere di cui mia zia conserva ancora il cappello. La mia nonna materna aveva un vestito di un color grigio chiaro, credo, anche se purtroppo non se ne è conservato niente.

      Detto ciò: non amo affatto i vestiti da sposa di colore bianco (e infatti io non l’ho voluto di quel colore!) ma i vestiti bianchi estivi mi piacciono un sacco 🙂 Quando ero ragazzina li usavo costantemente; ora come ora ne ho solamente uno: preferisco in effetti dei vestiti bianchi, ma non completamente in tinta unita. Trovo che aiuti a “spezzare” un po’ e a non fare quell’effetto “bimba” che ormai potrebbe essere un po’ stucchevole.

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  3. Umberta Mesina

    Una volta lessi in un libro di fisica che in realtà i vestiti più freschi sono le tuniche di lana scura dei beduini, perché ci si crea sotto (tra stoffa e corpo) una corrente convettiva che porta via il calore corporeo. Non ho mai avuto modo di provare, però.

    Scusa, Lucia, a proposito di leggende metropolitane, mi sapresti dire qualcosa su quella per cui nei venerdì cattolici si mangiava pesce perché il Papa voleva sostenere economicamente i pescatori di Roma? Non ho mai sentito una spiegazione meno sensata e più iniqua; mia madre però me la spaccia da decenni perché mio nonno l’aveva letta in non so che libro o rivista. Grazie!

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