Guðmundur, il sacralizzatore delle acque

Guðmundur Arason sapeva fare una cosa, nella vita: benedire l’acqua santa con insolita efficacia. Persino la Madonna s’era scomodata per dar conferma della cosa a un tale che pareva un po’ scettico sulla questione; apparendogli in visione, la Vergine Maria aveva assicurato che in effetti sì: l’acqua benedetta che era stata benedetta da Guðmundur era un po’ più benedetta delle altre.

E già questo, direi, potrebbe costituire un pesante indizio circa i motivi per cui Guðmundur Arason non fu mai canonizzato, nonostante la fama di santità che l’accompagnò in vita e nelle decadi immediatamente successive alla sua morte. Nato come figlio illegittimo nel 1161 in una situazione familiare a dir poco problematica, Guðmundur scalò velocemente tutte le tappe della carriera ecclesiastica: nel 1203 era diventato il vescovo più influente di tutta l’Islanda; un ruolo che finì anche col porlo in conflitto con alcuni dei nobili del luogo e che lo costrinse, in un paio d’occasioni, ad allontanarsi dall’isola per avere salva la vita rifugiandosi per qualche tempo in terre più sicure.

In virtù dei suoi grattacapi politici e della sua levatura morale, Guðmundur fu frequentemente accostato alla figura di Thomas Becket. Quando era ancora in vita.
Il problema è che, non appena Guðmundur morì (di vecchiaia) la devozione popolare sorta attorno a lui prese goffamente forma nella Guðmundar saga, un’epopea piena zeppa di elementi leggendari… che è sicuramente molto godibile se siete alla ricerca di un bel fantasy ma che, onestamente, è una lettura abbastanza imbarazzante per chiunque ci si approcci nell’ingenua speranza di poter ottenere informazioni anche solo vagamente attendibili riguardo la figura del santo vescovo. E insomma – forse per questo motivo, forse perché aveva pestato i piedi a un po’ troppa gente importante, forse (più banalmente) perché l’isolamento dell’Islanda non rendeva molto agevoli le frequenti comunicazioni con la Santa Sede che sarebbero state necessarie per avviare il processo di canonizzazione: fatto sta che il nostro amico non fu mai dichiarato santo.

Meglio così, quantomeno ai miei fini: sarà più facile ironizzare sulla sua instancabile attività di indefesso sacralizzatore di acque benedette.

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Intendiamoci: benedire l’acqua per creare acqua santa è ancor oggi una delle attività che i sacerdoti svolgono di routine; sicché, il fatto che Guðmundur Arason ci desse dentro con questo tipo d’attività non è, in sé e per sé, una cosa che debba stupirci particolarmente.
Certo: l’acqua santa made by Guðmundur aveva la fama di essere così potentemente miracolosa che molti fedeli se ne portavano a casa interi bottiglioni, pronti per poter essere usati in caso di bisogno. O anche solo per annaffiare i campi, come assicurano le fonti. E questo, diciamolo pure, non era normalissimo neppure per i disinvolti canoni del cattolicesimo medievale.
Certo: era a dir poco anomalo che la Madonna in persona si scomodasse per certificare la qualità deluxe delle sue benedizioni; ed era a dir poco imbarazzante che le agiografie del brav’uomo fossero piene di episodi in cui vescovi concorrenti si dimostravano del tutto incapaci di mettere a buon frutto la loro acqua santa, mentre invece bastavano poche gocce del liquido benedetto da Guðmundur per spegnere incendi, curare malattie e discacciare demoni. Ma le anomalie non finiscono qui: ché, a quanto pare, bastava il semplice contatto col corpo di Guðmundur per irraggiare il liquido della sua potentissima aura di santità.

Poche gocce dell’acqua con cui lui sciacquava le dita dopo aver consacrato l’ostia durante la Messa bastavano a far nascere palmizi vivi e lussureggianti a partire dai rametti che venivano distribuiti ai fedeli nella Domenica delle Palme. E siamo in Islanda, eh.
L’acqua con cui il santo vescovo si lavava le mani al solo scopo di pulirsele veniva messa da parte e custodita gelosamente, perché ne bastava una singola spruzzata per curare le più perniciose di tutte le malattie.
Ma non solo: il nostro amico (avendo evidentemente compreso, a un certo punto della sua vita, che quello che aveva tra le mani era un vero e proprio superpotere, che presumibilmente valeva la pena di mettere a frutto) sviluppò col passar degli anni una specie di ossessione che lo indusse a benedire qualsiasi polla d’acqua che gli capitasse anche solo di intravvedere di lontano. Rivi, laghi, costiere, ruscelletti, pozzanghere ai lati della strada e così via dicendo: Guðmundur esercitò questo suo speciale ministero in tutti luoghi e in tutti laghi d’Islanda. O quantomeno, in una buona parte d’essi: il geologo Árni Hjartarson, curando un’indagine su tutte le polle d’acqua attorno alle quali ruotano leggende variamente collegate alle attività di Guðmundur, ne ha recentemente censite duecentotrenta, la maggior parte delle quali porta ancora nel nome un richiamo esplicito al vescovo medievale.

Se, oltre alla toponomastica, sia rimasta in quelle acque anche qualche traccia della loro passata miracolosità: beh, questo sarebbe interessante da appurare, visto che le benedizioni di Guðmundur infondevano loro dei poteri niente male. In un’occasione, non appena il vescovo stese la sua mano su lago, le sue acque si incresparono cominciando a brulicare di migliaia e migliaia di pesci che sfamarono per mesi interi un gruppetto di attoniti pescatori. In un’altra occasione, una comitiva d’amici ebbe modo di sperimentare a sue spese che, dopo qualche anno di matrimonio, alle vergini savie passa la voglia di correr dietro ai disastri causati da mariti mai cresciuti: allontanatisi per un’allegra scampagnata e per un pomeriggio di giochi, gli uomini si resero conto a un certo punto d’esser rimasti senza olio per le lampade. Uno di loro tornò a casa per chiedere alla moglie di fornirgliene nuove scorte, ma le dieci donne si coalizzarono per un secco “no” globale: si arrangiassero e imparassero una buona volta a organizzarsi la vita, quegli sprovveduti. Stessero al buio.
Sciaguratamente, la benevolenza di Guðmundur andò a vanificare l’intento pedagogico di quelle mogli ribelli: ché (con le lampade ormai ridotte a un lumicino), gli uomini ebbero l’idea di provare a riempire le loro lanterne con un po’ dell’acqua del lago presso cui si trovavano, e che era stato in passato benedetto dal santo vescovo. Miracolo dei miracoli, non appena fu versata nelle lampade l’acqua andò a fuoco bruciando ancor meglio dell’olio: e mille altri prodigi di tal fatta furono raccontati a proposito del santo vescovo, nella saga che la sua fanbase volle dedicargli.

Il problema è che, quando s’esagera, si finisce col perdere di credibilità; e Guðmundur – diciamolo pure – s’era allargato un po’ troppo, con questi suoi miracoli eccessivamente miracolosi. Stando a quanto riporta l’agiografia, la sua indefessa attività di sacralizzatore d’acque cominciò a causagli qualche grattacapo già quando lui era ancora in vita: il vescovo di Nidaros (attuale Trondheim, in Norvegia; all’epoca, una diocesi potentissima alla quale dovevano far capo tutti i vescovi d’Islanda) avviò una specie di processo inquisitorio per capire meglio di che si trattasse quella strana storia di fonti benedette cui il popolino attribuiva poteri fuori dal normale.

In punta di diritto, l’accusa mossa a Guðmundur fu quella di aver svolto riti che non erano stati formalmente autorizzati e non erano presenti nel benedizionale: effettivamente, all’epoca, non esisteva la formula per una benedizione da impartire genericamente alla prima polla d’acqua in cui ci si imbatteva passeggiando (così a caso, solo perché a guardarla ti veniva l’uggia). Certamente era possibile benedire l’acqua da versare nelle acquasantiere: ma rivi, stagni e laghi? Formalmente, no: quella era una cosa che non poteva essere fatta a meno di non avere un valido motivo.
Guðmundur – leggiamo nell’agiografia – replicò osservando che uno dei validi motivi che permettevano ai sacerdoti di benedire l’acqua già presente in natura era la necessità di purificare polle e sorgenti alle quali fosse accaduto qualcosa di spiacevole: l’esempio di scuola era quello d’un rivo d’acqua nel quale fossero stati rinvenuti cadaveri o carcasse. A onor del vero, in questo caso è piuttosto evidente che la Chiesa suggerisse di benedire quell’acqua “sporca” per ragioni prettamente sanitarie: una carcassa in via di decomposizione in mezzo alla falda acquifera che alimenta tutti i pozzi della zona è un pericolo serio che espone al rischio di mille malattie. In assenza di un purificatore, evidentemente non sembrava una cattiva idea accendere un cero alla Madonna e invocare tutti i santi del Paradiso nella speranza che il Cielo la mandasse buona, come si suol dire: ma Guðmundur, astutamente, rigirò a suo vantaggio questa concessione, osservando che prima o poi, a un certo punto della Storia, sicuramente qualche animale era morto per davvero nelle acque che lui via via andava benedicendo. E, non potendo avere la certezza morale che i suoi predecessori avessero già provveduto a purificarle con una preghiera di riparazione, lui si sentiva perfettamente nel giusto performando quella indefessa serie di benedizioni.

L’inusitata miracolosità delle acque che subivano questo trattamento? Beh: quella, chiaramente, non era colpa sua; evidentemente era Dio che aveva scelto di operare prodigi per suo tramite, e per chissà quale sua insondabile ragione. E, del resto, come avrebbe potuto il buon vescovo fermarsi e ostacolare i piani dell’Onnipotente?

E così – dice l’agiografia – Guðmundur ottenne dal suo superiore il permesso speciale per continuare ad amministrare all’acqua tutte le benedizioni che desiderava; e lo fece con passione, fino alla fine dei suoi giorni, dedicando a questa attività una buona parte delle sue giornate. Come accennavo poco fa, un recente studio ha da poco censito in Islanda duecentotrenta polle o sorgenti acquifere direttamente collegate all’attività del santo – la lingua locale ha addirittura un termine per definirle: Gvendarbrunnar; letteralmente, “sorgente di Guðmundur”.

E, se qualcuno di voi stesse progettando un viaggio in Islanda, potrà forse sorridere nello scoprire che imbottigliare un po’ dell’acqua santa benedetta da Guðmundur è una operazione davvero alla portata tutti. L’acquedotto di Reykjavík attinge le sue scorte d’acqua da una Gvendarbrunnar situata a Heiðmörk, a pochi chilometri di distanza: se volessimo prestar fede alla leggenda, dovremmo dedurne che, letteralmente, basterebbe aprire il rubinetto per venire inondati da un getto continuo di gocce miracolose. Chissà se la gente di Reykjavík è consapevole di poter vantare questa insolita fortuna?


Per approfondire: Sacred Waters. A Cross-Cultural Compendium of Hallowed Springs and Holy Wells, a cura di Celeste Ray (Taylor and Francis, 2020). Il capitolo 18, interamente dedicato alle Grendarbrunnar islandesi, è stato curato da Margaret Jean Cormack.

2 risposte a "Guðmundur, il sacralizzatore delle acque"

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