I Santi e la virtù eroica. Pregasi definire “eroica”.

“Virtù eroica”.
Che la posseggano i santi, è cosa nota; ma cosa sia concretamente, è forse qualcosa di più difficile da definire.
Voglio dire: “eroico” è un termine impegnativo. “Eroico” fa venire in mente Superman, gli eroi di guerra, la gente che volontariamente ci lascia la pelle immolandosi per una causa… “eroico” è qualcosa di eccezionale, di straordinario, di così impressionante da far venire la pelle d’oca.
Talvolta, leggendo articoli che parlano di castità, mi capita di leggere persone che incoraggiano i fidanzati nella loro scelta elogiando “la pratica eroica della castità che queste giovani coppie portano avanti”. Se devo essere sincera, mi fa un po’ ridere: capisco il senso dell’affermazione, ma fatico a definire “eroica” una persona che vive tranquillamente nella bambagia, e, bontà sua, evita di commettere peccati mortali.
Lodevolissima cosa, eh; ma io la definirei “fare il minimo sindacale”, mica “portare avanti una scelta eroica”.
Il fatto è che “eroico” è un termine strano, forte; una parola che, a cercala sul dizionario, rimanda a un concetto ben preciso. “Eroico”, in senso stretto, è il cavaliere coraggioso senza macchia né paura.
Ma allora, cosa vuol dire che i santi hanno una “virtù eroica”?

***

Pare che la “colpa” sia di san Tommaso. Un bel giorno, l’Aquinate, leggendo l’Etica Nicomachea, fu colpito da un passo in cui Aristotele cita il compianto di Priamo sul cadavere del figlio. A detta del genitore, il defunto Ettore era stato un uomo “così virtuoso che non crederesti che fosse stato generato da un padre mortale – ma lo penseresti piuttosto della stessa natura degli dei”.
Evidentemente, a san Tommaso dovette piacere molto questa immagine, perché fu proprio riferendosi a questo brano che parlò per la prima volta di “virtù eroica”, definendola “la straordinaria perfezione della parte ragionevole dell’anima” e “una disposizione verso il bene più alta del comune”.

E fin lì, uno avrebbe potuto prendere atto e andare tranquillamente avanti per la propria strada.
In effetti, il concetto di “virtù eroica” comincia a intrecciarsi strettamente con il concetto di “santità” solo nel 1602, quando il Collegio dei Teologi di Salamanca indirizza a Clemente VIII una petizione per ottenere la canonizzazione di santa Teresa d’Avila. La religiosa – argomentano i teologi, rifacendosi all’Aquinate – non era solamente una pia donna come tanti: era uno spirito veramente fuori dal comune, che aveva portato ad un livello eroico la pratica delle virtù cristiane!
Questo concetto, evidentemente, piace molto in Vaticano: circa trent’anni dopo, nel 1629, Urbano VIII sarà il primo papa ad utilizzare il termine “virtù eroiche” in una forma ufficiale. Da lì in poi, è storia nota: il concetto entrerà a tutti gli effetti nei processi di canonizzazione, diventando requisito indispensabile di cui tenere conto prima di prendere una decisione.

Santa Sede in visibilio per questa novità delle “virtù eroiche” dei santi?
Beh, non c’è di che stupirsi: in fin dei conti, siamo in piena epoca post-tridentina – e, fra le altre cose, la riforma cattolica aveva anche cercato di correggere alcuni eccessi che, nel corso del Medio Evo, avevano caratterizzato il culto dei santi. Quelle agiografie medievali che piacciono tanto a me, tutte fatte di taumaturgia e visioni mistiche e miracoli eclatanti e profezie da pelle d’oca, erano… beh… agiografie medievali deliziosamente affascinanti, che rischiavano però di focalizzarsi più sugli aspetti folkloristici che su quelli strettamente morali.
Come commenta Ottavia Niccoli ne La vita religiosa nell’Italia moderna, la Chiesa post-tridentina sentiva l’esigenza di proporre ai fedeli

un nuovo modello di santità, in cui l’aspetto taumaturgico e prodigioso della figura del santo veniva decisamente subordinato ad altre caratteristiche che dovevano essere possedute dal personaggio di cui veniva proposta la canonizzazione.
L’elemento etico, dunque la virtù, doveva essere privilegiato; ma, secondo uno schema di origine umanistica e antiriformata, basato sulla fiducia totale nell’ampiezza delle possibilità umane, la virtù doveva essere eroica.

Okay, fantastico: focalizziamoci sugli aspetti etici della vita del santo… ma di nuovo: concretamente, cos’è ‘sta virtù eroica?
“Un esercizio della virtù più alto del comune”, dice san Tommaso, e okay: ma cos’è “il comune”?
Qual è il metro di giudizio? Gli ubriaconi che bestemmiano all’osteria, o i missionari che vanno a morire ammazzati fra gli infedeli?
E se il metro di giudizio è riferito ai missionari morti ammazzati, tutta la pia gente con vite più “normali” deve essere scartata a priori da ogni processo di canonizzazione?

La materia riceverà un assetto definitivo sotto il pontificato di Benedetto XIV (1740 – 1758); però, nel corso dei cent’anni precedenti, ci fu davvero un bel po’ di confusione, sul concetto di “eroismo” nella vita dei santi.
Perché… davvero: cos’è, che è eroico? E ci può essere eroismo, nel monotono tran-tran della vita quotidiana?
La risposta, ovviamente, è “sì” – ma, in un primo tempo, la volontà di cercare “eroismo” a tutti i costi ha dato un bello scossone al concetto stesso di santità. Che, gradualmente, si è allontanato da quello diffuso nel Medio Evo e si è avvicinato sempre più ad uno… non dico “contemporaneo”, ma senza dubbio “tipico dell’età moderna”.

***

Partiamo dall’uomo qualunque. È eroica, la vita di uno che va a zappare nei campi per portare a casa il pane con cui nutrire moglie e figli?
Meh.
Diciamo che, nella chiesa post-tridentina, crescono notevolmente le attenzioni dedicate al “maschio di casa”, considerato il responsabile – come novello San Giuseppe – della crescita umana e spirituale della moglie e dei figli che Dio ha voluto affidargli. Se, nel Medio Evo, la cura dei bambini e della famiglia era perlopiù “una cosa da donne”, nell’età della Controriforma il padre di famiglia diviene il principale responsabile del bene spirituale della sua prole.
È eroico, tutto questo?
Mah. Forse, in alcuni casi, in determinate circostanze…

Parliamo delle donne: c’è dell’eroismo, nella loro vita quotidiana?
Nella concezione medievale, in realtà le donne “comuni” (leggasi: le donne laiche) non diventavano oggetto di venerazione in virtù dei loro sforzi di moglie e madre. Semmai, nel tardo Medio Evo, avevano goduto di grande successo – per citare ancora la Niccoli – le cosiddette

“sante vive”, donne dalla capacità taumaturgiche e profetiche, ascoltate con devota attenzione da una cerchia di discepoli e dai signori delle corti padane che le avevano accolte presso di sé facendosene consigliare.

Visioni mistiche e deliqui, estasi di fronte al Tabernacolo e tremende sofferenze: se, nel Medio Evo, la “donna santa” per eccellenza era vista come una specie di profetessa in terra, divenuta oggetto di eccezionali e specialissime grazie soprannaturali, il concetto di “virtù eroica” muta in gran parte questa visione.
La santità femminile diventa ‘na roba più normale, più regolata. La “donna santa” del Seicento è generalmente una modesta signora casa e chiesa, non una poveraccia con gli occhi spiritati che dichiara di sentire Gesù Cristo che le parla (e vai a capire se sta delirando, se dice il vero… e, nel caso, se davvero sian celesti quelle voci che lei sente). Per contro,

diventa basilare il rapporto tra la donna che aspira ai gradi più alti della vita spirituale e il suo direttore, che vigila su di lei, ne controlla l’ispirazione e ne dirige la vita interiore.

‘nsomma: sostieni di vivere eroicamente la tua condiziona di donna, sposa, e madre? Benissimo: ma lascia che a dirtelo sia il tuo padre spirituale, non l’acclamazione popolare dei tuoi vicini di casa in deliquio.
Il nuovo modello di “santa laica della Controriforma”, è, per capirci, una specie di Lucia Mondella. Siamo molto lontani da quel fiorire di mistiche tardomedievali, tutte piene di piaghe sanguinolente e di deliqui di fronte al Tabernacolo… o, meglio ancora, di entrambe le cose contemporaneamente.

Ma parliamo dei bambini!

Fra Quattro e Cinquecento i fanciulli erano stati interpretati come “voce di Dio” in quanto tramiti assolutamente inconsapevoli e irresponsabili della potenza divina, e quindi portatori innocenti di una violenza che si svelava per essere la violenza punitiva dell’Altissimo.

Quattro parole: San Simonino di Trento.
Ma adesso siamo nella Chiesa post-tridentina, ci viene chiesto di ricercare “virtù eroiche” nella vita degli (aspiranti) santi: è ragionevole pensare che un bambino di pochi anni possa aver praticato, (e praticato in piena consapevolezza), le sue virtù cristiane ad un livello eroico?

Tale possibilità appariva quanto meno dubbia, e l’infanzia diveniva quindi il segno di contraddizione di un’ideologia della santità almeno in parte rinnovata.

Non che, nel pieno Seicento, siano mancate canonizzazioni di santi fanciulli: basta pensare a san Luigi Gonzaga!
Però, si tratta di casi relativamente rari, e comunque vagliati da Roma con estrema puntigliosità. Del resto, si arrivava da un’epoca in cui qualsiasi bambino morto prematuramente “rischiava” di diventare oggetto di venerazione da parte dei compaesani solo perché… “l’aveste visto: era tanto innocente e puro!”, “e alla sciura Geltrude sono guarite le emorroidi dopo aver pensato al fantolino morto!”.
Come dire: con tutto il rispetto per il fantolino morto e per le emorroidi di madonna Geltrude, ma la Santa Sede sentiva di dover procedere coi piedi di piombo.
Poi, se proprio ti trovi di fronte al bambino particolarmente assiduo alla Messa, particolarmente avvezzo al confessionale, particolarmente stimato dal suo direttore spirituale, particolarmente seguito da una famiglia a sua volta “santa”… beh, allora, se ne può parlare. Ma rispetto al Medio Evo, in cui era tutto un fiorire di devozioni locali dedicate a fantolini morti prematuramente, i bambini della Controriforma salgono alla gloria degli altari molto molto più raramente.

E non pensate che ai religiosi della Controriforma sia andata poi così di lusso – ché anche lì, va bene la fuga mundi, ma vogliamo realisticamente paragonare un curato di campagna a una suora missionaria che parte per le lontane Indie col rischio di morire ammazzata?
E infatti, anche dal fronte dei religiosi si assiste a un mutamento del concetto di “santità”, in cui guadagnano posizione i santi martiri morti in missione, facendo parzialmente “perdere terreno” ai religiosi “qualunque”, che hanno vissuto una tranquilla vita di fede nel loro convento o nella loro canonica.

***

Ma insomma: a parte la comprensibile incertezza dei religiosi del Seicento, costretti ad arrabattarsi con un concetto di “santo” che va incontro a profondi cambiamenti.. cos’è concretamente questa virtù eroica ? Un metaforico mantello di Superman che posseggono solo pochi fortunati eletti? Un’attitudine masochistica a rinunciare alla propria vita in circostanze drammatiche?
No, ovviamente.
Un vecchio articolo dell’Osservatore Romano, che ho recuperato online, fa un po’ il punto del dibattito teologico in materia. Rimandandovi qui per ulteriori approfondimenti, provo a riassumere un po’ la situazione: ad esempio, sul finire del ‘600, il cardinale spagnolo Joseph Sáenz de Aguirre definiva “virtù eroica” un miscuglio di:
– osservanza fedele dei comandamenti, anche in circostanze avverse;
– naturale ammirazione dei fedeli che ne consegue;
– qualche miracolo, ad ulteriore conferma della santità di una persona.

Più o meno negli stessi anni, il cardinale Lorenzo Brancati definiva “eroico” colui che compiva il bene con singolare frequenza, con singolare prontezza, con singolare felicità… e con la ferma determinazione di seguire il Vangelo anche a costo di soffrire.
Bastava questo per essere davvero “eroici”? No, secondo Brancati: per essere veramente eroici – e quindi, veramente santi – bisognava eccellere nella pratica di tutte le virtù; nessuna esclusa.

Papa Benedetto XIV aveva a tal proposito una visione un po’ più moderata: poiché non tutti gli uomini hanno la stessa indole, è lecito immaginare che esistano santi i quali – pur vivendo santamente in ogni aspetto della loro vita – eccellono in materia particolare nella pratica di una specifica virtù.

Un numero d’ordine più tardi, Benedetto XV, all’inizio del Novecento, sottolineava come tale pratica sublime delle virtù potesse esplicarsi anche nella vita quotidiana, grazie al costante, paziente e gioioso adempimento dei doveri che caratterizzano il proprio stato. Qualche tempo dopo, Pio XII sottolineava come la virtù eroica dei vari santi si sia esplicata, storicamente, nei modi più disparati: attraverso una vita umile ed operosa; attraverso la muta sopportazione di ingiustizie; attraverso il sacrificio eroico della propria vita a vantaggio degli altri; attraverso la fuga dal mondo per dedicarsi completamente a Dio. Non importa il come, importa il perché – e si aprono di fronte al fedele (religioso o laico che sia) centinaia di strade di santità diverse, tutte collegate dall’unico fil rouge del “sì” al Vangelo.

E poi, beh, ovviamente arriva la Lumen Gentium, che – dando per scontato quello che già tante volte era stato detto sulle virtù eroiche in sé – sottolinea di nuovo quella naturale ed istintiva ammirazione che i fedeli sono soliti provare verso quegli individui che si sono contraddistinti per un “singolare esercizio delle virtù cristiane”.
E badate: ovviamente questa ammirazione popolare non è tirata in ballo perché tutti quanti dobbiamo diventare i groupies di Padre Pio:

il contemplare infatti la vita di coloro che hanno seguito fedelmente Cristo, è un motivo in più per sentirsi spinti a ricercare la città futura; nello stesso tempo impariamo la via sicurissima per la quale, tra le mutevoli cose del mondo e secondo lo stato e la condizione propria di ciascuno, potremo arrivare alla perfetta unione con Cristo, cioè alla santità.

Come dire: scampato pericolo?
A quanto pare, nessuno ci chiede di trasformarci in Superman se vogliamo guadagnarci il Paradiso.
Il che, però, può anche esser letto in senso contrario: proprio perché nessuno ci chiede di trasformarci in Superman… niente ci esime (anche se non siamo superuomini) dal rimboccarci le maniche – qui, sull’istante! – per svolgere al meglio i compiti che ci sono stati affidati.
Buona lena, sorriso sulle labbra, prontezza e determinazione nel seguire il Vangelo… e niente scuse!

12 risposte a "I Santi e la virtù eroica. Pregasi definire “eroica”."

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    1. Rosa Rita La Marca

      a “colpa di san Tommaso” ho stoppato. Una creatura privilegiata e dotata in straordinario modo dileggiata con tanta superficialità e sciatteria.

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    2. Lucia

      LOL, questa me l’ero persa XD

      L’ho praticata (ovviamente!) per tutto il mio fidanzamento della durata di circa sei anni, fino al matrimonio, e ne ho anche parlato in lungo e in largo qui e altrove (prova a usare “castità” come chiave di ricerca qui negli archivi). E ripeto: niente di eroico.
      A parte che, tecnicamente, “evitare di commettere reiteratamente un peccato mortale” fatico proprio concettualmente a concepirlo come “eroismo”… comunque, no. Se la si comprende appieno e la si vive nel modo corretto, secondo me, la castità prematrimoniale, non è nemmeno un sacrificio: è l’unico modo ragionevole e sensato per un cristiano di vivere i primi momenti della sua relazione sentimentale, al fine d’un bene più grande quando arriverà un bene più grande.

      Rosa Rita, temo che in effetti lo stile di questo blog non ti piacerebbe. T’è già andata bene che sei capitata su questa pagina e non su uno degli altri post meno seriosi che ogni tanto dedico ai santi, mi vien da dire ;-P

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      1. Lidia

        Ciao Lucia 🙂 io dopo 4 anni di fidanzamento (avendo ora 35 anni) la definisco eroica… Quando avevo vent’anni, con altri fidanzati, non era eroica. Era normale, come dici tu. Adesso però è diverso. Non ci sposiamo ancora per tanti motivi, ultimo fra i quali il fatto che viviamo in due Paesi diversi, ma è abbastanza dura, la castità. E vederne il senso è più difficile per me adesso do quando avevo venticinque anni ed era tutto più facile… nel tuo caso direi che ti ha anche aiutato avere un fidanzato che ha la stessa idea. Il mio ragazzo
        precedente, benché avesse ovviamente accettato di vivere la castità, non l ha mai veramente capita. Vedere la altra persona che si trova a disagio nel vivere la castità, e ciononostante continuare a viverla, secondo me è eroico si. Alla fine noi ci siamo lasciati anche per questo, e benché mi dirai che meglio così e sicuro non era l’ unico problema, mi è costato un sacco. Un abbraccio grande! Il nuovo aspetto del blog è bellissimo :)) sto rileggendo tutti i vecchi post 🙂

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      2. Lucia

        Ciao Lidia! Scusa il ritardo 🙂

        Ehm… beh, sì. Quando parlavo di “minimo sindacale” e di “scelta normale” mi riferivo ovviamente a una coppia composta da due cattolici praticanti, e tutti quanti sulla stessa lunghezza d’onda riguardo all’intensità della pratica religiosa, mettiamola così. Nel caso di coppie “miste” in cui solo uno è cattolico praticante, alla faccia dell’eroismo!!
        “Stento a credere che possa succedere davvero” (che lui e lei pratichino la castità prematrimoniale anche se solo uno dei due ne è convinto al 100%) non nel senso che non ti creda (ci mancherebbe altro), ma nel senso che secondo me sono veramente casi rarissimi, quasi eccezionali. E, sì, davvero, non so se sia più lodevole il poveraccio che, pur non capendo la castità prematrimoniale, accetta di viverla per amore dell’altro, o se sia più lodevole il poveraccio che, pur sapendo che l’altro non capisce appieno la castità, gliela “impone”.
        In quei casi sì che è eroismo vero. In tutti gli altri no, a mio modo di vedere (anzi trovo altamente deleterio il continuare a dire in giro “uuhh che pratica eroica della castità è mai questa!”: sotto sotto, fa passare il messaggio che alla fin fine è roba per pochi eletti, e il comune volgo peccatore può sentirsi a posto con la coscienza anche senza raggiungere vette così alte di perfezione).

        Poi, sì… trovarsi a 35 anni non ancora sposati e senza neppure la prospettiva di potersi sposare nell’immediato, credo che renda tutto più difficile in generale, castità o no. Mio marito aveva grossomodo la tua età quando ci siamo sposati (c’è qualche anno di differenza, tra me e lui) e negli ultimi anni di fidanzamento comprensibilmente scalpitava – ma non per il fatto di consumare, aveva proprio (comprensibilmente) fretta di sposarsi per il fatto stesso di sposarsi, per flaggare quella casellina dalla lista delle tappe della vita insomma 😛

        Quindi, sì, io parlo e parlo ma sono anche consapevole di essere stata molto fortunata, sia per le frequentazioni che ho avuto sia per le tempistiche, che sicuramente sono state dalla mia. Resto dell’idea che – per le ragioni che dicevo sopra – parlare di “virtù eroica” relativamente alla castità sia un non-senso potenzialmente deleterio, ma, sì: io sicuramente sono stata fortunatissima, da questo punto di vista.

        A margine, una noticina semi-scherzosa (senza permettermi ovviamente di farmi i fatti vostri – peraltro io odiavo quelli che si impicciavano con “perché non vi sposate ancora?”). Ma: se vuoi la mia opinione, io trovo che la coabitazione dei due coniugi, in un matrimonio, sia altamente sopravvalutata XD
        Io ad esempio mi sono sposata già sapendo che non sarei andata subito a vivere assieme con mio marito. A distanza di un mese dal matrimonio, vivevamo, non in due Paesi diversi, ma in due parti diverse d’Italia (separate da svariate centinaia di chilometri del mezzo).
        Beh: rispetto all’aspettare ancora per chissà quanti mesi o anni, lo rifarei ancora. Per quanto sia ovviamente un inizio di matrimonio quantomeno anomalo, lo reputo sempre meglio che niente: nel (seppur poco) tempo che si può passare assieme come marito e moglie, intanto il matrimonio comincia a costruirsi.

        Ripeto: senza ovviamente farmi i fatti vostri, ci mancherebbe. Era solo così, per spezzare una lancia a favore dei matrimoni a distanza XD a patto che ovviamente la distanza fisica sia l’unico problema a ‘ostacolare’ il matrimonio e, per il resto, tutto “sia pronto”.

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  4. Claudia

    Al giorno d’oggi, in questa società ipersessualizzata è eroico aspettare il secondo appuntamento!!! Scherzo ovviamente, ma la castità oggi è veramente eroica se non altro per il “disprezzo” che riserva il mondo a chi fa una simile scelta. Ho due figli e con l’aria che tira sarà un miracolo se riuscirò ad insegnare loro che la sfera sessuale e quella sentimentale devono andare insieme.

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    1. Lucia

      Mah, sai… non disperare.
      Non so quanti anni abbiano i tuoi figli ma io alla fin fine sono dell’88, non è che la società in cui sono cresciuta io fosse chissà quale esempio di purezza vittoriana. (Anzi: per quel che vale, secondo me la mia generazione s’è beccata il peggio del peggio, anche a livello mediatico. Se ripenso a telefilm come Friends, Felicity, le prime stagioni di Grace’s Anatomy, tutta roba che guardavo quando ero adolescente, lì veramente passava il messaggio che saltare da un letto all’altro è la norma, è desiderabile, e non porta mai conseguenze nefaste. Magari è una mia impressione, ma se penso alle produzioni di oggi mi sembra invece che ci sia quantomeno una ‘condanna’ della eccessiva promiscuità sessuale con tutti i problemi che si può portare dietro – così come passa molto di più il messaggio “donne, attente all’uomo che vi scegliete, ce ne sono anche di pericolosi”).

      Tutto ciò per dire: dai! Se io, mio marito, Lidia qui sopra, e tanti miei coetanei che conosco, ce l’abbiamo fatta a capire e mettere in pratica la castità, secondo me hanno buone chance di farcela anche quelli un pochettino più piccoli di noi. Alla fin fine, ipersessualizzata lo era pure nel 2000, la società 😛

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