I “santuari di rianimazione” e la resurrezione dei bambini morti

A suo tempo, sono accorsa al capezzale di mia nonna pochi secondi dopo la sua morte – e posso assicurarvi che, per alcuni minuti, la povera defunta ha continuato a muoversi.
Non sono pazza: il petto si sollevava e abbassava leggermente come se mia nonna stesse ancora respirando (cosa che però ovviamente non era) – e, se il dettaglio può dare più credibilità alle mie parole, avevano la mia stessa impressione sia mia mamma sia la badante, tant’è vero che per un po’ siamo rimaste col dubbio se mia nonna fosse già morta o se fosse “solo” entrata in una fase estrema di agonia.
Poi, il medico ci ha spiegato che si tratta di movimenti muscolari riflessi che talvolta si manifestano sul cadavere, credo per ragioni simili a quelle che inducevano le rane di Galvani a dimenarsi mentre venivano dissezionate.
La macabra premessa serve a dare una parvenza di ragionevolezza alla Storia che sto per raccontare… e che (avviso prima) parla di cadaveri di bambini morti senza Battesimo. Quindi, se c’è qualcuno particolarmente sensibile all’argomento, clicchi pure sulla X in alto e sappia che non mi offendo.

Quello di cui vorrei parlare oggi sono i cosiddetti “santuari di rianimazione”, cioè quelle chiese in cui venivano portati i cadaveri dei bambini morti prima di aver ricevuto il Battesimo, nella speranza (spesso esaudita, a dar retta alle fonti d’epoca) che la Misericordia divina facesse – aehm – risorgere il neonato, per il tempo strettamente necessario a che il bambino fosse battezzato.
Dopodiché, il neonatino ri-moriva definitivamente.

A mettere la cosa in questi termini, sarebbe molto facile fare ironia su quella che, in realtà, è la spia chiarissima di un dramma che, con frequenza, si abbatteva sulle famiglie: la morte di un neonato a cui non era ancora stato amministrato il Battesimo.
E capiamoci: il grande dramma, in quel caso, era proprio la morte senza Battesimo.

Tutto ci lascia intendere che l’uomo del passato fosse in qualche modo “anestetizzato” alla morte prematura di un neonato ancora in fasce. La morte di un bambino nei suoi primi mesi di vita era sicuramente un evento drammatico, ma… come dire: statisticamente molto probabile. Io immagino che, in passato, si reagisse alla morte di un neonato un po’ come reagiamo noi moderni ad un aborto spontaneo nel primo trimestre: di certo non fai spallucce, ma è un’eventualità che giocoforza avevi comunque messo in conto. È nella natura delle cose e la vita va avanti, e tu lo sai.
No: il dramma di queste famiglie non era (tanto) quello di avere un figlio morto: il dramma era avere un figlio morto prima che gli fosse stato amministrato il Battesimo, con tutte le angoscianti incognite che derivavano da una morte del genere.
E, si sa: quando l’angoscia preme, la gente incomincia a fare cose strane…

***

Prima di tornare ai nostri santuari di rianimazione, facciamo una breve parentesi: a partire da quale momento comncia a premere l’angoscia?
Nel senso: già che ci siamo, varrebbe la pena di smentire una convinzione diffusa – cioè, che tutta la cristianità, a partire dal 33 d.C. fino ad arrivare ai nostri giorni, abbia vissuto nel terrore di una morte senza Battesimo.
In realtà, le cose stanno un po’ diversamente. La storia dei “neonatini morti che finiscono nel Limbo” ci è stata venduta male: basti pensare che, per interi secoli della Storia cristiana, i battesimi sono stati ordinariamente amministrati a individui che avevano già raggiunto l’età adulta. Se davvero ci fosse stata la convinzione che la morte senza battesimo rendesse impossibile riunirsi a Cristo, sarebbe stato quantomeno sadico aspettare anni o decenni interi (!) prima di “mettere in regola” chi non aveva ancora ricevuto il sacramento.
Per contro, abbiamo testimonianze, anche molto antiche, di come si desse più peso alla misericordia divina che al sacramento in sé: penso ad esempio a un bambino romano di La Cayole morto alla fine del V secolo, sulla cui lapide si legge

Il piccolo Teodosio, di cui i genitori, con retto sacramento, desideravano il santo battesimo, è stato rapito da una morte crudele; ma il Signore dell’alto dei cieli accorderà il riposo alle sue spoglie.

Circa l’esistenza del limbo, generazioni di teologi hanno lungamente dibattuto senza però che il popolino se li filasse minimamente. Tra la nascita e l’amministrazione del battesimo poteva passare un periodo di tempo anche molto lungo; inoltre, la pratica dei battesimi collettivi, effettuati per immersione, faceva sì che il sacramento venisse amministrato solo una o due volte all’anno, magari in momenti particolarmente significativi del calendario liturgico.
È solo a partire dal Trecento che si comincia comincia a sottolineare l’importanza di un battesimo il più possibile precoce – con una presa di coscienza che, non a caso, va di pari passi con l’affermarsi, in liturgia, del battesimo individuale per aspersione, logisticamente molto più comodo da organizzare al volo.

Cresce così nei religiosi la premura di amministrare il battesimo immediatamente dopo la nascita – e, a suon di prediche e di sermoni (…con qualche insospettabile incursione nel mondo della favolistica), la stessa premura viene assimilata anche dai fedeli.
Il battesimo comincia da essere percepito (adesso sì) come condicio sine qua non per poter entrare in Paradiso…
…e nascono così, sul finire del Trecento, i primi “santuari di rianimazione”.
Per cercare di dare una speranza a quei genitori disperati, che si sono visti morire il figlioletto prima di “salvarlo”, e che adesso lo immaginano in un cupo Al Di Là senza pienezza e senza Dio.

***

Ma cos’erano concretamente questi posti?
Erano santuari, situati perlopiù in campagna, dedicati (spesso) alla Madonna o (più raramente) ad altri Santi. In alcuni casi (ma non in tutti) si trattava di santuari che erano stati eretti proprio a seguito di una resurrezione miracolosa, operata dal Santo in questione.
Nel suo La paura in Occidente, Jean Delumeau (che potrei definire qualcosa tipo “storico del concetto di Oltretomba”) spiega nei dettagli il “funzionamento” di questi santuari:

Il cadavere [del neonato morto, NdR], spesso nudo, veniva posto a seconda dei casi sull’altare, sulla predella o sui gradini del coro della chiesa, o su una pietra posta sotto o accanto all’immagine miracolosa. Si accendevano candele, si pregava, si facevano celebrare delle messe, e ad un certo momento i presenti – genitori, conoscenti, la levatrice, il parroco o un frate – credevano di vedere manifestarsi segni di vita: un notevole “calore” all’altezza del cuore, un “notevole e visibile rossore” sul viso, l’aprirsi di un occhio, gocce di sangue dal naso o dalle orecchie, uno spruzzo di orina, il muoversi di un braccio o di una gamba, la lingua che sporgeva dalle labbra, ecc. Anche uno solo di tali segni era reputato sufficiente per gridare al miracolo e per indurre a battezzare in tutta fretta il pargoletto. Quest’ultimo, nella stragrande maggioranza dei casi, subito dopo aver ricevuto il battesimo ricadeva nello stato di morte, ma intanto era ormai salvo e si poteva intonare un Te Deum di ringraziamento o anche suonare le campane per far notificare all’intorno il felice evento.

Questi santuari – vai a capire il perché – hanno goduto di particolare diffusione nella parte nord-orientale della Francia, con alcuni sconfinamenti in Belgio e in Germania. Se, nel caso francese, siamo di fronte a una vera e propria “rete” di santuari (gli storici ne hanno contati 220!), abbiamo qualche sparuta attestazione di chiese di tal genere anche in Svizzera, in Austria e nelle Alpi italiane, a complicare ancora di più qualsiasi tentativo di dare una logica alla diffusione geografica di questi centri.
Dal punto di vista storico, invece, questi santuari godono di notevole popolarità per un arco di tempo straordinariamente lungo: la prima attestazione nota risale al 1387 ad Avignone, ma queste pratiche proseguono interrotte per interi secoli (con un particolare revival attorno al Seicento), fino ad essere attestate, in alcun casi, agli inizi del secolo XX (!).
Tutta questa popolarità si scontrava con le continue condanne della Chiesa ufficiale; nel senso che – giusto per non far passare per idioti i cattolici del Medio Evo – era abbastanza evidente a chiunque (dotato di un minimo di cervello) che centinaia di santuari in cui sistematicamente la misericordia celeste opera continue resurrezioni “a tempo”, sono… beh… da guardare con un po’ di sospetto.
A leggere attentamente la documentazione in nostro possesso, ci troviamo di fronte a una serie ininterrotta di condanne ufficiali da parte dalla Chiesa di Roma: prendono posizione contro i santuari di rianimazone i vescovo di Langres (1452 e ’55) e i sinodi di Sens (1524), Lione (1557) e Besançon (1658 e ‘66). Tuonano contro questa pratica il vescovo di Toul nel 1658, il Sant’Uffizio nel 1729, e, infine, anche papa Benedetto XIV, che “illuministicamente” argomenta:

I segni con cui si pretende di dichiarare la resurrezione di quei bambini sono quantomai ambigui. […] Infatti, si reputano segni certi del ritorno alla vita o il fatto che il colore pallido si muta in colore rosso, o il fatto che diventano flessibili le membra […], o qualche goccia di sudore che compare sulla fronte o sul ventre. [Ma] i detti effetti fisici possono essere agevolmente attribuiti al calore proveniente dai ceri accesi attorno ai cadaveri dei bambini e da altre fiamme accese per riscaldare quei luoghi sacri.

Ragionevole?
Sì, senz’altro: ma la disperazione, la speranza e l’autosuggestione parlano spesso linguaggi diversi da quelli della ragionevolezza. E i “santuari di rianimazione”, come vi dicevo, continuano ad esistere fino agli inizi del ‘900 – e, voglio sperare, continuano ad esistere in un clima di ingenua buona fede, non solo da parte dei genitori disperati che vi accorrevano, ma anche da parte dei religiosi stessi che amministravano i sacramenti.
Del resto, ve l’ho detto: sul cadavere di mia nonna (che era inequivocabilmente morta), io stessa ho continuato a vedere lievi movimenti muscolari per alcuni minuti dopo la morte – e spero che mi attribuirete un minimo di credibilità: non sono pazza e non ero nemmeno particolarmente sconvolta; il medico ci ha assicurato che effettivamente può succedere. A dar retta a Internet, pare che i cadaveri possano anche fare cose ancor più strane: ad esempio, la pagina linkata assicura che la fuoriuscita di urina (fenomeno che veniva considerato un segno particolarmente inequivocabile di temporanea resurrezione) è effettivamente possibile, dopo la morte. Pare che sia una questione di muscoli che si rilassano prima che si instauri il rigor mortis.

Insomma: noi uomini del 2000 siamo persone mediamente razionali, e abbiamo facile accesso ad individui che conoscono bene l’anatomia umana. Ma un contadinetto del passato, quali conclusioni poteva trarre dalla vista di un cadavere che, invece di stare fermo e immobile come ogni cadavere che si rispetti, aveva ancora dei movimenti (talvolta, anche particolarmente eclatanti)?
Nell’(ovvia) incapacità di spiegarsi questi fenomeni, gli uomini del passato dovevano trarre la conclusione più ovvia: il morto si sta muovendo, ergo è tornato in vita. Indi per cui, temporanee resurrezioni da morte sono eventi miracolosi effettivamente possibile, e che anzi si manifestano con una certa frequenza.
A questo punto, la disperata speranza e l’autosuggestione entrano in gioco prepotentemente, e

…e, tant’è.
Anche questo c’è stato, nell’affascinante Storia della nostra Chiesa.

Una risposta a "I “santuari di rianimazione” e la resurrezione dei bambini morti"

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