L’influenza è un’invenzione tutta italiana – nel senso che fu un nostro connazionale a coniare per primo il termine.
Siamo nel 1580 – e l’umanista Domenico Boninsegni, studiando quella malattia contagiosissima e dall’andamento misterioso, che colpiva buona parte della popolazione con esiti dalla gravità variabile, osservò che un morbo di tal fatta non poteva che essere causato dall’influenza nefasta degli astri.
Molti anni sono passati da quel giorno, molte cose sono cambiate nel nostro approccio alla malattia, ma il termine è rimasto quello. Influenza, o flu come dicono gli inglesi: made in Italy, since 1580.
***
Ordunque, nel 1580 l’Italia era stata colpita dall’influenza (o, per meglio dire, da una gran brutta influenza, più grave rispetto alle normali influenze stagionali). Il che potrebbe spingere il curioso a domandarsi: quali e quante sono state le epidemie influenzali “brutte” nel corso della Storia?
Difficile fare ipotesi per quanto riguarda la storia antica e medievale. All’epoca, i cronisti avevano il brutto vizio di descrivere le epidemie in toni abbastanza stereotipati, che rendono difficile distinguere il topos letterario dalla sintomatologia vera e propria.
È probabile che sia stata una sindrome influenzale la “tosse di Perinto” che, nel 412 a.C., colpì la popolazione che viveva sulle rive del mar di Marmara. Parrebbero riconducibili a un’influenza anche i sintomi che dimezzarono nel 212 a.C. le truppe romane che si trovavano ad Acradina, presso Siracusa.
Per trovare altre testimonianze di simili epidemie dobbiamo arrivare all’855 d.C., anno nel quale le popolazioni arabe del Medio Oriente furono decimate da un morbo che uccideva con febbre alta e difficoltà respiratorie. Meno letale, ma non meno contagiosa, fu la febris italica che infettò, nell’876, l’esercito franco – esercito che si portò appresso l’infezione contribuendo a diffonderla in tutta Europa.
Altre epidemie di gravità variabile si registrarono nel 1173, nel 1357 e nel 1387. Nel 1410, una nuova ondata di influenza mise a letto mezza Europa facendo morti prevalentemente tra chi non era ancora nato: gli ammalati, mediamente, guarivano, ma le donne incinte andavano incontro ad aborti spontanei.
Esattamente un secolo dopo, nel 1510, l’Europa fu percossa da una nuova epidemia. Molti storici la definiscono la prima “vera” influenza della Storia, nel senso che, per la prima volta, i cronisti ci restituiscono una descrizione della sintomatologia sufficientemente accurata da farci dire che… sì: quella roba era certamente influenza. Per citare un esempio de’ noantri, l’umanista Tommasino de’ Bianchi, ad esempio, descrive con dovizia di particolare la malattia, “che dura 5 dì con una gran febra, e doglia de testa, e poi se levano e non pare che siano quelli, ma ge reman una tosse teribile che ge dura forse 8 dì et poi se vano liberande a pocho a pocho e de le 10 caxade le 8 ge n’è de amalati”.
Come nota di colore, l’epidemia influenzale colpì, tra gli altri, un bimbetto di otto anni che, per qualche tempo, si trovò a lottare tra la vita e la morte. Vinse la vita, fortunatamente, e sopravvisse quel bimbetto – che, molti anni più tardi, sarebbe stato eletto papa con il nome di Gregorio XIII.
E fu proprio papa Gregorio XIII ad assistere, sgomento, alla morte di ottomila sudditi nella sola città di Roma durante una violentissima epidemia influenzale che scoppiò in Asia nell’estate 1577, raggiunse l’Europa entro pochi mesi e, spettrale, aleggiò su di essa per almeno un paio d’anni. Curiosamente, flagellò alcune zone con particolare violenza (l’Italia e l’Inghilterra, ad esempio, subirono perdite ingenti); negli altri Stati europei, parve fare poche vittime – prevalentemente fra i bambini, a dar retta ai cronisti d’epoca.
Nel 1562, la situazione fu uguale e opposta: quando l’epidemia colpì l’Europa, “le morti furono molte”, scrive il medico Antonio Brasavola, ma “desse avvennero principalmente fra i vecchi, e per colpa non tanto della Febbre catarrale od Influenza, quanto della Pneumonite che vi si aggiungeva, o vi teneva dietro”.
La seconda metà del Cinquecento fu un periodo molto influenzabile. La malattia tornò nel 1580 in quella che fu, probabilmente, la prima pandemia influenzale della Storia, nel senso che l’influenza partì dall’Asia, attraverso l’Africa, flagellò l’Europa, e da lì (novità senza precedenti) ebbe aggio di imbarcarsi per il Nuovo Mondo. Il bilancio fu pesante, e di certo non agevolò il fatto che i medici italiani si fossero messi in testa di curare la malattia con “cornetti ventosi e zuccaro candito e cose dolce”, come scrive il Merenda nella sua Storia di Ferrara.
Nei quattro secoli successivi, ben trentun epidemie influenzali – dalla gravità variabile – si verificarono in Europa. Le più letali arrivarono in rapida successione nel 1688, nel 1693 e nel 1699. Nel 1729, una nuova pandemia mise in ginocchio l’intero globo causando una altissima mortalità.
Meno drammatica fu l’epidemia influenzale del 1743, che è tuttavia interessante da un punto di vista linguistico: per la prima volta nella Storia, la malattia cominciò ad essere definita Grippe – un termine che, a detta di L’Eco. Giornale di Scienze, Lettere, Arti del gennaio 1833, fu originariamente coniato osservando “le fattezze raggrinzate, contratte o smagrite” che caratterizzavano i malati: “in una parola, la faccia grippata”.
Pesantissimo fu il bilancio di una pandemia influenzale che partì dalla Cina nell’autunno 1781, raggiunse la Russia giusto in tempo per Capodanno e la colpì in modo durissimo (le cronache ci parlano del giorno terribile nel quale San Pietroburgo registrò 30.000 contagi nell’arco di ventiquattr’ore). Da lì, si protese verso l’Europa e salpò verso il Nuovo Mondo.
Vista l’altissima contagiosità, avrebbe potuto essere una strage: al contrario, l’influenza fece relativamente pochi morti. Nella fortuna, il dramma fu che questi “relativamente pochi morti” si registrarono fra i più giovani. Come sarebbe accaduto qualche tempo dopo durante l’epidemia di spagnola, la malattia sembrò più clemente con gli anziani.
Nel 1830 la gente, in Cina, cominciò a morire a frotte, accusando sintomi influenzali. In Occidente nessuno se ne curò, anche perché le autorità sanitarie erano molto più preoccupate dall’avanzata del colera, una malattia che – per la prima volta in assoluto – minacciava di raggiungere l’Europa.
Il colera arrivò lo stesso, nonostante le precauzioni: in compenso, “preoccupati essendo tutti dal pensiero dell’affezione cholerica, poco si tenne conto d’una malattia così benigna qual è la Grippe”, osservò nel 1833 L’Eco. Giornale di Scienze, Lettere, Arti. Peccato che, a conti fatti, questa Grippe si mostrò non poi così benevola. A Berlino, ad esempio, “i prospetti statistici della mortalità […] hanno dimostrato che, meno una piccolissima differenza, la grippa ha fatto perire nel 1831 quasi tanti ammalati quanti ne ha fatti perire il Cholera”.
Altre due ondate di influenza si ebbero nel 1837 e nel 1847. Non furono particolarmente letali – e, finalmente, questa è una affermazione che si può fare con ragionevole certezza. Fu proprio nel corso di queste due epidemie che i medici misero a punto il concetto di “eccesso di mortalità” per calcolare quante persone fossero decedute a causa della malattia. Si cominciò a confrontare il numero dei morti registrati in un anno “epidemico” con il numero medio dei decessi registrati in un anno “normale”. Dopodiché, si stabilì che la differenza percentuale tra i due numeri rappresentava, con buona approssimazione, l’indice di mortalità della malattia.
Il secolo si chiuse con la grande pandemia del 1889-92: una strage dimenticata, che contagiò circa il 50% della popolazione mondiale e provocò almeno un milione di morti.
Quella di “influenza russa” – come la chiamarono le cronache dell’epoca – è la prima pandemia influenzale per la quale abbiamo a disposizione osservazioni cliniche redatte secondo il moderno metodo scientifico.
Pieni di entusiasmo, i medici dell’epoca si misero alla ricerca del batterio che causava l’influenza… col piccolo problema che l’influenza è causata da un virus – cosa che oggi noi sappiamo, ma che all’epoca si ignorava. Richard Pfeiffer, direttore dell’Istituto Pasteur, credette di aver individuato l’agente patogeno della malattia e lo battezzò Bacillus Influenzae. In realtà, l’Haemophilus Influentiae B (così come è chiamato oggi) è un batterio che provoca sintomi para-influenzali, talvolta anche fastidiosi, ma che non ha nulla a che vedere con l’influenza.
Disgraziatamente, la “scoperta” di Pfeiffer mise sulla cattiva strada tutti i medici che, nel 1918, cercarono di raccapezzarsi su quel pasticciaccio brutto che era l’influenza spagnola (alla quale ho dedicato un intero articolo). Solo dopo un bel po’ di esperimenti ci si rese conto che l’influenza non era certamente causata da un batterio ed era probabilmente causata da un virus, cioè da un microrganismo piccolo al punto tale da non poter essere osservato con la strumentazione dell’epoca.
Nella costernazione generale, l’influenza spagnola passò indisturbata e se ne andò, lasciandosi alle spalle il bilancio disastroso che conosciamo tutti: gli storici ipotizzano che abbia mandato al creatore qualcosa tipo cinquanta milioni (!) di persone.
Quarant’anni dopo, arrivò in Europa l’influenza asiatica.
La comunità scientifica internazionale si tirò su le maniche annunciando “no panic, ghe pensi mi”: in un certo senso, una pandemia influenzale era attesa. Alla comunità medica non era sfuggita la costante per cui, nei secoli passati, le epidemie influenzali si erano succedute a intervalli più o meno regolari, misurabili in decenni. Insomma: verso la metà del Novecento, una nuova pandemia era attesa… e, devo dire, attesa con molta calma, visto che la comunità medica si era dotata di un grazioso vaccino anti-influenzale sviluppato per l’occasione nel 1943. Sicché, quando nel 1957 l’epidemia cominciò a farsi minacciosa, molti Stati reagirono con la massima tranquillità avviando una campagna vaccinale di massa…
…che, come ben immaginerete, non servì a un tubo, perché gli scienziati si resero conto solo in quel momento che il virus influenzale ha la brutta abitudine di mutare di anno in anno, richiedendo così vaccini sempre nuovi.
Fu una doccia fredda. Le industrie farmaceutiche si misero immediatamente alla ricerca di un vaccino adatto, che effettivamente fu sviluppato entro la fine del ’57. Purtroppo, la produzione fu lenta e costosa, sicché il vaccino fu immesso sul mercato solo quando la pandemia aveva già raggiunto il suo picco ed era già in fase calante. Circa la metà della popolazione mondiale fu infettata; fortunatamente, la mortalità non fu altissima: ce la cavammo con “soli” cinque milioni di morti.
La terza e ultima pandemia influenzale del Novecento? Scoppiò a Hong Kong nel 1968 e da lì si diffuse rapidamente. La mortalità fu relativamente bassa (si contò un milione di vittime su scala mondiale), probabilmente a causa della somiglianza tra il virus sessantottino e quello che aveva colpito nel ’57: chi era già stato contagiato dieci anni prima si ritrovò con un organismo più preparato ad affrontare il nemico.
Piacerebbe dire che “per il momento, la Storia finisce qui”.
Ma la realtà è che, con ogni evidenza, oggi siamo noi ad essere i protagonisti di un capitolo d’un libro di Storia…
klaudjia
Durante un viaggio in Messico la guida ci raccontava che, all’arrivo dell’uomo bianco, gran parte degli indios morì per il raffreddore!!! Malattia per gli indigeni sconosciuta e letale poiché privi di anticorpi.
"Mi piace""Mi piace"
Elisabetta
Non sapevo ci fosse stata un’epidemia nel 1957
Questi virus non girano più o sono ancora viventi?
"Mi piace""Mi piace"
Lucia
Ovviamente mi limito a riferire quello che leggo sui libri di Storia, prendendolo per buono 😅
Il virus dell’influenza asiatica del 1957, un virus A-H2N2, se ne è andato a spasso per tre anni ma con ceppi che presentavano una virulenza sempre più bassa, “tendenza che è stata ritrovata in tutte le pandemie influenzali conosciute” scrive il mio libro (Pandemie di Mauro Bologna e Aldo Lepori).
Il virus A-H3N2 che ha causato l’influenza di Hong Kong nel 1968 aveva mostrato fin da subito una notevole adattabilità, a quanto leggo, al punto tale che in Oriente aveva fatto meno morti che in Europa, e in Europa aveva fatto meno morti che in America: evidentemente erano in circolazione nello stesso periodo dei ceppi diversi, alcuni dei quali più aggressivi degli altri.
Probabilmente a causa di questa adattabilità di fondo, scrive il mio libro, il virus è ancora in circolazione e negli anni ha generato altre piccole ondate epidemiche, che però sono sempre rimaste circoscritte ad aree abbastanza ristrette. Il mio libro cita Jeffrey Taubenberger (lo stesso scienziato che ha isolato e sequenziato il virus della Spagnola), secondo il quale il virus ha causato, nell’arco degli ultimi cinquant’anni, all’incirca lo stesso numero di vittime che viene attribuito al virus della spagnola (con la differenza evidente che la spagnola ha fatto le sue vittime in pochi mesi, questo le ha scaglionate in diversi decenni).
Ecco, io qui mi limito proprio a un relata refero perché ovviamente non ci capisco un tubo 😅
"Mi piace""Mi piace"
Elisabetta
Io intanto continuo a trovare inquietanti queste stampe inglesi macabre, ma non riesco a non guardarle ,nella loro bizzarria, Intendo, non sono come gli affreschi con la peste galoppante che caccia la gente. Qui si tratta di giornali che li hanno pubblicati , ed erano già kitsch all’epoca della pubblicazione probabilmente. Booh
"Mi piace"Piace a 1 persona
Pingback: C’è un legame tra la Niña e lo scoppio di una pandemia? – Una penna spuntata
Pingback: Quante epidemie influenzali ci sono state nella Storia? — Una penna spuntata « Il sito di Alberto
Pingback: Cosa faceva uno speziale del Medioevo? – Una penna spuntata
Pingback: Manicaretti medievali per pranzi d’altri tempi – Una penna spuntata
Pingback: La vera storia dell’omino di pan di zenzero – Una penna spuntata