Maghi alla ricerca del tesoro dei pirati

Quando dico “mago”, la prima cosa che vi viene in mente è un tipo sulle linee di Gandalf? Un vecchietto barbuto che passa la sua vita in biblioteca, dedicandosi allo studio della magia con la stessa passione con cui un grecista si dedica a Omero?

Ecco, no.
Quel topo di biblioteca col cappello a punta è tutt’al più la caricatura del mago vero, intendendo con “mago vero” quell’individuo che – tra la fine del Medioevo e la prima età moderna – si dedicava realmente allo studio delle arti magiche.

Contrariamente a quanto potremmo immaginare noi moderni, figli del razionale Illuminismo, il mago non è l’invenzione ben riuscita di qualche autore di romanzi fantasy. Per buona parte della Storia umana, la magia è stata praticata per davvero, perché realmente esisteva un comune consenso popolare sul fatto che certuni individui fossero in grado di manipolare le leggi della natura grazie al ricorso a saperi occulti.

In questo senso, è sicuramente possibile dire che i maghi sono figure storiche realmente esistite… e che sono figure storiche quantomai diverse dai personaggi letterari che ci vengono in mente quando pensiamo ai praticanti di magia. Rispetto a un Gandalf o a un Merlino disneyano, i veri maghi della Storia occidentale erano personcine molto meno rispettabili – se non altro perché la pratica delle arti magiche, così come nasce nel Medioevo e si consolida nel Rinascimento, prevedeva necessariamente il ricorso a rituali molto oscuri. In quell’epoca, negromanzia (cioè divinazione attraverso gli spiriti dei defunti) e negra magia (cioè magia nera) cominciano a essere utilizzati come termini intercambiabili: il mago, insomma, è quell’individuo che ha il potere di evocare sulla terra delle entità ultraterrene (talvolta angeli; talvolta demoni; molto più frequentemente, anime di defunti) e assoggettarle al suo potere. Evidentemente, l’anima di un morto ha delle abilità che sono precluse a un normale essere umano: ecco che, essendo divenuto in grado di darle ordini, il mago è in grado di far (fare) cose mirabolanti e prodigiose.

Ci voleva già una certa dose di coraggio (e di spregiudicatezza; e di eresia latente) per decidere di dedicarsi ad attività così oscure. I veri maghi erano quanto di più lontano al mondo dalla nostra idea di “benevolo vecchietto barbuto col cappellino a punta”: dovremmo immaginarli più che altro come i bad guys di un film ad ambientazione storica. E insisto sul concetto perché sennò mi prendete per scema quando io, dopo il lungo preambolo, arrivo finalmente a introdurre i protagonisti della nostra storia.
Cioè, maghi veri, realmente esistiti, sottoforma di un intrigante ibrido tra Sirius Black, tJack Sparrow e Indiana Jones alla ricerca del tesoro scomparso.

***

Mi chiederete, comprensibilmente, perché mai un mago dovesse prendersi la briga di andare alla ricerca di tesori.

Beh: intanto, perché essere ricchi non fa mai schifo, ed è decisamente più pratico cercare tesori dispersi che ammattirsi nel tentativo di trasformare il piombo in oro come fanno gli alchimisti.
Secondariamente: perché cercare tesori è un’impresa alla portata di tutti… ma che viene molto meglio se tu sei un mago.

Non tanto, e non solo, perché la magia sia un utile trucchetto che spiana molte strade.
Più che altro: in passato, era convinzione diffusa che la maggior parte dei tesori nascosti fosse sorvegliata da fantasmi e/o entità soprannaturali (presente, il leprecauno irlandese che custodisce il pentolone d’oro al fondo dell’arcobaleno? Ecco).
Era una convinzione di matrice classica, probabilmente alimentata fatto che molti dei più ricchi tesori dell’antichità erano corredi funebri che erano venuti alla luce in concomitanza con la scoperta di luoghi sepolcrali. Il mito della “maledizione del faraone”, che ancor oggi esercita su di noi un certo fascino, attinge a questo stesso bagaglio culturale: a custodia dei loro tesori – si mormorava – gli antichi hanno voluto porre degli spiriti, se non addirittura delle maledizioni capaci di uccidere gli ardimentosi.

Stante la situazione, va da sé che tutti gli avventurieri sono capaci di trovare un tesoro scomparso, ma ben pochi sono capaci di assoggettare il fantasma e spezzare le maledizioni che sono state piazzate lì per proteggerlo. In questo caso, essere un avventuriero mago offre indubitabilmente un grosso bonus aggiunto.

E così – strano ma vero – il mondo dell’occultismo comincia a essere frequentato da bizzarri figuri che sono una via di mezzo tra Harry Potter e Indiana Jones. Maghi nel senso pieno del termine, che tuttavia non passavano la loro vita chini tra le polverose carte di una biblioteca: questi partivano all’avventura, armati di grimorio, mappa del tesoro e vanga per scavare.

Tra le mille storie che si potrebbero citare (alcune delle quali, davvero degne di un film) mi limiterò a qualche caso celebre. Nel 1466, un certo Robert Baker, mago originario di Babraham, vicino a Cambridge, fu accusato di eresia e portato al cospetto del suo vescovo, di fronte al quale ammise di aver evocato più volte lo spirito di un defunto che lo aveva condotto ad antichi tesori che erano stati posti sotto la sua custodia. Reo confesso, e apparentemente disposto a fare ammenda per le sue colpe, il mago Robert se la cavò con una penitenza pubblica; tutti i suoi libri di magia furono consegnati al vescovo di Cambridge e poi bruciati in un rogo purificatore.

Qualche anno prima, a Cracovia, se l’era vista decisamente assai più brutta un mago di corte noto come “Enrico il Boemo”. Nel 1429, il mago era stato scoperto in possesso di alcuni libri di negromanzia, attraverso i quali – aveva infine ammesso sotto tortura – aveva evocato entità demoniache (!) allo scopo di farsi guidare verso tesori nascosti. Peggio ancora, le torture gli avevano strappato una confessione ad ampio raggio: il mago aveva smascherato un inquietante giro di negromanzia a scopo ritrovamento tesori che, a quanto pare, coinvolgeva alcuni personaggi tra gli intellettuali di maggior spicco nella Polonia dell’epoca; alcuni di loro erano addirittura dei docenti universitari a Cracovia.
Vista la gravità della situazione (evocare demoni è evidentemente una colpa molto grave), e considerate soprattutto le dimensioni del problema (stiamo parlando di una pratica che coinvolgeva tante persone: era praticamente una setta!), la condanna a morte sarebbe stata probabilmente inevitabile.
Fortunatamente per il mago Enrico, neppure i più accaniti inquisitori se la sentirono di condannare a morte uno che aveva la fama di essere un amico intimo del re. E il mago Enrico era proprio questo: un dignitario di corte d’alto rango. Fu rilasciato, ma servì un intervento esplicito da parte del re di Polonia perché il mago fosse ricondotto alla libertà, previa la consueta promessa di non peccare più.

Sarà poi vero, che questi occultisti uscivano dal carcere e continuavano a filare dritto?
Mah. Certo, in alcun casi si ha l’impressione d’essere di fronte a pentimenti sinceri – come ad esempio quello che riguarda un sacerdote modenese di nome don Campana, che nel 1517 si costituì volontariamente alle autorità competenti dichiarando di essere stato a sua volta affascinato da questa storia dei tesori da trovare: egli stesso si era procurato svariati libri di magia finalizzati a questo scopo, ma li aveva bruciati nel momento in cui si era reso conto che questo tipo di attività avrebbe richiesto la pratica di riti fortemente irreligiosi.

Questa e molte altre storie di questo tenore sono consigliate in Grimoires. A History of Magic Books, scritto da Owen Davies ed edito dall’Oxford University Press. Lo consiglierei a tutti gli appassionati, perché è un testo molto interessante, se non sentissi il bisogno di precisare che questi appassionati dovrebbero anche avere qualche studio pregresso in materia: parliamo di un libro scritto da uno specialista e indirizzato a specialisti. ‘nsomma, vedete voi: non vorrei farvi buttar soldi.

Con goduto divertimento, tra le altre cose, Davies passa in rassegna le grandi stagioni di questa… magica caccia all’oro.
Sì, perché si trattava d’una moda che andava a periodi: ad esempio, in Spagna, fece il boom negli anni immediatamente successivi alla Reconquista, quando si diffuse tra la popolazione il convincimento che i Mori si fossero lasciati alle spalle una imprecisata quantità di tesori nascosti che non avevano fatto in tempo a diseppellire e portare con sé al momento della fuga. Nacquero così dei testi di magia creati appositamente allo scopo di mettere i maghi nella condizione di trovare questi preziosi – un’impresa particolarmente delicata, perché si trattava di spezzare complessi incantesimi scritti in arabo e di ammansire gli spiriti, presumibilmente islamici e non cristiani, che erano stati posti a custodia dei tesori.
Visto che l’impresa era complicata di per sé, era probabilmente di una certa consolazione per i maghi spagnoli sapere di poter contare su degli agevoli manoscritti, chiamati gacetas, che elencavano tutti quei luoghi in cui “era risaputo” che esistessero tesori nascosti (!). Teoricamente, l’ubicazione di queste località era stata resa nota da individui che ne erano venuti a conoscenza per il fatto d’esser stati prigionieri dei pirati mori, e che tuttavia non avevano osato tentare l’avventura per paura dei pericoli insiti nell’impresa.

Tra il Sei- e il Settecento, mentre in Spagna scemava la febbre dell’oro, un’improvvisa passione per la ricerca di tesori medievali si sviluppò in Germania, Austria e Svizzera. Anche in quel caso, esistevano libri di magia creati appositamente con lo scopo di aiutare la cerca di queste meraviglie… con la buffa nota a margine che, in questo caso, la paternità dei testi era stata attribuita a degli imprecisati maghi gesuiti.
Sì, proprio i gesuiti, i figli di sant’Ignazio: allontanati dall’Austria nel 1773 a seguito di un decreto di espulsione, avevano evidentemente cominciato a essere percepiti dal popolino come una specie di società segreta, depositaria di conoscenze arcane ed evidentemente dedita ad attività occulte e irreligiose, visto che era stata cacciata. Da lì al fare l’equazione “gesuita = negromante eretico” il passo fu relativamente breve. La Storia, a volte, sa esser stupefacente.

Viste le tempistiche, si sospetta che siano stati degli immigrati tedeschi a portare nel Nuovo Mondo la passione della caccia magica al tesoro, che esplode improvvisamente nei primi decenni del XVIII secolo. In questo caso, la moda prese linfa dalla convinzione diffusa che le coste sull’Atlantico fossero costellate da tesori nascosti o comunque perduti in circostanze avverse. Si vagheggiava di bastimenti pieni d’oro colati a picco in un tragico naufragio, ma si parlava anche di tesori nascosti che erano stati volontariamente occultati dai pirati: erano in particolar modo William Kidd e Jean Lafitte ad aver la fama di aver nascosto qua e là forzieri pieni d’oro.
Ma non solo: si parlava anche di miniere scoperte dai conquistadores spagnoli nelle primissime fasi della colonizzazione e poi abbandonate con il loro graduale spostamento verso Sud; si vagheggiava anche di tesori tutti da scoprire, sicuramente appartenuti alle popolazioni locali.

Anche in questo caso, scoppiò una caccia all’oro che nulla ha da invidiare a quella che si sviluppò più avanti nel Far West. A suon di riti, amuleti e mappe del tesoro, in centinaia si misero alla ricerca delle meraviglie perdute, trasformando le coste occidentali in un comico pullulare di maghi o sedicenti tali che se ne andavano qua e là sulle loro barchette, nella speranza di riuscire a evocare lo spirito di un qualche pirata morto.

Detto così, sembrerebbe una storiella comica se non fosse che il fenomeno raggiunse dimensioni tali da impensierire anche gente molto seria. Nel 1729, niente meno che Benjamin Franklin firmò un preoccupato articolo di giornale nel quale evidenziava il problema, sottolineando con allarme il numero (a suo dire molto alto) di coloni laboriosi che improvvisamente impazzivano e mandavano sul lastrico la famiglia intera, decidendo di mollare il loro lavoro per andare a caccia di tesori dopo essersi fatti abbindolare da sedicenti manuali di magia for dummies che erano in vendita sulle bancarelle.

Significativamente, parla proprio di maghi alla caccia del tesoro la prima operetta comica della storia americana: il Disappointment, che vede la luce nel 1767. Il suo autore dichiara di averla composta nella speranza di “porre fine una volta per tutte (se mai è possibile) alla folle pratica perniciosa di andare alla cerca di presunti tesori smarriti”: in effetti, la trama prende le mosse dalla goliardia di alcuni amici della Pennsylvania che, non potendone più di questa fissazione, decidono di mettere alla prova la creduloneria di quattro viaggiatori che erano giunti fin lì proprio allo scopo di cercare il tesoro perduto dei pirati.
Ahiloro: dopo aver messo in giro la voce di essere alla ricerca di un mago con cui spartire il guadagno, gli allocchi vengono effettivamente contattati da quattro giovani negromanti, che negromanti però non sono affatto – si tratta giustappunto dei quattro amici di cui sopra.

Costoro dichiarano di essere in possesso di una mappa capace di condurli fino al tesoro del pirata Barbanera: gli allocchi ci cascano in pieno, si recano sul luogo indicato e lì partecipano – non senza una certa angoscia – al “rito di evocazione negromantica” praticato dal “mago” Rattletrap. Il quale, per la cronaca, vaga per il mondo indossando la più classica divisa da mago-da-romanzo-fantasy senza che nessuno si chieda perché diamine questo tizio se ne vada in giro conciato come un pagliaccio, con un telescopio sottobraccio, ninnoli fatti di calamite che si appiccicano l’uno all’altro, l’immancabile bastone nodoso stretto nelle mani e un cappello da mago che è palesemente un berretto da notte sul quale sono state ricamate tante piccole stelline.
Ebbene: il “mago” Rattletrap si reca sul punto indicato dalla mappa del tesoro e, in un latino maccheronico pieno di formule assurde, evoca gli spettri della truppa del pirata Barbanera. E “grazie a loro”, effettivamente dissotterra un forziere pieno d’oro, che ovviamente era stato nascosto lì dai suoi complici.

Per i quattro allocchi caduti nella truffa, il Disappointment arriva quando si scopre che Rattletrap è un negromante rispettoso della legge, che ci tiene assolutamente a denunciare la scoperta all’agenzia delle entrate, in modo tale che tutto venga fatto per benino e si possano pagare le tasse sul ritrovamento. Gli agenti del fisco rispondo all’appello e arrivano nella casa del “mago”, cominciando comprensibilmente a fare domande sulle bizzarre circostanze del ritrovamento. Solo a quel punto, i quattro goliardi escono allo scoperto spiegando la natura del loro scherzo: i creduloni fanno la figura dei cretini di fronte alle autorità del luogo e se ne vanno cornuti e mazziati: feriti nell’orgoglio e senza l’ombra di un tesoro.

Curiosità? Il Disappointment si basa su un testo di un autore anonimo che alcuni critici ritengono di poter identificare in Thomas Forrester, un politico di Philadelphia. Il quale, negli ultimi anni della sua vita, confessò con godimento di aver ordito per davvero uno scherzo molto simile, ai danni di un viaggiatore tedesco alla ricerca di tesori.
Il che, già di per sé, è indicativo. A noi sembra assurdo, ma è l’assurda verità: nel Settecento americano, la gente se ne andava in giro per davvero a cercare il tesoro dei pirati aiutandosi con una bacchetta magica!

8 risposte a "Maghi alla ricerca del tesoro dei pirati"

      1. Lucia

        Grazie mille! 🙂

        I maghi come figure storiche sono interessantissimi, o meglio: li trovo interessantissimi perché sono figure storiche completamente diverse dal mago stile fantasy che immagineremmo oggi. La nostra immaginazione letteraria li ha paradossalmente appiattiti su uno stereotipo che non dà loro giustizia.

        Penso che nei mesi prossimi mi divertirò parecchio a parlare di maghi nella Storia vera 😛

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      1. Lucia

        🤣

        Beh, però non sempre erano i fantasmi delle persone che avevano sepolto il tesoro!

        Cioè: se beccavi il fantasma di quello che aveva sepolto il tesoro, ovviamente lui sapeva indicarti l’ubicazione. Ma la grande maggioranza dei fantasmi da combattere si ritenevano essere spiriti che altri maghi del passato avevano messo lì a custodia, a mo’ di antifurto, e/o addirittura gli spiriti di schiavi che erano appositamente stati sacrificati per l’occasione, ricevendo il comando di vegliare il tesoro per l’eternità.

        Nel caso del tesoro nascosto sul fondo del mare dentro al relitto di una nave naufragata, si pensava che fosse l’intero equipaggio (ormai fantasma) della nave a star lì a proteggere il carico perduto.

        Diciamo che c’era una varia umanità di gente che poteva essere a custodia del tesoro 😛

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