Il giorno di san Luca: quello in cui non farà poi male darsi alla follia

Che poi, san Luca è anche uno importante.
Evangelista. Patrono dei medici tutti e dei chirurgi in particolar modo. Protettore degli artisti e, secondo la leggenda, autore del primissimo ritratto di Maria vergine!
Quando io e Michela di Mani di Pasta Frolla abbiamo deciso di dedicargli la puntata ottobrina della nostra collaborazione dedicata alle tradizioni popolari sorte attorno alle figure dei santi, io mi sarei immaginata di scoprire usanze edificanti e piene di devozione. No?

Ecco, no: sospetto anzi che il povero san Luca si rivolti dentro al reliquiario ogni volta che pensa al mondo sconfortante in cui gli Inglesi erano soliti festeggiarlo fino a qualche tempo fa.
La cosa positiva è che preparavano in suo onore delle tortine deliziose di cui Michela vi fornirà ricetta; la cosa negativa è che queste tortine le gustavano dopo aver trascorso una giornata intera a festeggiare in modi non esattamente edificanti.
Sto per parlarvi, signore e signori, della grande sagra che si teneva ogni anno nella cittadina di Charlton: la Charlton Horn Fair. Parlo al passato perché la sagra fu soppressa nel 1872 a causa dei pericoli per la morale pubblica che si riteneva costituisse la sua stessa esistenza, e già questo la dice lunga.

***

Non sappiamo esattamente quali siano le origini della Charlton Horn Fair. Vale a dire: non sappiamo quando sia nata; sappiamo solamente che, da un certo momento in poi, era diventata una sagra abbastanza grande da far parlare di sé in tutto il circondario. La prima menzione risale al 1598; nel 1659, l’evento si era già guadagnato il soprannome di “fiera delle corna” che lo avrebbe caratterizzato da quel momento in poi.
E qui, uno potrebbe dire: in che senso, fiera delle corna?
Che mi significa, “corna”?

Significa giustappunto “corna”, quelle del toro: per antica tradizione, le persone che si recavano alla fiera indossavano sul capo delle corna decorative. Tipo quelle che oggi associamo (a torto) ai copricapi vichinghi, per capirci.
Corna vere, corna finte, corna fatte di legno; ghirlande cornute da metter sul capo delle donne e cappellini con cornetti di ordinanza per le testoline dei bimbetti. Era una grande mascherata collettiva, un Carnevale fuori stagione che doveva riuscire assai gradito a una popolazione contadina che s’era ormai lasciata alle spalle la stagione della raccolta, e iniziava a rallentare i ritmi all’approssimarsi dell’inverno.

Qualcuno ha ipotizzato, non irragionevolmente, che la Charlton Horn Fair possa essere nata come una fiera dedicata alla vendita del bestiame e che da lì si sia sviluppata la sua bizzarra associazione con le corna. È possibile, ma è molto probabile che la sagra sia nata, più banalmente, in omaggio al santo patrono del villaggio. La chiesa principale della città di Charlton è, infatti, dedicata a san Luca; e san Luca – si sa – nell’iconografia si accompagna sempre al suo fidato bue. Talvolta, le spiegazioni più banali sono anche le più vere: è insomma probabile che la curiosa associazione tra la sagra e le corna indossate dai partecipanti sia nata proprio così, come omaggio all’animale che simboleggia l’evangelista.

E fin qui, stiamo parlando di una tradizione curiosa senza dubbio, ma certo non scandalosa. Da dove deriva – mi direte voi – il sentimento di esecrazione popolare che spinse le autorità a sopprimere la festa nel 1872?

Vi giuro non sto scherzando: deriva dall’associazione mentale, che rapidamente si venne a creare, tra gli uomini che andavano in giro rivestiti di corna e il loro essere cornuti anche in senso metaforico, cioè cornificati dalla loro donna che era andata a letto con un altro.
La sagra paesana si trasformò in una festa licenziosa dal sapore carnascialesco in cui i costumi si facevano spinti, i balli popolari diventavano l’occasione per allungar le mani, il clima di festa offriva la sponda per spettacolini sconci. Era nata probabilmente come allegra festa patronale; si trasformò nei secoli in qualcosa di piuttosto zozzo.

A giustificare il clima licenzioso, qualcuno inventò persino una leggenda popolare che utilizzava la storia di un marito cornificato a mo’ di mito fondativo per la città di Charlton (!).
Narrava la leggenda che, un bel dì, re Giovanni di Inghilterra fosse stato sorpreso da un acquazzone mentre si trovava a caccia in quella zona. Cercò dunque un rifugio in cui asciugarsi le ossa e pensò che sarebbe stata una buona idea bussare alla porta di un mulino che vedeva in lontananza.
La sorpresa fu trovare, all’interno del mulino, una giovanissima e bellissima mugnaia tutta sola.
E quando fuori piove e tira vento, tu sei il re d’Inghilterra, e ti trovi solo faccia a faccia con una donna che ti piace… cosa fai?
Oppure, vediamola dall’altro punto di vista: quando sei una popolana e ti entra in casa il re d’Inghilterra che inizia a farti delle avances… cosa fai?

Ecco: quello, fai.
Leggenda narra che il proprietario del mulino fu piuttosto sorpreso, all’ora del rincasare, nel trovare sua moglie che svolgeva col re d’Inghilterra attività alquanto contrarie al concetto di fedeltà coniugale.
“Piuttosto sorpreso” è un understatement tutto britannico, ché il mugnaio contrariato afferrò un coltellaccio da cucina e tentò di ammazzare quello sgradito ospite dal sangue blu.
Il re d’Inghilterra ebbe salva la vita solamente grazie alla sua prontezza di riflessi… e grazie al suo conto in banca, per così dire. Ché, per risarcire il mugnaio da quel “furto” che aveva appena consumato a suo danno, il re decise di infeudarlo delle terre in cui viveva, rendendolo de facto signore di Charlton e di tutto il suo contado. Insomma: sarebbe stato un tradimento coniugale a far nascere e prosperare la cittadina, secondo una leggenda fondativa che fortunatamente non ha nulla di vero, e di cui comunque non mi sarei vantata più di tanto se fossi stata un abitante del luogo; ma tant’è.

Questa è la storia; e questo è anche il modo in cui la festa di san Luca fu festeggiata per anni nella terra d’Albione. Ché i festeggiamenti licenziosi che si tenevano a Charlton passarono alla storia e suscitarono l’indignazione pubblica proprio per le dimensioni della festa; ma in tono minore, era tradizione diffusa quella di far battute salaci in occasione della festa del povero evangelista, profittando presumibilmente di quell’associazione mentale già descritta tra il bue che accompagna accompagna il santo e le corna che spuntano sul capo di chi ha una moglie fedifraga.

Si tratta di una tradizione tutta inglese, che non mi risulta essersi mai diffusa dall’altro lato della Manica, ma ciò non vuol dire che i Britannici fossero più matti della media. Nell’Europa continentale, festeggiamenti popolari dello stesso tenore si tenevano qualche settimana più avanti, l’11 Novembre, in occasione della festa di san Martino. In questo caso, non v’era alcun legame tra il santo del giorno e i mariti cornificati: eppure quella giornata di festa popolare, in cui tradizionalmente veniva tirato il vino nuovo e si macellavano gli animali che non si intendeva conservare per l’inverno, diventava l’occasione per grandi abbuffate annaffiate nel vino. E quando il tasso alcolemico s’alzava… anche in quel caso cominciavano a circolare le barzellette spinte, i motteggi a danno dei compaesani cornuti (o presunti tali) e gli spettacolini con un umorismo di bassa lega per far ridere la gente sui temi più triviali.

Lo si è detto spesso: nei secoli passati, questi momenti di Carnevale collettivo avevano probabilmente lo scopo di dare momentaneamente una valvola di sfogo, ben limitata nel tempo e nello spazio, a una popolazione che, per il resto dell’anno, viveva irregimentata in regole comportamentali tra le più severe. E davvero si ha l’impressione che avessero questa funzione le licenziose feste popolari che si tenevano, in date diverse da zona zona, dal Nord al Sud dell’Europa, ma sempre all’inizio dell’autunno. E cioè, quando era ormai finita la stagione della raccolta, quando i campi erano già stati preparati per l’inverno e quando era possibile riposare finalmente. Insomma: quando la brava gente smetteva di lavorare per andare in ferie.

Era una giornata di follia collettiva; ma era una giornata sola, ed è questa la chiave di tutto.
Lo si sapeva, e proprio per questo lo si tollerava: era socialmente accettato che i ragazzacci si sfogassero in quel giorno, proprio perché nessuno metteva in dubbio che sarebbero tornati i bravi ragazzi di sempre l’indomani.

***

Ciò detto: se a qualcuno dei miei lettori dovesse venir la voglia di festeggiare more antiquo il giorno di san Luca, ecco le uniche attività degne di nota che sono riuscita a trovare documentandomi sulle mie vecchie carte. Ma come dire: non consiglio.  
Resta pur sempre il Piano B, che è quello di lasciar perdere le storie sconclusionate che vi ho appena raccontato e dedicarsi all’altra attività che è tradizionalmente associata alla festa di san Luca in Oltremanica. E cioè, strafogarsi di Bambury Cakes: piccole tortine di pasta sfoglia con un goloso ripieno di frutta speziata, che venivano prodotte lungo tutti i mesi autunnali ma erano consumate con particolare lena nella festa del 18 ottobre.

E mi sa tanto che sarà meglio ricorrere a questa opzione per ricreare una festa di san Luca “come quella di una volta”: tanto più che ho provato anch’io a ricreare le tortine di cui oggi Michela vi fornisce la ricetta… e non so dire se sia più soddisfacente la velocità con cui si preparano o il gusto delizioso con cui appagano il palato!

6 risposte a "Il giorno di san Luca: quello in cui non farà poi male darsi alla follia"

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