La risposta sintetica è che non lo sa nessuno (e che, no, i druidi non c’entrano).
Dal punto di vista storico, l’unica affermazione certa che si può fare su questa tradizione è che l’abitudine di scambiarsi effusioni sotto al vischio nasce in Inghilterra in un periodo comunque compreso tra il 1720 e il 1784. È raro poter essere così precisi quando si parla di un fenomeno di costume dall’incerta origine, ma in questo caso la fortuna è dalla nostra. Nel 1784, viene dato alle stampe il copione dello spettacolo musicale Two for One, nel quale a un certo punto i cantori accennano alla consuetudine di baciarsi sotto il vischio descrivendola come una prassi già consolidata: è la prima attestazione scritta a parlare di questa usanza.
Tra il 1719 e il 1720, invece, vedeva la luce una colossale opera enciclopedica in due volumi titolata A Dissertation concerning Mistletoe a cura di un farmacista di nome di John Colbatch, che s’era già guadagnato una discreta fama tra i suoi colleghi per aver inventato una sedicente polverina cauterizzante che all’atto pratico non arrestava minimamente il sanguinamento ma in compenso procurava gravi ustioni tutt’intorno. Nella ferrea convinzione di aver appena scoperto un portentoso rimedio antiepilettico (…il vischio, per l’appunto), il farmacista cercò di riguadagnarsi la stima della comunità scientifica dedicando a questa pianta un’opera colossale… nella quale, tanto per completezza, si divertì a inserire anche un capitoletto riguardante le tradizioni e le superstizioni che riguardavano il vischio.
L’opera, ahinoi, ebbe scarsa rilevanza medica ma divenne invece preziosissima per gli storici del costume: John Colbatch cita una infinità di tradizioni riguardo a quella pianticella, ma di baci non c’è nemmeno l’ombra. Dobbiamo quindi presumere che la tradizione natalizia di baciarsi sotto al vischio sia nata in un momento imprecisato tra gli anni ’20 e gli anni ’80 del Settecento. Come, perché e secondo quale logica: probabilmente, non lo scopriremo mai.
Sicuramente, lungo tutto il corso del Settecento, il vischio era diventato sempre più amato come elemento per le decorazioni natalizie: una predilezione che risulta evidente dalla consultazione dei registri contabili di chiese e palazzi signorili, che registrano di anno in anno spese crescenti per l’acquisto di quella specifica pianticella. Ma nulla ci fa pensare che, sotto a quei ramoscelli, la gente avesse la tendenza ad abbandonarsi alle effusioni; questa è una consuetudine che comincia a essere citata per iscritto solo negli ultimissimi anni del XVIII secolo.
In quel periodo, cominciano a moltiplicarsi le fonti che ci parlano dell’usanza di attaccare alle travi del soffitto un kissing bush, sotto al quale (intuibilmente) era d’obbligo scambiarsi un bacio. Di gran lunga troppo riprovevole per la contegnosa aristocrazia, quest’usanza scherzosa nacque nei villaggi contadini, prosperò nelle cucine della servitù e per lungo tempo restò legata alle feste natalizie del ceto medio-basso, senza osare addentrarsi nei salotti della upper class. Era, in fin dei conti, un modo ironico e scherzoso di rompere il ghiaccio e vedere se lei ci stava: in un’epoca in cui, almeno tra la borghesia, stava cambiando profondamente il modo di vivere l’amore, anche questi piccoli escamotage potevano essere preziosi per tastare il terreno in modo non troppo compromettente.
Non dobbiamo immaginare il kissing bush come l’isolato rametto di vischio che oggi appendiamo sugli stipiti delle porte. Si trattava di strutture molto elaborate, ghirlande tridimensionali spesso composte da più d’una pianta e frequentemente decorate con bamboline, fette di arance secche, pupazzetti di carta ritagliata e piccole candele accese. Potremmo descriverle come la versione settecentesca della palla stroboscopica da discoteca: mille le forme con cui poteva presentarsi, mille gli aspetti che poteva assumere… ma una costante non poteva mai mancare: la presenza di vischio all’interno della composizione.
Perché?
Questo è un bel mistero, che probabilmente non avrà mai risposta. Ronald Hutton ipotizza che questa predilezione potesse essere legata alla relativa difficoltà con cui il vischio viene reperito, se rapportato ad altri sempreverdi tradizionalmente usati nelle ghirlande di Natale. Insomma: la rarità di quell’elemento gli dava un valore aggiunto, almeno secondo una delle tante ipotesi che sono state fatte – ché, all’atto pratico, nessuno ha davvero idea del perché proprio il vischio sia stato associato alle pomiciate natalizie.
Nel 1819, dando alle stampe Christmas Day, Washingon Irving pensò bene di inventare una storiella senza capo né coda che ahinoi viene ripetuta ancor oggi: il vischio sarebbe stata una pianta sacra ai druidi, che l’avrebbero largamente utilizzata per compiere i loro riti in corrispondenza del solstizio d’inverno.
Non c’è nulla di vero in questa storia.
Conosciamo molto poco delle tradizioni druidiche (sempre a causa di quel piccolo problema per cui i druidi non ci hanno lasciato fonti scritte), ma in questo caso abbiamo l’incredibile fortuna di conoscere piuttosto bene il loro rapporto col vischio, che ci viene descritto con dovizia di particolari dal loro contemporaneo Plinio il Vecchio. Riferendosi alle tradizioni portate avanti nella Gallia (e non nella Britannia: ché a dar retta ai folkloristi vittoriani, sembra che i druidi ci fossero solo in Inghilterra), Plinio ci dice che il vischio era ritenuto potente antidoto contro i veleni e che assumeva un valore semi-sacrale quando cresceva sulla corteccia di una quercia (cosa che capita molto raramente, a quanto leggo).
In quel caso, e solo in quel caso, il vischio attirava l’attenzione dei druidi, che lo raccoglievano nel sesto giorno di luna piena seguendo un rituale prestabilito. “Basterebbe leggere velocemente questo passaggio per capire che Plinio non sta descrivendo un’abitudine stagionale”, magari legata al periodo invernale, come fa notare Ronald Hutton “bensì un rito ad hoc, che faceva seguito a un raro evento botanico e che era legato alle fasi del ciclo lunare e non al calendario solare. Come se non bastasse, Plinio colloca questo rito in Gallia, e non in Britannia”: insomma, baciarsi sotto al vischio non è la reminiscenza di arcaici rituali pagani anticamente praticati nel pieno dell’inverno (e i folkloristi che dicono il contrario non hanno alcuna fonte per sostenere la tesi che portano avanti. Le uniche fonti in nostro possesso descrivono la realtà, ben diversa, che ho appena riassunto).
Insomma: con buona pace dei druidi, in questo caso i nostri amici celti c’entrano assai poco. Baciarsi sotto al vischio piace perché piace, senza che vi sia sotto chissà quale usanza antica.
Ché poi, in fin dei conti, le tradizioni non hanno mica bisogno di risalire a passati arcaici, per essere godibili e graziose. Alcune delle migliori nascono proprio così: per caso, senza cause apparenti, ammantate di quel fascino che dà loro un tocco di mistero.
Soliti consigli di lettura per chi volesse approfondire:
A Christmas Cornucopia. The hidden stories behind Yuletide traditions di Mark Forsyth
The Stations of the Sun. A History of the Ritual Year in Britain di Ronald Hutton
Murasaki Shikibu
Insomma, secondo te la scena iniziale della Norma quando lei coglie il vischio e canta alla luna non è del tutto filologica?(sniff e sob).
Quanto ai poveri druidi, in confronto a tutta la roba che gli han fatto dire e fare, le Mille e una notte è pura cronaca supportata da solide fonti documentarie 🙂
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Lucia
😂
Ma veramente!
E la cosa comica è che gliele hanno fatte fare (quasi) tutte nell’arco degli ultimi centocinquant’anni e non di più! Davvero, a un certo punto è nata ‘sta moda di appioppare ai druidi la paternità di qualsiasi tradizione di cui non si riusciva a trovar l’origine, ma ecco… poveri druidi veramente! 😆
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