Si diceva, nel Medioevo, che le persone che nascono in questo periodo dell’anno vengano al mondo sotto il bacio di una buona stella. Sembrerebbe astrologia, invece era buonsenso: nascere attorno all’equinozio di primavera vuol dire avere almeno sei mesi di tempo per irrobustirsi, prima di dover affrontare i rigori dell’inverno: insomma, avere qualche chance in più di non beccarsi la polmonite a pochi giorni di vita, in un’era in cui la mortalità infantile era elevatissima.
E poi, diciamocelo: simbolicamente, è bello venire al mondo in questo periodo dell’anno, proprio mentre sbocciano i primi fiori, le giornate si allungano e la terra si riscalda.
E infatti, dovendo scegliere un momento per venire al mondo, Dio valutò con il suo consueto acume che l’inizio della primavera potesse essere un buon periodo per prendere corpo e carne all’interno del ventre di sua mamma.
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Era una festa importante, nel Medioevo, quella dell’Annunciazione. Una festa molto più sentita di quanto non sia oggi, epoca in cui consideriamo il 25 marzo una ricorrenza esclusivamente religiosa. In passato, a questa data s’associavano mille altre valenze, molto più terra a terra: in occasione del “giorno di nostra signora” molti contadini riprendevano a lavorare (e dunque a percepire un guadagno!); si riscuotevano alcune tasse, si pagavano alcuni affitti; le donne riaprivano quelle parti della casa che non erano state abitate durante il lungo inverno e si dedicavano alle pulizie di primavera – finalmente, era giunto il momento di mettere da parte mantelli pesanti e coperte spesse. In alcune aree d’Italia, il 25 marzo era addirittura il giorno di Capodanno; ovunque nel nostro emisfero, quella era la data in cui psicologicamente ci si sentiva in grado di tirare un sospiro di sollievo e pensare che il peggio era passato, la casa si stava riempiendo di tepore, la terra già cominciava a crescere i suoi frutti. Lo spettro dell’inverno, latore di gelo e fame, era ormai lontano: anche questa volta, ci si era lasciati alle spalle il periodo più duro dell’anno!
Insomma: agli occhi di un uomo del passato, il giorno dell’Annunciazione non era solamente la ricorrenza in cui si celebrava una festività religiosa importante. Era il giorno in cui si festeggiava l’arrivo del caldo, dell’abbondanza, della prosperità e di tutta quell’incredibile cornucopia di doni che la primavera portava con sé.
E poi era anche il giorno in cui si celebrava una festività religiosa importante, naturalmente; il che era un bonus non da poco, tenendo conto che la primavera ha il brutto difetto di iniziare nel bel mezzo della Quaresima, e cioè in un periodo in cui la Chiesa pretende penitenza e riduce al lumicino le occasioni di festa.
L’Annunciazione (da sempre, una delle solennità più importanti sul calendario liturgico) era appunto una delle pochissime occasioni in cui era consentito sottrarsi al rigido digiuno quaresimale per festeggiare in pompa magna: e la gente, com’è ovvio, non si faceva sfuggire l’occasione, profittando di quel giorno per riempirsi lo stomaco con cento e mille piatti di festa.
Tra le specialità più gettonate, v’erano quelle che facevano largo uso di tutti quegli ingredienti che, nel Medioevo, erano proibiti in Quaresima e che tuttavia gli animali di fattoria continuavano a produrre, incuranti del calendario liturgico. Tra questi, l’ingrediente principale erano le uova: proibite, secondo le leggi della Quaresima medievale in quanto alimenti di origine animale; e tuttavia, prodotte dalle galline in pianta stabile (e neanche troppo facilmente conservabili, a dirla tutta).
E quindi, le avvedute massaie profittavano proprio del giorno dell’Annunciazione per dare fondo alle scorte che nel frattempo s’erano accumulate. Scorrendo l’elenco dei piatti prodotti in occasione di quel giorno di festa, si nota nella gastronomia europea un tripudio di frittelle, omelettes, dolcetti di vario tipo, uova in ogni salsa, cremine zuccherate e frittate dolci e salate.
Quest’oggi, Michela di Mani di Pasta Frolla vi propone una ricetta in particolare: quella dei waffles che, tradizionalmente, venivano sfornati a centinaia nei Paesi del Nord Europa in occasione della festa del 25 marzo. Li si poteva gustare dolci, con una bella spruzzata di panna e un generoso cucchiaio di miele; ma non mancavano neppure le preparazioni salate, che venivano spesso accompagnate da un po’ di formaggio fresco, preparato apposta per l’occasione.
Significativamente, ancor oggi nei paesi scandinavi il 25 marzo è popolarmente conosciuto come “giorno del waffles”. In questo caso, il richiamo alle tradizioni antiche è aiutato da una bizzarra curiosità fonetica: il termine svedese Vårfrudagen (letteralmente: Giorno di Nostra Signora, così come era definita un tempo la festa dell’Annunciazione) ha una pronuncia abbastanza simile a quella del termine Våffeldagen (Giorno dei Waffles, per l’appunto).
In Svezia, i waffles erano consumati per davvero in occasione del Giorno di Nostra Signora: col passar del tempo, le due festività arrivarono a fondersi, trasformandosi in un dolcissimo tutt’uno. Oggigiorno, non tutti Svedesi che mangiano waffles la mattina del 25 marzo sono consapevoli di starlo facendo in omaggio a un’antica tradizione cattolica e mariana – eppure, dalle parti di Stoccolma, i waffles non possono mancare in tavola, nel giorno dell’Annunciazione. Dice il proverbio che “le vie del Signore sono infinite”, e verrebbe da chiosare che anche quelle del folklore non scherzano: in questo caso, è una banale omofonia a tener viva una tradizione antichissima, ormai dimenticata… ma al tempo stesso molto viva.