Se tra di voi ci fosse qualcuno secondo cui l’umorismo di bassa lega è prodotto di questa nostra degenerata società moderna, costui troverebbe probabilmente grande consolazione nel leggere uno qualsiasi dei fabliaux medievali. In Italia, Alessandro Barbero li ha resi famosi con un’antologia il cui titolo è già tutto un programma; dovessi decidere di traumatizzare qualcuno, io ci andrei giù ancor più pesante e consiglierei direttamente la lettura dei fabliaux dedicati a san Martino, che non si limitano a essere osceni e volgarotti ma addirittura prendono di mira un santo, con quella che noi definiremmo aperta blasfemia. “I giovani d’oggi non hanno più religione, signora mia” ha tutta l’aria di essere un mantra di vecchia data.
In ogni caso, san Martino probabilmente si consolerà nel sapere che non è lui il protagonista della poesiola che voglio raccontare oggi. Le Pet au Villaine proviene da una raccolta di fabliaux composta alla metà del XIII secolo dal poeta francese Rutebeuf e prende di mira quelle categorie che di certo non era insultante insultare: i diavoli e i poveri, per la precisione.
La poesiola di Rutebeuf inizia nella camera da letto di un villano col mal di pancia. Straziato da orribili coliche gassose, il contadino giace a pancia in giù sul letto nella speranza di potersi liberare l’intestino emettendo aria; e, nell’attesa di tale prodigioso evento, geme e urla e invoca i santi del Paradiso con un tale pathos e una tale intensità da suscitare la comprensibile attenzione di tutte le potenze ultramondane. In particolar modo, un diavolo di passaggio si convince che il villano sia morendo di una qualche brutta malattia (e davvero verrebbe da pensarlo, vista la teatralità con cui lo scemo grida al mondo tutto il suo dolore!).
A onor del vero, anche il diavolo è un po’ perplesso, ché non ha mai visto un uomo morire in questo modo. Ma il contadino sta chiaramente molto male, e soprattutto (nota il diavolo a una più attenta osservazione) sta ripetutamente contraendo i muscoli, nel disperato tentativo di far uscire qualcosa dal suo sedere.
Il demonio ha qualche istante di perplessità, ma non demorde. Secoli e secoli di iconografia gli hanno insegnato che, quando muore un essere umano, il suo ultimo respiro gli fa letteralmente esalare l’anima, cioè un piccolo fantasmino evanescente che scivola via dalla bocca o dalle narici del defunto. O almeno: era quello l’espediente artistico che usavano i miniatori, per rendere chiaro il concetto che qualcuno stava morendo.
Ed è così che il nostro povero diavolo, guardando con perplessità alle sofferenze di quel povero villano, si convince che il contadino stia morendo così malamente a causa del fatto che l’anima gli si è dislocata. Avrebbe dovuto essere nei pressi della bocca, già pronta a uscire, e invece gli si è incastrata da qualche parte nell’intestino: il povero moribondo non riesce a porre fine alla sua agonia proprio perché non riesce a espellerla. E infatti è lì che spinge, e geme, e spinge!
Senza perdere tempo, il diavolo fa apparire un grande sacco di pelle e si apposta dietro al sedere del villano, pronto ad accogliere il prezioso bottino quando l’agonizzante riuscirà finalmente a espellerlo. E la sua attesa è ben premiata: ché, a un certo punto, con un ultimo grido straziante di dolore, il contadino in effetti emette un flato che viene prontamente raccolto dal festante satanasso.
Il villano rilassa finalmente i muscoli giacendo sul letto esanime; il diavolo chiude lestamente il sacco e scappa via all’inferno, profittando del fatto che (stranamente!) l’angelo custode del defunto non s’è ancora presentato per reclamare l’anima.
Ma quando, giunto all’inferno, il diavolo apre il sacco: orrore! Una puzza insopportabile si diffonde in tutti gli inferi, così acre e nauseante da disgustare persino le legioni demoniache. Lo sconcerto è tale che (dopo aver arieggiato un po’, e dopo aver sparso in tutto l’Inferno profumatori per ambiente), i diavoli decidono di convocare un’assemblea straordinaria per evitare il ripetersi di eventi così incresciosi. E così, dopo averla messa ai voti, approvano all’unanimità una mozione: da quel momento in poi, le porte degli inferi rimarranno chiuse per i villani. Se le anime dei contadini puzzano così tanto, se le tenessero pure in Paradiso, e grazie tante.
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La storiella, degna veramente di una barzelletta da scuola media, non si limita però a spingere al riso: a chi sa leggere tra le righe, offre anche un paio di spunti di riflessione più profondi. E non è forse quello il vero lavoro dei comici?
In primo luogo, cavalca agevolmente i pregiudizi popolari sulla stupidità dei contadini. Il villano costipato di Rutebeuf, come da manuale, è un idiota che pensa solamente alle sue funzioni corporali e che ha come unica ambizione quella di risolverle. Non si turba neppure quando si rende conto di avere un letterale diavolo appostato dietro alle pudenda: troppo preso dal suo meteorismo, non si smuove di un millimetro, non cambia occupazione, non perde nemmeno tempo a farsi un segno di croce. La sua storia ha un happy ending, ma ce l’ha per un puro colpo di fortuna: un idiota talmente idiota meriterebbe davvero di fare una brutta fine!
Eppure (poiché il Signore lavora in modi misteriosi) la solenne idiozia del villano riesce a salvare l’intera categoria. Disprezzati, irrisi, oggetto di mille abusi nel corso della vita terrena, i contadini avranno un privilegio non da poco una volta morti: la poesiola di Rutebeuf promette ai poveri un’occasione di rivalsa sociale e (se vogliamo metterla in questi termini) anche di vendetta morale.
Ma, soprattutto, dona ai suoi lettori un senso di confortante sicurezza: sì, i demoni si aggirano tra di noi e sono creature pericolose… ma al tempo stesso sono così scemi da non saper manco distinguere un’anima da una flatulenza. Non c’è insomma di che temerli troppo (sembra essere questo il messaggio dell’autore): se un contadino col mal di pancia è riuscito a gabbare un satanasso e senza nemmeno mettercisi di impegno, figuriamoci cosa può fare contro di lui Santa Madre Chiesa, equipaggiata di quelle armi potenti che sono i sacramenti. Non praevalebunt: parola di villano costipato!
E proprio su questo tema, sono interessanti le osservazioni offerte da Valerie Allen in un saggio dal titolo difficilmente dimenticabile On Farting. Language and Laughter in the Middle Ages. A buon diritto, la studiosa fa notare che la poesiola di Rutebeuf “ripropone una antica tradizione apotropaica secondo cui la puzza di una flatulenza è capace di respingere le forze malefiche”. Valerie Allen ci spiega infatti che, nel Medioevo, “i metodi convenzionali a disposizione di un cristiano per difendersi dalle tentazioni includevano preghiere, segni di croce, benedizioni, recita del Pater Noster e del Credo, acqua benedetta e così via dicendo”: insomma, l’idea era quella di allontanare il demonio invocando la protezione di un potere più grande del suo.
Ma, in epoca precristiana, le cose funzionavano assai diversamente. Per tener lontane le presenze malefiche, la gente tendeva perlopiù a ricorrere a quelle stesse armi che gli spiriti maligni usavano contro gli umani: “fischi, sputi, bronzo, ferro, fuoco, aglio”, per citare solo alcuni elementi presenti nel lungo elenco di gesti apotropaici pre-cristiani che Valerie Allen ci presenta.
Evidentemente, molte di queste tradizioni si conservarono nella cultura e nel folklore popolare: basti pensare all’aglio puzzolente che ancor oggi “tiene lontani vampiri” (o alla cipolla che, fino a poco fa, “teneva lontane le malattie”). Ma, in maniera ancor più significativa, l’avvento del cristianesimo permise ad alcune di queste tradizioni di sincretizzarsi con la nuova religione: Valerie Allen, ad esempio, fa notare che anche certi gargoyles o certi bassorilievi romanici, idealmente messi a protezione dell’edificio sacro, “riprendono alcuni di questi gesti apotropaici, come ad esempio mostrare il sedere o le pudenda, tirar fuori la lingua, alzare il dito medio: gli stessi gesti che i diavoli rivolgevano all’uomo”.
E le flatulenze?
Oh beh, anche quelle erano carinerie infernali: “i diavoli del teatro medievale erano notoriamente degli scorreggioni, e la loro uscita di scena era spesso accompagnata da un peto fragoroso”. Seguendo quella antica logica per cui il simile respinge il simile (e per cui le entità malefiche odiano vedersi rendere pan per focaccia) non c’era insomma di che stupirsi al pensiero che una flatulenza ben assestata potesse suscitare lo sdegno delle legioni infere.
Che è pur sempre una informazione utile da avere. Metti mai.
aure1970
Grazie: l’articolo mi è piaciuto assai! 😁
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Lucia Graziano
Strani, questi medievali, ma simpatici 😛
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aure1970
Parecchio! 😊
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